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Autore: BlackEyedSheeps    22/08/2013    2 recensioni
Era lei.
Lei che cercava di confondersi fra la folla, di mimetizzarsi con la rumorosa fauna turistica, di seguire un gruppo di persone di cui aveva appena intuito le traiettorie, ma una volta che Clint aveva agganciato l'obiettivo, difficilmente se lo lasciava sfuggire.

[Clint/Natasha]
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Maria Hill, Agente Phil Coulson, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nick Fury
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Compromised'
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Connect the cause and effect,

One foot in front of the next,

This is the start of a journey

And my mind is already gone.

(Gnarls Barkley, “Going On”)

 

 

New York City, USA

S.H.I.E.L.D. Central

Ore 18:00

 

Non era esattamente il fine settimana che si era immaginato, ma se non altro avrebbe rappresentato una validissima alternativa alla noia.

Non davanti all'ennesima partita di baseball, a scofanarsi quintali di pizza fredda di frigorifero, o bere birra sul tetto del palazzo, in compagnia di quei vicini che non facevano altro che storpiare il suo nome a loro piacimento.

 

Che lavoro hai detto che fai, Carl?

Mi chiamo Clint.

Già, ma Carl ti dona, non trovi?

Sì, ma il mio nome resta Clint.

D’accordo, d’accordo… Clint. Ehi, passate qui una birra a me e al mio amico Carl.

 

Non erano cattivi ragazzi, lavoratori onesti dagli intrattenimenti ordinari.

La piccola comunità di quartiere era di indole discreta e uno smacco occasionale alla solitudine.

New York era una città troppo frenetica, e un appartamento in centro non sarebbe comunque stato nelle sue corde.

Lì la sua casa era spaziosa, a buon prezzo, e l’affitto dei locali al piano interrato gli aveva permesso di creare uno spazio per i suoi personalissimi allenamenti, senza dare nell'occhio.

Preferiva di gran lunga le zone aperte, ma non sempre aveva tempo o voglia di correre al poligono per un tiro a freccette.

Quando gli chiedevano che se ne facesse di tutto quello spazio, rispondeva con una scrollata di spalle, deviando l’argomento sull'ultima partita degli Yankees.

Per quello, trovarsi di nuovo al quartier generale dello S.H.I.E.L.D, finalmente operativo, dopo settimane di riposo forzato (dall'ultima missione aveva guadagnato una commozione cerebrale e diverse costole incrinate), gli aveva dato la carica giusta per trascinarsi fuori dal letto e decidere, per una volta tanto, di fare una colazione come si deve.

 

Possibile che in queste macchinette non ci siano altro che snack da diabete?”

Non ce l'hai una dispensa a casa tua?”

Clint rivolse a Coulson uno sguardo colpevole.

L'ultima volta che ho controllato, il latte pareva gelatina.”

Lo sai, vero, che il latte va conservato in frigorifero?”

Clint borbottò qualcosa di incomprensibile e decise per il male minore: digitò il numero che gli restituì una merendina al cioccolato. Se non altro avrebbe avuto le energie necessarie per stare ad ascoltare Fury senza avere un imbarazzante calo di zuccheri.

Allora, spiegami di che si tratta”, seguì il collega, trovando difficoltà nell'aprire il malefico involucro della sua pessima colazione. Con che diamine di colla le sigillano? Fu costretto a usare i denti.

E rovinarti così la sorpresa? Lasciati trascinare dagli eventi, Barton.”

Lo sai che non mi piacciono le sorprese.”

E tu lo sai che solo Fury... conosce i piani che la mente di Fury partorisce.”

Tipico di Coulson.

Non riuscivi mai a capire se si prendeva gioco di te, provando un sadico piacere nel farlo o se il direttore Nick Fury fosse davvero così riservato sulle questioni lavorative da tenere all'oscuro dai piani uno dei suoi più stretti collaboratori.

La risposta era scontata.

Clint liquidò l'argomento, certo che, a breve, avrebbe avuto tutte le risposte di cui aveva bisogno.

 

Trovò il direttore seduto dietro una pila di scartoffie e terminali, una manciata di agenti al suo servizio con l'espressione di chi è in procinto di vomitare o ha appena ricevuto una pessima notizia. O entrambe.

Coulson! Barton!” li richiamò senza quasi alzare gli occhi dal video, dopodiché liquidò il marasma con un cenno nervoso della mano. I cinque agenti sparirono, grati per la tregua.

Signore.”

Clint aveva assunto la posa.

L'agente Barton era conosciuto per la sua professionalità sul lavoro, quanto per il suo disordine, mentale e fisico, nella vita.

Quando assumeva la posa, capivi che c'era in ballo qualcosa di grosso.

Potevi dedurre, conoscendolo un po' meno superficialmente dello scambio di qualche saluto per i corridoi del quartier generale, che i meccanismi del suo cervello si erano attivati e la sua concentrazione era tutta a favore del compito che gli stava per essere affidato.

O semplicemente rammentava a tutti il suo passato nell'esercito e la disciplina imposta durante l'addestramento.

Coulson, la porta”, ordinò Fury con aria pratica, rimettendosi in piedi, fronteggiando Barton “Immagino che ti abbiano aggiornato sugli eventi delle ultime ore.”

Lo scrutò come per accertarsi che non stesse dormendo in piedi.

Sì, signore. Era in tutti i telegiornali” rispose prontamente, sebbene non avesse avuto il tempo o la voglia, in realtà, di seguire qualsivoglia programma televisivo.

Quando gli era arrivata la telefonata di Coulson aveva acceso la tv. E aveva capito.

Anche se non gli era ancora ben chiaro cosa potessero volere da lui, e in che modo avrebbe potuto aiutare, nei riguardi della missione fallita a San Paolo.

Bene, ti risparmierò i dettagli tecnici e arriverò dritto al punto.”

Spense le luci dell'ufficio e diede vita allo schermo alle sue spalle che si illuminò di una luce verdognola, prima di mostrare files a finestra, proiettati direttamente dal laptop del direttore.

Comparve una foto al centro dello schermo, con tanto di dati tecnici e carta d'identità della donna in primo piano.

Capelli rossi, sguardo severo: Clint conosceva quel viso.

Natalia Alianovna Romanova” palesò Fury “Conosciuta anche sotto lo pseudonimo di Vedova Nera.”

Un click e l'immagine sullo schermo cambiò, mostrando le immagini sfocate di una telecamera di sorveglianza sfuggita al guasto che aveva "casualmente" colpito l'hangar la sera precedente.

Spia, precedentemente impiegata nei servizi segreti russi” fece scivolare una cartellina sulla scrivania, affinché raggiungesse Barton “Ti consiglio di studiare approfonditamente i documenti che la riguardano.”

Clint raccolse la cartellina, prendendo a sfogliarla distrattamente, cominciando, suo malgrado, ad avere una sfocata idea di quello che lo avrebbe atteso.

Conosciamo già questo gioiellino: la figlia di Drakov, l'incendio all'ospedale di Stoccarda…” lasciò la frase in sospeso per dargli il tempo di ricordare.

E ora San Paolo”, puntò il dito verso lo schermo. “E' la quarta volta nel giro di cinque mesi che ci mette i bastoni fra le ruote. Per quello che ci è dato sapere, lavora sola. Il perché i suoi obiettivi collidano spesso con i nostri interessi, è una cosa che dobbiamo ancora scoprire. Quello che non possiamo più tollerare è che sia libera di continuare a farlo.” Concluse con una frase che pareva più una sentenza definitiva che una semplice constatazione.

Quali sono gli ordini, signore?”, si decise quindi a domandare Clint, che non amava andare per le lunghe e, per quello che ne sapeva, nemmeno Fury.

Devi liberarti di lei.”

 

 

New York City, USA

Quartiere di Brooklyn

Ore 6:00

 

Aveva studiato a lungo tutti i file e i documenti che lo SHIELD gli aveva fornito.

Ci erano volute ore di dettagli ed estenuanti sedute con gli esperti, da mesi incaricati di monitorare gli spostamenti della Vedova Nera, prima che potesse dirsi libero di agire come più gli sarebbe risultato congeniale.

Ora si aggirava irrequieto per le stanze del proprio appartamento a mettere insieme un bagaglio utile, ma essenziale.

Raccolse e fissò, per qualche istante, i documenti - corredati di tutte le informazioni disponibili - che lo avrebbero portato in Europa, realizzando che erano ormai trascorsi un paio d'anni dall'ultima volta che era stato nel Vecchio Continente. Ricordò con nostalgia l'atmosfera della maestosa Parigi, prima di venir colpito dal pensiero vivo, ma temporaneamente sopito, che questa volta avrebbe dovuto andarci per uccidere.

 

L'omicidio non era esattamente la parte migliore del suo lavoro.

 

Per un istante rimpianse l'apatia dei giorni passati; sebbene nelle ore precedenti alla comunicazione di Fury anelasse ad un po' d'azione, in quel preciso momento, l'idea di pretendere di essere un comune inquilino di quello stabile un po' diroccato, gli sembrava più invitante dell'alternativa.

Pochi - forse nessuno - avevano provato a capire perché avesse scelto uno stile di vita così modesto, fuori dalle agitazioni prettamente cittadine.

Il silenzio, l'inerzia, il susseguirsi di giorni tutti uguali, sotto il cielo leggermente incupito dalla tipica cappa d'inquinamento newyorkese; cielo in cui, a volte, riuscivi a intravedere quell'azzurro intenso che sapevi essere sempre lì, a tua disposizione, se avessi avuto gli occhi per coglierlo.

Sentirsi un essere comune, insignificante, capace di aggirarsi fra la gente senza destare interesse, libero di essere un signor nessuno, al servizio solo di se stesso e del suo caos.

Cosa che doveva invece calibrare, nascondere, somatizzare quando tornava ad essere l’irreprensibile Clint Barton, Occhio di Falco, al servizio dello SHIELD.

 

Richiuse la zip del bagaglio a mano.

Finì il suo giro di ricognizione nel seminterrato, il suo bunker personale; scelse con cura le sue armi, testò maniacalmente l’assetto del suo arco, riprogrammò le frecce dalla complicata struttura high-tech e poi… sentì sgusciare silenziosamente fuori dalla tasca dei pantaloni della tuta, la fotografia che aveva scioccamente sottratto al file personale del suo obiettivo.

La raccolse da terra, deciso a sistemarla da qualche parte, ma per un attimo si soffermò ad osservare quel viso che per mesi era stato oggetto di ricerche e attenzioni particolari al quartier generale.

Poteva una sola donna creare tanto disagio ad un'organizzazione di sicurezza mondiale?

Non voleva certo mettere in discussione gli ordini di Fury: le apparenze, purtroppo, nella maggior parte dei casi, ingannano.

Forse non avrebbe dovuto chiedersi nulla a riguardo. Portare a termine il lavoro gli risultava più facile quando conosceva poco della vita privata della sua vittima. Ne riduceva, in qualche modo, l'importanza. Il semplice smaltimento di un oggetto ormai corrotto.

Ne memorizzò i lineamenti, studiò quegli occhi glaciali e le labbra piene, i capelli color del sangue e, quando fu sicuro di non avere più bisogno di promemoria, lanciò la fotografia in aria.

 

Una freccia la trafisse, prima che potesse toccare terra.

 

In partenza, Clark?

Solo un viaggio di lavoro, amico.

Oh, giusto... che lavoro hai detto che fai, Clark?

Il mio nome è Clint.

Già, ma anche Clark ti dona, non trovi?

 

Sorrise stavolta, mentre si allontanava.

Clark, Carl, Clint, che differenza poteva fare?

Dopotutto, aveva appena rinchiuso i fantasmi della sua vita apatica dietro la porta del suo appartamento. A chiave. Doppia mandata.

 

Era appena tornato ad essere un Falco.

 

 

Parigi, Francia

Ore 9:18

 

Ci erano voluti solo sette minuti, in giro per il centro di Parigi, prima che la fin troppo familiare sensazione di essere seguita si impossessasse di lei. Tredici, prima che fosse sicura di non essere – di nuovo - inutilmente paranoica. Ne erano trascorsi diciannove quando sospettò di aver superato lo stesso uomo – alto, scuro di capelli, un paio di occhiali dalla montatura fuori moda – per ben due volte. Ventitré, quando le sembrò di riconoscere nella donna di bassa statura che le passò di fianco, portando a spasso il cane – un bassotto dall'aria antipatica e malaticcia – la stessa che aveva notato all'edicola appena fuori dalla fermata della metropolitana a cui era scesa poco prima, una copia del Le Figaro sotto braccio.

Si impose di star calma e continuò a comportarsi normalmente, fermandosi di tanto in tanto ad osservare le vetrine dei negozi appena aperti, a prestare attenzione alle boulangerie che riversavano in strada profumo di pane caldo e leccornie burrose. Chiuse le mani a pugno nelle tasche del giubbotto di pelle che indossava, stringendo fino a farsi male. Fuori, una maschera di tranquillità ed indifferenza. Un tuono in lontananza sembrò scuoterla dalla sua apatia e convincerla all'azione. Doveva capire. Doveva sapere.

 

Fece un'improvvisa deviazione, attraversando la strada per raggiungere il marciapiede opposto. Varcò la soglia della boulangerie proprio mentre le prime gocce d'acqua avevano preso a cadere. Acquistò un croissant e un pain au chocolat. Sorrise in modo convincente alla ragazza che presiedeva alla cassa, ringraziò e fece persino un commento sul tempo che andava peggiorando in un francese perfetto. Dopodiché, recuperati i pochi centesimi di resto e la busta di carta, uscì in strada.

Una fitta gelida le prese lo stomaco: l'uomo e la donna erano ancora fermi a quello stesso crocevia. Lui ad aspettare l'autobus, cellulare alla mano, lei impegnata in quella che aveva l'aria di essere un'educata conversazione col fioraio, solo qualche decina di metri oltre la boulangerie.

дерьмо*” le sfuggì in un soffio. Fece appello a tutta la sua concentrazione per raggiungere l'incrocio e imboccare la strada traversa con un'andatura non sospetta.

Pescò un'estremità del croissant dalla busta di carta, tenendosi occupata col cibo mentre pensava al da farsi. Avrebbe voluto imputare il tutto a semplici coincidenze, alla propria insaziabile paranoia, ma aveva imparato a fidarsi del proprio istinto, e il suo istinto le diceva che la stavano pedinando. In due, forse più. Non le sembravano uomini dello SHIELD e di certo non le parevano russi. Si erano fatti beccare fin troppo facilmente e – sebbene chiunque fosse a disposizione di adeguati mezzi e intelligence avrebbe potuto individuarla a Parigi – l'unico che era sicuramente a conoscenza della sua presenza nella Ville Lumière era il signor Billmann.

 

All'appuntamento con l'uomo che l'aveva ingaggiata – chiunque egli fosse realmente – mancavano ancora poco più di dieci ore. Comprese rapidamente che, dopotutto, non l'avrebbe incontrato al bar dell'hotel Park Hyatt in Rue de la Paix, come stabilito. Aveva temuto la trappola, l'aveva attesa, e adesso le si era finalmente palesata. Billmann non aveva alcuna intenzione di aspettare che fosse lei a consegnargli il bottino della missione a San Paolo. Perché avrebbe dovuto quando poteva tanto comodamente farla seguire fino al suo nascondiglio e sottrarle ciò di cui aveva bisogno senza pagare il resto del compenso pattuito?

 

Arrivò in fondo alla strada prima di svoltare sulla sinistra e immettersi in un viale alberato. La pioggia aveva preso a battere incessantemente sull'asfalto, rinfrescando l'aria di inizio giugno nel giro di pochi minuti. Non aumentò il passo, avendo però cura di dirigersi verso la zona più trafficata di Parigi: i turisti – lo sapeva – non si sarebbero lasciati scoraggiare dal maltempo, concedendole la preziosa occasione di depistare i suoi inseguitori. Evitò di percorrere le stesse strade per troppo tempo, approfittando di ogni deviazione disponibile. Abbandonò la sua colazione praticamente intonsa in grembo ad un mendicante appostato sotto una pensilina, in attesa che il temporale passasse. Rinfilò entrambe le mani in tasca e aumentò il passo, individuando un negozio di abbigliamento pochi metri più in là. Vi entrò dopo una brusca virata, ignorando la guardia all'entrata per dirigersi verso l'uscita situata dalla parte opposta del piano terra. La raggiunse senza problemi, raccogliendo con un movimento quasi impercettibile uno degli ombrelli abbandonati all'ingresso. Uscì nella piccola piazzetta, facendosi scudo dell'ombrello – dopo essersi accorta della fantasia fucsia a fiori gialli si ripromise, in futuro, di fare attenzione alla scelta - mentre puntava ad una stradina secondaria.

 

Solamente dopo aver camminato per più di un'ora, essersi infilata in un bar piuttosto affollato solo per uscire dalla porta di servizio in un vicolo dall'odore nauseabondo, preso “in prestito” tre ombrelli diversi, finto di scendere in una stazione della metro solo per uscire su un'altra strada, e fatto svariate deviazioni, si sentì abbastanza sicura da far cenno ad un taxi libero fermo ad un semaforo.

Diede al tassista le indicazioni necessarie per raggiungere un indirizzo di periferia. Pagò la corsa con due biglietti da venti euro, per poi dedicarsi alla ricerca di una vettura che facesse al caso suo tra quelle posteggiate davanti ad uno dei tanti edifici pieni di uffici della zona.

Scelse un'automobile dall'aria non particolarmente nuova, di un modello che sapeva non avere il GPS incorporato, ne forzò la portiera e la costrinse a partire usando alcuni cavi del cruscotto per innescare l'accensione. Guidò per più di mezz'ora, fermandosi solo quando fu arrivata in uno squallido quartiere dall'aria deserta. Parcheggiò in uno stretto vicolo, nascondendo l'auto dietro una fila di cassonetti che – ad occhio e croce – avrebbero dovuto essere svuotati almeno due settimane prima.

Camminò ancora per qualche minuto senza incontrare anima viva prima di infilarsi in un edificio dall'aspetto fatiscente, salendo le scale due a due per arrivare il prima possibile all'appartamento situato all'ultimo piano. Tirò fuori le chiavi e aprì la porta, rifiutandosi di accorgersi del tremore che le aveva preso le mani. Se la richiuse alle spalle con un tonfo sordo.

Casa dolce casa, pensò tetramente, dopo una rapida occhiata all'unica stanza che le si presentava davanti: una piccola cucina che non aveva l'aria di essere stata usata dopo gli anni Settanta, un lavello senz'acqua, un tavolo traballante al quale era accostata una sola sedia, un materasso abbandonato sul pavimento, un cuscino dall'aria misera, una pila di libri a tener su una piccola lampada elettrica infilata in quella che era molto probabilmente l'unica presa funzionante dell'intero palazzo.

Ignorò lo spettacolo indecente offertole dal suo nascondiglio, tirando dritto fino al bagno che – se possibile – era ridotto in condizioni persino più critiche del resto della casa. Non che per Natalia avesse una qualche importanza: aveva vissuto in luoghi ben peggiori di quella topaia.

Aprì il mobiletto del bagno, afferrando uno dei tre ripiani vuoti al suo interno. Tirò leggermente verso di sé, sfilando lo scheletro interno per rivelare una cassaforte nuova di zecca. Senza troppi preamboli, appoggiò il pollice sinistro su un piccolo display, mentre con l'altra mano digitava la combinazione alfanumerica giusta sulla tastierina. Ci vollero dieci secondi perché la cassaforte processasse le informazioni; quando lo fece, lo sportello si aprì senza il minimo rumore. Scelse un documento d'identità dalla busta di plastica che ne conteneva almeno dodici; una parrucca nera e alcuni accessori dalla scatola di cartone; due mazzette di euro (una di banconote da dieci, l'altra da venti). Rimise a posto quello che non le serviva, sigillando di nuovo la cassaforte. Rimontò il finto fondo coi ripiani dell'armadietto e – prima che potesse accorgersene – si ritrovò a guardare il proprio riflesso frammentato nello specchio rotto che chiudeva il mobiletto.

L'espressione corrucciata che si vide dipinta in faccia la fece arrabbiare.

Smettila, suggerì a se stessa, eri preparata anche per quest'evenienza. Lo sei, te l'aspettavi.

Inspirò a fondo e annuì a se stessa.

Non c'era tempo per le crisi esistenziali.

 

 

 

 

* “merda” in russo.

  
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