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Autore: BlackEyedSheeps    27/08/2013    2 recensioni
Era lei.
Lei che cercava di confondersi fra la folla, di mimetizzarsi con la rumorosa fauna turistica, di seguire un gruppo di persone di cui aveva appena intuito le traiettorie, ma una volta che Clint aveva agganciato l'obiettivo, difficilmente se lo lasciava sfuggire.

[Clint/Natasha]
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Maria Hill, Agente Phil Coulson, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nick Fury
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Compromised'
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Io... io dormirò tranquillo, perché so che il mio peggior nemico... veglia su di me.

(“Il buono, il brutto, il cattivo”)

 

 

 

Lisbona, Portogallo
Ore 21:32

 

La circondarono prima che potesse registrare i loro passi strascicati sull'asfalto. Si fermò in mezzo alla strada, rivolgendo un'occhiata non particolarmente preoccupata ai tre uomini che le sbarravano la via. Sapeva di averne almeno altri tre alle spalle. Nessun'arma in bella vista, presumibilmente pistole e coltelli pronti ad essere sfoderati come argomenti di persuasione o per darle un po' di filo da torcere.

Li studiò con sistematicità, assorbendo rapidamente informazioni mentre ricordava a se stessa di avere un vantaggio non indifferente: avrebbero dovuto prenderla viva, altrimenti i preziosi progetti di Billmann sarebbero rimasti abbandonati nelle sue cassette di sicurezza fino a tempo indeterminato.

La famosa Vedova Nera”, gracchiò l'uomo che le stava di fronte, un forte accento tedesco, alto di statura, largo di spalle, naso camuso e una grossa cicatrice che gli attraversava l'occhio destro.

In carne ed ossa”, rispose, senza curarsi di celare la nota di fastidio nella propria voce.

Era fin troppo consapevole di essere ben oltre la fase dei giochetti; in un certo senso sollevata di non dover continuare a trattenere il fiato in attesa di quell'inevitabile momento. Approfittò della conversazione in corso per voltarsi verso il resto dell'allegra combriccola: solo due dei sei sembravano avere tasche abbastanza ampie da contenere caricatori di riserva. Gli altri indossavano maglie a maniche corte e pantaloni più o meno leggeri, probabilmente per non dare troppo nell'occhio tra i turisti che affollavano le strade della capitale.

Hai qualcosa che appartiene al nostro capo. Vorremmo, come dire... averla indietro, prima che le cose non si facciano, come dire... antipatiche”, riprese lo sfregiato, fissandola con aria di ostentato sdegno.

Ai suoi occhi non era altro che una ladra dotata di due belle tette, un nomignolo ad effetto e doti decisamente sopravvalutate. Non l'avevano, dopotutto, trovata in meno di quarantotto ore?

Oh, lo capisco. Posso essere... come dire, antipatica, quando voglio”, lo scimmiottò, reclinando il capo di lato per rivolgergli uno sguardo che aveva del divertito, nonostante il suo viso non lasciasse indovinare proprio niente del genere.

Lo sfregiato grugnì una mezza risata, subito seguito dagli altri tirapiedi.

Non ti conviene giocare con il fuoco, ragnetto, a me gli insetti non piacciono.”

Natalia sembrò valutare la cosa e poi si strinse nelle spalle: “I ragni non sono insetti”, lo informò con naturalezza, provocando una reazione immediata nell'uomo alto e slanciato che lo fiancheggiava. Fece un passo avanti come per affrontarla, ma il capo lo bloccò alzando semplicemente una mano.

Non ancora Hans”, lo redarguì prima di tornare su Natalia.

Il pacco di San Paolo. Lo vogliamo. Consegnacelo adesso e forse il signor Billmann sarà abbastanza magnanimo da risparmiarti...”, cambiò espressione. “Sarebbe un peccato uccidere una donna tanto bella”, tirò fuori la lingua dalle labbra e l'agito un poco prima di scoppiare di nuovo a ridere, il fedele coretto degli altri a fargli da sottofondo.

Scommetto che tra quelle cosce ci sta il paradiso”, continuò. Visto che il siparietto stava riscuotendo tanti consensi, perché fermarsi?

Natalia sorrise, abbandonando delicatamente la borsa a terra. Il movimento mise in allarme i tre uomini alle sue spalle. Sentì distintamente lo scatto della sicura di un'arma da fuoco.

Lo sfregiato sollevò di nuovo la mano, lasciandola sospesa a mezz'aria, pronto a dare il segnale ai suoi nell'istante in cui l'avesse ritenuto necessario. Natalia doveva assicurarsi che scegliesse il momento sbagliato.

Il secondo uomo armato di pistola - intuì dalla sua postura - era quello che stava alla sinistra dello sfregiato, un uomo calvo, non molto alto, con una folta barba scura e occhi piccolissimi.

Con la certezza di aver individuato i due membri del gruppo che la preoccupavano di più, si concesse di avvicinare lo sfregiato di un paio di passi, finendogli a meno di un metro di distanza.

Scommetti bene”, commentò, senza abbandonare quell'aria subdolamente divertita. “Sembri essere un uomo furbo, uno che riconosce un ottimo affare quando lo vede”.

L'uomo le rivolse un cenno d'assenso: Natalia chiamava, e il suo ego rispondeva.

Sono sicura di poter risparmiare un bel po' di lavoro a tutti quanti”, lo blandì e l'avvicinò ancora di più, lentamente. “Non c'è motivo di tirare questa fastidiosa faccenda per le lunghe”, ribadì, eliminando quasi del tutto la distanza che li separava.

Sentì gli altri cinque muoversi nervosamente ai loro posti, ma non azzardarsi a muovere un dito senza il consenso dello sfregiato.

Natalia si chinò verso di lui, accostando le labbra al suo orecchio. Riusciva a sentire il battito accelerato dell'uomo, il calore che il suo corpo emanava, una luce improvvisamente diversa negli occhi.

In cambio della tua collaborazione”, sussurrò carezzevole “Ti prometto che abbandonerai questo mondo tra le mie cosce”.

L'uomo non fece in tempo ad abbassare la mano e dare il segnale che il pugno di Natalia lo colpì in piena gola, togliendogli il respiro.

Scartò immediatamente sulla sinistra, girando su se stessa per afferrare il braccio armato del calvo. Gli afferrò il polso con forza, colpendolo con una violenta gomitata allo stomaco che lo piegò in due all'istante. Fece leva sul suo braccio per colpire con un calcio all'indietro il numero tre, quello che lo sfregiato aveva chiamato Hans, dritto in faccia, ma non abbastanza rapidamente – il vestito troppo lungo le era d'intralcio – da impedirgli di colpirla al polpaccio con un grosso coltello serramanico. Ignorò il dolore e strinse con maggior forza il braccio del calvo. Calcolò l'angolazione giusta e lo abbatté contro il proprio ginocchio, spezzandolo così come avrebbe spezzato un rametto troppo lungo. L'urlo di dolore che emise venne soffocato dal primo sparo che sibilò nell'aria, a pochi centimetri di distanza dal suo viso.

Raccolse in fretta l'arma da fuoco abbandonata dal calvo, mirando senza esitazioni alla testa dell'uomo che le aveva sparato.

Ebbe appena il tempo di premere il grilletto che il numero quattro le fu addosso, sbattendola a terra senza troppi complimenti. Il contraccolpo le fece mancare il fiato e la costrinse a lasciar andare la pistola. Usò entrambe le mani per bloccargli la mano armata di coltello, e tutta la forza di cui disponeva per respingerlo al mittente. Il corpo pesante dell'uomo – almeno cento chili, valutò – la teneva saldamente schiacciata a terra: si risolse a tirargli una testata in pieno naso. Un sonoro crac annunciò ad entrambi che il setto era andato a farsi benedire.

Colse al volo il momento di shock, respingendo saldamente il polso con una mano, colpendolo violentemente tra le costole con l'altra, concedendole la leva necessaria per toglierselo di dosso.

Si accorse dell'ombra che incombeva su di lei e rotolò di lato appena in tempo perché il proiettile la colpisse alla spalla solo di striscio, prima di rimbalzare sull'asfalto e andare a finire chissà dove. Aveva messo KO un artigliere, reso inoffensivo l'altro, ma le loro armi erano state prontamente recuperate dai compagni.

La rabbia per la lentezza e la goffaggine con cui stava affrontando lo scontro le diede alla testa.

Afferrò lo spacco del vestito e tirò con tutte le forze, strappandolo fino almeno a metà coscia.

Estrasse la sua pistola, uccidendo in un batter d'occhio l'uomo che aveva provato a spararle e quello che stava per farlo. Un dolore lancinante al fianco l'avvisò che, almeno una delle coltellate era decisamente andata a segno. Ricacciò indietro il dolore e ruotò il busto per colpire l'assalitore – lo sfregiato, si accorse - con una violenta gomitata al viso, senza dargli il tempo di riprendersi la lama. Tirò fuori il coltello da sola, impedendosi in ogni modo di urlare. Lo scagliò agilmente contro il numero quattro, prendendolo in pieno petto. Sollevò il braccio armato e sparò all'unico sottoposto ancora in piedi prima di preoccuparsi del calvo col braccio rotto che stava freneticamente cercando di digitare qualcosa sulla tastiera di un telefono cellulare. Si curò di ficcargli una pallottola tra gli occhi prima di voltarsi a fronteggiare lo sfregiato che ancora annaspava in cerca d'aria.

Una promessa è una promessa”, gli annunciò con voce gelida, mascherando abilmente dolore e stanchezza per ottenere l'effetto desiderato: negli occhi dell'uomo vide per la prima volta il terrore.

Natalia rinfoderò la pistola, afferrando il lato opposto della gonna dell'abito per aprirsi a forza un altro spacco nello stoffa.

In piedi!”, gli ordinò a gran voce, furiosa.

L'uomo obbedì, le mani alzate a mo' di resa, il naso sanguinante, il labbro inferiore gonfio, una supplica biascicata in tedesco.

Si concesse un lungo attimo di pausa per riprendere fiato. Contò fino a dieci prima di correre verso lo sfregiato, darsi lo slancio per capovolgersi a mezz'aria, agganciargli le cosce attorno al collo e spezzarglielo in un unico, fluido movimento, prima di atterrare seduta a terra, la testa dell'uomo, ormai cadavere, appoggiata in grembo.

Chiuse gli occhi e serrò le labbra fino a farsi male, impedendo al suo cervello di registrare il dolore che pareva volerle esplodere in tutto il corpo, pretendendo attenzione.

No, si disse, non ancora.

In fondo alla strada, scorse le luci dei fanali di una macchina in avvicinamento.

Fece appello a tutte le poche energie che le erano rimaste per rimettersi in piedi, una strana sensazione alla base della nuca a suggerirle che qualcuno la stava osservando. Liquidò la cosa senza troppe cerimonie: sicuramente gli spari e le grida avevano attirato l'attenzione di qualche abitante del quartiere cui i festeggiamenti non interessavano, che adesso la fissava dalla finestra aperta, o attraverso le persiane. Non aveva tempo di preoccuparsi dei particolari.

Usò la gonna dell'abito per raccogliere tutti i coltelli, le pistole e i caricatori degli uomini di Billman.

Qualsiasi cosa il calvo avesse scritto, il messaggio era stato inviato: senza dubbio, la cavalleria l'avrebbe raggiunta al più presto.

Impugnò la sua Glock e rimase in mezzo alla strada per assicurarsi che l'automobile fosse costretta a fermarsi. Quando lo fece, puntò l'arma contro il conducente e lo costrinse ad uscire dall'auto in un portoghese, suo malgrado, incerto. Gli intimò di star zitto ma, visto che non sembrava né troppo lucido, né intenzionato a lasciar andare la sua macchina, si vide costretta a tirargli un pugno in faccia e a metterlo a dormire per un po'.

Dei tuoni lontani la informarono che la pioggia sarebbe arrivata a farle compagnia di lì a poco. Salì sull'automobile – un modello fin troppo antiquato per i suoi gusti, ma avrebbe dovuto adattarsi – rovesciò le armi sul sedile del passeggero e ripartì senza guardarsi indietro.

 

 

Sintra, Portogallo
Ore 00:03

 

Ultimamente i suoi film mentali venivano sistematicamente smentiti. Uno dopo l’altro.

Non che fossero particolarmente entusiasmanti o ricchi di colpi di scena sensazionali, ma il programma di una doccia, un pasto veloce e un pisolino in previsione del rientro negli Stati Uniti lo aveva allettato fin dal momento in cui aveva preso la decisione di farla finita con quella missione.

Invece la Vedova Nera cosa faceva? Non solo si liberava dei fastidiosi terzi incomodi – screanzati e impertinenti per altro; fino a pochi minuti prima, Clint era certo che la loro fosse una classica relazione a due, non un’orgiastica spedizione punitiva – ma si lanciava in un'improbabile fuga con una scassatissima Due Cavalli dallo sbiadito color porpora, verso lidi sconosciuti.

In realtà era certo non sarebbe riuscita ad andare troppo lontano. Non l’aveva vista particolarmente in forma. Così come lei aveva lasciato un ricordo indelebile e perpetuo ai danni dei suoi inseguitori, loro dovevano averle regalato un certa dose di buchi e antiestetici lividi.

Si era preoccupato di lasciarle un ricordino sul tettuccio della macchina: una delle sue frecce speciali, dotate di localizzatore, lo avrebbero condotto da lei con tutta calma. Certo, finché non avesse abbandonato la scassona.

Non poteva comunque dormire sugli allori e poi, ormai, dopo lo spettacolo gentilmente offerto dalle industrie circensi Black Widow & Co., aveva abbastanza adrenalina in corpo per affrontare indenne la notte.

Si procurò facilmente una vettura, grazie alla collaborazione dei suoi vigili contatti a New York.

 

Coulson, ma tu dormi mai?”

Ti ricordo che qui è giorno, Barton.”

Giusto. Forse allora dovrei dormire io.”

Cerca di non farlo mentre guidi.”

Come farei senza i tuoi preziosi consigli?”

 

Viaggiò per alcuni interminabili minuti, finché lo schermo del localizzatore non gli indicò che la macchina della dolce Natalia si era fermata da qualche parte, nei pressi di Sintra.

Ridente località situata nel distretto di Lisbona… citava la guida turistica. Avrebbero dovuto cercare alternative a quel grottesco aggettivo. Come venir accolti da un gruppo di locali, in preda a sghignazzanti convulsioni: non uno dei benvenuti più sereni. Qualcosa forse più nelle corde di qualcuno come Stephen King.

E solo allora si rese conto che giusto una descrizione del raccapricciante scrittore avrebbe potuto rendere l’idea del luogo in cui la Vedova Nera aveva deciso di trascorrere la sua contusa nottata.

I boschi che circondavano la cittadina erano un intreccio di alberi e sentieri che, con l’oscurità, non suggerivano luoghi sicuri. In più, il temporale ormai alle porte, il borbottio ancora lontano dei tuoni e i lampi che illuminavano a tratti un cielo terribile, davano ai dintorni un’atmosfera lugubre, condita di enfatica tragedia.

Si chiese se la donna non avesse scelto quel posto, convinta di trovarcisi a suo agio, come un vero aracnide, nella trama della sua ragnatela.

Avvicinò la Due Cavalli, abbandonata nei pressi di un inerpicato sentiero, probabilmente uno di quelli diretti al Castelo dos Mouros (famoso per le nebbie che ne circondavano le mura persino in alcune, assolate giornate estive) e non si stupì nel trovare tracce scure, di quello che doveva essere sangue, sulla ghiaia.

Una ruga di preoccupazione gli attraversò la fronte, quando si rese conto che la macchina della donna non era l’unica presente all’appello: un paio di SUV, neri come la pece, erano parcheggiati dalla parte opposta della strada.

Qualcun altro doveva aver avuto la sua stessa idea e il suo istinto gli suggeriva che doveva trattarsi della stessa gentaglia che aveva attaccato Natalia a Lisbona.

Ancora una volta inopportuni, ancora una volta a interferire con la loro intima disputa a due.

Raccolse arco e frecce, deciso ad addentrarsi nel bosco, pronto alla caccia. Per una volta tanto, perfettamente a tema.

 

Contro ogni previsione non gli ci volle poi molto per individuare il gruppo di uomini che si spostavano goffi e rumorosi su per la salita.

Decisamente li aveva sopravvalutati.

Ipotizzò fossero almeno una decina. Attivò gli occhiali notturni, abbarbicato su uno degli alberi attorno, complimentandosi per aver sbagliato il calcolo per un solo elemento dell’allegra comitiva.

Un piccoletto dall’aria stonata, seguiva il corteo, armato di comunicatore. Probabilmente un localizzatore, che Dio solo sapeva come avessero fatto ad applicarle. Forse una cimice fra i capelli, nelle pieghe dei vestiti… o fra le armi che la donna aveva caricato in macchina.

Si rese conto che Natalia doveva essere decisamente fuori fase per commettere un errore tanto grossolano. A meno che non fosse così folle da averlo fatto consciamente, per averli tutti al suo cospetto. Decise di scartare la seconda ipotesi.

La donna era in grossi guai e improvvisamente provò di nuovo quella lontana, insensata, forma di compassione.

Insensata? Oh, andiamo! Una decina di uomini contro una donna sola e per quanto letale, spaesata, ferita, al buio.

In realtà cominciava ad avvertire una sorta di perversa simpatia per il modo in cui era riuscita a risolvere la situazione a Lisbona: nemmeno le dettagliate descrizioni nei fascicoli dello SHIELD avrebbero potuto rendere appieno quello che aveva constatato con i propri occhi. Le complesse tecniche di combattimento, quelle braccia e quelle gambe, eccellenti armi da difesa. La profonda conoscenza di qualsiasi arma e del loro molteplice utilizzo. Una macchina da guerra.

Uno spreco doverla eliminare, un’offesa coinvolgerla in uno scontro impari, a maggior ragione se messo in atto da un gruppo di imbarazzanti e pretenziosi killer da quattro soldi.

Una risorsa che lo SHIELD forse avrebbe dovuto valutare con occhio critico, prima di dare ordine d’eliminazione sommaria.

Si maledisse per aver nuovamente messo in dubbio le decisioni dei superiori. Aveva imparato a gestire la disciplina ed era certo che non sarebbe stato così facile farlo cadere di nuovo in quel baratro oscuro da cui lo stesso SHIELD lo aveva ripescato. Doveva molto all’organizzazione, doveva loro forse tutto quello che era adesso, e allora per quale diavolo di motivo si trovava tormentato dai dubbi? A domandarsi se non avesse davvero nessuna voce in capitolo riguardo quello che era chiamato a fare?

Serrò le mascelle, finché non avvertì quel dolore alle tempie che lo riportò alla lucidità, alla concentrazione.

Quasi non si rese conto che aveva iniziato a piovere.

Primo obiettivo, rallentare e intralciare l’avanzata di quel gruppo di imbecilli in nero.

Natalia aveva bisogno di tempo.

 

Con la prima freccia fece cadere l’ultimo piccoletto della fila. Senza il cervellone tecnologico sarebbero stati privati dell’occhio di quel grande fratello che gli dava un ulteriore vantaggio.

Nessuno sembrò accorgersi della sua mancanza.

Con la seconda e la terza si portò a casa altri due trofei: uno cadde nel dirupo poco distante con una certa gradevole discrezione; l’altro, che si era allontanato per controllare nella boscaglia laterale, trovò la sua fine dentro una pozzanghera. Se gorgogliò qualcosa, nessuno se ne accorse.

Vai alla grande, Clint, si complimentò con se stesso, recuperando l’ennesima freccia dalla faretra.

Poi un movimento, quasi indistinto, alla sua destra. Un fruscio di fogliame così impercettibile, coperto dal picchiettare della pioggia, da poter essere frutto di una fervida immaginazione.

Puntò l’arco in quella direzione, senza riuscire veramente a distinguere qualcosa di concreto.

Assottigliò lo sguardo e la sua visione notturna gli suggerì che qualcuno, laggiù, stava osservando la scena dal suo nido di ragno.

Deviò la freccia e colpì l’uomo in cima alla fila, mandando in rapida confusione il gruppo.

 

Se dovevano scatenare l’inferno, che fosse almeno qualcosa di teatrale.

 

 

Sintra, Portogallo
Ore 00:07

 

Doveva ammetterlo: la quantità di uomini che Billmann le aveva messo alle costole l'aveva impressionata. Quindici in tutto secondo i suoi calcoli. Ciò che non l'aveva sorpresa affatto era la dimostrazione di incompetenza e inefficacia che un numero del genere suggeriva. Per quanto le costasse constatarlo, con le abilità e il sangue freddo adatti, anche un solo uomo sarebbe riuscito a metterla in difficoltà in giorni come quelli. Evidentemente, come tutti i parvenu, anche Billmann preferiva la qualità alla quantità. Su quel fronte, se non altro, non c'era proprio niente di originale.

 

Dai rami più alti e resistenti dell'albero prescelto, Natalia osservò il gruppetto farsi strada attraverso la pioggia e i boschi di Sintra. Decisamente non la meta che si era prefissata. Si era accorta di non poter continuare per molto, non con quella particolare auto e non in quelle condizioni: perdere i sensi al volante non era nella lista delle sue priorità. Avrebbe voluto trovare un ospedale, magari prendere in prestito disinfettante e bende, ricucirsi dove fosse stato necessario, ma i due SUV la individuarono prima di quanto avesse sperato. Era stata costretta a continuare per la sua strada e approfittare della fitta vegetazione offerta dalla località portoghese: non sarebbe stata in grado di affrontarli tutti insieme, ma – forse, nella migliore delle ipotesi – uno alla volta e col favore delle tenebre, sì.

 

Aveva avuto appena il tempo di accorgersi del localizzatore conficcato sul tettuccio dell'auto (tecnologia fin troppo sofisticata per una banda d'uomini tanto dozzinali), di recuperare il fatiscente kit di pronto soccorso nel bagagliaio (a che decade risalisse, esattamente, non lo sapeva, ma non prometteva bene) e di inforcare il sentiero per i boschi tanto velocemente quanto le sue condizioni le concessero. Individuato il punto migliore in cui fermarsi e scelto l'albero che offriva la posizione migliore rispetto al gruppo in avvicinamento, si era fermata per controllare il contenuto del kit: la buona notizia era che dentro aveva l'aria di essere decisamente più recente che fuori, la cattiva che quella quantità industriale di cerotti delle SuperChicche non le sarebbe stata granché d'aiuto. Spruzzò il disinfettante sul polpaccio e sul fianco bendati: entrambe le ferite grossolanamente fasciate con quella che era stata la gonna del suo abito, drasticamente accorciato sopra il ginocchio. Se doveva uccidere tutta quella gente, avrebbe avuto bisogno di piena mobilità.

Fece un rapido inventario delle armi a sua disposizione: la sua Glock, il suo coltello, una delle armi da fuoco requisite ai sei che le avevano fatto visita a Lisbona (aveva abbandonato il resto nel trabiccolo su cui era arrivata), munizioni. Non molto, ma si sarebbe dovuta accontentare. Il suo problema principale, al momento, era tutto il sangue che aveva perso e che ancora stava perdendo: se non si fosse data una mossa, il numero di uomini da sconfiggere sarebbe stato totalmente irrilevante.

 

Mise da parte il kit non appena ebbe deciso che era il momento di agire. Individuò immediatamente il suo primo obbiettivo (il più vicino all'albero su cui si trovava) e valutò un piano d'azione. Scelse poi le vittime successive a seconda della loro posizione e dall'oscurità del punto in cui si trovavano. Fu solo allora che si accorse che tre soggetti mancavano all'appello. Dove diavolo sono andati a finire? Non ebbe il tempo di scoprirlo: il capofila crollò a terra, colpito da qualcosa che Natalia non era riuscita ad identificare, mandando gli altri membri del gruppo allo sbaraglio.

 

Approfittò del parapiglia generale e si calò giù dal suo albero, lama del coltello stretta tra i denti, pistola in pugno. Atterrò alle spalle della prima vittima designata, l'afferrò da dietro prima di sgozzarlo con un movimento preciso. Il gorgoglio del sangue si confuse con quello della pioggia che scendeva dal cielo e in rivoli sul terreno fangoso. Usò il tronco come copertura e cercò di capire che cosa fosse successo. Che avessero improvvisamente deciso di ritorcersi gli uni contro gli altri? Possibile che la sua buona stella – non era poi tanto sicura di averne una – avesse deciso di inviarle un dono tanto provvidenziale quanto una faida interna alla squadra che avrebbe dovuto ucciderla? No, qualsiasi cosa avesse colpito il capo, era stata scagliata dall'alto ed era ormai piuttosto certa che i tre uomini mancanti fossero già stati messi KO senza che se ne fosse accorta. Un misto di gratitudine verso ignoti e fastidio pungente le riempì lo stomaco: qualcuno stava facendo il suo lavoro al suo posto. Decise, però, di rimandare le questioni etiche ad un altro momento.

 

Restò appiattita contro il tronco dell'albero e tese l'orecchio, sperando di poter indovinare la posizione dei restanti quattro uomini, ma il rumore della pioggia copriva tutti gli altri, permettendole a malapena di sentire le grida confuse dei superstiti. Non le restò altra alternativa se non quella di lasciarsi guidare da quelle: uscì allo scoperto, sulla destra, puntando l'arma davanti a sé. Individuò il bersaglio prima che quello potesse fare altrettanto con lei, piantandogli una pallottola alla base della nuca. Si tuffò nell'ombra di un albero vicino, facendo più fatica del previsto a mantenere l'equilibrio: la suola delle scarpe da tennis non era esattamente studiata per quel tipo di terreno. Una scarica di colpi le annunciò che la sua posizione era stata scoperta.

Non si scompose più di tanto – il tronco le offriva uno scudo sufficiente – e restò ad aspettare che le munizioni finissero. Il che accadde, puntualmente, solo una manciata di secondi più tardi. Ne approfittò immediatamente, piegandosi sulle ginocchia prima di sporgersi e far fuoco: altri due corpi rovinarono a terra, privi di vita. Il terzo, l'unico ancora piedi, stava indietreggiando e al tempo stesso armeggiando col caricatore della pistola che pareva essersi inceppata. Natalia prese un'improvvisa decisione e si rimise in piedi, uscendo allo scoperto. Avanzò verso di lui, tese il braccio davanti a sé, e quando gli fu ad un misero metro di distanza, aprì il fuoco, il buio e la pioggia ad inghiottire la nuvola scarlatta che si alzò dal cranio dell'uomo. Il delicato ciaf con cui il cadavere si accasciò a terra fu come manna dal cielo, anche se la sensazione di pericolo, alla base dello stomaco, non si dissipò come avrebbe voluto. Inspirò ed espirò ripetutamente, sforzandosi di non perdere concentrazione e lucidità. La luce di un lampo si fece strada tra le fronde degli alberi, illuminando il bosco per un misero istante: le fu sufficiente per accorgersi che c'era qualcosa a sporgere da alcune delle figure sparse tra la vegetazione. Ripiombò il buio prima che potesse capire di cosa si trattasse.

 

Ma non ce ne fu bisogno: un tonfo leggero alle sue spalle la costrinse a voltarsi di scatto. Un sibilo acuto a pochissimi centimetri dal suo viso, la Glock che le volò via di mano, lontana dalla sua presa, sparendo chissà dove nella boscaglia fangosa.

 

La punta della freccia scintillò nella notte.

 

 

 

Sintra, Portogallo
Ore 00:17

 

 

Il suo primo istinto fu quello di mettersi a ridere: che lei lo volesse o meno il famigerato vendicatore mascherato dei boschi di Sintra era arrivato a somministrarle la sua giustizia.

Con arco e frecce.

Arco e frecce, si ripeté, come per assicurarsi di non star vaneggiando tra i fumi della debolezza ormai imperante. Eppure era proprio così, si trovava faccia a faccia con Robin Hood e, cosa peggiore, era persino riuscito a disarmarla in un modo che, per altro, non le era ancora chiaro. Rifletté a fatica: quelle che aveva visto piantate nei cadaveri erano frecce. Le toccò ammettere che la sua “buona stella” aveva un aspetto tutt'altro che scontato.

Le ombre proiettate dagli alberi e il buio della notte celavano alla vista la maggior parte della figura che adesso le stava davanti, tenendola sotto tiro. Eppure, c'era qualcosa nei muscoli delle braccia, nelle vene che riusciva ad intravedere alla luce dei pochi raggi di luna che filtravano nel soffitto di foglie del bosco, che le risultò stranamente familiare. Come se l'avesse già visto prima.

Un'altra consapevolezza: il localizzatore sul tettuccio non apparteneva agli uomini di Billmann (Allora come hanno fatto a trovarmi tanto rapidamente?, altro quesito cui si sarebbe premurata di rispondere appena si fosse tirata fuori dai guai), ma allo sconosciuto.

Ripercorse, mentalmente e al contrario, la strada che aveva fatto da Sintra a Lisbona, al punto in cui lo sfregiato e i suoi amici l'avevano trovata, a quella sensazione di essere osservata dall'alto che aveva tanto stupidamente liquidato. Chi era e come faceva a sapere che si trovava a Lisbona? Fece un altro passo indietro: alla sera della festa di Sant'Antonio, al caos della Praça do Comercio, al turista americano dalle mani ruvide con cui aveva scambiato poche, distratte parole...

 

il gelo le scese nello stomaco. Un lampo improvviso li illuminò entrambi, confermando i suoi sospetti. Se fosse stata più in forma, più vigile, più attenta, si sarebbe maledetta fino alla nausea. Ingannata come una stupida principiante, pensò con rabbia.

 

Fammi capire, volevi avere l'onore?”, si ritrovò a chiedergli, alludendo agli uomini che l'aveva appena aiutata ad uccidere, in un inglese privo del benché minimo accento.

La mossa che fece successivamente, l'avrebbe ammesso in seguito, fu disperata e un tantino patetica: si abbassò sulle gambe e lo caricò a testa bassa – certa che non avrebbe potuto scoccare la freccia se gli fosse stata troppo vicina – stringendogli le braccia attorno ai fianchi prima di gettarlo a terra. Gli rovinò addosso, schizzando entrambi d'acqua e fango. Afferrò la struttura dell'arco e la spinse verso l'alto, cercando di inchiodargli arma e mani al terreno, operazione praticamente impossibile nelle condizioni in cui si trovava. Usò tutta la – poca – forza che le rimaneva, cercando al tempo stesso di piantargli un ginocchio tra lo stomaco o in mezzo alle gambe, ma Francis la ribaltò senza troppi problemi.

Si ritrovò immobilizzata a terra, il fiato corto, la vista sempre meno chiara, il freddo che sentiva nelle ossa – forse per la pioggia, forse per tutto il sangue che aveva perso - sempre più insistente, il doloroso pulsare della ferita al fianco. Non avrebbe resistito per molto.

Potevi almeno darmi il tempo di parlare!”, lo sentì ringhiare con tono indispettito, il che le provocò l'ennesimo accesso di rabbia insensata, quest'ultima esponenzialmente aggravata quando le sembrò di riconoscere il simbolo dello SHIELD impresso nella sua maglia.

Иди к чёрту!*” Non sarebbe morta per mano di un dannato arciere!

Le teneva ferme entrambe le gambe sotto una delle proprie, ma – con uno sforzo immane – Natalia riuscì a liberarne una e a tirargli un goffo calcio in un fianco. Non contenta, affondò i denti in una delle mani guantate dell'uomo, distraendolo abbastanza a lungo da riuscire a rotolare di lato e rimettersi in piedi, sporca di terra e sangue.

Barcollava pericolosamente, ma mantenne – praticamente per miracolo - una parvenza di equilibrio. Scosse la testa come per riacquistare lucidità, ottenendo solo di sentirsi pure peggio: sembrava che le tempie fossero sul punto di esplodere. Era sicura che Francis stesse ancora parlando, ma quello che aveva da dire non le interessava. Non aveva più niente da perdere: si preparò ad attaccarlo di nuovo, o almeno era quello che credeva di star facendo.

Non ebbe il tempo di muovere un passo: l'ennesimo sibilo a fendere l'aria, un clic ad interrompere, per un misero istante, il rumore della pioggia che continuava a cadere incessante, un bruciore insistente al collo e il mondo che ruotava come impazzito attorno a lei, le sue linee sempre più appannate e confuse...

 

La stanchezza prese finalmente il sopravvento, mentre freddo e buio inghiottivano il suo ultimo, incredulo pensiero: Uccisa da un arciere... come una stupida principiante...

 

 

 

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Note:

Va' all'inferno!” in russo.

 

 

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A/N: qualche anticipazione dal prossimo capitolo, per stuzzicare la curiosità di chi – magari – si è fermato a leggere la nostra PAMPINA ù_ù

 

 

**NEL PROSSIMO CAPITOLO**

 

Il viso di Natalia, ancora estremamente pallido, inoffensivo, sembrava meno sofferente di qualche ora prima.

 

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Magari era morta davvero e quello era il suo personalissimo inferno, dominato da caos e leggi prive di una qualsivoglia logica.

 

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Tutto quello che volevo era salire sul primo aereo per gli Stati Uniti, questa mattina”, chiarì “E invece sono qui, a sentirmi ripetere la stessa domanda. Francamente? Non lo so cosa voglio, o che cosa mi aspettassi. Forse di chiarirmi le idee sul perché mi sia esposto per salvarti il culo...”

Nessuno ti ha obbligato a tenermi in vita”, cercò di parlargli sopra, ma la ignorò.

 

 

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