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Autore: F_rancesco    26/08/2013    0 recensioni
Una leggenda giapponese narra che noi siamo legati con un filo rosso invisibile alla nostra anima gemella. In questa storia i fili si intrecciano in una matassa che non si scioglierà mai. Cosa accade se un ragazzo si innamora della propria migliore amica? E se a riavvicinarli è una terza ragazza? Un giovane triangolo amoroso. Chi sceglierà Leo, il protagonista?
Ps: L'ho già pubblicata ma si è eliminata. I primi capitoli piacquero, spero che piacerà. La pubblico già completa per non correre rischi.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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-Amore dove sono le chiavi della porta? - Urla Leo dall’ingresso. – Sono in cucina, sono quasi pronta.- Rispose Emma. Da quando hanno finito il liceo si sono trasferiti a Roma, dove vivono insieme da un anno. – Leo dove sei? - - Inizia a scendere, arrivo subito le valigie già sono in macchina. – Ogni volta che dovevano tornare a casa Leo prima di scendere rimaneva un po’ solo con la casa vuota, si chiudeva nel suo piccolo studio, dove leggeva. Leggeva le lettere che aveva scritto e mai spedito. Tutte con un unico destinatario: Gaia. Lo studio era modesto. Quando affittarono la casa era già arredato, ma si sentiva la presenza di Leo in quella stanza. Sulle mensole c’erano dei libri molto strani, parlavano dei misteri, dei grandi interrogativi dell’uomo e tutti con una copertina lucubra. Le lettere erano nascoste dietro i cassetti della scrivania. Leo non voleva che qualcuno le trovasse, perché erano sue e di nessun’altro. Per prenderle doveva togliere i primi due cassetti dai propri binari. Si sedeva a terra, con le gambe incrociate. Quella volta aspettò più del solito prima di decidersi ad aprire i cassetti. Tirò fuori, lentamente, prima l’uno e poi l’altro. Li toccava con molta delicatezza, quasi fossero dei reperti antichissimi. Prendeva tempo, prendeva coraggio. Tolse il primo, tolse il secondo. Non c’era niente. La scatola era sparita. Era una scatola non molto grande, un prisma rettangolare non molto alto, di colore verde con dei fiori bianchi. Una scatola che aveva comprato molto prima della nascita delle lettere. Una scatola che aveva acquistato per capriccio e non per utilità. Era rimasta nel cassetto vuoto della scrivania di casa sua. Un pomeriggio, per uno strano motivo iniziò a scriverle una lettera. Quell’inchiostro nero bruciava, e per non farla leggere ad Emma che entrò poco dopo la sua stesura, Leo la nascose con uno scatto veloce nel cassetto. Da una ne divennero due, poi tre, poi quattro. Non riusciva a strapparle. Quando doveva partire, per Roma, voleva lasciarle in quel cassetto, ma qualcosa dentro di lui gli disse di no. Si inventò la scusa che qualcuno le potesse leggere, per mascherare il suo bisogno di averle accanto. Averle era il modo per sentirla vicino. Quelle lettere non dovevano essere lette da nessuno. In quelle lettere, c’era il vero Leo. In quelle lettere le confessava il suo amore. Leo, in fondo, non aveva mai dimenticato Giagi. Non sapeva di preciso da quanto tempo mancavano dai cassetti. Era preoccupato, perché non sapeva chi le aveva prese. Rimase a guardare il vuoto per poco tempo, rimise tutto al proprio posto e scese molto velocemente. Durante il viaggio parlarono poco. Leo era pensieroso. Non sapeva che fine avessero fatto quelle lettere. Forse le aveva prese la mamma, “impicciona come era le avrà trovate qualche giorno che venne a casa” pensava Leo. Era venuta qualche settimana prima, ma aveva visto poco Leonardo, il quale era stato impegnato per lavoro. Non aveva il coraggio di chiederle se la mamma fosse entrata nel suo studio. – Mah…mia madre quando è venuta è entrata nel mio studio? – si fese coraggio. – Si, perché? Voleva mettere in ordine.- Rispose Emma. – Così, per sapere perché oggi cercavo dei fogli sulla scrivania, ma non c’erano. – Inventò una scusa. Emma preoccupata chiese se erano importanti, ma lui rispose di no. Il viaggio durò poco, almeno sembrò così. Arrivati in città, scesero le valige a casa del padre di Emma che era ancora a Londra. Mentre la ragazza rimase lì per aprire la casa, Leo tornò nella sua vecchia abitazione, per salutare la madre. Quando arrivò, però, lei stava uscendo. Dopo essersi salutati gli disse che c’era una cosa per lui nel mobile in cucina era di una sua vecchia amica. Leo si precipitò subito in cucina, aprì il mobile e iniziò a cercare. Trovò una busta bianca con scritto sopra per: “ Per il mio caro Leo”. Non c’era altro, né francobollo, né indirizzo. La lettera era stata consegnata a mano. Riconobbe la scrittura. Non la aprì subito. Andò nella sua vecchia camera, uguale come molti anni prima. Si sedette sul letto. Si guardò intorno. Ricordò qualche episodio della loro amicizia. I loro sabati pomeriggio. Le loro risate. I loro discorsi. I loro litigi. I loro segni d’affetto. I loro sogni. I loro capricci. “Caro amore mio, qualche giorno fa ho ricevuto le tue lettere. Non chiedermi chi è stato a mandarle. Non fare domande ad altri, ti prego. Non conoscere chi ti ama più di me. Eh bene si, ti amo. In questo momento sarai pieno di rabbia, di dolore, e per egoismo forse mi dirai che non mi ami più. Ma quelle parole, piene di rabbia era piene anche d’amore. Sono stata una stupida. Non ti ho voluto quando ti avevo, ma ti ho sognato quando non c’eri. Sono ritornata molte volte in quel parco. Quello in cui, quel pomeriggio, ormai lontano, ma vivo nei miei ricordi, giocasti a pallone, nel campetto. Fu la prima volta che gridai il tuo nome a gran voce. Ricordi? Da quel pomeriggio, in cui mi dicesti di amarmi, ritorno lì, per vederti. Ritorno, e da sola urlo il tuo nome; in estate, in inverso, in primavera, in autunno. Sei divento per me, troppo importante. Ti ho avuto sempre, ma non mi rendevo conto del bene che ti volevo, che mi volevi. Quando ti ho perso, per colpa mia, credevo fosse tua. Non capivo che mi amavi, non volevo capire. Andrea allora, credevo fosse il mio tutto, la mia vita. Ma lui non mi capiva come te. Lui non mi conosceva. Lui non era stato accanto a me, nei giorni brutti della mia vita. Tu invece si. Ci è voluto molto tempo, ma alla fine l’ho capito, l’ho accettato: io ti amo. Non chiedo nulla, perché ti ho fatto soffrire. Hai sofferto lo so. Quando mi sono fidanzata. Quando ti ho trascurato. Quando mi dicesti di amarmi, ma il giorno dopo ritornai da lui. Ora sono single da molto, aspettavo te. Ti ho visto, l’altra volta con Emma. Ormai sei felice, ma il dolore che ti ho causato, in qualche modo, forse per caso, forse per giustizia, è tornato a me. Non chiedo nulla, solo il tuo perdono, se puoi darmelo. Lo so chiedo molto, ma anch’io come te ho pianto. Come ora, che ti scrivo. Amarti è bello, sognarti anche, ma averti è un privilegio. Una parte di te sarà sempre mia, come dici tu, ma ora vai avanti. Posso esiste senza te. Non chiedermi di vivere. Anch’io ho pianto quel giorno. Ho pianto dopo che te ne sei andato. Ho pianto quando ti ho visto baciarla, ma non ci potevo far niente. O meglio, non ci volevo far niente. Allora potevo, ma non accettavo il fatto che per me non era un semplice, migliore amico. Sei troppo importante per me, da dirti lascia tutto. Io ti aspetto, ma non chiedo di raggiungermi. Sei troppo speciale. Non devi farla soffrire. So cosa si prova. Ora lo so. Ora posso immaginare cosa ti sia costato restarmi amico. Amarti è stato bello, conoscerti un privilegio. Ogni notte mi addormento sorridendo, perché l’ultimo mio pensiero sei tu. Quando vedo una stella cadere non chiedo di averti, ma solo la tua felicità. Perché non so chi lo abbia detto, ma se ami devi lasciare andare. Ed io prima non volevo lasciarti andare. Ma il dolore fa crescere. Ed io sono maturata. Ho capito di amarti, il giorno stesso in cui ti dichiarasti, ma mi ci è voluto tempo prima di accettarlo. Quanti pomeriggi, ho passato nella tua stanza, da sola. Si tua madre mi ha fatto entrare, e sa cosa provo per te, quante chiacchierate abbiamo fatto, ma non chiederle nulla, non sa della nostra corrispondenza.  Ti prego io ti amerò in silenzio, tu nel silenzio nascondi queste parole. Ti amo piccolo mio. Per sempre tua Giagi” Leo asciugò le lacrime di commozione. Andò in bagno si sciacquò la faccia e riprese la lettera. Gli diede l’ultimo sguardo, poi la ripose nella busta. La mantenne in mano fino a quando non sentì aprire la porta. In tutta fretta aprì il cassetto della scrivania e la gettò lì. Non la lesse più. Molti anni dopo, in uno dei più importanti giorni della sua vita, cercò un conforto nel momento di maggiore fragilità, si ritrovò da solo in quella stanza, ma della lettera non c’era più traccia.
   
 
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