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Autore: Berenice88    19/08/2013    7 recensioni
Oscar e Andrè ricevono l'ordine di partire per Parigi, sanno che dovranno sparare sulla folla o combattere con essa,ma soprattutto sanno che rimane loro poco tempo da passare insieme e per decidere del loro futuro... riusciranno i loro ingarbugliati sentimenti, sogni e ideali a venire alla luce e a prendere forma in mezzo alla polveriera della rivoluzione francese?
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Bernard Chatelet, Generale Jarjayes, Oscar François de Jarjayes, Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti
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“Arras, 14 Settembre 1790”

 

Il prefetto Oscar Francoise comunica al governo rivoluzionario di Parigi la cattura dei sette briganti ritenuti responsabili dei disordini nella città di Arras e del recupero dei beni e delle terre da loro indebitamente espropriati, della comunicazione e della soppressione dei privilegi nobiliari ai nobili locali, ovvero Maximilien Dougat, duca di Montrouge, sua moglie Gabrielle Ludovique, duchessa di Montrouge, e della famiglia dei conti di Diaspre, Martin e Armand Mougaten. Dopo un primo momento di proteste verbali e di confronto con me e con il viceprefetto, essi hanno perfettamente capito la situazione in cui versa la Francia e hanno accettato, in cambio della possibilità di mantenere ognuno l'uso di una residenza per risiedere, di rinunciare a tutti i privilegi nobiliari e di donare le terre nei confini cittadini al municipio di Arras. La pratiche di cessione sono state curate da me e dal notaio Marc Mouland, nato e residente ad Arras da molti anni, la cui fiducia nel governo rivoluzionario è più che totale. E' stata rioperata una distribuzione delle terre cedute, secondo i principi rivoluzionari, ai più bisognosi di autonomia del municipio, dando la preferenza, come ricordatomi dal cittadino Robespierre, alle famiglie delle vittime della strage dei bambini dell'anno 1769. Gli animi della città sono ora più tranquilli, e dopo l'iniziale sorpresa per la mia presenza la popolazione ha accettato di buon grado di sostenere il mio operato. Ho rifiutato di riprendere possesso del palazzo della casata dei Jearjais che ho rinnegato e ho trovato alloggio nella vecchia caserma abbandonata del capitano delle guardie municipali assieme al vice prefetto Andrè Grandier, alloggio che ci siamo premurati di ristrutturare e rendere agibile a nostro uso.
Approfitto della presente missiva per chiedere una licenza di sei mesi per me e per il vice prefetto Grandier, a decorrere dal primo dicembre, in vista delle nostre nozze il 24 dicembre prossimo venturo e della nascita di nostro figlio prevista per Febbraio/Marzo 1791.
Porgo cordiali saluti a tutti i membri e l'augurio, come sempre, che libertà, uguaglianza e fraternità siano alla guida del nostro operato.

 

Oscar Francoise,

Prefetto del Governo Rivoluzionario di Parigi presso il municipio di Arras”

 

“Hai finito la lettera Oscar? E' arrivato il messaggero.”
“Si, l'ho riletta e firmata ora.” disse Oscar, sigillandola con la ceralacca e con lo stemma di Parigi.
Allungò il braccio dalla sedia della scrivania porgendola ad Andrè, appostato sull'uscio della porta dello studiolo che avevano ricavato in uno sgabuzzino del precedente capitano delle guardie municipali, mentre lui usciva veloce per consegnarla al messo.
Con la carta da parati nuova, giallo ocra, notò lei, quella stanzina sembrava un posto del tutto nuovo. La vecchia scrivania del capitano, rimessi chiodi dove occorrevano e lucidata con un po' di grasso sembrava appena uscita dalla falegnameria, e le mensole che Andrè era riuscito a ricavare da alcune vecchie assi reggevano i plichi della fitta corrispondenza che Oscar teneva con Parigi, con i suoi uomini appostati presso i nuclei degli abitati attorno ad Arras e con gli ex nobili del luogo. Si stava rivelando un lavoro estremamente complesso, ma i primi frutti si vedevano. La campagna era pacificata attorno ad Arras, la vita era ripresa lentamente, restituendo ad ognuno il proprio lavoro con la consapevolezza di lavorare solo per sé e per le proprie famiglie e non per degli astratti diritti di sangue che facevano finire i frutti della propria fatica in tasca ad altri.
Ripensò all'arrivo, ai primi giorni... lei ed Andrè si erano spesi nell'organizzare assemblee popolari in cui coinvolgere tutti i cittadini e avevano più volte raccontato e spiegato cosa era accaduto a Parigi, cosa stava accadendo in tutta la Francia e perché Robespierre li aveva mandati lì per far si che del lavoro di una nazione non si approfittassero pochi briganti. Era stato difficile, ma giorno dopo giorno avevano conquistato la fiducia dei cittadini e avevano anche trovato quattro giovani ragazzi che volevano collaborare con loro e che, col permesso del consiglio di Parigi erano stati “coscritti” per il prefetto per i lavori di ricerca e polizia del luogo. Avevano coinvolto nelle assemblee anche i pochi nobili rimasti ad Arras, e li avevano convinti che tenere i loro privilegi non sarebbe stato saggio e che una condizione molto favorevole sarebbe stata loro riservata se avessero collaborato piuttosto che resistito ai cambiamenti imposti dal governo rivoluzionario.
In breve, e con la collaborazione di tutti, i briganti erano stati catturati, le terre dei nobili redistribuite, e la città di Robespierre era diventata, nella sua coesione, un piccolo paradiso che sarebbe molto piaciuto al cittadino Rousseau.

 

Andrè la guardava pensieroso dopo aver dato la lettera al messo, esser rientrato ed essersi appoggiato alla porta dello studio di Oscar. Lei lo fissava di rimando.
Andrè non poteva fare a meno di pensare a quei primi due mesi ad Arras con lei... avevano preso a ristrutturare la vecchia casa del capitano delle guardie municipali e l'avevano resa con le loro mani un piccolo gioiello, dopo l'ingresso si allungava un corridoio da cui si dipartivano le stanze della casa, due studioli dove prima erano due sgabuzzini, uno a destra per Oscar ed uno a sinistra del corridoio per lui, una piccola cucina a cui avevano annesso una saletta per cenare (che prima era una camera minuscola per una delle serve del capitano), e in fondo una stanza da bagno e accanto la loro stanza da notte. Il lavoro per la casa, le assemblee e la ricerca dei briganti avevano assorbito tutto il loro tempo, e li aveva premiati con un luogo tutto loro, con il rispetto dei cittadini e con la cattura dei briganti. André ricordò, fissando le iridi di Oscar, il giorno dell'assemblea mattutina in cui comunicava alla comunità la cattura dei briganti. Era orgogliosa del lavoro che avevano fatto insieme, e d'un tratto, appena sciolta l'assemblea, lei era impallidita visibilmente, aveva stretto il braccio di Andrè alla sua destra come se un morso allo stomaco la stesse facendo morire, ed era silenziosamente svenuta addosso a lui. La tisi, aveva pensato Andrè, gelando all'istante. Era corso a portare Oscar da un medico. Dopo la visita fu comunicato a lui e ad Oscar non solo che non vi erano segni di decorso della tubercolosi, il cui arresto era quasi certamente dovuto al riposo e alla nutrizione forzati nei mesi delle cure per la ferita da arma da fuoco di Oscar, ma anche che la sua ferita era perfettamente guarita e che, secondo tutti gli indizi, non era quella la causa del malore ma probabilmente l'attesa di un nuovo arrivato nella caserma del prefetto.
Ad un iniziale momento di sbigottimento, sia suo che di Andrè, era seguita la comprensione della battuta del medico e di ciò che questo comportava. Il dottore li aveva delicatamente lasciati per qualche minuto con la scusa di andare altrove a prendere delle erbe officinali che potevano fare comodo. Pochi minuti dopo avevano avuto il coraggio di alzare la testa e di fissarsi.
Avrebbe sempre ricordato la bocca di Oscar aprirsi in un sussurro, poi chiudersi, poi ancora la ricordò abbassare di nuovo gli occhi, poi rialzarli su di lui dopo un lungo istante e allungare le braccia per stringerlo. Lui l'aveva abbracciata, presa in braccio e stretta senza dire una parola, finché lei aveva rotto il silenzio e aveva sussurrato al suo orecchio: “Ti amo André.” e poi aveva affondato il volto nel suo collo, stringendolo forte come se fosse una bambola di pezza che non sente dolore. Andrè seppe in un secondo che la loro vita e la loro missione sarebbero continuate, ma molto al di là delle loro aspettative.
“A cosa pensi?” chiese lei senza staccargli gli occhi di dosso, facendolo riemergere dal ricordo.
“A quando il dottore ti disse che stavi male perché doveva venire qualcun altro ad abitare con noi qui in caserma... penso che lui stia ancora ridendo.”
Oscar ghignò appena, lasciando che il sorriso dolce che la contraddistingueva da quel giorno non troppo lontano prendesse di nuovo posto sulla sua bocca. Andrè si allungò sulla scrivania, non potendo fare a meno di stamparvi sopra un bacio.
“Sei bellissima,” mormorò “non mi capacito ancora di quanto tu lo sia, e penso che la cosa andrà solo migliorando.”
Lei allungò lentamente le braccia attorno al collo di Andrè, non lasciandogli modo di allontanare il volto di un centimetro di più, in una stretta inesorabilmente ferma.
“Sai che i complimenti e il fatto che sia in attesa non cambieranno il fatto che qui comando io, vero?” disse lei, maliziosa.
“Non ho intenzione di lamentarmi o ritirarmi dalla mia posizione, signor prefetto.”
Il sorriso di Oscar si illuminò di nuovo, proiettando luce sul suo volto, una luce che Andrè non riusciva a smettere di godere da vicino. Le avvicinò di nuovo le labbra e colse un altro bacio, più profondo del precedente, una carezza intima che voleva entrarle dentro e scaldarsi a quel fuoco incantevole.
“Il sole è calato e ho chiuso la porta a chiave...” mormorò lui all'orecchio di Oscar, poi si sciolse con un gesto elegante dall'abbraccio, facendo scorrere la testa sotto al cerchio delle sue braccia, e tirò appena le mani intrecciate davanti a sé per farla alzare il piedi, un altro piccolo strattone per farla girare attorno alla scrivania e farla finire di nuovo tra le sue braccia. Quella sera si sentiva prepotente, non solo perché la sua Oscar era bellissima, non solo perché la malattia era svanita, non solo perché lei aveva dentro di sé una piccola noce di vita che stava crescendo di giorno in giorno, non solo perché era insieme a lui nell'unico luogo al mondo e alla luce color arancio dell'unico tramonto che indorava la stanza attraverso la finestra che avrebbe voluto vedere per ogni giorno per il resto dei suoi anni, ma perché tutte quelle cose stavano accadendo tutte insieme e per questo si sentiva fortunato, potente come non aveva mai sperimentato.
Si godette Oscar prendere posto tra le sue braccia, appoggiarsi al suo corpo, guardarlo negli occhi con quel sorriso meraviglioso e con la voglia di baciarlo appena nascosta. Si inclinò verso di lei appena, giusto per farle aprire le labbra e ritirandosi subito dopo, facendola rimanere delusa. Lei reagì subito, prendendogli il volto tra le mani e baciandolo con foga per pochi istanti, fino a che lui non aprì la porta dietro di sé e la costrinse in corridoio, conducendola fino alla loro camera da letto.
La luce morente del giorno rivestiva le pareti bianche della stanza e rendeva di un verde morbido le lenzuola azzurrine che avevano regalato loro i due sarti di Arras, marito e moglie, poco dopo il loro arrivo. Andrè chiuse la porta e portò Oscar ad appoggiarvi le spalle mentre slacciava diligente i bottoni della giacca e gliela sfilava metodico, e poi passava a slacciare, senza nemmeno abbassare gli occhi, il nodo della camicia e a sfilarla via. Poi passò ai calzoni, che pure caddero leggeri a terra, quasi senza rumore.
Andrè la fisso bene sotto quella luce fioca e dorata, i capelli biondi erano quasi tenere fiamme e incorniciavano gli abbacinanti occhi, dove l'azzurro abbracciava la il chiarore in una sfumatura di verde acqua, la bocca piena, rossa di baci, le spalle larghe, dritte, i seni alti, le curve dolci dei fianchi, la pelle chiara e morbida delle gambe, tutto impresso a fuoco nella sua memoria, anche se avesse dovuto perdere quell'unico occhio che gli restava.

 

Oscar lo prese scherzosamente per il colletto, artigliandolo con le mani, avvicinandolo per un bacio breve e furente e togliendolo dallo stato di contemplazione. Oscar slacciò svelta la giacca e la camicia, e con smania fece allentare e strattonò via i suoi calzoni per poi abbracciarlo di slancio appena fu nudo, sentendo imprimere su di se ogni parte del suo corpo, la guancia accaldata, il petto forte, le braccia volitive, l'addome già teso verso di lei, a raggiungerla di nuovo nel profondo dell'anima, le gambe tese che giocavano prima l'una e poi l'altra a sostenere il peso di entrambi, il suo Andrè, avrebbe riconosciuto quel corpo e quel tocco per tutta la sua vita. Se anche un giorno lui non ci fosse stato più e la sua vita fosse andata avanti anche solo per un giorno, sapeva che avrebbe richiamato alla memoria la sensazione delle sue carezze, della sua pelle su di sé.
Lui la spinse a trascinarsi fino al letto, e lei si lasciò cadere sulle lenzuola fredde.
Lui fu subito su di lei, Oscar sentì il sangue scorrere velocemente, soprattutto nel petto, poteva sentire la corsa frenetica di ogni goccia sospinta dalle pompate del cuore. Andrè le baciò la bocca imperiosamente, facendo scorrere la lingua prima sulle labbra e poi in bocca, sul palato, fino a lasciarla senza più fiato, per poi passare al collo, alla morbida pelle dell'incubo che Oscar sapeva che lui adorava, lo sentì succhiare il punto proprio sopra la gola e mordicchiarlo coi denti. Qualsiasi nervo si trovasse lì sotto, Oscar lo sentì scalpitare elettrico e andare a provocargli un brivido lungo la schiena, facendola inarcare di più, aderendo di più al corpo di Andrè già fremente. Lui proseguì la scia dei baci lungo la spalla, fino al seno destro. Il bacio languido al suo capezzolo la fece dimenare, da più di due mesi, da quando non sapeva ancora di essere in attesa, ogni bacio e ogni tocco di Andrè al suo seno la facevano stare male per l'intensità delle sensazioni che avvertiva, la gravidanza ingigantiva ogni emozione, ogni sensazione, riusciva a vivere al doppio la sua esistenza. Quando Andrè passò all'altro seno era certa di stare per infrangersi in mille pezzi, non riusciva a sopportare quello sconvolgimento di percezioni.
Andrè continuò percorrendo il ventre con la bocca, fino al suo ombelico. I pasti abbondanti, la languidezza di tramonti come quello, l'attività fisica sensibilmente diminuita per sbrigare la burocrazia, tutto contribuiva a quello che era stato l'arrotondarsi e l'ammorbidirsi delle sue forme, soprattutto quel ventre in cui la bocca di Andrè sembrava indugiare ogni volta, beatamente.
La carezza della sua bocca si spinse più in basso, verso il suo sesso, e le mani di lui, la accompagnarono allargandole le gambe, e quando la carezza di quella lingua adorata arrivò a lambirle in profondità le pieghe morbide della carne, si sentì vicina ad andare in pezzi, amorevolmente in pezzi.
Le sue mani andarono a cercare la testa di Andrè, per riportarla verso la propria, e poter finalmente baciare a sua volta quel viso, amato come non lo era stato nessuno. Dopo un bacio carnale, affannoso, Oscar cercò di rigirarsi, fino a rotolare sopra ad Andrè. Era così bello per lei sentire quel corpo palpitante sotto di sé. Lo baciò di nuovo, per poi scivolare a mordicchiare il lobo dell'orecchio e passare a mordere anche quella spalla muscolosa e soda che sembrava non cedere ai suoi denti.
Continuò a baciare con frenesia il suo petto, i suoi capezzoli, fino a sentire anche lui andare quasi in pezzi, in un fremito indescrivibilmente dolce. Passo leggera a baciare la linea dell'addome che portava diritta al suo ombelico, per poi scendere, con la bocca e con la mano, fino a toccare l'addome di Andrè, il nerbo teso del suo sesso che voleva entrare dentro di lei, che voleva di nuovo partecipare a quell'esplosione di vita che la invadeva ogni giorno di più.


Andrè urlò alla lasciva carezza della lingua di Oscar, ma lei non gli permise di andare oltre e risalì il suo corpo fino a tappargli la bocca ansimante con un altro bacio. Andrè ne approfittò per rigirarla sulla schiena, e per entrare finalmente col proprio dentro il suo corpo, accolto in un oceano di calore, illuminato dalla luce d'oro del sole morente e dallo sguardo languido degli occhi azzurri di Oscar. La guardò fissa mentre si muoveva, mentre innescava un vortice di sensazioni, la voleva far bruciare, mandare in pezzi, sentire le sue urla felici mentre perdeva frammenti della cognizione del mondo attorno a loro, ma allo stesso tempo si sentì vittima di quello stesso fuoco, risucchiato nel vortice che la frammentava, chiuse gli occhi e con un movimento languido dei fianchi si spinse di più in lei, sentendo il suo grido, la sua stretta interna, la stretta delle sue braccia e delle sue gambe e poi si ritrovò ad urlare. Sfinito, stremato, senza un mondo a cui fare ritorno, solo Oscar stretta a lui e una luce immensa dentro.

 

Oscar respirava con affanno. Non osava allentare la stretta di braccia e gambe da Andrè, non osava muoversi per lasciare che anche solo un centimetro d'aria li dividesse. Era felice, estremamente felice di essere lì, solo lì, con lui, in quel momento. Sentiva ancora il corpo caldo di Andrè sopra di lei, lo avvertiva dolce dentro di lei, avvertiva il calore e la pace generata da quell'unione, avvertiva la serena crescita di quella noce di vita nel suo ventre dentro quel cumulo di emozioni, poco sopra a dove si trovava suo padre.
“Se solo tu potessi immaginare che cosa provo ora...” gli sussurrò “dovresti chiudere gli occhi per l'imbarazzo.”
Andrè affondò ancora di più la bocca nell'incavo del collo di Oscar, dando un colpetto con la lingua e avviando un bacio languido, fluido, una conferma che doveva immaginare molto bene cosa provava lei, e non aveva il coraggio di alzare gli occhi, ma solo di prolungare la sensazione.
“Se solo tu potessi immaginare...” ripeté lei. Allora Andrè alzò la testa un istante, guardandola negli occhi, fissando quel meraviglioso occhio verde sul suo viso, scandagliando ogni emozione.
“Non trovo niente che non sia meraviglioso, Oscar, assolutamente niente.” disse, e lei chiuse gli occhi e lo sentì un altro bacio sulla guancia, sull'angolo della bocca,fino a tornare a riposare nell'incavo del collo.
“Vedi molto meglio di me Andrè...” sospirò, sopraffatta dall'emozione di quelle parole, la avvertiva decuplicata.

 

L'avvocato Detierre nonostante il carattere burbero non disdegnava i matrimoni, li trovava ottimi per vedere conoscenze cementate, per assaggiare ottima carne e bere vino a fiumi.
Quell'uomo all'altare, quell'Andrè Grandier, aveva la faccia adorante davanti alla sua sposa, la bionda Oscar, che per la prima volta ostentava uno sguardo intimorito. Un quadretto da sposini turbato dalla scelta di abiti molto “civili”, un completo marrone scuro per lui e una camicia bianca larga annodata sul davanti con calzoni candidi per lei, adorna solo di una lunga giacca verde scuro che assomigliava molto ad una morbida veste da camera e che abbracciava il suo ventre oramai tondo e sporgente.
Gli invitati erano pochi, circa dieci, e la chiesa aveva le porte chiuse a sottolineare la scelta di intima cerimonia dei due sposi.
L'avvocato provava emozioni contrastanti, era si felice per l'invito e per la cena che ne sarebbe seguita, ma si sentiva in qualche modo a disagio davanti a quel gioco di sguardi complici e pure intimoriti dei due sposi... i suoi occhi grigi non riuscivano a non sentirsi di troppo in tutta quella candida luce di candele e sole mattutino.
Il prete li dichiarò marito e moglie, lui avrebbe dovuto abbassare lo sguardo, ma non ci riuscì e vide tutta la trepidazione dello sposo nell'abbracciare con delicatezza la sposa e nel posarle un bacio dolce sulle labbra e lei sorridere radiosa dopo che le loro bocche si furono allontanate.
Ecco cosa lo turbava, avere la sicurezza che, anche se non fosse riuscito a salvarla da quel processo, anche se avesse dovuto vedere la sua testa bionda e tesa penzolare dalla ghigliottina, quell'uomo avrebbe posizionato il capo accanto al suo e avrebbe aspettato la lama con lo stesso sguardo adorante rivolto verso di lei. Lo turbava vedere come due esseri umani potessero legarsi in quel modo, in un'associazione tra loro due che non guardava attentamente profitti e guadagni, ma che come clausola chiedeva semplicemente di rimanere insieme, qualsiasi cosa accadesse, fino alla fine.
I due sposi si girarono e vennero a salutare i pochi invitati. Dopo un paio di strette di mano e di baci ricambiati, la sua biondissima ex protetta si diresse proprio verso di lui, e appena gli fu davanti gli consegnò un bacio rispettoso sulla guancia.
“Avvocato Detierre, sono felice che siate giunto.” disse dolcemente.
“Ancor più felice io di vedervi finalmente fuori dai guai e con un po' più di carne addosso.”
Oscar gli sorrise di un sorriso stranissimo, caldo, che le illuminava il viso.
“Lo devo a voi se sono al sicuro.” disse.
“Penso che lo dobbiate a voi stessa... e a vostro marito.”
Oscar abbassò lo sguardo, di nuovo timida. Era la seconda volta in vita sua che la vedeva abbassare lo sguardo intimidita, e la prima era stata cinque minuti innanzi.
“A Parigi?”
“Tutto tranquillo, il nuovo tribunale sta prendendo forma. Pungolo Robespierre come un satanasso per rendere pubblica la vostra sentenza e lui ha giurato e spergiurato che oggi lo avrebbe fatto pubblicare su tutti i gazzettini. Ho lasciato mia sorella in città con la mansione apposita di procurarseli tutti e di mandare subito a Robespierre una missiva irosa se dovesse dimenticarsene qualcuno.”
“Sa avvocato, per questo compleanno mi sono arrivati molti doni, ma questo lo aspetto davvero, per me, per Andrè, per i miei uomini...”
“Vi arriverà cittadina,” sbuffò Detierre fissandola con gli occhi grigio ferro, “fosse l'ultima cosa che faccio. Ma parliamo di cose più serie... che vino avete scelto per festeggiare?”

 

 

Grazie a tutti. Berenice
  
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