Capitolo
5: “Goodbye Tooru”.
La mia
prigionia ospedaliera durò qualche giorno: durante quelle
lunghissime ore il
mio cervello staccò del tutto la spina. Ogni cosa mi
appariva come completamente
deformata alla vista; i suoni ed i rumori erano amplificati ed i miei
orecchi li
captavano in maniera diversa. Tutto, tutto veramente confuso.
Astinenza
dallo scrivere; si,
la
chiamerei così. La mia personale droga, cui ormai ero
diventato dipendente.
Dovevo sfogarmi, vomitare un po’ della mia anima, per poi
ingerirla di nuovo
subito dopo. E magari dopo
cantare
un po’…
Portai
quindi
con fatica avanti le mie membra fino al pomeriggio in cui mio padre
venne a
riportarmi a casa. La notizia del mio tentato suicidio aveva ormai
fatto il
giro di tutto il quartiere.
Molti
sguardi. Sguardi
attenti, sguardi curiosi.
Sguardi
disgustati? Forse
solo sguardi invidiosi.
“Ciao
mamma,
ciao papà.”
Sorriso
di
circostanza: cos’è un
sorriso?
Stirare
le labbra, aprirle un po’. Mostrare i
denti.
Farlo per
motivi estetici. Farlo per mostrarti
sereno.
Farlo per
compiacere gli altri. Dai, che ci
riesci.
Non
è
cambiato nulla, papà.
Uno
sguardo fulminante di mio padre.
“Sei
il
disonore di questa famiglia.” un sussurro.
Un
ghigno. Due sguardi
increduli.
Cos’è
un ghigno? Stirare
le labbra, aprirle
un po’. Mostrare i denti.
Farlo
perché ti va. Farlo perché lo vuoi.
Farlo
perché fa veramente parte di te. Dai,
che ci riesci.
È
cambiato
tutto, papà.
“Chi
vuoi
che ti senta, papà? Puoi alzare anche la voce, se
vuoi.” un
urlo.
Basta
sussurri;
i sussurri non si
sentono.
Io
voglio
sentire tutto. Io voglio essere sentito.
Urlerò
quanto
voglio. E se la mia voce muore, lasciate la mia voce morire.
Urlerò.
Non
importa quante volte morirò o la mia voce morirà*.
Io ero io.
Io ero Kyo.
16/02/2008
Tokyo, Giappone
Caro
Tooru,
non so
perché
io stia scrivendo questa cosa.
“Cosa”, sì, perché
effettivamente non so
come io possa chiamarla. È una lettera? Sinceramente non
saprei definirla. Non
so molte cose, pare.
Sono solo
a
conoscenza che stamattina, dopo essermi svegliato e aver passato una
mezz’oretta buona a rimirare il volto addormentato di Daisuke
- chi è Daisuke?, dirai
- mi ha
sopraffatto il desiderio di scrivere. Di scriverti.
Ma cosa?
Non
saprei dirlo con certezza: la mia vita, forse? O come io ho
portato avanti
la tua?
Oggi
è il mio
compleanno. Compio trentadue anni, sai? Seppur ancora giovane mi sento
già
vecchio. Ogni giorno che passa mi porta a formulare un contatore
mentale
contenente i giorni di vita che mi rimangono. Uh, sono troppo attaccato
alla
vita, anche se spesso mi viene da desiderare la morte.
Daisuke - rieccolo!,
dirai - mi rimprovera per questa mia concezione
dell’età e dell’esistenza.
Secondo
lui tutti
noi possiamo rimanere giovani per sempre, basta rimanerlo dentro. Bah,
a mio
parere è solo un capro espiatorio per il fatto che ha tre
anni più di me. Come
tutti gli essere umani è spaventato dalla morte. Eppure,
è un fatto
scientifico: il corpo si deteriora anche se dentro hai la
coscienza di un
bambino. Non è l’anima che conta, nella
morte.
“Se
tutte le
morti fossero naturali morirebbero prima i vecchi.”, gli ho detto un giorno. E mi sembra
azzeccata come affermazione, no? Cioè, è
l’equilibrio della vita. Non c’è un
ipotetico Dio, o qualsiasi altra cosa a deciderlo: è la
natura. Ma lui non mi
ascolta. Ha tutte le sue teorie mentali che nessuno gli può
toccare. Nemmeno
io, che sono il suo uomo.
Già,
ho trovato
l’amore. E se non è amore, perché
non avendolo mai provato prima mi è
difficile capirlo, è qualcosa che ci va molto
vicino. È strano, lo ammetto.
Non avevo mai provato emozioni intime così forti ed allo
stesso tempo tanto
superficiali. Perché
è così: stando con
lui sono riuscito a ridere per la più piccola stupidata,
fino a pensare
concretamente che grazie ad un suo bacio il mio cuore avrebbe potuto
smettere
di battere. È una sensazione così potente che
spesso vorrei non provarla. Mi
atterrisce completamente, mi sovrasta. E sono cosciente che
potrebbe
uccidermi.
Ma che ci
posso
fare se un suo sorriso m’illumina la giornata? Sono diventato
così mieloso e
romantico che certe volte vorrei sotterrarmi da solo… ed il
resto della band
non si fa scrupoli nel, diciamo, sottolinearmelo. Già, la
band. I Dir en Grey.
Shinya,
Toshiya, Kaoru, Daisuke e io, Kyo. Una delle poche band giapponesi
attive da
dieci anni che hanno fatto successo al di fuori della madrepatria. Ci
credi?
Credici, perché è vero. Loro sono la mia
famiglia. Sai, tua madre e tuo padre
sono morti già da tempo. E mi pare inutile dirti che, da
quell’afoso giorno in
cui tuo padre mi riportò a casa, non mi rivolsero
più la parola.
Troncammo
i
rapporti, com’era giusto fare. Trovai affetto in questi
quattro ragazzi
dall’aria un po’ stramba e malmessa come la mia. In
questo gruppo io sono
cresciuto e sono divenuto ciò che sono adesso.
Perché sono cambiato. Ancora.
Se
tu ora ci fossi stenteresti sicuramente nel riconoscermi. Ne sono
fermamente convinto.
Ho
fatto così tanti cambiamenti nella mia vita che
anch’io spesso metto
in dubbio la mia stessa identità.
Chi sono io? Sono Kyo o sono
Tooru? Sono
io o sono te?
Forse
è stupido pensarlo. Tu sei morto in quell’insolito
freddo
pomeriggio di Primavera lasciandomi le redini della tua vita. Ci sono
io qui, e
non tu. Mi sento in colpa?
No, questo no.
Eppure
a volte ci spero. Io e
te insieme. Se
tu potessi tornare a quel pomeriggio
cosa faresti? Ti uccideresti ancora?
Forse
sono idiota. Ho letto da qualche parte che l’amore rende
sciocchi.
Sono
qui, vivo, e penso a te, morto. È una brutta cosa?
Non mi manchi, ma provo pena per
te.
Forse
è perché oggi compio gli anni e mi sento
già vecchio ed in fin di
vita. Già,
sarà per questo…
Sento
dei rumori provenire dalla stanza accanto. Daisuke si è
svegliato.
Ah,
quell’uomo è davvero rumoroso. Un giorno di questi
mi farà
diventare pazzo, sperando che già io non lo sia adesso e non
me ne sia accorto.
I
pazzi non
sanno di esserlo,
mi hanno detto una volta.
Non
penso di essere pazzo. In teoria i pazzi dovrebbero essere
spensierati, no? Io invece mi faccio di continuo problemi
esistenziali.Mi sa
che questa introspezione acuta me l’ hai lasciata dentro
te…
Continuo
anche a ferirmi. Non ne ho un motivo particolare, mi sfogo e
basta.
Tanti
graffi sul corpo, niente frustrazione dentro. Mi sento talmente
bene.
Forse
lo faccio anche perché un po’ mi ricorda te.
Io. Tu. Noi.
Magari
non ci crederai, ma una volta ti ho sentito piangere. Un piccolo
singhiozzo, nitido e goffo dritto dentro al mio cuore. È
lì che tu sei rimasto?
Certe volte me lo chiedo. Forse, se riuscissi a scavarmi dentro,
troverei il
tuo cadavere in decomposizione.
Tu, nel mio cuore…
sarebbe bello. Forse un po’ troppo
fiabesco, ma stupendo.
Un
lieto fine
per tutti e due.
Ti
piacerebbe, Tooru?
Io
e te, per sempre noi stessi. Insieme. In fondo abbiamo diviso lo
stesso corpo. Qualcosa ci ha unito, non credi? Ma non ho rimpianti,
Tooru.
Spero solo che neanche tu ne abbia.
Non
voglio essere troppo melodrammatico, ma questo credo sia il mio
addio. Ti ho vomitato all’interno e nascosto per tanto tempo
in un angolino del
mio cuore. Ti posso scordare definitivamente? Sarebbe meglio per
entrambi,
credo.
Sei
morto, ma
da qualche parte tu ci sei ancora. Ed
un po’ fa male.
Addio,
Tuo
Kyo
Dimenticavo: buon compleanno
anche a te.
OWARI
Note:
*” I’ll scream as much as I
want and if my voice dies, then let my
voice die.
I’ll scream, no matter how many times I’ll die
or
my voice will die “, citazione presa da “ C
“, contenuta nell’album “ Withering
to death “
Anno 2017 - ho modificato la storia, poiché piena di errori sintattici che mi facevano letteralmente venire la pelle d’oca. È comprensibile; in fondo quando l’ho scritta avevo più o meno tredici anni. Ho deciso di non mutare le frasi perché alla fine credo che questa long sia una di quelle a cui tengo di più, per cui mi sono limitata a levare il grassetto (che adesso odio) e sfoltire le virgole che tanto amavo usare anche in posizioni completamente errate. Suppongo che la lettura, così, sia molto più apprezzabile.
Ciao,
AintAfraidToDie