Dolci creature che
seguite le vicende di questa gente, grazie di essere qui ancora una
volta!
Questo è il capitolo che
meno mi convince. Ci sono delle rivelazioni importanti, ma lo trovo scritto
male. Ci ho rimesso le mani così tante volte che non so più come gestirlo,
purtroppo. Vi chiedo quindi di perdonarlo, e di non abbandonare la lettura,
anche se vi perderete un po’ tra i casini di questo
capitolo.
Grazie a
tutti!
La citazione musicale
iniziale viene da “Universe”, di Maaya Sakamoto.
VII
–Dream and Wake
Kurayami to
yoake no sukima ni
hitorikiri...
(Da solo, nello spazio tra l’oscurità e
l’alba...)
-
Ehi.-
Non se lo aspettava, di
trovarlo lì, all’uscita di scuola. Ci aveva sperato, sì, ma non ci contava più
di tanto. I genitori di Shuichi non erano come i suoi. I genitori di Shuichi
erano apprensivi. Non erano stati felici di essere contattati dall’ospedale,
perché il loro figlio maggiore aveva perso i sensi in un ascensore, in compagnia
di uno strano ragazzo che diceva di non ricordare niente di quel che era
successo.
Shuichi era sempre tetro
come al solito, con i capelli ancora più lunghi e la sua tracolla malridotta, e
tutto questo era in qualche modo consolante.
Hikari gli corse
incontro, senza dire niente. Non lo rivedeva dal giorno in cui avevano rischiato
la vita insieme, due settimane prima. E l’idea di dover affrontare gli eventi
dell’ascensore sarebbe stata tremenda anche per una persona meno apprensiva di
lui...
- Tutto
bene?-
- Io sto bene.- rispose
Hikari. – Tu come stai? Ero in pensiero! Ma tua mamma ha telefonato ai miei, ha
detto loro che non dovevo provarmi a contattarti, perché di sicuro era colpa mia
o qualcosa del genere, e...-
- E piantala di agitarti
così. Sto bene.-
Hikari abbassò la testa,
confuso.
- Scusami. E’ che ho
avuto paura. Non so cosa sia successo. E volevo parlarne con te, ma tu, per
quanto ne sapevo, eri in coma in un ospedale, e non potevo nemmeno venire a
vedere come stavi, e...-
Shuichi fece il millesimo
cenno disperato all’altro, per farlo smettere di parlare, e finalmente riuscì ad
ottenere tre secondi di silenzio.
- Sono rimasto svenuto
quattro giorni. Ultimamente mi capitano cose strane. Anch’io volevo parlarne con
te, ma mia madre ha iniziato a blaterare che probabilmente tu mi avevi spinto a
drogarmi, o qualcosa del genere.-
- In un certo senso è
vero. Io...- Hikari si fermò, comprendendo che avrebbe dovuto confessare
all’altro la cosa che aveva tormentato la sua mente in quei giorni. –
Nell’ascensore...-
- Hai tentato di
strangolarmi.-
Hikari sollevò il viso e
fissò l’altro negli occhi, terrorizzato.
- Lo
sai?-
- C’eravamo solo io e te,
non è così difficile immaginare come siano andate le
cose.-
- E
non...-
-
Non?-
- Cioè tu...
Non...-
- Non penso che ti
ucciderò per vendicarmi, no.-
- Ma
io...-
- Non eri in te. Era
tutto confuso, lì. Non so bene cos’è successo, ma sono sicuro che era una specie
di illusione. Era come essere rinchiusi in un incubo.-
- Potevo farti del male
per davvero.-
- Non è andata
così.-
- Io avrei
paura.-
- Paura di che, di un
idiota come te?-
- Se
risuccederà...-
- Non mi farò prendere di
sorpresa. Ti mollerò un pugno e vedrai che non mi farai nulla. E ora basta, per
favore. Ok? Senti, in fondo me l’avevi detto, che portavi
guai.-
Hikari abbandonò
l’espressione desolata, spalancando gli occhi per la
sorpresa.
- Cosa ti avrei
detto?-
- Quando ti ho
incontrato. Mi hai predetto che i miei guai stavano
cominciando.-
- Ah. Non ricordo. E hai
anche fatto un disegno, per quella previsione?-
-
Certo.-
Shuichi fece la sua
personale interpretazione di un sorriso, poi pescò un foglio spiegazzato dalla
sua borsa delle meraviglie, e lo mise nelle mani dell’altro. Hikari lo prese, e
il suo viso si riempì di stupore.
- Quando lo hai fatto?-
domandò il più giovane.
- La sera del nostro
incontro.-
- Lo sapevi? Sapevi che
avremmo... Oppure hai...-
Shuichi riprese il foglio
e vi fissò lo sguardo. C’era un’immagine ben definita, un viso femminile, una
ragazza con i capelli lunghi e gli occhi chiusi.
- Insomma, è lo stesso
personaggio su cui stiamo lavorando da un po’. L’hai disegnata in quel modo
perché avevi visto questo disegno?-
- No. Quando ti ho
portato il suo ritratto, ero convinto di averla appena immaginata. Questo
disegno l’ho ritrovato ieri sera.-
- E come fai ad essere
sicuro che è il disegno relativo a quella previsione?-
- Una sensazione. Ma ne
sono sicuro.-
- Così la mia previsione
significherebbe che... L’inizio dei nostri guai è
Moyashi?-
Shuichi spalancò gli
occhi, leggermente sconcertato.
- Come hai detto che vuoi
chiamarla?-
-
Moyashi.-
- Ma che razza di nome
sarebbe?-
- Cos’ha che non
va?-
- Vuol dire seme di soia! E’ un nome da pupazzo o da
folletto, non da guerriera!-
- Ha il suo perché! Ha il
suo senso nella storia, e sono sicuro che quando te lo racconterò ti
piacerà!-
- Ah sì? Beh, allora
raccontamelo!-
- Tu però offrimi la
merenda.-
- Hai anche certe
pretese?-
Hikari afferrò la
tracolla della borsa e prese a correre, trascinandosi l’altro dietro. Gli era
mancato tremendamente tutto quello. E aveva pensato che non ci sarebbe stato più
nulla di simile.
Rimasero insieme tutto il
pomeriggio. Era un settembre particolarmente mite, e stare fuori aveva la sua
attrattiva. E poi erano due settimane che il mondo degli shinigami rimaneva
disabitato.
Parlarono a lungo di
Moyashi e Tetsuya, e di cose che non c’entravano niente con i loro poteri. Poi,
mentre Shuichi raccoglieva i disegni, Hikari prese coraggio e richiamò
l’attenzione dell’altro.
- Mentre eravamo
nell’ascensore. Lo sai cosa ci ha salvati?-
Shuichi fu colto di
sorpresa.
-
Cosa?-
- E’ venuta una persona.
Mi ha detto che ero stato ingannato da una visione falsa. Mi ha detto che siamo
dentro a qualcosa di più grande di noi, e che qualcuno ci vuole distruggere,
perché siamo pericolosi per lui. Lui entra nella mente delle persone, e le
manovra, o qualcosa del genere.-
- E chi diavolo era, la
persona che ti avrebbe detto queste cose?-
- Tu la
conoscevi.-
Shuichi impallidì.
- Chi
era?-
-
Eiko.-
-
Cosa?-
Shuichi stava fissando il
vuoto, come se quel nome fosse bastato a sconvolgerlo del tutto. Hikari fece
qualche passo indietro. Sarebbe voluto sparire in quell’istante. Si sentiva
quasi colpevole per non averglielo detto prima.
No, in realtà si sentiva
colpevole per essere stato lui a
vedere Eiko.
- Mi ha detto di
chiamarsi così. Mi ha detto che era legata a te. Che vuole proteggerci e non ci
lascerà da soli. E’ lei che ci ha salvati.-
L’altro continuava a non
rispondere, immerso in pensieri irraggiungibili.
-
Shuichi?-
- E’ morta, vero?-
- Non lo so.
Credo...-
- La rivedremo? Tornerà
da noi? Almeno per spiegare. Almeno per una volta...-
Hikari indietreggiò
ancora, come per difendersi dai sentimenti dell’altro.
- Non lo so. Lo spero.
Vorrei davvero che potessi parlarle.-
- E’ sparita più di un
anno fa.- mormorò Shuichi. Sembrava restio a parlare di quella faccenda. Per
qualcuno così poco propenso a mostrare i suoi sentimenti doveva essere davvero
difficile. Eppure anche Hikari doveva capire, così il racconto andò avanti. –
Era... Non lo so nemmeno io, cos’era. Era la mia vicina di casa. E a me lei
piaceva. E comunque era l’unica amica che avevo. Però... Quando la sua famiglia
si è trasferita all’improvviso, io... Me lo immaginavo. Ho pensato subito che
fosse morta. Non era tipo da sparire così. Senza nemmeno tentare di lasciare un
messaggio.-
Hikari decise che poteva
avvicinarsi di nuovo all’altro.
- Sono sicuro che la
rivedrai.- provò a dire, sperando di non urtare i sentimenti di Shuichi. Lui non
rispose, ma non sembrò infastidito da quelle parole.
- Già.- rispose, infine.
Poi fece una pausa, come per allontanare quell’argomento, almeno per il momento.
– Senti, parliamo un po’ di questa faccenda. Ascensori, sogni, cose del
genere.-
- Metto la sveglia ogni
due ore, e mi sveglio.-
-
Cosa?-
- Ho paura di fare
incubi. Io credo che il nostro avversario mi manovri nel sogno. Eiko ha detto
che entra nelle menti, e anche nell’ascensore è successo tutto quel caos per
colpa sua. Era nella mia mente. Non posso dormire, se so che quello è lì e vuole
farmi fare cose. E ho perso la tua cartina.-
- Quando l’hai
persa?-
- Non lo so. C’è un
casino allucinante in camera mia. Non riesco a trovarla.-
Shuichi si fermò un
attimo a riflettere. Poi si chinò e prese a raccogliere i disegni che aveva
sparpagliato a terra. Frugò e cercò, finché ebbe trovato ciò che
voleva.
-
Tieni.-
Hikari prese il foglio
che l’altro gli offriva, e vide che si trattava del disegno che aveva visto
qualche ora prima. Il disegno che si accompagnava alla sua predizione di
guai.
-
Questo?-
- Sono sicuro che è la
scelta giusta.-
- Va bene. E tu... Niente
stranezze?-
- Diciamo che da quando è
successa tutta la storia dell’ascensore ho il problema opposto al tuo. Mi
sveglio all’improvviso e faccio dei disegni.-
- Ed è un
problema?-
- ... se vedessi i
disegni, capiresti.-
- E...
allora...-
- Allora ho paura che il
tizio misterioso stia rompendo le palle anche a me.-
Hikari aprì bocca per
esporre l’ennesimo dubbio, ma fu bloccato dal fastidioso e improvviso trillo di
una suoneria.
- Oh, cavolo.- borbottò
Shuichi. – Me l’ha infilato in borsa. Mia madre. Il
telefono.-
Il ragazzo pescò un
cellulare che navigava tra i tesori celati nella sua borsa.
- Immaginerà con chi
sei.- disse Hikari, con apprensione.
- Sai quanto me ne
frega.- fu la tranquilla risposta dell’altro. Spense il telefono e lo gettò di
nuovo in borsa. – Però è tardi. I tuoi si preoccuperanno.-
- Non così
tanto.-
- Ma che razza di gente
sono, i tuoi?-
- Te l’ho detto. Vivono
in un mondo tutto loro. Finché non succede qualcosa di male, tutto va bene. Più
o meno.-
- E com’è che tu sei così
asfissiante, allora?-
- Sarà per via delle
premonizioni, o qualcosa di simile.-
Shuichi si alzò,
sospirando. Riassettò l’uniforme spiegazzata e infilò la
tracolla.
- Penso sia ora di
andare.-
- Ehi. Shuichi.- Hikari
gli stava porgendo dei fogli strappati da un quaderno.
- Che
cos’è?-
- Una cosa che ho
scritto.-
- Vuoi che la
legga?-
- Tienila da parte. Per
stanotte. Magari è così noiosa che anche ti addormenti e non ti svegli per tutta
la notte.-
Shuichi fece una risatina
e prese i fogli. Li stirò per bene e li ripiegò con la stessa cura che l’altro
aveva riservato al suo disegno. Poi mise la storia in tasca, e finalmente fece
un sorriso pieno.
- Tu guarda cosa si deve
fare per sopravvivere.-
- Dove sei
stato?-
Shuichi transitò davanti
a sua madre, superandola senza nemmeno degnarla di uno
sguardo.
- In giro.- rispose lui,
sparendo nella sua camera. Non fece in tempo a serrare la porta che sua madre
era già entrata.
- Fino a quest’ora? Ti
devo ricordare che fino a pochi giorni fa eri in
ospedale?-
- Ora sto
bene.-
- Non eri con quel tipo,
spero...-
- Chi, il
drogato?-
- Shuichi, smettila di
prendermi in giro!-
La donna si avvicinò al
figlio: non sembrava arrabbiata, soltanto molto preoccupata. Shuichi addolcì
appena l’espressione gelida che aveva assunto.
- E tu smettila di non
credermi, però. E’ la verità, non ricordiamo niente, ma probabilmente è andata
semplicemente così: l’ascensore si è rotto, c’è stato uno scossone e siamo
caduti.-
Il ragazzo si sedette sul
letto e prese a tirare fuori i suoi disegni dalla borsa.
- Però adesso devi stare
tranquillo e riguardarti.- insisté lei.
- Va bene.- concesse. La
donna, poco convinta, uscì dalla stanza socchiudendo la
porta.
- Sì, vallo a dire al
mostro misterioso che passeggia nei nostri cervelli...- borbottò il ragazzo. Poi
si alzò, andò alla sua scrivania, prese un foglio e socchiuse gli
occhi.
- Nemmeno mi ricordo
bene...- mormorò, avvertendo le mani che gli tremavano. Poi prese una matita, e
cercò di tenerla salda tra le dita. Appoggiò la punta sul foglio e iniziò a
tracciare una linea.
- Almeno in questo modo,
fatti vedere.-
E le linee fiorirono in
forme precise e aggraziate, dando vita a un volto, un sorriso. Una cascata di
riccioli e un abito leggero, come una sorta di veste da angelo. Del resto,
adesso andava in giro ad apparire ai suoi amici, salvando vite. Era una specie
di angelo, no?
Sorrise, quando ebbe
finito. Le somigliava abbastanza.
Quando arrivò l’ora di
andare a dormire, Shuichi decise di sperimentare le virtù delle storie di
Hikari. Era l’ennesima follia che gli toccava fare, ma ormai non si stupiva più
molto. E poi, in quelle notti, quando si era svegliato e aveva disegnato senza
rendersene conto, erano venute fuori cose tremende. Aveva fatto sparire chissà
quanti schizzi incomprensibili, certo che fosse la cosa giusta da fare. Non
riusciva nemmeno a guardarli o a provare ad interpretarli, quei
disegni.
Accese la luce e si
sistemò per bene, per leggere. Magari la storia era davvero così noiosa da farlo
dormire, ma ne dubitava. Magari la magia stava da un’altra
parte.
La storia non fu noiosa
per nulla, l’aveva letta in pochi minuti.
Dovrebbe davvero
continuare a scriverne, di roba così.
Fu il suo ultimo pensiero
cosciente, fino alla mattina dopo.
Nel sogno Hikari era
finito di nuovo in uno di quei labirinti che gli facevano paura. Era tutto
bianco, questa volta: le vie, le pareti di pietra, la neve che scendeva, la luce
strana e inquietante. Il bianco toglieva ogni più piccolo punto di riferimento e
lo faceva sentire ancora più perso e senza speranze.
Oh, perché accidenti
Shuichi non gli aveva disegnato una cartina?
Perché ci sono
io.
Si voltò, e si trovò
davanti una figura che si stagliava luminosa contro il bianco. Era tutta
azzurra: i capelli, le vesti, l’aura attorno a lei. Aveva il viso e la mani
pallidi, ma la luce che emanava faceva sembrare azzurrini anche quelli. Era una
ragazza, una splendida ragazza.
Hikari sorrise: la
conosceva molto bene. Era Moyashi, il loro personaggio.
-
Tu?-
Lei gli tese la mano e
lui l’afferrò.
Ti porto fuori da qui, in
salvo.
-
Ehi.-
Shuichi si affacciò alla
finestra, stupito di vedere che il suo amico frignone aveva avuto il coraggio di
entrare di nascosto nel suo giardino.
- Ma che hai fatto, hai
strisciato nel fango?-
- Sai com’è, ho dovuto
scavalcare un cancello, e siccome è piovuto per tutta la
giornata...-
Shuichi rise e gli lanciò
un asciugamano.
- Io comunque ho dormito,
e tu?-
- Sì,
anch’io.-
- Bene. Hai trovato la
strada?-
- Mi ha aiutato
Moyashi.-
Shuichi scosse la testa.
Certo. Ogni logica era morta già da tempo, per loro due. Era perfettamente
normale che il personaggio del manga che stavano progettando fosse piombato nei
sogni di Hikari per salvarlo.
- Scrivimi altre
storie.-
- Ehi, ascolta un attimo,
non è che scrivo storie per farti dormire!- protestò
l’altro.
- Tu
scrivi.-
- Va bene. Ci provo.
Intanto però tieni quella che ti ho dato.-
- Ok. Ci penserò uno
storyboard.-
- Ti sei annoiato tanto a
leggerla?-
- Idiota. Ti ho detto che
voglio pensarci uno storyboard, quanto pensi mi sia
annoiato?-
Il cielo aveva spento i
suoi colori, lasciandosi conquistare dalle nuvole. Il giorno stava finendo, e
l’estate era definitivamente andata. Shuichi si perse un attimo a guardare in
alto, e poi oltre i confini reali, da qualche parte davvero
lontana.
- Però dobbiamo fare
qualcosa.- mormorò. – Non possiamo vivere così per
sempre.-
- Ma a chi chiediamo
aiuto?-
- Non lo so. Prova a chiedere a Moyashi. E’ lì per
tirarti fuori dai guai, no?-
- Beh, sì, lo so, ma...
Insomma...-
- Insomma
che?-
- Insomma, sono in
imbarazzo.- borbottò Hikari, arrossendo. Shuichi scoppiò a ridere di gusto, e
rise a lungo, incurante delle proteste dell’altro.
- In imbarazzo... e
perché?-
- Mah, non lo so!- si
arrabbiò il più giovane. – E’ un mio personaggio! E tu l’hai disegnata troppo
bella, e non so se le sta pensiero venire lì ad aiutarmi,
e...-
- Oh, e piantala! Almeno
nei sogni, cerca di parlare con una bella donna.-
- Ehi, cos’era, un modo
per dire che...-
- Esattamente. E ora
torno dentro, prima che mia mamma arrivi e ti trovi qui. Come minimo chiama la
polizia e ti denuncia per aver invaso la nostra
proprietà.-
Hikari sgattaiolò via, e
Shuichi rientrò, cercando di non pensare all’assurdità di tutta la
situazione.
Quella notte, quando si
svegliò, rilesse la storia, iniziò ad immaginarci dei disegni, ma alla seconda
vignetta era già piombato nel sonno.
La mattina seguente,
però, non si svegliò prima degli altri, come al solito. Quando sua madre entrò
nella sua stanza, lui stava ancora dormendo, seduto sul letto, con la luce
accesa e dei fogli in mano. Contrariata, la donna fece per chiamarlo. Poi notò i
fogli in mano al figlio.
Fu colta dalla curiosità,
e glieli trasse delicatamente di mano. Si sentì in colpa, ma si sentì anche
autorizzata dal fatto che il ragazzo le stesse chiaramente nascondendo qualcosa.
E se magari, leggendo quei fogli, avesse potuto scoprire qualcosa di
fondamentale sul ragazzo? Se in quel modo avesse potuto
aiutarlo?
Qualche istante dopo
Shuichi si svegliò, con una sensazione di freddo e disagio. Non si rese conto
che la storia di Hikari era sparita. Confuso e mezzo addormentato come quasi
tutte le persone lo sono, di prima mattina, raggiunse la cucina per cercare un
po’ di caffè e risvegliarsi del tutto.
- Oggi viene tuo padre a
prenderti, all’uscita di scuola.- gli annunciò la mamma.
Sua madre era comparsa
dal nulla, a portargli la notizia peggiore del mondo.
-
Perché?-
- Perché oggi passeremo
la giornata tutti insieme. Tutti quanti. E’ così tanto tempo che non lo
facciamo. Non ti pare?-
Shuichi annuì,
rassegnato. Immaginò che sua madre si fosse messa in testa che lui era un
ragazzo problematico e che magari era tutta colpa del clima familiare.
Beh, sì, problematico lo
era, ma in un modo che sua madre nemmeno si immaginava.
- Ho detto ai professori
di tenerti d’occhio. Non sognarti di scappare da scuola o cose del
genere.-
- E perché dovrei?-
borbottò. Improvvisamente un pensiero lo raggiunse. Qualcosa che doveva
chiederle, assolutamente. – Mamma, tu lo sapevi che la figlia dei nostri vicini
di casa era morta? Che non si erano trasferiti all’improvviso, ma se ne erano
andati dopo la sua morte?-
Sua madre
impallidì.
- Chi te l’ha
detto?-
- E’ così,
allora?-
- Sì, lo sapevamo.-
ammise lei.
- E perché non mi avete
detto niente?-
- Perché tu e lei... Tu
le eri molto legato. Avevamo paura.-
- Paura di cosa?- domandò
lui, che cominciava ad alterarsi. – Paura che fossi incapace di superare la
cosa?-
- Avevamo paura che
rimanessi sconvolto.- mormorò la donna, facendo qualche passo
indietro.
- Come pensi che mi sia
sentito, quando ho scoperto come sono andate davvero le cose?- gridò lui,
alzandosi in piedi. La donna abbassò gli occhi.
- Scusami. Devi
perdonarci. Ma è stata una cosa così orribile... E’ stata uccisa. La ritrovarono
al parco Tsubaki. Ne parlò anche
Shuichi annuì, iniziando
a ricollegare i pezzi.
- Voi lo sapevate
tutti?-
- Sì. Ma era per il tuo
bene!- gemette la donna, addolorata di fronte alla reazione del
figlio.
Lui la guardò con rabbia.
Poi scivolò di nuovo a sedere, distogliendo gli occhi da
lei.
- Te l’avremmo detto...-
disse lei.
- E quando? Il giorno del
mio matrimonio, magari, per essere sicuri che non mi sarei sconvolto più di
tanto?- ribatté lui, cupo. – Non sono un bambino stupido. Cerca di fidarti di
me.-
- Ma io mi fido
di...-
- No, non ti fidi di me, e si vede!- Si
alzò in piedi di nuovo. Non sembrava arrabbiato. Solo triste e confuso. La donna
non ebbe il coraggio di dirgli niente. – Se vuoi dimostrare che ti fidi di me,
allora...-
Allora cosa? Credimi se
ti dico che ho dei superpoteri e che la salvezza della città dipende da
me?
- Va bene, dai.-
borbottò. Non aveva nessuna voglia di arrabbiarsi o discutere ancora.
Uscì di casa con il
pensiero fisso su ciò che gli era stato nascosto per tanto tempo, completamente
ignaro della sparizione della storia di Hikari. Per tutta la giornata rimase
silenzioso e distante, e la sera si infilò nel letto senza ripensare alla sorta
di magia che nelle notti precedenti lo aveva protetto.
Si svegliò, dopo meno di
tre ore di sonno, si alzò, andò alla scrivania e cominciò a disegnare.
Quando i suoi occhi
furono di nuovo capaci di vedere insieme alla sua mente, scoprì che non aveva
tracciato linee vaghe o schizzi, sui fogli. Era una storia. Quattro pagine di
storia, disegnate alla perfezione e colorate. Rimise i fogli in ordine (in
qualche modo era certo che l’ordine fosse quello), e cominciò a
leggere.
C’era Moyashi, vestita di
azzurro, senza le sue armi, che correva attraverso un parco. Nelle prime scene
il parco era un comunissimo parco, con alberi, aiuole e panchine. Poi però gli
alberi si infittivano, e tra di essi spuntavano statue dalle forme orribili,
facce allungate in grida di agonia, artigli protesi verso il cielo. Davvero la
sua fantasia conteneva immagini simili?
A un tratto Moyashi si
trovava di fronte qualcuno.
Quando aveva inventato un
personaggio con un design del genere?
Era un uomo, piuttosto
giovane. Uno di quei personaggi per cui, se fosse stato un mangaka vero, sarebbe
stato amato dalle ragazze, probabilmente. L’uomo era alto e robusto, con un bel
viso sorridente. Di quei sorrisi che nascondono un mondo di malizia e crudeltà,
ma che sono, a loro modo, attraenti. Indossava una camicia bianca, a quadri
azzurri, e una cravatta arancione. Aveva i capelli abbastanza lunghi, mossi. Li
aveva colorati di verde, così come l’occhio destro del misterioso nemico. Quello
sinistro era nascosto da una benda rossa.
Ed era un nemico, su
quello non c’erano dubbi.
Moyashi gridava, cercando
una spada che non c’era.
“Sei qui.” diceva l’uomo.
“Sai chi sono?”
“Matsui Murasaki.”
rispondeva lei, terrorizzata. In un modo orrendo. Non avrebbe mai disegnato un
personaggio con tutto quell’orrore in viso.
“Ora mi prenderò i tuoi
colori. La tua anima.”
L’ultima pagina aveva
un’illustrazione enorme, in cui l’uomo sorrideva, mentre i colori venivano via
lentamente dalla figura di lei, che urlava, il viso contratto in un’espressione
di dolore. Nella penultima vignetta c’era il corpo di lei, indubbiamente morta,
del tutto priva di colori, con gli occhi sgranati e la bocca spalancata in un
grido che non avrebbe mai emesso.
L’ultima immagine era
quella del sorriso di lui.
Shuichi afferrò i fogli,
li accartocciò, li strappò in una miriade di frammenti. Poi corse fuori dalla
sua stanza, molto vicino a cadere completamente nel
panico.
E’ solo un disegno, sono
solo disegni!
Non è così, e lo sai. C’è
qualcos’altro. Non va bene, non dovevo rimanere
sveglio!
Quando tornò in camera,
la finestra era spalancata, e i pezzettini di carta erano volati via, tutti.
Shuichi crollò a terra, nascose il viso tra le mani e rimase a tremare nel
buio.
...continua...