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Autore: Clarice Hai    12/08/2013    2 recensioni
Mi chiamo Noomi e sono l'assassina, il sicario e la ladra più ricercata di tutta Oteph. Non sono solamente i soldati di tutto il regno che da anni cercano di catturarmi o i manifesti appesi per tutte le città con uno scarabocchio mal riuscito del mio lungo mantello nero a dimostrarlo; lo è il mio lungo pugnale nero, che tengo legato con una cintola al mio braccio sinistro, lì, vicino al cuore, come se fosse lui quella parte anatomica che mi fa rimanere in vita, che fa pulsare il mio corpo.
Vivo sulla sofferenza degli altri.
Nessuno sa chi sono veramente. Solo io lo so. Sono un'ombra. Tutti mi conosco ma nemmeno uno sa che faccia ho. Hanno paura di quel mantello nero eppure quando gli passo affianco non una persona fa caso a me.
Si barricano nelle loro case la notte, per scongiurare il terrore che io possa entrare, eppure, alla luce del giorno, ricevo sempre sorrisi e buone parole dalle persone che mi circondano.
Sono un'ombra. L'ombra più oscura alla luce del giorno.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Crono -  Settimo giorno lunare, secondo mese
Il freddo e l’austerità della cella erano cominciate a esserle familiari. Era li dentro da un mese e oramai le erano suoi compagni.
Si stese sul fianco della branda dura, rannicchiata con le ginocchia al petto tenendo la mano destra sotto la guancia per evitare il contatto con le lenzuola sporche. L’odore del vomito di una settimana prima si sentiva ancora. Era imperniato nel tessuto che naturalmente nessuno si era ancora degnato di lavare.

 Il suo corpicino secco e nervoso di muscoli era scosso da brividi di freddo. I suoi pensieri vagavano lenti nella sua mente, rimbalzando da un muro di pietra all’altro. Si girò a pancia in su. La schiena cominciava a dolerle. Quel materasso d’occasione era più duro di un masso.

Aveva rischiato molte volte di finire nelle prigioni di Crono, ma era sempre riuscita a cavarsela in qualche modo. Lei e Archi ogni tanto, nelle vecchie locande, coperti dai loro pesanti cappucci neri ascoltavano le storie di chi era riuscito a fuggire di li, prima di ubriacarsi.
Sentì al tocco della mano che i suoi lunghi capelli neri legati in mille treccine sottili erano sporchi e l’odore di sudore cominciava a farsi ancora più penetrante. L’unico bagno che le avevano permesso di farsi era stato una secchiata d’acqua gelida qualche giorno prima.
I suoi vestiti leggeri color blu notte non la proteggevano dall’umido che premeva in quella stanza. Sentiva la pelle d’oca sulle braccia nude e i piedi come due blocchi di ghiaccio.
 Lo stomaco le brontolò e il suo sguardo cadde sul vassoio poggiato vicino alla porta. Una ciotola di zuppa verde con un tozzo di pane nero, una mela ammaccata e una borraccia con dell’acqua. Sopra la zuppa volavano alcune mosche. Trattenne un conato di vomito e non mangiò: Presto sarebbero venuta a prenderla. L’avrebbero trascinata fuori, spintonandola di malo modo, facendo battutine dispregiative o insultandola. Lei incassava, cercando di reprimere la voglia frequente di sbatterli ognuno al muro con le proprie mani alla gola e stringere fino a quando le loro labbra non fossero diventate viola per la mancanza d’aria. Ma ogni volta si tratteneva. Non voleva aggravare la situazione anche se sapeva che oramai c’era poco da fare. Per quello si ostinava a un silenzio forzato, non voleva che le sue parole venissero storpiate e usate poi contro di lei.
Quando la trascinavano fuori dal freddo della sua cella si chiudeva ancora di più in se stessa, alzando un muro che nessuno riusciva ad abbattere, nemmeno volendo. Sentì un fastidioso formicolio solleticarle le gambe ma non si alzò lo stesso dalla sua posizione. Aveva i muscoli intorpiditi e le membra stanche. Era da tanto che non faceva più esercizio e meditazione. Sentiva che più stava li dentro, più le sue capacità scemavano. Ogni tanto aveva voglia che la decapitassero subito, per porre fine a quel supplizio. Quella cella le torturava le membra, non la faceva ragionare. A volte sentiva di soffrire di claustrofobia. Una morsa la prendeva alla gola, non facendola respirare. Vedeva le pareti comprimersi come una lattina schiacciata verso di lei, inarrestabili. Sapeva che nel cibo i soldati mettevano della droga. Non c’era voluto tanto a capirlo, abituata com’era a lavorare con veleni e sostanze tossiche. Perdeva conoscenza e si svegliava stordita, con la gola infiammata e un nodo allo stomaco che la faceva vomitare per tutto il pomeriggio. Era  quello il motivo per cui aveva smesso di mangiare, bevendo solo acqua.
Il silenzio opprimente della cella venne interrotto dal rumore della porta che si apriva. Sulla soglia, un uomo basso e grassottello. La prigioniera si tirò su a sedere sul bordo della branda, poggiando i piedi a terra. Delle scariche elettriche le percorsero il corpo: Era arrivato il momento dell’interrogatorio, come ogni giorno.
“Ti vedo deperita Noomi. Hai intenzione di andare a trovare all’altro mondo tutte quelle persone che hai ucciso, morendo di fame? Una scelta lunga e dolorosa. Ma dopo tutto potrebbe essere anche quello che ti meriti”
La stanza era piccola quasi quanto come la cella. Con le pareti in pietra spoglie. L’arredamento spartano consisteva solo nel tavolo mangiato dalle termiti, due sedie e due candele per far luce. Le fiamme danzavano sui muri e Noomi si perse in quei colori caldi che producevano figure snelle e fluenti tra i massi. Non aveva intenzione di rispondere, come sempre,  richiudendosi nel suo guscio.
“Tu e io sappiamo perché sei qui; sei un’ assassina. Ti abbiamo cercato per tutta Oteph per anni, mentre tu lavoravi nell’ombra. Sei stata un osso duro e pensare che sei solo una sporca ragazzina”
Noomi incassò l’ennesimo colpo, puntando gli occhi stanchi con sguardo neutro sul commissario, inclinando leggermente la testa.
“Sei ricercata per omicidio, furto, incendio doloso, possedimento di veleni e remissione all’arresto” Il commissario cominciava a essere stanco di tutto quel silenzio. In tutti i suoi anni di servizio non gli era mai capitato di dover dare la caccia a un sicario così ostinato. E quando finalmente l’aveva trovato, era rimasto ancor più sorpreso di trovarsi davanti una ragazza, più precisamente un’elfa, secca come un chiodo e pallida come la morte.
Ora lei stava di fronte a lui, impassibile, quasi come se fosse sotto l’effetto di alcool. Il viso era scavato, segno che non mangiava e la sua carnagione tendeva verso il bianco porcellana, con qualche sfumatura più scura vicino agli zigomi. Caratteristica tipica degli elfi nati nei villaggi boschivi vicino alla città di Poeta. Ma la cosa che lo inquietava di più di quella ragazza erano i suoi occhi. Di un nero penetrante, quasi liquido dal taglio a mandorla, pupilla e iride erano fusi assieme. Ogni volta che lei lo guardava si sentiva a disagio, con il sangue ghiacciato nelle vene. Gli pareva impossibile che in quel corpo minuto da bambina si nascondesse una delle più agguerrite assassine di tutta Oteph. La lista dei suoi omicidi era lunga e non poche persone cadute sotto la sua lama erano famose in tutto il regno. Non l’aveva ancora sentita parlare, non aveva idea di come potesse essere la sua voce, eppure l’aveva vista per un mese consecutivo in quella stanza, alla stessa ora.
“Abbiamo trovato il tuo amico, il tuo assistente. Quello che ti portava il lavoro” disse cambiando posizione sulla sedia. Notò che finalmente era riuscito a catturare la sua attenzione. I muscoli di Noomi si erano tesi tutto d’un tratto e lei aveva rizzato, cercando di non darlo a vedere le orecchie a punta. Il commissario sorrise, sentendosi molto soddisfatto.
“E’ in queste prigioni anche lui, sai? Ha sofferto molto all’inizio, non voleva confessare di essere stato il tuo assistente, ma poi ce l’abbiamo fatta. Lo sai anche tu no? Con le maniere forti si riesce sempre a ottenere tutto”
Noomi strinse i pugni, le nocche le diventarono bianche e si infilò le unghie nella carne. Se il suo intento era provocarla, ci stava riuscendo. Aveva il corpo scosso da veloci scariche di rabbia e stringeva convulsamente i pugni, cercando di controllarsi.
“Sei anche una puttana quindi? Te la facevi perfino con lui eh? Ammettilo dai, siamo solo qui io e te” L’uomo aveva avvicinato il viso paurosamente al suo. Noomi riusciva a sentire il suo alito pesante nelle narici. Veloce come un lampo la ragazza balzò in piedi tremante dallo sfogo di rabbia che cercava di trattenere. Il commissario era compiaciuto. Aveva fatto leva sul tasto giusto.
“Rispondi, se non vuoi che il tuo ragazzo venga ancora torturato”
La ragazza chiuse gli occhi e balzò oltre il tavolo, prendendo l’uomo alla gola e sbattendolo al muro. Non aveva bisogno del suo pugnale o dei suoi coltelli da lancio per uccidere una persona. Era capace di farlo anche a mani nude.
“Attento a provocarmi vecchio. Solo perché sono stata buona e zitta tutto questo tempo non vuol dire che io non possa ammazzarti quando voglio.”
Il commissario cercò invano di staccare la mano della ragazza dalla sua gola, ma la sua presa sembrava d’acciaio. Il viso gli si fece sempre più rosso, mentre aveva la sensazione che gli occhi gli scoppiassero fuori dalle orbite. Dopo quello che gli parve un’eternità Noomi mollò la presa, facendolo crollare a terra, con la schiena al muro. Lei tornò a sedersi, richiudendosi nel suo silenzio, come se nulla fosse successo, mentre lui, con la schiena alla parete cercava di ricomporsi e riprendere il fiato che fino a pochi secondi fa gli era mancato. Una voce da bambina, fresca e chiara. Pura.
 

- Noomi?
Silenzio.
- Noomi sei qui?
-Sono dietro di te.
-Dietro di me dov..
Non fece in tempo a finire la frase che un lungo pugnale affilato venne posato sulla sua gola. Riusciva a sentire il freddo penetrargli dentro; cercava di reprimere i brividi che gli scendevano giù per la colonna vertebrale, invano. Sapeva che la giovane Noomi non avrebbe esitato un istante a tagliargli la gola. Un passo falso e sarebbe andato a far visita a suo padre nell’altro mondo.
-Ti avevo detto che non saresti dovuto venire a cercarmi Archi, ti trapasserei senza esitazione se non ti conoscessi cosi bene.
Il ragazzo sentì la lama staccarsi dalla sua trachea e tornò a respirare normalmente.
- Ho un nuovo lavoro per te, Noomi, ma a quanto pare non ti interessa.
Detto questo girò sui tacchi e si allontanò, lentamente, massaggiandosi ancora la gola.
Fece dieci passi prima di sentire qualcosa che gli sfiorò la guancia. Guardò a terra e vide un coltello da lancio conficcato tra i ciottoli della strada.
- Ora, Archi, ti giri e riporti il tuo bel didietro da me, se non vuoi che la prossima volta miri al tuo collo.
Era sempre così oramai da cinque anni. Ma Archi non poteva dire di essersi ancora abituato. Ogni volta era come la prima. Sentiva sempre i brividi di paura, l’adrenalina, il terrore, la voglia di fuggire quando andava da Noomi a portarle il lavoro.
 
-Un signorotto del nord, vuole sbarazzarsi del padre. Dovrebbe essere un gioco da ragazzi per te. E ha detto che se porti a termine ciò che ti chiederà ti ricompenserà a dovere. Se sei d’accordo, domani, dopo il crepuscolo, alla vecchia locanda-
Non vide il viso della ragazza, come sempre coperto dal lungo cappuccio nero, però intravide i suoi affilati denti bianchi brillare, sotto il riflesso della luna.
 
-Quattrocento Falchi per un lavoretto fatto bene- disse un uomo sdentato, basso di statura. La bocca contorta in quello che doveva essere un sorriso lasciava intravedere denti gialli storti.
Puzzava di alcool.
-Quattrocentocinquanta- mormorò la voce femminile di Noomi, fredda e distante. La testa calva dell’uomo era luccicante dal sudore.
-Quattro centoventi- contrattò lui
-Quattrocentoquaranta, prendere o lasciare-
-Questa è una truffa!- esclamò l’uomo
-Probabile…Accetti?- domandò sempre discosta
L’uomo annui mostrando tracce d’insicurezza sul volto.
 Noomi si alzò lentamente, prestando metodica attenzione ai suoi movimenti.
Silenziosa come un gatto si allontanò dalla locanda. Era in disuso da qualche anno, e l’aspetto non era dei migliori. Trasudava decomposizione e decadenza. Quando uscì il vento la colpì come un pugno nello stomaco. Il vento soffiava forte. Noomi si abbassò il cappuccio del suo mantello. Era raro che lo facesse, e quando questo avveniva era perché c’era il vento. Adorava il vento, la faceva sentire viva. Espirò a pieni polmoni e si guardò attorno, guardinga. A quell’ora della notte, gli unici abitanti di Crono ancora svegli erano gli ubriaconi che arrancavano per le strade alla ricerca della propria casa e i senzatetto che cercavano posti riparati per dormire. Il resto della città era sbarrato dietro le porte serrate, aspettando che il sole sorga e illumini le strade per uscire e preparare le bancherelle del mercato. Quel vociare vivace che popolava le strade di giorno si trasformava in un assordante silenzio la notte.
A Noomi sarebbe piaciuto raccogliere informazione sull’uomo che avrebbe dovuto uccidere, normalmente impiegava meno di due settimane per imparare le abitudini delle proprie vittime; a che ora le governanti lasciavano la casa e i turni della guardie, ma il suo cliente le aveva chiesto di finire il lavoro per la sera successiva e quindi, se voleva agire con l’ausilio dell’ombra, il tempo stringeva.  
 
“Con quattrocentoquaranta Falchi faccio in tempo a fuggire sulle Montagne Grigie e lasciarmi dietro questo posto” pensò.
La notte calò lentamente.
La luna brillava alta e silenziosa nel cielo.
Una pioggerellina cadde, lenta e fresca bagnando il selciato e alzando un odore di umido.
La ragazza s’incamminò per i vicoli stretti e bui ed entrò in un negozio nascosto tra le ombre in una piccola traversa maleodorante.
Un fulmine, seguito da un lampo, illuminò la sua figura mentre entrava in quel luogo stantio.
Era alta, con un fisico perfettamente longilineo.
Il commerciante seduto al di là del bancone si svegliò di soprassalto dal suo stato di dormi-veglia abituale.
Era evidente che non era abituato a ricevere clienti.
L’insegna del suo negozio era chiara: Veleni.
La ragazza girò sicura tra le mille boccette di veleno sparse sugli scaffali.
Prese un’ampolla, larga quanto il palmo di una mano.
Dentro, un liquido vischioso di colore porpora si muoveva producendo delle bollicine.
La porse al commerciante frugando nel tascapane in cerca dei soldi con cui pagare.
-Ah bene, giovane donzella… vedo che avete scelto il meglio….Il Becco D’ Inferno…ottima scelta…deve vendicarsi perché il suo fidanzato l’ha lasciata?- chiese ridacchiando.
Imbecille.
Lei, in risposta mostrò i denti e emise un ringhio sordo, facendo tacere il commerciante e la sua boccaccia.
-S...Si…Fanno cinquanta Falchi, prego- disse lui cercando di mascherare lo sgomento.
Mise i soldi sul bancone di legno mangiato dalle termiti, poi prese la boccetta e uscì dalla bottega, taciturna.
Si fermò davanti ad una villa dalle dimensioni immense.
S’inumidì il labbro inferiore, poi fece il giro del perimetro del recinto.
Un cancello, una sola via di fuga.
Dentro, alcune guardie con delle alabarde in mano facevano la ronda.
Noomi guardò in alto.
Si arrampicò agilmente sul muretto e acquattandosi per non farsi vedere lo percorse tutto.
C’erano in tutto quattro guardie, divise in due gruppi. Facevano entrambi il giro del giardino tallonando il perimetro della recinzione.
Con un balzo scese dalla recinzione e si appiattì contro il muro e con l’ausilio del mantello nero, diventò parte dell’ombra.
Le guardie le passarono affianco, senza notarla.
Guardò verso la villa.
C’era una finestra aperta, al terzo piano.
Come abitudine, agì d’ istinto.
C’era un albero, alto quasi quanto un piano a dieci metri di distanza da lei.
Spostò lo sguardo a destra e sinistra.
Le due guardie di prima stavano tornando indietro. Non pensò e con uno scatto felino corse avanti. Velocissima percorse i dieci metri che la separavano dall’albero, e infine si arrampicò su di esso.
-Hai visto?- domandò una guardia al suo collega di turno
L’altro scosse la testa.
-E’ passato qualcuno…ne sono sicurissimo-
L’altro uomo si guardò in giro e non notando nulla disse:
-Quanti bicchieri di vino hai bevuto oggi? Sarà stato frutto della tua immaginazione-
L’uomo tese i muscoli del collo visibilmente irritato.
Il sicario si voltò e cominciò ad arrampicarsi sul muro della casa.
Gli appigli erano pochi e faticò a raggiungere la finestra aperta.
La pioggia non le era d’aiuto: Rendeva la parete della villa scivolosa e le servì una grande determinazione per non lasciarsi andare e cadere nel vuoto. Le gocce le entravano negli occhi, appannandole la vista, mentre le raffiche di vento le sbattevano il mantello a destra e sinistra.
Quando finalmente raggiunse la sua meta sorrise, guardando l’interno della casa con sguardo ferino e visibilmente compiaciuto.
Si aggirò per i corridoi guardinga, la mano accarezzava l’elsa di un pugnale legato con una cinghia di cuoio al braccio sinistro.
Non c’era anima viva.
Dalla bisaccia prese un cinturino di pelle conciata lungo circa venti centimetri.
Con un movimento svelto e veloce se lo arrotolò intorno al palmo della mano.
Percorse un lungo corridoio poco illuminato e tappezzato di rosso. Alle pareti erano appesi quadri raffiguranti giovani donne strette in abiti pomposi e rigidi e uomini dall’aria altera guardare il vuoto dritti davanti a loro. Poi lo vide. Un uomo che camminava lento e stanco per il corridoio. Il suo uomo, la sua vittima.
Indossava una camicia da notte larga e bianca mentre nella mano destra reggeva un candeliere.
Noomi sfoderò l’ennesimo sorriso compiaciuto.
Rapida, si nascose in una nicchia, fece passare davanti a lei il vecchio in tal modo che avrebbe potuto prenderlo dal dietro.
Il cinturino di cuoio vibrò mentre se lo slacciava dalla mano.
Di soppiatto gli arrivò alle spalle.
Mise veloce la cinghia intorno al collo della vittima e strinse.
L’uomo urlò ma dalla sua bocca non emise che un rantolo strozzato.
La ragazza prese la boccetta di Becco d’ Inferno e gliela scolò in bocca.
La vittima si portò le mani alla gola.
Cercò di urlare, alla fine si accasciò al suolo cercando di strozzarsi.
La ragazza sapeva gli effetti di quel veleno, sapeva che chi lo beveva non avrebbe desiderato altro che morire.
-Chi è la?
“Non ora…”
-Chi è la?
Una voce preoccupata, dall’altro corridoio parallelo.
Noomi titubò, il suo lavoro non era ancora finito.
Guardò davanti a se, la stanza del vecchio non era lontana e nemmeno vicina, non avrebbe mai fatto in tempo a raggiungerla con il morto sulle spalle, non prima di essere vista, catturata e giustiziata.
-C’è qualcuno?
-Non mi sembra, proviamo a controllare.
L’assassina prese il morto, se lo caricò sulle spalle e cercando di andare il più veloce possibile provò a raggiungere la sua stanza.
-Coraggio bello mio, vedi di collaborare- sibilò parlando alla sua vittima che gli scivolava sul mantello bagnato dalla pioggia.
-Fermo!
Troppo tardi, l’avevano vista. Ma forse c’era ancora una speranza. Si fiondò nella stanza del vecchio e si diresse verso la finestra. C’era un balcone a portata di salto, sotto di lei. Non pensò, sì lanciò e atterrò senza troppi intoppi.
-Chiama rinforzi e un dottore!
Le solite voci.
Le solite guardie.
Saltò sulla balaustra del balcone e si lanciò di sotto. Questa volta non le andò come prima. Sbatté le ginocchia e rotolò per terra tra le foglie e il fango.
Il giardino ora era vuoto, ma non lo sarebbe stato a lungo. Zoppicò verso il muro.
“Non mollare Noomi. Ce la puoi fare, come sempre”
Solo quando si ritrovò nel buio della strada riuscì a respirare come sempre. Si fuse con le ombre della notte e dopo aver percorso un buon tratto di strada si sedette a terra, sfinita.
Quella notte, la sfortuna era stata dalla sua parte. Non le era mai successo nulla del genere sul lavoro.
Quando il battito si fece nuovamente regolare, il dolore al ginocchio si calmò e la mente tornò lucida, Noomi si alzò e si allontanò tra l’oscurità.
 
-I soldi?
Cercò di usare il solito tono di voce, freddo, carico di rabbia. Ma questa volta vacillò. Sapeva di non aver dato il meglio di sé.
 
Il cliente prese da sotto la giacca una borsa mezza vuota. Ad Noomi non le servì aprirla per capire.
-Gli altri? – mormorò gelida.
L’uomo rise di gusto:
-Non avevamo parlato di discrezione, ragazzina?
Noomi ridacchiò:
-Probabilmente abbiamo due concetti diversi per una singola parola
-Vedi di fare meno la spiritosa. I soldi sono quelli e quelli ti devono bastare. Ti rifarai un’altra volta.
-Sono io quella braccata, voglio tutti i miei quattrocentoquaranta Falchi.
Il cliente scosse la testa, imperturbabile.
Noomi si morse le labbra e tacque.
-Sei ricercata in tutte le più grandi città ragazzina, ma in realtà pensavo meglio, si dice tanto su di te.
L’assassina restò in piedi. Il sacchetto tra le mani.
Ucciderebbe anche lui, se non fosse così controllata.
Tutto vano.
Ripose ugualmente i soldi nel mantello.
-Brava ragazza, almeno è vero che sei intelligente
- Non giocare con me, vecchio
- No, tu non giocare con me. Sei un’elfa morta, signorina.
- .. Com..
 
Le parole le morirono in gola, dalla porta della cucina in disuso della locanda uscirono quattro guardie di Crono, le spade sguainate e si avventarono contro di lei. Noomi, dopo un attimo di esitazione si avventò sulla prima uccidendola con il suo pugnale.
“Un’imboscata, maledetto bastardo”

 
Era la prima volta che abbassava la guardia e questa le era bastata. Si spostò fulminea di lato mentre la spada di un guerriero si abbassava sul suo ginocchio, prese un coltello da lancio e puntò al suo cliente. La piccola arma sfregiò l’orecchio dell’uomo, tagliando anche alcuni suoi capelli corti e sudici.
“Catturate quella puttana” sbraitò mentre si portava la mano all’orecchio sanguinante.
Noomi colpì con un calcio un’altra guardia e si lanciò contro la porta della locanda cercando una via di fuga. Ma non fu abbastanza veloce e quei pochi attimi di indecisione le furono fatali. La guardia che aveva colpito con un calcio aveva raccolto il suo coltello puntando al suo ginocchio destro. Il dolore era arrivato secco e improvviso. Era crollata a terra, con la vista annebbiata. Si pulì gli occhi offuscati con il dorso della mano e notò che molta gente, attirata dal rumore proveniente dalla strada aveva aperto le finestre e ora osservava spaventata e incredula la scena davanti ai loro occhi.

“Volete lo spettacolo? E che spettacolo sia allora”
Noomi strinse i denti, e con un gesto che aveva qualcosa di disperato si tolse il coltello da lancio dal ginocchio e mirò alla guardia davanti a lei. Il tiro andò a segno nella gola con una precisione impeccabile. Molta gente urlò sbarrando le finestre e fermando i bambini che curiosi volevano scendere in strada.
Noomi cercò di alzarsi malferma sulle ginocchia chiedendo uno sforzo supplementare alle gambe, senza risultato. Fu stordita da un colpo che arrivò inaspettato alla nuca. Sentì il sangue che cominciò a uscire copiosamente. Delle scosse elettriche le percorsero il corpo, arrivando perfino ai polpastrelli delle dita. Vide il buio totale prima di accasciarsi come un sacco di patate sul ciottolato della strada, non cosciente.

 
Archi intanto osservava la scena, nascosto dietro la casa della sarta, con le lacrime agli occhi. Mai e poi mai aveva creduto di poter finire in una situazione così. Le guardie di Crono lo avevano intercettato e gli avevano promesso un’esorbitante somma di denaro se fosse riuscito a consegnarli Noomi sana e salva. Si sentiva un traditore e un impostore, con la ragazza che gli aveva salvato la vita. Ma non aveva avuto altra scelta. Noomi glielo diceva sempre, di pensare solo a se stesso. Probabilmente ora l’assassina sarebbe stata portata nelle prigioni di Poeta o ancor peggio di Crono e li decapitata. Archi scivolò sulla parete della casa, raggomitolandosi su se stesso, con la testa tra le ginocchia. Era tutto finito. Un senso di sconforto si impossessò del suo corpo. Rimase nella stessa posizione fino quando non senti un pesante tonfo affianco a lui e il tintinnio dei soldi che cadevano a terra. Alzò la testa e notò il commissario di Crono, in piedi di fronte a lui, con la spada ancora sguainata e sporca di rosso.
“Ottimo lavoro ragazzino, sei di parola” gli disse abbassandosi e scompigliandogli i capelli sulla nuca. Prima che le lacrime riiniziarono a riaffiorare, l’ultima cosa che Archi vide fu il corpo di Noomi, legato e imbrattato di sangue poggiato come un peso morto sul primo cavallo della guardia reale“
 
 
Il commissario tornò a sedersi davanti a Noomi.
“Non farlo più, se non vuoi essere giustiziata subito. Sono io che controllo la tua vita o la tua morte”
Vide gli occhi dell’assassina posarsi su di lui, calmi e senza un’ombra di paura. Fino a quando stavano in quella stanza da soli anche lei aveva il potere di decidere sulla morte di lui, l’aveva sperimentato poco fa.
 
Era agguerrita e feroce, gli ricordava una pantera. Invisibile nell’ombra, usciva allo scoperto per attaccare la preda senza preavviso.

Ogni tanto lui le scrutava quando la lasciava andare. Nonostante fosse asciutta e cerea aveva un fascino particolare, misterioso. Ia sua casacca blu notte le lasciava nude le braccia.
Aveva un tatuaggio, grande, impressionate. Fu la prima cosa che lo colpì quando la vide. Un serpente a sonagli. La sua testa, dalle sfumature violacee era disegnata sulla parte sinistra del collo. L’aveva intravista il giorno il cui Noomi si era legata i capelli, per non sentire l’odore di sporco che emanavano. Il corpo si attorcigliava per tutto il suo braccio sinistro e terminava con la coda a sonagli disegnata sopra l’indice. Non dava l’idea di essere finito. Le sfumature terminavano nette all’altezza della spalla. Il tatuatore aveva dovuto impiegarci molto a disegnarlo e sicuramente non era costato poco. Il braccio destro invece era sfregiato da una lunga cicatrice. Partiva dal gomito e arrivava poco sopra il polso. Lucida e bianca. Fredda.
Era sicuro che la ragazza avesse altre cicatrici sparse per il corpo e magari anche qualche altro tatuaggio.
 
 I pantaloni le aderivano completamente alle gambe, come una seconda pelle. Aveva un fisico nervoso, snello e agile. I suoi uomini gli avevano riferito che durante il suo primo giorno nelle prigioni aveva tentato di fuggire, usando una tecnica di teletrasporto. Lui era rimasto piuttosto sconcertato: aveva chiesto spiegazioni, ma le facce smarrite dei suoi uomini erano state le uniche risposte. Avevano descritto una nuvola di fumo nero e la prigioniera che qualche secondo prima era nella cella, e subito dopo dall’altra parte della porta, alle loro spalle. Gli aveva chiusi dentro la loro stessa gabbia ma era stata braccata poco dopo da altre guardie.
Il commissario la squadrò con i suoi piccoli occhietti scuri. Noomi stava poggiata allo schienale della sedia, con le gambe tese in avanti. Aveva le mani giunte davanti alla bocca e delle treccine gli ricadevano sugli occhi.
“Dove hai imparato quei giochetti? Eh? Sai diventare invisibile, ti sai teletrasportare per pochi metri. Sei una strega? Hai fatto un patto con il diavolo?”
La ragazza rise, una risata alquanto discreta, gutturale. Gli fece ghiacciare il sangue nelle vene. Era pazza.
 
 
  
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