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Autore: Harriet    29/02/2008    3 recensioni
[Il giorno dell'inizio del mondo]
Hikari è un ragazzino fragile, alle prese con un potere che non sa controllare. Shuichi è un tipo solitario, sensibile a suo modo, ma fondamentalmente poco interessato ai rapporti umani. Il loro incontro porterà cambiamenti inaspettati.
La realtà non è così semplice. Ci sono cose nascoste dietro ciò che vediamo, e i ricordi, i desideri e le storie sono molto più reali di quanto si pensi...
CAPITOLO X Online: EPILOGO!
Genere: Avventura, Sovrannaturale, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dolci creature che seguite le vicende di questa gente, grazie di essere qui ancora una volta!

Questo è il capitolo che meno mi convince. Ci sono delle rivelazioni importanti, ma lo trovo scritto male. Ci ho rimesso le mani così tante volte che non so più come gestirlo, purtroppo. Vi chiedo quindi di perdonarlo, e di non abbandonare la lettura, anche se vi perderete un po’ tra i casini di questo capitolo.

Grazie a tutti!

La citazione musicale iniziale viene da “Universe”, di Maaya Sakamoto.







VII –Dream and Wake


Kurayami to yoake no sukima ni

hitorikiri...


(Da solo, nello spazio tra l’oscurità e l’alba...)



- Ehi.-

Non se lo aspettava, di trovarlo lì, all’uscita di scuola. Ci aveva sperato, sì, ma non ci contava più di tanto. I genitori di Shuichi non erano come i suoi. I genitori di Shuichi erano apprensivi. Non erano stati felici di essere contattati dall’ospedale, perché il loro figlio maggiore aveva perso i sensi in un ascensore, in compagnia di uno strano ragazzo che diceva di non ricordare niente di quel che era successo.

Shuichi era sempre tetro come al solito, con i capelli ancora più lunghi e la sua tracolla malridotta, e tutto questo era in qualche modo consolante.

Hikari gli corse incontro, senza dire niente. Non lo rivedeva dal giorno in cui avevano rischiato la vita insieme, due settimane prima. E l’idea di dover affrontare gli eventi dell’ascensore sarebbe stata tremenda anche per una persona meno apprensiva di lui...

- Tutto bene?-

- Io sto bene.- rispose Hikari. – Tu come stai? Ero in pensiero! Ma tua mamma ha telefonato ai miei, ha detto loro che non dovevo provarmi a contattarti, perché di sicuro era colpa mia o qualcosa del genere, e...-

- E piantala di agitarti così. Sto bene.-

Hikari abbassò la testa, confuso.

- Scusami. E’ che ho avuto paura. Non so cosa sia successo. E volevo parlarne con te, ma tu, per quanto ne sapevo, eri in coma in un ospedale, e non potevo nemmeno venire a vedere come stavi, e...-

Shuichi fece il millesimo cenno disperato all’altro, per farlo smettere di parlare, e finalmente riuscì ad ottenere tre secondi di silenzio.

- Sono rimasto svenuto quattro giorni. Ultimamente mi capitano cose strane. Anch’io volevo parlarne con te, ma mia madre ha iniziato a blaterare che probabilmente tu mi avevi spinto a drogarmi, o qualcosa del genere.-

- In un certo senso è vero. Io...- Hikari si fermò, comprendendo che avrebbe dovuto confessare all’altro la cosa che aveva tormentato la sua mente in quei giorni. – Nell’ascensore...-

- Hai tentato di strangolarmi.-

Hikari sollevò il viso e fissò l’altro negli occhi, terrorizzato.

- Lo sai?-

- C’eravamo solo io e te, non è così difficile immaginare come siano andate le cose.-

- E non...-

- Non?-

- Cioè tu... Non...-

- Non penso che ti ucciderò per vendicarmi, no.-

- Ma io...-

- Non eri in te. Era tutto confuso, lì. Non so bene cos’è successo, ma sono sicuro che era una specie di illusione. Era come essere rinchiusi in un incubo.-

- Potevo farti del male per davvero.-

- Non è andata così.-

- Io avrei paura.-

- Paura di che, di un idiota come te?-

- Se risuccederà...-

- Non mi farò prendere di sorpresa. Ti mollerò un pugno e vedrai che non mi farai nulla. E ora basta, per favore. Ok? Senti, in fondo me l’avevi detto, che portavi guai.-

Hikari abbandonò l’espressione desolata, spalancando gli occhi per la sorpresa.

- Cosa ti avrei detto?-

- Quando ti ho incontrato. Mi hai predetto che i miei guai stavano cominciando.-

- Ah. Non ricordo. E hai anche fatto un disegno, per quella previsione?-

- Certo.-

Shuichi fece la sua personale interpretazione di un sorriso, poi pescò un foglio spiegazzato dalla sua borsa delle meraviglie, e lo mise nelle mani dell’altro. Hikari lo prese, e il suo viso si riempì di stupore.

- Quando lo hai fatto?- domandò il più giovane.

- La sera del nostro incontro.-

- Lo sapevi? Sapevi che avremmo... Oppure hai...-

Shuichi riprese il foglio e vi fissò lo sguardo. C’era un’immagine ben definita, un viso femminile, una ragazza con i capelli lunghi e gli occhi chiusi.

- Insomma, è lo stesso personaggio su cui stiamo lavorando da un po’. L’hai disegnata in quel modo perché avevi visto questo disegno?-

- No. Quando ti ho portato il suo ritratto, ero convinto di averla appena immaginata. Questo disegno l’ho ritrovato ieri sera.-

- E come fai ad essere sicuro che è il disegno relativo a quella previsione?-

- Una sensazione. Ma ne sono sicuro.-

- Così la mia previsione significherebbe che... L’inizio dei nostri guai è Moyashi?-

Shuichi spalancò gli occhi, leggermente sconcertato.

- Come hai detto che vuoi chiamarla?-

- Moyashi.-

- Ma che razza di nome sarebbe?-

- Cos’ha che non va?-

- Vuol dire seme di soia! E’ un nome da pupazzo o da folletto, non da guerriera!-

- Ha il suo perché! Ha il suo senso nella storia, e sono sicuro che quando te lo racconterò ti piacerà!-

- Ah sì? Beh, allora raccontamelo!-

- Tu però offrimi la merenda.-

- Hai anche certe pretese?-

Hikari afferrò la tracolla della borsa e prese a correre, trascinandosi l’altro dietro. Gli era mancato tremendamente tutto quello. E aveva pensato che non ci sarebbe stato più nulla di simile.

Rimasero insieme tutto il pomeriggio. Era un settembre particolarmente mite, e stare fuori aveva la sua attrattiva. E poi erano due settimane che il mondo degli shinigami rimaneva disabitato.

Parlarono a lungo di Moyashi e Tetsuya, e di cose che non c’entravano niente con i loro poteri. Poi, mentre Shuichi raccoglieva i disegni, Hikari prese coraggio e richiamò l’attenzione dell’altro.

- Mentre eravamo nell’ascensore. Lo sai cosa ci ha salvati?-

Shuichi fu colto di sorpresa.

- Cosa?-

- E’ venuta una persona. Mi ha detto che ero stato ingannato da una visione falsa. Mi ha detto che siamo dentro a qualcosa di più grande di noi, e che qualcuno ci vuole distruggere, perché siamo pericolosi per lui. Lui entra nella mente delle persone, e le manovra, o qualcosa del genere.-

- E chi diavolo era, la persona che ti avrebbe detto queste cose?-

- Tu la conoscevi.-

Shuichi impallidì.

- Chi era?-

- Eiko.-

- Cosa?-

Shuichi stava fissando il vuoto, come se quel nome fosse bastato a sconvolgerlo del tutto. Hikari fece qualche passo indietro. Sarebbe voluto sparire in quell’istante. Si sentiva quasi colpevole per non averglielo detto prima.

No, in realtà si sentiva colpevole per essere stato lui a vedere Eiko.

- Mi ha detto di chiamarsi così. Mi ha detto che era legata a te. Che vuole proteggerci e non ci lascerà da soli. E’ lei che ci ha salvati.-

L’altro continuava a non rispondere, immerso in pensieri irraggiungibili.

- Shuichi?-

- E’ morta, vero?-

- Non lo so. Credo...-

- La rivedremo? Tornerà da noi? Almeno per spiegare. Almeno per una volta...-

Hikari indietreggiò ancora, come per difendersi dai sentimenti dell’altro.

- Non lo so. Lo spero. Vorrei davvero che potessi parlarle.-

- E’ sparita più di un anno fa.- mormorò Shuichi. Sembrava restio a parlare di quella faccenda. Per qualcuno così poco propenso a mostrare i suoi sentimenti doveva essere davvero difficile. Eppure anche Hikari doveva capire, così il racconto andò avanti. – Era... Non lo so nemmeno io, cos’era. Era la mia vicina di casa. E a me lei piaceva. E comunque era l’unica amica che avevo. Però... Quando la sua famiglia si è trasferita all’improvviso, io... Me lo immaginavo. Ho pensato subito che fosse morta. Non era tipo da sparire così. Senza nemmeno tentare di lasciare un messaggio.-

Hikari decise che poteva avvicinarsi di nuovo all’altro.

- Sono sicuro che la rivedrai.- provò a dire, sperando di non urtare i sentimenti di Shuichi. Lui non rispose, ma non sembrò infastidito da quelle parole.

- Già.- rispose, infine. Poi fece una pausa, come per allontanare quell’argomento, almeno per il momento. – Senti, parliamo un po’ di questa faccenda. Ascensori, sogni, cose del genere.-

- Metto la sveglia ogni due ore, e mi sveglio.-

- Cosa?-

- Ho paura di fare incubi. Io credo che il nostro avversario mi manovri nel sogno. Eiko ha detto che entra nelle menti, e anche nell’ascensore è successo tutto quel caos per colpa sua. Era nella mia mente. Non posso dormire, se so che quello è lì e vuole farmi fare cose. E ho perso la tua cartina.-

- Quando l’hai persa?-

- Non lo so. C’è un casino allucinante in camera mia. Non riesco a trovarla.-

Shuichi si fermò un attimo a riflettere. Poi si chinò e prese a raccogliere i disegni che aveva sparpagliato a terra. Frugò e cercò, finché ebbe trovato ciò che voleva.

- Tieni.-

Hikari prese il foglio che l’altro gli offriva, e vide che si trattava del disegno che aveva visto qualche ora prima. Il disegno che si accompagnava alla sua predizione di guai.

- Questo?-

- Sono sicuro che è la scelta giusta.-

- Va bene. E tu... Niente stranezze?-

- Diciamo che da quando è successa tutta la storia dell’ascensore ho il problema opposto al tuo. Mi sveglio all’improvviso e faccio dei disegni.-

- Ed è un problema?-

- ... se vedessi i disegni, capiresti.-

- E... allora...-

- Allora ho paura che il tizio misterioso stia rompendo le palle anche a me.-

Hikari aprì bocca per esporre l’ennesimo dubbio, ma fu bloccato dal fastidioso e improvviso trillo di una suoneria.

- Oh, cavolo.- borbottò Shuichi. – Me l’ha infilato in borsa. Mia madre. Il telefono.-

Il ragazzo pescò un cellulare che navigava tra i tesori celati nella sua borsa.

- Immaginerà con chi sei.- disse Hikari, con apprensione.

- Sai quanto me ne frega.- fu la tranquilla risposta dell’altro. Spense il telefono e lo gettò di nuovo in borsa. – Però è tardi. I tuoi si preoccuperanno.-

- Non così tanto.-

- Ma che razza di gente sono, i tuoi?-

- Te l’ho detto. Vivono in un mondo tutto loro. Finché non succede qualcosa di male, tutto va bene. Più o meno.-

- E com’è che tu sei così asfissiante, allora?-

- Sarà per via delle premonizioni, o qualcosa di simile.-

Shuichi si alzò, sospirando. Riassettò l’uniforme spiegazzata e infilò la tracolla.

- Penso sia ora di andare.-

- Ehi. Shuichi.- Hikari gli stava porgendo dei fogli strappati da un quaderno.

- Che cos’è?-

- Una cosa che ho scritto.-

- Vuoi che la legga?-

- Tienila da parte. Per stanotte. Magari è così noiosa che anche ti addormenti e non ti svegli per tutta la notte.-

Shuichi fece una risatina e prese i fogli. Li stirò per bene e li ripiegò con la stessa cura che l’altro aveva riservato al suo disegno. Poi mise la storia in tasca, e finalmente fece un sorriso pieno.

- Tu guarda cosa si deve fare per sopravvivere.-


- Dove sei stato?-

Shuichi transitò davanti a sua madre, superandola senza nemmeno degnarla di uno sguardo.

- In giro.- rispose lui, sparendo nella sua camera. Non fece in tempo a serrare la porta che sua madre era già entrata.

- Fino a quest’ora? Ti devo ricordare che fino a pochi giorni fa eri in ospedale?-

- Ora sto bene.-

- Non eri con quel tipo, spero...-

- Chi, il drogato?-

- Shuichi, smettila di prendermi in giro!-

La donna si avvicinò al figlio: non sembrava arrabbiata, soltanto molto preoccupata. Shuichi addolcì appena l’espressione gelida che aveva assunto.

- E tu smettila di non credermi, però. E’ la verità, non ricordiamo niente, ma probabilmente è andata semplicemente così: l’ascensore si è rotto, c’è stato uno scossone e siamo caduti.-

Il ragazzo si sedette sul letto e prese a tirare fuori i suoi disegni dalla borsa.

- Però adesso devi stare tranquillo e riguardarti.- insisté lei.

- Va bene.- concesse. La donna, poco convinta, uscì dalla stanza socchiudendo la porta.

- Sì, vallo a dire al mostro misterioso che passeggia nei nostri cervelli...- borbottò il ragazzo. Poi si alzò, andò alla sua scrivania, prese un foglio e socchiuse gli occhi.

- Nemmeno mi ricordo bene...- mormorò, avvertendo le mani che gli tremavano. Poi prese una matita, e cercò di tenerla salda tra le dita. Appoggiò la punta sul foglio e iniziò a tracciare una linea.

- Almeno in questo modo, fatti vedere.-

E le linee fiorirono in forme precise e aggraziate, dando vita a un volto, un sorriso. Una cascata di riccioli e un abito leggero, come una sorta di veste da angelo. Del resto, adesso andava in giro ad apparire ai suoi amici, salvando vite. Era una specie di angelo, no?

Sorrise, quando ebbe finito. Le somigliava abbastanza.

Quando arrivò l’ora di andare a dormire, Shuichi decise di sperimentare le virtù delle storie di Hikari. Era l’ennesima follia che gli toccava fare, ma ormai non si stupiva più molto. E poi, in quelle notti, quando si era svegliato e aveva disegnato senza rendersene conto, erano venute fuori cose tremende. Aveva fatto sparire chissà quanti schizzi incomprensibili, certo che fosse la cosa giusta da fare. Non riusciva nemmeno a guardarli o a provare ad interpretarli, quei disegni.

Accese la luce e si sistemò per bene, per leggere. Magari la storia era davvero così noiosa da farlo dormire, ma ne dubitava. Magari la magia stava da un’altra parte.

La storia non fu noiosa per nulla, l’aveva letta in pochi minuti.

Dovrebbe davvero continuare a scriverne, di roba così.

Fu il suo ultimo pensiero cosciente, fino alla mattina dopo.


Nel sogno Hikari era finito di nuovo in uno di quei labirinti che gli facevano paura. Era tutto bianco, questa volta: le vie, le pareti di pietra, la neve che scendeva, la luce strana e inquietante. Il bianco toglieva ogni più piccolo punto di riferimento e lo faceva sentire ancora più perso e senza speranze.

Oh, perché accidenti Shuichi non gli aveva disegnato una cartina?

Perché ci sono io.

Si voltò, e si trovò davanti una figura che si stagliava luminosa contro il bianco. Era tutta azzurra: i capelli, le vesti, l’aura attorno a lei. Aveva il viso e la mani pallidi, ma la luce che emanava faceva sembrare azzurrini anche quelli. Era una ragazza, una splendida ragazza.

Hikari sorrise: la conosceva molto bene. Era Moyashi, il loro personaggio.

- Tu?-

Lei gli tese la mano e lui l’afferrò.

Ti porto fuori da qui, in salvo.


- Ehi.-

Shuichi si affacciò alla finestra, stupito di vedere che il suo amico frignone aveva avuto il coraggio di entrare di nascosto nel suo giardino.

- Ma che hai fatto, hai strisciato nel fango?-

- Sai com’è, ho dovuto scavalcare un cancello, e siccome è piovuto per tutta la giornata...-

Shuichi rise e gli lanciò un asciugamano.

- Io comunque ho dormito, e tu?-

- Sì, anch’io.-

- Bene. Hai trovato la strada?-

- Mi ha aiutato Moyashi.-

Shuichi scosse la testa. Certo. Ogni logica era morta già da tempo, per loro due. Era perfettamente normale che il personaggio del manga che stavano progettando fosse piombato nei sogni di Hikari per salvarlo.

- Scrivimi altre storie.-

- Ehi, ascolta un attimo, non è che scrivo storie per farti dormire!- protestò l’altro.

- Tu scrivi.-

- Va bene. Ci provo. Intanto però tieni quella che ti ho dato.-

- Ok. Ci penserò uno storyboard.-

- Ti sei annoiato tanto a leggerla?-

- Idiota. Ti ho detto che voglio pensarci uno storyboard, quanto pensi mi sia annoiato?-

Il cielo aveva spento i suoi colori, lasciandosi conquistare dalle nuvole. Il giorno stava finendo, e l’estate era definitivamente andata. Shuichi si perse un attimo a guardare in alto, e poi oltre i confini reali, da qualche parte davvero lontana.

- Però dobbiamo fare qualcosa.- mormorò. – Non possiamo vivere così per sempre.-

- Ma a chi chiediamo aiuto?-

- Non lo so. Prova a chiedere a Moyashi. E’ lì per tirarti fuori dai guai, no?-

- Beh, sì, lo so, ma... Insomma...-

- Insomma che?-

- Insomma, sono in imbarazzo.- borbottò Hikari, arrossendo. Shuichi scoppiò a ridere di gusto, e rise a lungo, incurante delle proteste dell’altro.

- In imbarazzo... e perché?-

- Mah, non lo so!- si arrabbiò il più giovane. – E’ un mio personaggio! E tu l’hai disegnata troppo bella, e non so se le sta pensiero venire lì ad aiutarmi, e...-

- Oh, e piantala! Almeno nei sogni, cerca di parlare con una bella donna.-

- Ehi, cos’era, un modo per dire che...-

- Esattamente. E ora torno dentro, prima che mia mamma arrivi e ti trovi qui. Come minimo chiama la polizia e ti denuncia per aver invaso la nostra proprietà.-

Hikari sgattaiolò via, e Shuichi rientrò, cercando di non pensare all’assurdità di tutta la situazione.

Quella notte, quando si svegliò, rilesse la storia, iniziò ad immaginarci dei disegni, ma alla seconda vignetta era già piombato nel sonno.

La mattina seguente, però, non si svegliò prima degli altri, come al solito. Quando sua madre entrò nella sua stanza, lui stava ancora dormendo, seduto sul letto, con la luce accesa e dei fogli in mano. Contrariata, la donna fece per chiamarlo. Poi notò i fogli in mano al figlio.

Fu colta dalla curiosità, e glieli trasse delicatamente di mano. Si sentì in colpa, ma si sentì anche autorizzata dal fatto che il ragazzo le stesse chiaramente nascondendo qualcosa. E se magari, leggendo quei fogli, avesse potuto scoprire qualcosa di fondamentale sul ragazzo? Se in quel modo avesse potuto aiutarlo?

Qualche istante dopo Shuichi si svegliò, con una sensazione di freddo e disagio. Non si rese conto che la storia di Hikari era sparita. Confuso e mezzo addormentato come quasi tutte le persone lo sono, di prima mattina, raggiunse la cucina per cercare un po’ di caffè e risvegliarsi del tutto.

- Oggi viene tuo padre a prenderti, all’uscita di scuola.- gli annunciò la mamma.

Sua madre era comparsa dal nulla, a portargli la notizia peggiore del mondo.

- Perché?-

- Perché oggi passeremo la giornata tutti insieme. Tutti quanti. E’ così tanto tempo che non lo facciamo. Non ti pare?-

Shuichi annuì, rassegnato. Immaginò che sua madre si fosse messa in testa che lui era un ragazzo problematico e che magari era tutta colpa del clima familiare.

Beh, sì, problematico lo era, ma in un modo che sua madre nemmeno si immaginava.

- Ho detto ai professori di tenerti d’occhio. Non sognarti di scappare da scuola o cose del genere.-

- E perché dovrei?- borbottò. Improvvisamente un pensiero lo raggiunse. Qualcosa che doveva chiederle, assolutamente. – Mamma, tu lo sapevi che la figlia dei nostri vicini di casa era morta? Che non si erano trasferiti all’improvviso, ma se ne erano andati dopo la sua morte?-

Sua madre impallidì.

- Chi te l’ha detto?-

- E’ così, allora?-

- Sì, lo sapevamo.- ammise lei.

- E perché non mi avete detto niente?-

- Perché tu e lei... Tu le eri molto legato. Avevamo paura.-

- Paura di cosa?- domandò lui, che cominciava ad alterarsi. – Paura che fossi incapace di superare la cosa?-

- Avevamo paura che rimanessi sconvolto.- mormorò la donna, facendo qualche passo indietro.

- Come pensi che mi sia sentito, quando ho scoperto come sono andate davvero le cose?- gridò lui, alzandosi in piedi. La donna abbassò gli occhi.

- Scusami. Devi perdonarci. Ma è stata una cosa così orribile... E’ stata uccisa. La ritrovarono al parco Tsubaki. Ne parlò anche la TV. Di una ragazza morta probabilmente per soffocamento, ritrovata in quel parco. Ti ricordi? Non venne mai rivelata la sua identità.-

Shuichi annuì, iniziando a ricollegare i pezzi.

- Voi lo sapevate tutti?-

- Sì. Ma era per il tuo bene!- gemette la donna, addolorata di fronte alla reazione del figlio.

Lui la guardò con rabbia. Poi scivolò di nuovo a sedere, distogliendo gli occhi da lei.

- Te l’avremmo detto...- disse lei.

- E quando? Il giorno del mio matrimonio, magari, per essere sicuri che non mi sarei sconvolto più di tanto?- ribatté lui, cupo. – Non sono un bambino stupido. Cerca di fidarti di me.-

- Ma io mi fido di...-

- No, non ti fidi di me, e si vede!- Si alzò in piedi di nuovo. Non sembrava arrabbiato. Solo triste e confuso. La donna non ebbe il coraggio di dirgli niente. – Se vuoi dimostrare che ti fidi di me, allora...-

Allora cosa? Credimi se ti dico che ho dei superpoteri e che la salvezza della città dipende da me?

- Va bene, dai.- borbottò. Non aveva nessuna voglia di arrabbiarsi o discutere ancora.

Uscì di casa con il pensiero fisso su ciò che gli era stato nascosto per tanto tempo, completamente ignaro della sparizione della storia di Hikari. Per tutta la giornata rimase silenzioso e distante, e la sera si infilò nel letto senza ripensare alla sorta di magia che nelle notti precedenti lo aveva protetto.

Si svegliò, dopo meno di tre ore di sonno, si alzò, andò alla scrivania e cominciò a disegnare.

Quando i suoi occhi furono di nuovo capaci di vedere insieme alla sua mente, scoprì che non aveva tracciato linee vaghe o schizzi, sui fogli. Era una storia. Quattro pagine di storia, disegnate alla perfezione e colorate. Rimise i fogli in ordine (in qualche modo era certo che l’ordine fosse quello), e cominciò a leggere.

C’era Moyashi, vestita di azzurro, senza le sue armi, che correva attraverso un parco. Nelle prime scene il parco era un comunissimo parco, con alberi, aiuole e panchine. Poi però gli alberi si infittivano, e tra di essi spuntavano statue dalle forme orribili, facce allungate in grida di agonia, artigli protesi verso il cielo. Davvero la sua fantasia conteneva immagini simili?

A un tratto Moyashi si trovava di fronte qualcuno.

Quando aveva inventato un personaggio con un design del genere?

Era un uomo, piuttosto giovane. Uno di quei personaggi per cui, se fosse stato un mangaka vero, sarebbe stato amato dalle ragazze, probabilmente. L’uomo era alto e robusto, con un bel viso sorridente. Di quei sorrisi che nascondono un mondo di malizia e crudeltà, ma che sono, a loro modo, attraenti. Indossava una camicia bianca, a quadri azzurri, e una cravatta arancione. Aveva i capelli abbastanza lunghi, mossi. Li aveva colorati di verde, così come l’occhio destro del misterioso nemico. Quello sinistro era nascosto da una benda rossa.

Ed era un nemico, su quello non c’erano dubbi.

Moyashi gridava, cercando una spada che non c’era.

“Sei qui.” diceva l’uomo. “Sai chi sono?”

“Matsui Murasaki.” rispondeva lei, terrorizzata. In un modo orrendo. Non avrebbe mai disegnato un personaggio con tutto quell’orrore in viso.

“Ora mi prenderò i tuoi colori. La tua anima.”

L’ultima pagina aveva un’illustrazione enorme, in cui l’uomo sorrideva, mentre i colori venivano via lentamente dalla figura di lei, che urlava, il viso contratto in un’espressione di dolore. Nella penultima vignetta c’era il corpo di lei, indubbiamente morta, del tutto priva di colori, con gli occhi sgranati e la bocca spalancata in un grido che non avrebbe mai emesso.

L’ultima immagine era quella del sorriso di lui.

Shuichi afferrò i fogli, li accartocciò, li strappò in una miriade di frammenti. Poi corse fuori dalla sua stanza, molto vicino a cadere completamente nel panico.

E’ solo un disegno, sono solo disegni!

Non è così, e lo sai. C’è qualcos’altro. Non va bene, non dovevo rimanere sveglio!

Quando tornò in camera, la finestra era spalancata, e i pezzettini di carta erano volati via, tutti. Shuichi crollò a terra, nascose il viso tra le mani e rimase a tremare nel buio.




...continua...

   
 
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