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Autore: Im_Not_Okay    05/09/2013    1 recensioni
DAL PRIMO CAPITOLO: "Era più o meno mezzanotte e lui era uscito perché non riusciva davvero ad addormentarsi, erano ore che ci provava. Era uscito nonostante sapesse benissimo che quella era una città pericolosa. Ad ogni angolo potevi trovare spacciatori di droga, ladri pronti a fotterti il portafoglio, criminali pronti a spararti in testa senza "se" e senza "ma". Eppure Alex aveva deciso di uscire comunque.
[****]
Il volto completamente coperto da lacrime, calde, salate, pesanti... Dio, per quel che sapeva avrebbe potuto star piangendo sangue, tanto quelle gocce fuggitive facevano male. I singhiozzi gli impedivano anche di respirare, gli squarciavano il petto riducendolo a una piccola fogliolina tremante e impaurita rannicchiata in un angolo.
[****]
Il destino esisteva? Alex non lo sapeva. Nessuno lo avrebbe mai potuto sapere per certo. Ma di una cosa era sicuro, QUALCOSA che lo aveva spinto verso il piccolo che in quel momento era stretto al suo petto c'era. E sapeva che loro si erano sempre cercati, senza scoprirlo mai. Senza sapere nulla prima di quel momento. Ma ora, ora che si erano trovati... ora sapevano entrambi, sapevano che si erano cercati."
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E' una slash, omofobi VADE RETRO!!!! xD
Genere: Drammatico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
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Beh, ecco il terzo capitolo e... boh, non so che dire a parte che in questi giorni ho sospeso le due fanfic che stavo scrivendo sui My Chemical Romance. 
Questo perché ultimamente sto cadendo in depressione, sono 5 mesi che la band si è sciolta ma io ho realizzato solo adesso la cosa e... e niente sto male e mi serve tempo. 
Okay, non ho voglia di annoiarvi con i miei scleri, dai...
So ache avevo detto che avrei aggiornato ogni settimana, è che negli tulimi 7 giorni non ho proprio avuto un secondo di tempo per scrivere, scusate!
Solo un'altra cosa, poi vi lascio alla storia: ho dovuto cambiare rating per un motivo valido. Se leggete questo capitolo lo capite... o una cosa del genere...
 E boh, visto che comunque dovrò descrivere scene rosse (ovvio, se no, perché il rating?) e non saranno pochissime spero solo che qualcuno non mi abbandoni per questo u_u 











 
Incubi
 
 
Era passata una settimana. 
Ian era a casa, in camera sua, a distruggersi i polmoni con della marjiuana, come tutti i mercoledì pomeriggio. Dal piano di sotto sentiva i suoi genitori litigare, porte che venivano violentemente sbattute, sua madre piangere... 
I primi anni in quella situazione erano stati veramente duri per lui, poi ci aveva fatto l'abitudine. Era stato costretto ad abituarsi, si era detto che non doveva stare male tutte le volte. E così aveva fatto. Si ripeteva che appena avesse avuto diciotto anni sarebbe scappato, se ne sarebbe andato lontano da quella città, da quello stato, da quel continente. Proprio come aveva fatto suo fratello Connor. Già, quello stronzo che lo aveva abbandonato. Ma non ce l'aveva con lui, lo capiva. 
Lanciò il mozzicone della canna fuori dall'enorme finestra che dava su un cortile anc'esso enorme, immaginando che, atterrando sull'erba umida, facesse rumore, un suono simile a quello di un sassolino quando cade su un cumulo di foglie secche. Uno scricchiolio, simile a quello del legno che brucia. 
Si controllò l'addome, notando che i lividi violacei stavano iniziando a scomparire, fortunatamente. 
Le urla erano improvvisamente cessate, ora il vuoto silenzio che riempiva l'aria era spezzato solo dai singhiozzi strozzati di sua madre. E Ian sapeva che questo era un brutto segno.
Passi. 
Passi infuriati, passi nervosi, passi... pericolosi. E si avvicinavano.
Ian si schiacciò contro un angolo, sperando che le pareti riuscissero a risucchiarlo, in qualche modo. Sapeva cosa sarebbe successo di lì a poco e cazzo, avrebbe venduto l'anima per evitarlo. 
Erano questi i momenti in cui odiava dal profondo la madre per essersi risposata con una persona come Darren. Sì, sapeva che quando suo padre era morto avevano avuto problemi finanziari, che Darren era ricco e che avrebbe garantito a tutti un tenore di vita decente, un'istruzione di prim'ordine eccetera... ma lui avrebbe preferito morire di fame piuttosto. 
Sapeva che la porta stava per aprirsi, sapeva che era l'inizio della fine, sapeva che tutto questo lo stava distruggendo... sapeva molte cose, ma non conosceva la risposta all'unica cosa che volesse realmente comprendere: non sapeva cosa fare per evitarlo. 
Corse a sedersi sul letto e strinse al petto le ginocchia, puntando lo sguardo fuori dalla finestra, iniziando a contare quante volte sentiva le tortore cantare, se così poteva definirsi il loro verso. Tubavano, le tortore tubavano. Doveva ricordarselo, era quello il verso che facevano. 
Attorcigliò una ciocca di capelli alle dita... avrebbe dovuto tagliarseli presto, non gli piaceva come gli stvano quando li teneva lunghi. 
E poi la porta si aprì. 
A Ian quasi scappò una risatina isterica: tutto quello faceva molto film horror. 
Nonostante tutto non osò schiodare lo sguardo dalla libertà che stava fissando. Perché qualsiasi cosa si trovasse fuori da quella casa, che poteva sembrare sfarzosa e il sogno di chiunque ma in realtà era solo una delle più infime prigioni travestita da palazzo reale, era libera. 
La porta di legno scuro venne richiusa con violenza e uno scatto secco fece intuire a Ian che una chiave era stata girata nella serratura. 
Altri passi e ognuno di loro era una pugnalata. La paura bruciava nel suo stomaco, costringendolo a stringere le palpebre come fanno i bambini per scacciare un brutto sogno. Oh, avrebbe pagato fior di quattrini perché quello fosse solo un fottuto incubo. 
Una mano pesante gli si appoggiò sulla spalla, costringendolo a voltarsi e subito sentì gli occhi iniziare a pungergli e i singhiozzi fare capolino dal suo petto. Sapeva che più cercava di divincolarsi, di reagire, peggio sarebbe stato, ma non riusciva a stare fermo, a lasciare che tutto succedesse.
Una spinta forte e si ritrovò disteso. Darren lo fissava dall'alto, gli occhi chiari che brillavano di una strana e inquietante luce. Con un movimento rapido Ian si ritrovò a torso nudo e con delle mani grandi che perlustravano la pelle del suo torace, delle braccia, la carne attorno all'ombelico, fino a scendere più giù, sui suoi fianchi.
Si sentiva violato. Per l'ennesima volta. 
Cercò di sottrarsi, di allontanarsi, ma in un secondo i suoi polsi vennero bloccati e ogni tentativo divenne vano. 
I suoi jeans vennero lanciati sul pavimento, accartocciandosi su sé stessi, seguiti dai boxer. 
Le lacrime amara ruppero gli argini e corsero lungo le sue guancia. Si ritrovò a pensare tristemente che almeno loro potevano scappare da tutto quello. 
Poi i ricordi si offuscarono, diventarono vaghi come dopo tutto succedeva ogni volta. Ricordava poco, ma quel poco bastava a disintegrarlo dentro ogni volta che ci pensava.
Ricordava di essere stato costretto a voltarsi, di aver soffocato molte grida di dolore quando si era sentito spaccare a metà, che a ogni spinta era sempre peggio, a ogni affondo lo stomaco gli bruciava sempre di più, ricordava come si era sentito svenire quando si era reso conto che Darren gli era venuto dentro. E per quanto cercasse di reprimere i ricordi che gli si portavano davanti agli occhi ogni istante, quelli continuavano imperterriti a pararglisi davanti. 
Quando si era ripreso dal dolore era corso in bagno e, come tutte le volte, aveva frugato fra le sue cose fino a trovare una delletante lamette con cui si divertiva a "giocare" come diceva lui. 
Si sedette nella doccia e piantò in profondità la lama nel suo braccio martoriato, percorrendo tutta la linea del polso, quasi come se stesse disegnando un braccialetto. Guardò il liquido cremisi colare e sporcargli la pelle. Si sentì peggio di prima: ormai non sentiva più il dolore che aspettava sempre con ansia, il dolore fisico che imprediva ai suoi pensieri di focalizzarsi su quello psicologico. 
Chiuse gli occhi e lasciò che la lama giocasse con la sua pelle, tagliuzzandola dovunque possibile, lasciando provonde cicatrici e lievi taglietti da cui uscivano fiotti di sangue che sporcavano di cremisi tutto il suo corpo.

[****]            

Alex non sapeva bene cosa fare. 
Era passata una settimana e in quell'arco di tempo non aveva più rivisto Ian.
Il ragazzino, dopo essersi rivestito, aveva detto che non voleva nulla e che doveva tornare a casa e lui non aveva fatto nulla per impedirlo. E ora si sentiva uno schifo per aver lasciato che tutto tornasse come prima. Aveva sbagliato a non farsi dire nemmeno il cognome o dove vivesse, non poteva nemmeno denunciare i fatti alla polizia. Ma forse aveva fatto la cosa giusta. Sì perché chi era lui per intromettersi nelle via degli altri? Il mondo ha un proprio equilibrio ed è una cosa normale che siano i più deboli a pagare. 
SI sistemò meglio sulla poltrona. In tv stavano passando un sacco di programmi idioti e brucia neuroni. Non aveva voglia di uscire di casa, fuori il tempo non prometteva bene, grossi nuvoloni grigi solcavano il cielo. 
Si accucciò meglio nella coperta pelosa che supponeva fosse fatta di ciniglia e chiuse gli occhi. 

Si trovava in un campo, un grande campo aperto. 
L'erba cresceva rigogliosa e a perdita d'occhio, enormi campi erbosi. E c'era il sole, un sole limpido, cristallino, di quelli che ti mettono di buon umore e ti fanno sentire bene, al sicuro. Non una nuvola all'orizzonte. 
Non era solo, c'era altra gente con lui, ma nessuno gli prestava particolare attenzione. C'era qualche famiglia che aveva organizzato un pic-nic, ragazzi che giocavano a pallone, coppie che passeggiavano. E tutti i suoni erano ovattati.
Iniziò a camminare anche lui verso uno spiazzo coperto di margherite. Inciampò, su un sasso probabilmente, e si ritrovò disteso per terra. Rise. 
Fece per rialzarsi, ma appena si mosse sentì qualcosa afferrargli una caviglia e intrappolarlo. Girò il capo, allarmato e vide che dei rovi scuri nascevano sotto il terreno e si attorcigliavano attorno alle sue gambe, trascinandolo giù, nel sottosuolo.
Sapeva che non doveva andare là perché là c'era l'ombra e nell'ombra c'era dolore, c'era sofferenza. Lui doveva restare al sole. 
Iniziò a gridare, forte, a chiamare aiuto, ma nessuno corse da lui, nessuno lo liberò da quei rovi. Nessuno lo guardò. Tutti continuavano a giocare, ridere, scherzare e nessuno lo aiutava. Si sentiva abbandonato.
Le spine dei rovi squarciavano la stoffa dei suoi vestiti e laceravano la pelle. Chiamò ancora, gridò fino a che non iniziarono a fargli male i polmoni, ma nulla. Nessuno sembrava essersi accorto di lui.
Stava lentamente ma inesorabilmente sprofondando nel terreno, ormai la terra lo aveva risucchiato fino alla vita e Alex cercava ancora di liberarsi ma i rami spinosi gli impredivano sempre di più di muoversi, aggrovihliandosi attorno alle sue braccia, al suo collo e stringendo la presa.
Gli mancava l'aria, sicuramente sarebbe morto prima di vedere l'ombra. 
Combattè fino a che la terra non lo trascinò con sé interamente.


Alex si svegliò di soprassalto, cadendo dalla poltrona su cui si era appisolato. Era ancora scosso dal sogno che aveva fatto.
Si alzò in piedi: aveva capito. Finalmente aveva capito cos'era gusto e cosa sbagliato. Ian stava sprofondando nell'ombra, stava perdendo di vista il sole, stava soffocando in mezzo ai rovi. E lui era solo uno dei tanti spettatori che non facevano nulla, che fingavano di non vedere, che lo lasciavano morire.
No, Alex avrebbe cambiato il finale del sogno, avrebbe fatto qualcosa.
Prese la giacca e controllò di avere in tasca cellulare, chiavi e portafoglio, poi uscì di corsa. Doveva trovare Ian. Non sapeva come avrebbe fatto, non sapeva da dove cominciare. Decise di partire da dove era iniziato tutto.




 
Okay, gente, il capitolo non è molto lungo, ho preferito interromperlo così... 
Sì, non succedono belle cose... stupri, incubi, gente che si taglia... uhm, allegria portami via. Ma io lo avevo detto che questa storia non sarebbe stata rose e fiori in nessun punto, fatevene una ragione ^_^
Okay ciao!

bye

Jas
   
 
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