Second.
Sakura si
svegliò al tramonto con un po’ di stordimento: non era abituata a dormire così
tanto durante il giorno, poiché sempre impegnata tra gli allenamenti e
l’ospedale in cui prestava servizio.
Si alzò di
malavoglia dal letto caldo e scese in sala dove la sua famiglia era riunita
prima della cena: suo padre leggeva il giornale, mentre la madre era in cucina
a preparare da mangiare.
«Oh, ecco
qui la dormigliona! Dovevi essere parecchio stanca eh, Sakura-chan?» le disse
sue padre a mo’ di benvenuto, sorridendole «Sono felice di vedere che sei tutta
d’un pezzo!».
«Grazie,
Otōsan. Ero davvero distrutta. In questi cinque giorni ho dormito poco
per via dei turni di guardia e altro» ammise la kunoichi, stiracchiandosi e
sbadigliando.
«È passata
Ino-chan a cercarti. Dovresti andare a vedere cosa voleva, sembrava parecchio
agitata».
«La devo già
incontrare dopo cena, così le chiederò spiegazioni. Anche se sono sicura che
non sarà nulla: si agita sempre per niente. Probabilmente ha trovato una doppia
punta nei capelli».
«Sakura-chan,
non essere così crudele! Ino-chan è sempre stata tua amica, no?» la riprese sua
mamma, arrivata in sala dalla cucina, alla quale era collegata.
«Hai, hai. A parte quando entrambe
cercavamo di attirare le attenzioni di Sasuke-kun, siamo state sempre ottime
amiche».
Ino nel
frattempo si trovava ancora al negozio di fiori e, sotto lo sguardo assonnato
di Shikamaru e il rumore della masticazione di Chōji, camminava avanti e
indietro.
«Ino, se non
ti fermi finirai con lo scavarci un fosso in quel pavimento» disse Shikamaru,
strascicando come al solito le parole.
«Ma sta’
zitto! Ti rendi conto che Sakura è l’unica che non lo sa?».
«Sì, Ino. Lo
sappiamo. Lo hai ripetuto centinaia di volte, ormai. Quando vi vedrete dopo
cena le dirai tutto. Perché ti preoccupi tanto?» chiese Shikamaru, incapace di
capire perché tanta fatica per una questione che lui riteneva banale.
«E se
dovesse tornare prima che Sakura lo sappia? Pensa che shock se la
incontrasse!».
«Ma che
shock! Sarebbe solo felice, Ino. Quindi ora calmati e fai un po’ di silenzio».
Shikamaru
aveva gli occhi chiusi e se non fosse stato per Chōji, che lo aveva bloccato con
una mano ingrandita, un vaso con tanto di fiori e acqua lo avrebbe colpito in
pieno.
Quando
Sakura uscì quella sera notò che la maggior parte dei paesani parlottava tra
loro e si sentiva una certa agitazione nell’aria: forse, questa volta, Ino non
si era agitata per niente.
Un’ipotesi
dopo l’altra cominciò a formarsi nella mente di Sakura: qualcuno voleva
attaccare il villaggio? Qualche Team in missione era stato attaccato e i
componenti morti o feriti gravemente?
Riuscì a
calmarsi un attimo solo quando vide la lunga coda di Ino ondeggiare a ritmo del
passo tra la folla, poco più avanti di lei.
Sgusciando
tra le persone riuscì a raggiungere l’amica e toccarla sulla spalla per
attirare la sua attenzione.
Ino si voltò
di scatto verso chi l’aveva toccata e, quando vide Sakura, emise un versetto
con voce acuta e trascinò la ragazza lontana dalla folla.
Sasuke,
costretto da Naruto che si era presentato davanti casa sua, si trovava a vagare
per le strade di Konoha quando vide due capigliature conosciute: Ino e Sakura
si stavano allontanando dalla folla verso una delle stradine laterali.
«Dobe. Cosa
hanno in mente quelle due?».
«Eh? Ah,
intendi Sakura-chan e Ino-chan? Non ne ho idea, ma so che Ino oggi si
comportava in modo strano o così mi ha detto Kiba».
«E ti fidi
della parola di quello? Tch. Sarà un altro dei loro pettegolezzi inutili» disse
Sasuke, mettendo da parte la questione, fino a quando una voce strascicata non
attirò la sua attenzione.
«Questa
volta ti sbagli, Sasuke».
Il
passaparola su ciò che agitava Ino fece velocemente il giro di Konoha e tutti
sapevano il segreto prima della mezzanotte.
Colui che
aveva sparso la voce per primo altri non era che Kakashi Hatake che,
soddisfatto di aver scelto Ino per quel compito, se ne stava seduto pacifico su
un albero con in mano il suo immancabile volumetto.
*
Il Team Anbu
capitanato da Itachi, di cui facevano
parte Shisui e Ayane, era stato mandato in un paese poco distante da Konoha
perché si pensava che fosse stato avvistato un membro dell’Akatsuki.
Ovviamente
l’informazione si era rivelata un buco nell’acqua e stavano già tornando verso
Konoha.
«Abbiamo
perso quasi un’intera notte di sonno e una mattinata per nulla!» si lamentò
Shisui.
«Come se
avessi qualcos’altro di importate da fare!» rispose Ayane.
«Certo!
Kakashi-sensei mi ha passato il primo volume di Icha Icha Paradise e devo ancora
iniziarlo!».
«Quindi
Kakashi-sensei sta deviando anche te?» chiese Itachi.
«Perché? Non
dirmelo: ha provato a farli leggere anche a te?» chiese Shisui, completamente
sbalordito.
«Hai. Secondo lui potevo imparare
qualcosa da quei libri e, soprattutto, sciogliermi un po’. O così mi ha detto
allora».
«Ma quanti
anni avevi?» chiese Ayane.
«Tredici».
« Non ci
posso credere. Far leggere certe cose a un ragazzino di tredici anni.
Kakashi-sensei è senza speranza» concluse il discorso Ayane, scuotendo la testa
sbigottita dal comportamento di chi dovrebbe crescere i ragazzini verso la
retta via.
«Non vedo
l’ora di arrivare a casa. Oggi Okaasan cucina l’oden!» disse Shisui, già con
l’acquolina alla bocca.
«Io invece
devo incontrarmi con le altre da Ichikaru. A quanto pare devono dirmi qualcosa
di importante» disse Ayane« E tu, Itachi Taichō, cosa farai questa sera?».
«Abbiamo
ospiti a cena. La famiglia di Hideki-sama».
Shisui non
disse nulla: si limitò a far finta di vomitare, ricevendo uno scappellotto da
Ayane proprio sulla nuca.
I tre Anbu,
dopo aver fatto rapporto a Tsunade erano in direzione di casa, quando Ayane
sentì una voce chiamare il suo nome: Ino, correndo alla velocità della luce,
afferrò la ragazza in corsa e la trascinò lontana dagli altri due Uchiha.
«Mi stupisco
sempre di vedere quanta energia abbia quella ragazza» disse Shisui.
Itachi non
disse nulla: sentiva tirare una strana aria a Konoha, un misto di tensione e
impazienza.
Gli stessi
sentimenti che animano le persone quando qualcosa di molto bello, o brutto, sta
per accadere.
*
Quattro
figure correvano alla massima velocità tra gli alberi sempreverde che
crescevano nella terra del fuoco: erano in viaggio da quattro giorni e non
vedevano l’ora di arrivare a destinazione per riposarsi.
«Manca
ancora molto?» chiese una voce maschile.
«No, e
piantala di chiederlo! Lo hai fatto venti volte negli ultimi dieci minuti!»
rispose la voce di una femmina, alterata e prossima al crollo nervoso.
«Voi due
litigate come al solito. Mi mancheranno i vostri battibecchi» disse un’altra
voce femminile.
«Ma ti
verremo a trovare più spesso possibile e tu dovrai fare altrettanto»
s’intromise una terza voce, anche questa di donna.
I quattro
figuri tacquero quando davanti a loro si stagliò un enorme portone di colore
verde: erano giunti alla loro meta, il villaggio di Konoha.
Una volta
che questo si fu aperto, si ritrovarono davanti cinque shinobi della foglia:
due erano i guardiani di turno all’ingresso, mentre gli altri tre erano
Kakashi, Genma e Iruka.
«Oh, guardate.
Abbiamo il comitato di accoglienza. E ora cosa faremo? Se dovessi attaccarli li
ucciderei. Se li uccidessi diventerei nemico della foglia. Se divenissi nemico
della foglia, non potrei più vederti..» disse l’unico componente maschile del
team.
«Omoi! Chiudi
quella bocca! Nessuno ucciderà nessuno» intervenne la stessa voce che nella
foresta lo aveva ripreso per le sue insistenze: era una ragazza dalla
carnagione scura, con occhi dorati e capelli rossi di nome Karui.
«Datevi una
calmata entrambi» li divise la leader del gruppo, una donna dai capelli corti e
biondi, occhi azzurri, seno prosperoso: Samui, la più seria e forte del team.
Il quarto
componente del gruppo era rimasto in silenzio a fissare gli shinobi a lei di
fronte. Rimase immobile fino a quando Kakashi non le disse:
«Yo, Shirai
Nakamura. Bentornata ».
A quel punto
la ragazza si lanciò verso gli shinobi afferrando malamente Kakashi e Iruka,
tanto che cozzarono le teste uno con l’altro.
«Sono così
felice di rivedervi! Non siete cambiati per niente!» disse la ragazza, mentre
lasciava andare i due, per afferrare il terzo shinobi che per il colpo quasi
non inghiottì lo stuzzicadenti che portava sempre tra le labbra.
«Sono felice
persino di rivedete te, Genma-san!».
«Ohi, questo
non era per niente gentile!».
La ragazza
smise di dar retta allo shinobi, il quale si depresse, e si rivolse a Kakashi:
«Allora, quanti
sanno del mio ritorno? ».
« Perché
supponi che lo abbia detto a qualcuno?».
La ragazza
lo guardò con le sopracciglia inarcate costringendo Kakashi alla resa
immediata: confessò di esserselo fatto sfuggire casualmente mentre parlava con Ino e la ragazza aveva poi fatto il
resto.
«Quindi lo
saprà tutta Konoha, ormai. Bene, abbiamo il permesso per entrare?» chiese la
ragazza ai due guardiani dell’ingresso, i quali diedero il consenso a tutto il
Team di passare.
«La Godaime
vi sta aspettando. Meglio passare per i tetti» suggerì Iruka, balzando poi per
primo.
Raggiunsero
il palazzo di Tsunade velocemente e quando la donna vide Shirai la stritolò in
un abbraccio che probabilmente aveva rotto qualche costola alla ragazza.
Passarono
poi alle presentazioni formarli: Samui, Karui e Omoi erano i componenti del
team al quale apparteneva Shirai ed erano stati allievi dell’Hachibi.
«Vi
ringrazio infinitamente per esservi presi cura di lei in questi anni. Devo dire
che sei cresciuta parecchio, Shirai».
«Vero! Però
non ho ancora le sue tette, Tsunade-sama!» disse la ragazza, facendo
sghignazzare Kakashi sotto la maschera.
«Vedo che il
vizio delle battute sempre pronte non lo hai perso! Meglio così, dopo tutto
questa è la Shirai che conosco!» rispose la Godaime,stando allo scherzo.
«Ora che è
tutto sistemato, posso tornare davvero a casa? Posso davvero restare qui?»
chiese Shirai, improvvisamente seria.
«Sì, non ci
sono più motivi per tenerti lontana. E nessuno ne troverà altri finché sarò io
a guidare questo villaggio» rispose decisa la donna al di là della scrivania,
prima di rivolgersi ai tre stranieri «Sappiate che apprezzo davvero molto ciò
che il vostro villaggio ha fatto per il nostro, proteggendo e allenando Shirai.
Informate il Raikage che la nostra alleanza è più forte che mai. Ora prendete
queste e andate a riposarvi, ve lo meritate» Tsunade porse ai tre delle chiavi,
le quali aprivano alcune delle stanze presenti nel palazzo adibite ad ospitare
shinobi in visita.
Shirai
salutò i sensei e i compagni di team, prima di scattare verso casa usando
sempre i tetti come via: non voleva incontrare nessun altro prima della sua
famiglia.
Era stata
lontana per quattro lunghi anni e si era persa la promozione del fratello a
chūnin avvenuta proprio all’inizio dell’anno corrente, l’anniversario di
matrimonio dei suoi, i compleanni di tutta la sua famiglia e aveva festeggiato
il suo ventesimo compleanno in un villaggio straniero.
«Se solo
quel giorno non fosse accaduto nulla…» borbottò tra sé e sé, quando scorse in
lontananza casa sua.
Sorrise
radiosa a quella vista e con qualche altro balzo, atterrò con grazia proprio
davanti all’ingresso: prima che potesse suonare, la porta si aprì e davanti a
lei stava un ragazzo di sedici anni con corti capelli castani e occhi ambrati,
i lineamenti ancora un po’ infantili e uno sguardo stupito.
«Oh come sei
diventato alto, Kai-nii!» fu la prima cosa che uscì di bocca a Shirai Nakamura
di fronte al fratello che non vedeva da quattro anni.
«Tu invece
sei rimasta la solita cretina, Shira-nee» rispose lui, prima di afferrare la
sorella maggiore da un polso e abbracciarla forte «Mi sei mancata».
Shirai
ricambiò l’abbraccio del suo fratellino, che ora la superava di otto centimetri
in altezza, e rispose: «Anche tu, peste».
Sentendo
delle voci una donna minuta con capelli neri e occhi azzurro cielo, si sporse
dalla porta della sala per chiedere al figlio chi fosse alla porta, ma quando
incontrò due occhi grandi occhi ambrati appartenenti a una ragazza sui
vent’anni, il piatto che aveva in mano cadde a terra, andando in frantumi.
«Shirai-chan,
sei davvero tu?» chiese, sconvolta la donna.
Shirai,
prima di rispondere, assaporò appieno la voce dolce della madre che non sentiva
da quattro lunghi anni, e poi disse, mentre la donna iniziava a piangere:
«Tadaima, Okaasan»
«Okaeri,
tesoro mio» rispose la donna, prima di correre dalla figlia, abbracciarla e
iniziare entrambe a piangere sotto lo sguardo schifato di Kai.
«Femmine»
disse il ragazzo prima di uscire e andare a recuperare l’ultimo componente
della famiglia: suo padre Akito.
Il ragazzo
decise erroneamente di camminare per strada e si accorse immediatamente che
alcuni lo guardavano in modo strano: forse gli abitanti di Konoha sapevano del
ritorno di sua sorella?
«Impossibile.
La Godaime ha richiesto la massima segretezza…» si auto convinse il ragazzo,
quando vide il negozio di famiglia in vista.
Suo padre
era impegnato con una signora che apparteneva al clan degli Hyūga : a quanto
pare era lì per ordinare un kimono formale per Hiashi, il padre di Hinata e
Hanabi. Akito era un uomo mediamente alto, dalla corporatura piuttosto esile,
ma allenata con capelli ed occhi scuri. Il viso era segnato un po’ sia dalle
missioni che dallo scorrere del tempo ed aveva un lieve accenno di barba.
Quando Akito
vide il figlio in negozio, con lo sguardo serio, capì al volo cosa era successo
e, chiamando il ragazzo che lo aiutava quando Hisako non poteva, uscì con Kai,
in direzione di casa.
Come il
figlio prima di lui, si accorse degli sguardi curiosi che i loro vicini gli
lanciavano, ma li ignorò: ora la cosa più importante era rivedere sua figlia.
Quando varcò
la soglia di casa, sentì la risata di sua moglie, serena e cristallina come non
la sentiva da quattro anni e la voce divertita di sua figlia.
Appena ne
incrociò lo sguardo ambrato sorrise: era cambiata e cresciuta, ma in quegli
occhi poteva ancora vedere la stessa ragazza che era stata obbligata ad
andarsene quattro anni prima.
Nda:
ringrazio chi ha messo la storia tra preferiti/seguite/da ricordare e chi ha
recensito. Nel primo capitolo mi sono dimenticata di accennare che il simpaticissimo
personaggio di Saori Uchiha è stata creata con l’aiuto di Yunalesca Valentine,
che mi ha scelto il nome e qualche altra cosuccia!