ATTENZIONE:
Carissimi lettori (ormai amici per lo più! :-P),
è
mio dovere informarvi
che
questa raccolta di
one-shot conterrà missing moments della famiglia Brief
(soprattutto
Bulma/Vegeta e qualche racconto delle avventure giovanili dei tre
moschettieri)
e, visto che molte saranno inerenti o successive agli avvenimenti
raccontati in
PRIDE AND PREJUDICE, è possibile che non troverete
aggiornamenti finché non
avrò finito (o comunque non sarò ad un punto tale
per cui si evitino grossi spoiler!).
Questo primo
capitolo è nato per un’esigenza fortissima di
scriverlo. Avrei preferito pubblicare anche questo più in
là ma non ce l’ho
fatta. Mi scuso se ci dovessero essere cose poche chiare, ma ripeto: a
tempo
debito ogni cosa verrà chiarita. I personaggi che vedrete
apparire saranno
ripresi in altri momenti e di loro saprete molto di più.
Inoltre i capitoli non
seguiranno un ordine cronologico.
Ammetto: questo
lavoro mi è costato qualche lacrima e (so che
sembra brutto da dire) in fondo spero che ne faccia scendere qualcuna
anche a voi.
Mi auguro che vi piaccia quanto piace a me.
Ne approfitto per
ringraziarvi come al solito per il supporto
ed il calore che dimostrate, leggendo e recensendo le mie storie. Un
grazie di
cuore a tutti voi!
Hurrem
1)
LE
PAROLE CHE NON TI HO DETTO
Ho
sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e
ora che non ci sei è il vuoto ad ogni
gradino.
Anche
così è stato breve il nostro lungo
viaggio.
Il
mio dura tuttora, né più mi occorrono
5 le
coincidenze, le prenotazioni,
le
trappole, gli scorni di chi crede
che
la realtà sia quella che si vede.
Ho
sceso milioni di scale dandoti il
braccio
non
già perché con quattr'occhi forse si
vede di più.
10
Con
te
le ho scese perché sapevo che di noi due
le
sole vere pupille, sebbene tanto
offuscate,
erano
le tue.
Eugenio
Montale
C’è
un vento fresco, segno che l’estate con la sua
afa insopportabile sta finalmente terminando. È quasi
fastidioso, ma non ha
voglia di rientrare in casa. Non ancora almeno. È una notte
insolitamente
limpida e si vedono le stelle.
Si
ostina a guardarle. Come se fossero lì per dirgli
qualcosa. Come il naufrago che rimira l’orizzonte in
direzione di casa. E non
capisce perché.
In
fondo, anche se fosse ancora nel pieno delle
forze, dubita che partirebbe davvero alla volta di un lontano sistema
solare.
Con quali propositi? I suoi capelli si sono ingrigiti, la coda
è andata
perduta, il suo spirito combattivo è ormai da tempo sopito e
la sua forza
spaventosa, l’unica certezza della sua vita fino
all’arrivo sulla Terra, si
affievolisce ogni giorno di più. Chi lo riconoscerebbe per
quello che è? Chi
proverebbe ancora terrore alla vista del grande principe dei sayan?
Il
vecchio principe dei sayan,
pensa stringendo i pugni sui
braccioli della vecchia sedia scomoda che si ostina a non voler
sostituire.
La
porta a vetro dietro di lui scorre nei cardini,
ma non ha bisogno di girarsi per sapere chi lo ha raggiunto
sull’ampio
terrazzo. La sua aura è inconfondibile.
Dall’interno proviene il solito chiasso
di quando si riuniscono tutti per cena: un miscuglio di piatti
sbattuti, sport
in TV e voci che cercano di sovrastarsi l’un
l’altra.
Poi
lei chiude la finestra e torna il silenzio. La
sente avvicinarsi in punta di piedi, per quanto glielo consentano
quelle scarpe
assurdamente alte e scomode che porta; poi le narici gli si riempiono
del suo
profumo floreale, mentre la percepisce chinarsi alle sue spalle per
posargli un
bacio sulla guancia ruvida. Il principe non si ritrae a quel gesto
sdolcinato e
sconveniente. Ormai ha imparato a farlo. Ormai non ha più
senso farlo.
“Ciao.”,
la saluta.
Lei
toglie le mani dalle sue spalle, gira intorno
alla sedia e si lascia cadere di traverso sulla soffice poltrona al suo
fianco.
Quando si decide a guardarla lei gli sta sorridendo e per un attimo,
come
sempre, gli sembra di soccombere di fronte ai suoi grandi occhi azzurri.
“Questo
lavoro è un vero inferno.”, sbuffa
sfilandosi le scarpe e incrociando le gambe sulla larga seduta.
“Lo
sai che non sei costretta a farlo, vero?”, le
dice lui senza smettere di guardarla. Ora che si è abituato
al suo viso la
sensazione di prima sembra scomparsa.
Lei
scuote appena la testa.
“E
tu lo sai, quanto alla fine lo amo lo stesso,
no?”
Sì,
lo sa. Tra tutti quanti è proprio lei la
naturale erede dell’immenso impero creato dal Dott. Brief;
l’unica in grado di
reggere il confronto con chi ha guidato l’azienda negli anni
passati.
“E
comunque non hai nient’altro da dirmi?”
Suo
malgrado Vegeta si lascia sfuggire un sorriso
ironico.
“Non
fare troppo la furba con me, mocciosa. Ti ho
già fatto gli auguri stamattina.”
Lei
non risponde, ma sembra canzonarlo mentalmente.
Quel sorriso sardonico ed impertinente Vegeta lo conosce bene.
“Tu
ti ricordi di quando hai compiuto trent’anni?”,
gli domanda, sporgendosi verso di lui.
“È
stato il primo compleanno che ho festeggiato.”,
replica lui, quasi disgustato di come facilmente sia riemerso quel
ricordo.
“…
che mi hanno costretto a festeggiare, in realtà.”
Lei
si tiene per sé ulteriori curiosità, ma Vegeta
sa bene che non è difficile immaginare chi può
aver costretto il principe dei
sayan a fare qualcosa. Restano in silenzio per qualche minuto.
È anche per
quello che lei gli piace. Non è una gran chiacchierona.
“Tua
nipote ha fatto sapere che stasera ci degna
della sua presenza.”, aggiunge lei sovrappensiero.
Anche
se non fosse l’unica a non vivere con loro,
Vegeta non avrebbe bisogno di chiedere quale. A tutti i ragazzi piace
prenderlo
in giro sul presunto rapporto privilegiato con la primogenita di
Trunks, anche
se lei è l’unica che ci crede davvero.
Può
immaginare perché lo pensa. Perché lo pensano
tutti.
“Tu
non sei mia nipote?”, chiede risentito.
“Sì,
ma io non porto il nome del grande e potente
principe dei sayan.”, ribatte lei sciogliendo la lunga coda
di capelli lilla.
No.
Ne porti uno molto più importante.
“Solo
perché tua sorella mi somiglia ed ama
combattere, non vuol dire che sia la mia preferita.”
Lei
lo guarda alzando le sopracciglia in
un’espressione di educata incredulità.
“Ah,
no?”
“No.”
“E
allora chi sarebbe?”, lo stuzzica ancora lei.
“Nessuno.
Siete tutti insopportabili.”
Ride.
E lui non sa se odiare quel suono o sentirsi
sollevato del fatto che qualcuno alla Capsule Corporation stia tornando
a
divertirsi.
Seguono
altri minuti di silenzio.
“Sto
pensando di sposarmi.”, dice lei
all’improvviso, cogliendolo di sorpresa.
Vegeta
la studia un istante. Prova ad indovinare
cosa si cela sotto quella confessione impulsiva, ma sua nipote sa
essere
ermetica quanto lui a volte.
“Credo
che a zia Bra piacerebbe un sacco organizzare
un matrimonio.”, aggiunge.
Oh,
di questo ne è sicuro. Bra andrebbe fuori di
testa. Ma non
è questo il punto.
“Fallo,
se ti rende felice.”, commenta lui laconico.
Lei
chiude gli occhi assaporando la brezza notturna
sul viso, i lunghi boccoli che ondeggiano nel flebile vento.
“…
e poi è ora di ricominciare a dare feste in
questa casa, non credi?”
Vegeta
prende tempo. Respira.
“Mi
stai chiedendo il permesso?”
“Non
sei tu il grande capo, qui?”
Non
risponde. A rigore di logica, sì. Ma ora si
sente solo un vecchio stanco e maledettamente robusto. Deve dire grazie
ai
peregrinaggi della sua gioventù se il suo sistema
immunitario lo ha reso
straordinariamente resistente. Il suo rivale invece, da bastardo
fortunato
quale è sempre stato, se ne è andato per via di
una banale malattia infettiva
pochi anni addietro, prima del declino fisico a cui invece lui
è destinato ad
andare incontro. E così ha battuto Kakaroth
nell’unica cosa che non gli
interessava davvero: la longevità.
“Sposati.”,
le comunica infine. “Quel tipo che ti
sei presa non mi sta antipatico.”
“Oh,
è un sollievo sentirtelo dire!”, ride lei
divertita, poi si porta le ginocchia al mento e si rannicchia sulla
poltrona.
Si
ritrova di nuovo a guardarla.
È
bellissima. Così simile a suo padre e l’unica di
sei nipoti ad aver ereditato quegli occhi. D’un tratto la
ricorda bambina,
quando si rannicchiava allo stesso modo fuori dalla Gravity Room,
aspettando la
fine dei suoi allenamenti per arrampicarglisi in braccio e reclamare le
sue
attenzioni. Si ostinano tutti a dire che Vegeta è da sempre
la cocca del nonno,
ma in realtà è lei che ha viziato più
di chiunque altro. Vegeta è sempre stata
troppo sveglia e indipendente, un gatto selvatico poco bisognoso di
cure. Lei
invece ha sempre cercato la sua compagnia con ostinazione e senza
pretese.
“Io
e Bunny siamo scese giù al laboratorio, oggi… a
fare un po’ di pulizia.”
No.
Di questo non vuole parlare. A questo non vuole
pensare.
“C’era
un sacco di roba. Abbiamo pensato che forse
volevi tenere qualcosa…”
Perché
dovrebbe? Proiettare il dolore sugli oggetti
è inutile. Tutto questo… tutto questo
è senza senso per un sayan.
Ma
lui un sayan lo è ancora? Lo è mai stato?
“Vuoi
vedere cosa abbiamo trovato?”, gli chiede con
sguardo incoraggiante.
Se
dice di no, cosa penserà di lui? È già
abbastanza
dura sapere la verità. Sentire quello che sente senza che
gli altri se ne
accorgano. Anche se dal modo in cui lei lo guarda si capisce che tutti
lo
sanno.
“Fammi
vedere.”
È
una resa. O forse un cocciuto barlume di fierezza
per ostentare una falsa indifferenza.
“Vado
a prendere la scatola.”, dice alzandosi e
infilando veloce le scarpe.
Si
allontana lesta e lui non può fare a meno di
continuare a fissare la poltrona vuota.
La SUA
poltrona. La poltrona che da sei mesi è di tutti e di
nessuno.
Sei
mesi…
Sei
mesi senza la sua voce irritante nelle orecchie.
A volte è così doloroso che sembra spazzare via
ogni cosa: Freezer, l’inferno,
le umiliazioni, la sconfitta… Pensava che la disperazione
provata negli anni
oscuri della sua gioventù non si sarebbe mai più
ripresentata, ma non è così.
È
un dolore sordo, che non finisce mai. Peggiore di
qualsiasi ferita, di qualsiasi frattura.
Se
lei fosse lì in quel momento sa perfettamente
cosa farebbe: lo butterebbe giù dalla sedia dandogli dello
smidollato e
spingendolo a forza nella Gravity Room, anche se ormai a malapena
riesce a
sopportare una gravità 200 volte superiore a quella
terrestre. D’altro canto è
pur vero che se lei fosse lì, lui non se ne starebbe seduto
gran parte del
tempo come un fantoccio privo di dignità.
Deve
smettere di pensare a cosa farebbe lei. Lei non
c’è.
Sei
mesi.
Sei
mesi da quando gli ha sorriso l’ultima volta.
Pallida, magra e sfinita. Solo il fantasma di quello che un tempo era
stata.
Lei
ha rovinato tutto. Ha rovinato tutta la sua vita
e non la perdonerà mai per questo.
Le
cellule dei sayan invecchiano più lentamente di
quelle degli abitanti della Terra. È semplice biologia ed
è anche un segno
della superiorità della sua razza, rispetto a quella a cui i
suoi figli
appartengono per metà. Lei gli ha fatto desiderare di non
essere un sayan. Gli
ha fatto desiderare di essere un volgare, insignificante e fragile
terrestre.
Lei
ha rovinato tutto. Ha reso i suoi pensieri un
sacrilegio.
Lei
ha visto il suo animo mostruoso e lo ha
accarezzato fino a sanarlo. Lei ha posato le sue labbra morbide su mani
macchiate dei più orribili crimini. Lo ha amato senza
riserve, lo ha reso
schiavo del suo corpo prima col sesso e poi chissà con
cos’altro.
Lei
lo ha salvato. Lei gli ha dato più di
sessant’anni in paradiso e non la perdonerà mai
per questo.
Forse
la punizione decisa fin dal principio per le
sue colpe è quella… dover sopravvivere senza di
lei.
Ormai,
è senza natura. I sayan muoiono combattendo.
Così è sempre stato. Ma adesso lui è
solo e un giorno, chissà quanto lontano,
lascerà questo mondo per via della banale ed imbarazzante
vecchiaia. Eppure non
riesce nemmeno a desiderare una morte improvvisa ed indolore
perché sa che lì,
dietro alle finestre alle sue spalle, ci sono persone che hanno ancora
bisogno
di lui.
Maledetta
donna. Cosa mi hai fatto… Ero un principe. Il signore
dell’universo. Un invincibile
distruttore. Tu mi hai reso niente.
All’inizio
della settimana suo figlio e Goten sono
riusciti a trascinarlo al fiume per pescare. In loro due
c’è qualcosa che
ancora oggi li fa sembrare due ragazzi spensierati, nonostante i figli,
la
pensione e tutto il resto. O forse sono solo i suoi occhi di padre a
vederli
così. Il giorno prima invece si è allenato. Poco.
Male. Ma comunque l’ha fatto.
Trunks, che da quando ha lasciato tutto in mano ai ragazzi non sa come
passare
la giornata, si è unito a lui per qualche ora. Sono questi
brevi attimi di
normalità che gli fanno pensare che forse alla fine
è destinato a guarire
comunque. È la natura umana, secondo Bra.
Umano.
Quando
è arrivato sulla Terra la prima volta, quella
parola per lui non significava che debolezza ed inferiorità;
ora ha capito
molto cose sugli esseri umani a cui pensava di non appartenere, ma il
significato di quel termine non è cambiato.
Non
è degno di un sayan svegliarsi la notte e
sperare per un folle istante che sia stato tutto un lungo
sogno… che quando
aprirà gli occhi una giovane scienziata testarda lo
importunerà invadendo il
suo spazio vitale e solleticandogli il collo con i capelli
turchini… che
finiranno avvinghiati tra le lenzuola gemendo, incuranti del moccioso
che dorme
nella stanza accanto…
O
forse sì. Forse anche i sayan amano. In fondo lui,
Kakaroth e Tarble hanno voluto bene a qualcuno.
No.
Lui
di più. Nessun altro ha provato quello che è
spettato a lui. Non è paradossale e ridicolo che debba
sentirsi migliore degli
altri persino nelle debolezze? Che debba mettere su un piedistallo non
se
stesso, ma il sentimento provato per una donna?
Solo
una donna. Eccezionale, è vero. Ma pur sempre
un minuscolo e misero essere vivente.
La
cosa peggiore è che a volte qualcosa di lei comincia
a sfuggirgli. Il suo modo di mordersi il labbro si dissolve, il suono
della sua
risata si affievolisce, le cose che gli ha detto si confondono nella
sua testa.
Quando succede va in camera sua. Nella LORO camera. Prende il solo
video che ha
rubato nell’archivio della sala cinema, per non farne notare
la mancanza ai
ragazzi. Non gli importa di averlo visto già centinaia di
volte. Non gli serve
vedere qualcosa di nuovo. Gli basta vedere lei. Resta a contemplare la
sua
immagine che saluta la videocamera mentre culla Bra, la ascolta per ore
ridere
alle battute di Trunks e la guarda lottare ostinata con un se stesso
molto più
giovane per trascinarlo davanti all’obiettivo.
Si
nutre di lei fino a che i pezzi del mosaico non
tornano a posto.
Lo
fa finché i ricordi non smettono di sbiadire.
Ogni
volta che la vede comparire sullo schermo, ogni
volta che si disonora aprendo il suo armadio che ancora nessuno ha
avuto il
coraggio di svuotare, qualcosa in fondo alla sua gola lotta
disperatamente per
uscire. Lui non glielo permette. C’è ancora un
po’ d’orgoglio dentro l’inetto
principe dei sayan. Lo stesso orgoglio che ha trattenuto quelle parole
mai
dette, nonostante una parte di lui si stesse sforzando di pronunciarle,
nell’ultimo
giorno di vita della sua metà.
Ci
sarebbe riuscito. A dirglielo. Lo sa.
Ma
quella donna straordinaria lo aveva sorpreso
ancora. Lo aveva fermato, aveva messo fine al suo balbettio sconnesso.
Lo
so, aveva detto con un sorriso sofferto, unica
scintilla di vita in un corpo ormai allo stremo.
No.
Non ci deve pensare. Non vuole ricordarla così.
È
molto meglio pensare alle cose di lei che la
malattia non ha cambiato… Le cose che rivede tutti i giorni
nei suoi nipoti e
che in un certo senso gli sono di conforto: la testardaggine di Vegeta,
i
capelli di Nami, la bocca di Bunny, la linguaccia lingua di Rickon e il
fascino
di Bran. E poi naturalmente gli occhi…
La
porta scorre nuovamente. Sua nipote è tornata. Per
un attimo ha sperato che non lo facesse, ma non sarà una
cesta piena di cose
inutili a sconfiggerlo. Non deve permettere che accada una cosa del
genere.
La
ragazza si siede di nuovo accanto a lui e gli
posa sulle gambe una scatola di cartone.
“Puoi
buttare qui tutto quello che non vuoi.”, gli
dice indicando un’altra scatola vuota.
Vegeta
distoglie malvolentieri gli occhi da lei e li
porta sul contenuto misterioso.
Ha
creduto che ci fosse chissà cosa, lì dentro.
Chissà quale tesoro. Invece sono tutte cianfrusaglie:
vecchie agende, piccoli
prototipi, qualche indumento che non ricorda nemmeno di averle visto
indossare,
una collana, un giocattolo mordicchiato, una foto risalente ad almeno
40 anni
prima che lei gli ha scattato di nascosto mentre dormiva…
Che razza di stupida,
come si è permessa?
In
ogni caso, non c’è nulla che valga la pena
conservare. Getta tutta quella roba nella scatola vuota che
finirà tra i
rifiuti, poi tira fuori un plico di fogli legati con dello spago e dopo
averlo
esaminato velocemente lo passa alla nipote.
“Questo
dallo a tuo padre, vorrà tenerlo.”
Lei
annuisce e sfoglia malinconica la risma di
disegni buffi che lei, le sue sorelle, suo fratello e i suoi cugini
hanno fatto
per la nonna da bambini. Incredibile che lei li abbia tenuti tutti.
Sono
rimaste solo due cose sul fondo dello
scatolone. Vegeta afferra la prima incredulo e si ritrova a sorridere
di fronte
al suo vecchio scouter. Per quale motivo lei l’abbia
conservato è un mistero. Forse
l’aveva soltanto dimenticato in un cassetto.
“Questo
puoi anche buttarlo. Non serve più a
nessuno.”
“A
dire la verità vorrei tenerlo.”, risponde la
giovane.
“Sai
cos’è, almeno?”, chiede lui, curioso del
suo
interesse.
“Sì,
l’ho scoperto accendendolo. Voglio lavorarci su
e capire se posso convertirlo in qualcosa di commercialmente
interessante.”
Vegeta
la osserva rigirarsi lo scouter tra le mani e
non può fare a meno di pensare a lei di nuovo. Al modo in
cui le sfide tecnologiche
la entusiasmassero. Al fatto che quella stronzetta geniale non
è mai stata
seconda a nessuno degli scienziati di Freezer…
“Questo
invece non riesco proprio a capire
cos’è…”,
afferma sua nipote afferrando l’ultimo oggetto.
Per
Vegeta è una sorpresa. Da anni nessuno ne ha mai
più avuto bisogno ed ha la sensazione che sia un bene.
Toglie l’oggetto dalle
mani della donna e lo accende con il grosso pulsante al polo superiore.
Un punto
luminoso si accende sulla mappa proprio in corrispondenza delle
coordinate su
cui poggia la sua casa: segno che funziona ancora, visto che nella loro
cassaforte
è custodita da almeno trent’anni la sfera con una
stella. Sa anche che se
allargasse il campo vedrebbe un identico punto lampeggiare in
corrispondenza
dei monti Paoz.
Se
ci pensa è stato proprio quell’aggeggio a
portarla da lui. A portarla su Namek e poi in quella foresta. Ma ancora
prima…
è stato grazie a quell’oggetto se lei ha
incontrato Kakaroth, legando per
sempre il suo destino a quello dei sayan. È buffo pensare
che tutti gli
abitanti di quella casa non esisterebbero, se non ci fosse stato il
piccolo e
vecchio radar che stringe tra le mani.
“Anche
questo non serve più a nessuno, ma non
buttarlo.”
“Ma
si può sapere cos’è?”, chiede
lei un po’
irritata. Di sicuro non riesce ad accettare che qualcosa sfugga alla
sua
intelligenza fuori dal comune.
In
quel momento Rickon irrompe sul terrazzo con tre
birre tra le braccia.
“Ehi
voi due! Stiamo per dare una festa di
compleanno, ve ne siete dimenticati?”
Senza
attendere risposta li raggiunge e infila una
birra in mano ad entrambi.
“Deve
ancora arrivare Vegeta.”, gli fa notare la
ragazza, prima di bere.
“Tanto
per dovere di cronaca: papà e Goten stanno di
nuovo litigando sul football, Bunny e Nami stanno cucinando, il che, da
un lato,
ci da la speranza che riescano ad avvelenare la nuova ragazza di Bran.
Vi giuro,
è ancora più stupida di quanto mi
aspettassi.”, snocciola il giovane, sorseggiando
dalla bottiglia.
Lei
ride alle battute del fratello.
“Saranno
anche stupide...”, interviene Vegeta. “Ma sono
di sicuro più carine di quelle che porti tu.”
Rickon
e sua sorella ammutoliscono sbalorditi nel
sentirlo fare una battuta e qualcosa nel principe dei sayan prende
vita. Qualcosa
di quasi dimenticato, ma liberatorio. Scoppia a ridere. Vede i suoi
nipoti
guardarsi increduli a bocca aperta e la risata, seppur conclusa, lo
scalda. Scioglie
un po’ il ghiaccio che si sente dentro.
Rickon
si riprende dallo shock e gli sorride in modo
sfacciato, in una fedele imitazione del padre quando aveva la sua
stessa età.
“Cominciavo
a pensare che fossi diventato troppo
vecchio per tenermi testa, nonno.”
“Pensavi
male, moccioso.”, gli risponde prontamente.
Anche
la donna non riesce a celare il sollievo sul
volto e Vegeta capisce che si è dimenticata del radar,
ancora nella sua mano.
“Dai,
entriamo.”, gli fa cenno il ragazzo,
dirigendosi felice all’interno. Vegeta si alza e da dietro il
vetro lo scorge
andare dritto dal padre, per dirgli qualcosa. Scorge Trunks sorridere e
può
immaginare che Rickon gli abbia detto di averlo sentito ridere. Razza
di
spione.
Anche
sua nipote lo precede, ma prima che possa
rientrare Vegeta la ferma.
“Aspetta,
Bulma.”
Lei
si gira. Lo guarda e vede che gli sta porgendo
il piccolo oggetto di funzione ignota.
“Dallo
a Gohan. O a Pan. A loro piacerebbe averlo.”
In
fondo, quel radar è un ricordo di Kakaroth,
quanto lo è di sua moglie.
Lei
lo prende confusa e gli rivolge uno sguardo in
cui Vegeta prova un insano piacere a perdersi.
“Non
mi dirai cos’è, non è vero?”,
gli chiede
prendendolo sotto braccio e trascinandolo in casa.
Vegeta
sorride.
“È
solo un orologio.”
Eccomi
qui, dopo aver scritto questa lagnosissima
one-shot senza senso! Vi è piaciuta almeno un
po’??? Spero di sì. E spero che
con il casino dei nomi non si confondano i personaggi tra di loro! Ho
cercato
di non nominare Bulma per tutto il capitolo, e mi auguro che si capisca
quando
si parla di lei e quando invece della nipote. Anche il fatto di avere
due
Vegeta è stato alquanto stressante, ma per fortuna hanno
sessi differenti, il che
dovrebbe risultare in una stesura meno ingarbugliata. In ogni caso
attendo i
vostri giudizi trepidante. Come ho già detto, non
c’è collegamento logico tra
le one-shot che pubblicherò qui (o almeno l’idea
è quella).
Per
quanto riguarda i nomi dei nipoti
di Vegeta: sulla scelta di chiamare le prime due come i nonni vi
dirò altro più
avanti. Bunny l’ho scelto perché sono sempre stata
convinta che fosse il nome
della mamma di Bulma, salvo poi scoprire che non è
così (cosa mi ero bevuta per
pensarlo non lo so!). Nami è il nome della protagonista di
One Piece e visto
che è un personaggio ispirato a Bulma ho pensato di prendere
in prestito il suo
nome. Rickon e Bran (diminutivo di Brandon) sono personaggi del Trono
di Spade,
di Rickon mi piaceva il suono, mentre il nome Bran è molto
simile a quello
della mamma, che sarebbe Bra. Vi piacciono? Fatemi sapere, please!
Prossimo
aggiornamento: Sweet child o’
mine (ma abbiate un po’ di pazienza, è un periodo
tremendo!)
Baci
a tutti!