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Autore: hurrem    14/09/2013    8 recensioni
Raccolta di missing moments della famiglia Brief, basandomi su quanto raccontato nelle mie due long-fic "Sweet child o' mine" e "Pride and Prejudice". Nessun ordine cronologico.
Dal primo capitolo: "Poi lei chiude la finestra e torna il silenzio. La sente avvicinarsi in punta di piedi, per quanto glielo consentano quelle scarpe assurdamente alte e scomode che porta; poi le narici gli si riempiono del suo profumo floreale, mentre la percepisce chinarsi alle sue spalle per posargli un bacio sulla guancia ruvida. Il principe non si ritrae a quel gesto sdolcinato e sconveniente. Ormai ha imparato a farlo. Ormai non ha più senso farlo.
“Ciao.”, la saluta.
Lei toglie le mani dalle sue spalle, gira intorno alla sedia e si lascia cadere di traverso sulla soffice poltrona al suo fianco. Quando si decide a guardarla lei gli sta sorridendo e per un attimo, come sempre, gli sembra di soccombere di fronte ai suoi grandi occhi azzurri."
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bra, Bulma, Goten, Trunks, Vegeta | Coppie: Bra/Goten, Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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ATTENZIONE: Carissimi lettori (ormai amici per lo più! :-P), è mio dovere informarvi che questa raccolta di one-shot conterrà missing moments della famiglia Brief (soprattutto Bulma/Vegeta e qualche racconto delle avventure giovanili dei tre moschettieri) e, visto che molte saranno inerenti o successive agli avvenimenti raccontati in PRIDE AND PREJUDICE, è possibile che non troverete aggiornamenti finché non avrò finito (o comunque non sarò ad un punto tale per cui si evitino grossi spoiler!).

Questo primo capitolo è nato per un’esigenza fortissima di scriverlo. Avrei preferito pubblicare anche questo più in là ma non ce l’ho fatta. Mi scuso se ci dovessero essere cose poche chiare, ma ripeto: a tempo debito ogni cosa verrà chiarita. I personaggi che vedrete apparire saranno ripresi in altri momenti e di loro saprete molto di più. Inoltre i capitoli non seguiranno un ordine cronologico.

Ammetto: questo lavoro mi è costato qualche lacrima e (so che sembra brutto da dire) in fondo spero che ne faccia scendere qualcuna anche a voi. Mi auguro che vi piaccia quanto piace a me.

Ne approfitto per ringraziarvi come al solito per il supporto ed il calore che dimostrate, leggendo e recensendo le mie storie. Un grazie di cuore a tutti voi!

Hurrem

 

 

 

 

1)      LE PAROLE CHE NON TI HO DETTO

 

 

 

 

      Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale

      e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.

      Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.

      Il mio dura tuttora, né più mi occorrono

5     le coincidenze, le prenotazioni,

      le trappole, gli scorni di chi crede

      che la realtà sia quella che si vede.

 

      Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio

      non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.

10   Con te le ho scese perché sapevo che di noi due

      le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,

      erano le tue.

 

Eugenio Montale

 

 

 

 

 

C’è un vento fresco, segno che l’estate con la sua afa insopportabile sta finalmente terminando. È quasi fastidioso, ma non ha voglia di rientrare in casa. Non ancora almeno. È una notte insolitamente limpida e si vedono le stelle.

Si ostina a guardarle. Come se fossero lì per dirgli qualcosa. Come il naufrago che rimira l’orizzonte in direzione di casa. E non capisce perché.

In fondo, anche se fosse ancora nel pieno delle forze, dubita che partirebbe davvero alla volta di un lontano sistema solare. Con quali propositi? I suoi capelli si sono ingrigiti, la coda è andata perduta, il suo spirito combattivo è ormai da tempo sopito e la sua forza spaventosa, l’unica certezza della sua vita fino all’arrivo sulla Terra, si affievolisce ogni giorno di più. Chi lo riconoscerebbe per quello che è? Chi proverebbe ancora terrore alla vista del grande principe dei sayan?

Il vecchio principe dei sayan, pensa stringendo i pugni sui braccioli della vecchia sedia scomoda che si ostina a non voler sostituire.

La porta a vetro dietro di lui scorre nei cardini, ma non ha bisogno di girarsi per sapere chi lo ha raggiunto sull’ampio terrazzo. La sua aura è inconfondibile. Dall’interno proviene il solito chiasso di quando si riuniscono tutti per cena: un miscuglio di piatti sbattuti, sport in TV e voci che cercano di sovrastarsi l’un l’altra.

Poi lei chiude la finestra e torna il silenzio. La sente avvicinarsi in punta di piedi, per quanto glielo consentano quelle scarpe assurdamente alte e scomode che porta; poi le narici gli si riempiono del suo profumo floreale, mentre la percepisce chinarsi alle sue spalle per posargli un bacio sulla guancia ruvida. Il principe non si ritrae a quel gesto sdolcinato e sconveniente. Ormai ha imparato a farlo. Ormai non ha più senso farlo.

“Ciao.”, la saluta.

Lei toglie le mani dalle sue spalle, gira intorno alla sedia e si lascia cadere di traverso sulla soffice poltrona al suo fianco. Quando si decide a guardarla lei gli sta sorridendo e per un attimo, come sempre, gli sembra di soccombere di fronte ai suoi grandi occhi azzurri.

“Questo lavoro è un vero inferno.”, sbuffa sfilandosi le scarpe e incrociando le gambe sulla larga seduta.

“Lo sai che non sei costretta a farlo, vero?”, le dice lui senza smettere di guardarla. Ora che si è abituato al suo viso la sensazione di prima sembra scomparsa.

Lei scuote appena la testa.

“E tu lo sai, quanto alla fine lo amo lo stesso, no?”

Sì, lo sa. Tra tutti quanti è proprio lei la naturale erede dell’immenso impero creato dal Dott. Brief; l’unica in grado di reggere il confronto con chi ha guidato l’azienda negli anni passati.

“E comunque non hai nient’altro da dirmi?”

Suo malgrado Vegeta si lascia sfuggire un sorriso ironico.

“Non fare troppo la furba con me, mocciosa. Ti ho già fatto gli auguri stamattina.”

Lei non risponde, ma sembra canzonarlo mentalmente. Quel sorriso sardonico ed impertinente Vegeta lo conosce bene.

“Tu ti ricordi di quando hai compiuto trent’anni?”, gli domanda, sporgendosi verso di lui.

“È stato il primo compleanno che ho festeggiato.”, replica lui, quasi disgustato di come facilmente sia riemerso quel ricordo.

“… che mi hanno costretto a festeggiare, in realtà.”

Lei si tiene per sé ulteriori curiosità, ma Vegeta sa bene che non è difficile immaginare chi può aver costretto il principe dei sayan a fare qualcosa. Restano in silenzio per qualche minuto. È anche per quello che lei gli piace. Non è una gran chiacchierona.

“Tua nipote ha fatto sapere che stasera ci degna della sua presenza.”, aggiunge lei sovrappensiero.

Anche se non fosse l’unica a non vivere con loro, Vegeta non avrebbe bisogno di chiedere quale. A tutti i ragazzi piace prenderlo in giro sul presunto rapporto privilegiato con la primogenita di Trunks, anche se lei è l’unica che ci crede davvero.

Può immaginare perché lo pensa. Perché lo pensano tutti.

“Tu non sei mia nipote?”, chiede risentito.

“Sì, ma io non porto il nome del grande e potente principe dei sayan.”, ribatte lei sciogliendo la lunga coda di capelli lilla.

No. Ne porti uno molto più importante.

“Solo perché tua sorella mi somiglia ed ama combattere, non vuol dire che sia la mia preferita.”

Lei lo guarda alzando le sopracciglia in un’espressione di educata incredulità.

“Ah, no?”

“No.”

“E allora chi sarebbe?”, lo stuzzica ancora lei.

“Nessuno. Siete tutti insopportabili.”

Ride. E lui non sa se odiare quel suono o sentirsi sollevato del fatto che qualcuno alla Capsule Corporation stia tornando a divertirsi.

Seguono altri minuti di silenzio.

“Sto pensando di sposarmi.”, dice lei all’improvviso, cogliendolo di sorpresa.

Vegeta la studia un istante. Prova ad indovinare cosa si cela sotto quella confessione impulsiva, ma sua nipote sa essere ermetica quanto lui a volte.

“Credo che a zia Bra piacerebbe un sacco organizzare un matrimonio.”, aggiunge.

Oh, di questo ne è sicuro. Bra andrebbe fuori di testa.  Ma non è questo il punto.

“Fallo, se ti rende felice.”, commenta lui laconico.

Lei chiude gli occhi assaporando la brezza notturna sul viso, i lunghi boccoli che ondeggiano nel flebile vento.

“… e poi è ora di ricominciare a dare feste in questa casa, non credi?”

Vegeta prende tempo. Respira.

“Mi stai chiedendo il permesso?”

“Non sei tu il grande capo, qui?”

Non risponde. A rigore di logica, sì. Ma ora si sente solo un vecchio stanco e maledettamente robusto. Deve dire grazie ai peregrinaggi della sua gioventù se il suo sistema immunitario lo ha reso straordinariamente resistente. Il suo rivale invece, da bastardo fortunato quale è sempre stato, se ne è andato per via di una banale malattia infettiva pochi anni addietro, prima del declino fisico a cui invece lui è destinato ad andare incontro. E così ha battuto Kakaroth nell’unica cosa che non gli interessava davvero: la longevità.

“Sposati.”, le comunica infine. “Quel tipo che ti sei presa non mi sta antipatico.”

“Oh, è un sollievo sentirtelo dire!”, ride lei divertita, poi si porta le ginocchia al mento e si rannicchia sulla poltrona.

Si ritrova di nuovo a guardarla.

È bellissima. Così simile a suo padre e l’unica di sei nipoti ad aver ereditato quegli occhi. D’un tratto la ricorda bambina, quando si rannicchiava allo stesso modo fuori dalla Gravity Room, aspettando la fine dei suoi allenamenti per arrampicarglisi in braccio e reclamare le sue attenzioni. Si ostinano tutti a dire che Vegeta è da sempre la cocca del nonno, ma in realtà è lei che ha viziato più di chiunque altro. Vegeta è sempre stata troppo sveglia e indipendente, un gatto selvatico poco bisognoso di cure. Lei invece ha sempre cercato la sua compagnia con ostinazione e senza pretese.

“Io e Bunny siamo scese giù al laboratorio, oggi… a fare un po’ di pulizia.”

No. Di questo non vuole parlare. A questo non vuole pensare.

“C’era un sacco di roba. Abbiamo pensato che forse volevi tenere qualcosa…”

Perché dovrebbe? Proiettare il dolore sugli oggetti è inutile. Tutto questo… tutto questo è senza senso per un sayan.

Ma lui un sayan lo è ancora? Lo è mai stato?

“Vuoi vedere cosa abbiamo trovato?”, gli chiede con sguardo incoraggiante.

Se dice di no, cosa penserà di lui? È già abbastanza dura sapere la verità. Sentire quello che sente senza che gli altri se ne accorgano. Anche se dal modo in cui lei lo guarda si capisce che tutti lo sanno.

“Fammi vedere.”

È una resa. O forse un cocciuto barlume di fierezza per ostentare una falsa indifferenza.

“Vado a prendere la scatola.”, dice alzandosi e infilando veloce le scarpe.

Si allontana lesta e lui non può fare a meno di continuare a fissare la poltrona vuota.

 La SUA poltrona. La poltrona che da sei mesi è di tutti e di nessuno.

Sei mesi…

Sei mesi senza la sua voce irritante nelle orecchie. A volte è così doloroso che sembra spazzare via ogni cosa: Freezer, l’inferno, le umiliazioni, la sconfitta… Pensava che la disperazione provata negli anni oscuri della sua gioventù non si sarebbe mai più ripresentata, ma non è così.

È un dolore sordo, che non finisce mai. Peggiore di qualsiasi ferita, di qualsiasi frattura.

Se lei fosse lì in quel momento sa perfettamente cosa farebbe: lo butterebbe giù dalla sedia dandogli dello smidollato e spingendolo a forza nella Gravity Room, anche se ormai a malapena riesce a sopportare una gravità 200 volte superiore a quella terrestre. D’altro canto è pur vero che se lei fosse lì, lui non se ne starebbe seduto gran parte del tempo come un fantoccio privo di dignità.

Deve smettere di pensare a cosa farebbe lei. Lei non c’è.

Sei mesi.

Sei mesi da quando gli ha sorriso l’ultima volta. Pallida, magra e sfinita. Solo il fantasma di quello che un tempo era stata.

Lei ha rovinato tutto. Ha rovinato tutta la sua vita e non la perdonerà mai per questo.

Le cellule dei sayan invecchiano più lentamente di quelle degli abitanti della Terra. È semplice biologia ed è anche un segno della superiorità della sua razza, rispetto a quella a cui i suoi figli appartengono per metà. Lei gli ha fatto desiderare di non essere un sayan. Gli ha fatto desiderare di essere un volgare, insignificante e fragile terrestre.

Lei ha rovinato tutto. Ha reso i suoi pensieri un sacrilegio.

Lei ha visto il suo animo mostruoso e lo ha accarezzato fino a sanarlo. Lei ha posato le sue labbra morbide su mani macchiate dei più orribili crimini. Lo ha amato senza riserve, lo ha reso schiavo del suo corpo prima col sesso e poi chissà con cos’altro.

Lei lo ha salvato. Lei gli ha dato più di sessant’anni in paradiso e non la perdonerà mai per questo.

Forse la punizione decisa fin dal principio per le sue colpe è quella… dover sopravvivere senza di lei.

Ormai, è senza natura. I sayan muoiono combattendo. Così è sempre stato. Ma adesso lui è solo e un giorno, chissà quanto lontano, lascerà questo mondo per via della banale ed imbarazzante vecchiaia. Eppure non riesce nemmeno a desiderare una morte improvvisa ed indolore perché sa che lì, dietro alle finestre alle sue spalle, ci sono persone che hanno ancora bisogno di lui.

Maledetta donna. Cosa mi hai fatto… Ero un principe. Il signore dell’universo. Un invincibile distruttore. Tu mi hai reso niente.

All’inizio della settimana suo figlio e Goten sono riusciti a trascinarlo al fiume per pescare. In loro due c’è qualcosa che ancora oggi li fa sembrare due ragazzi spensierati, nonostante i figli, la pensione e tutto il resto. O forse sono solo i suoi occhi di padre a vederli così. Il giorno prima invece si è allenato. Poco. Male. Ma comunque l’ha fatto. Trunks, che da quando ha lasciato tutto in mano ai ragazzi non sa come passare la giornata, si è unito a lui per qualche ora. Sono questi brevi attimi di normalità che gli fanno pensare che forse alla fine è destinato a guarire comunque. È la natura umana, secondo Bra.

Umano.

Quando è arrivato sulla Terra la prima volta, quella parola per lui non significava che debolezza ed inferiorità; ora ha capito molto cose sugli esseri umani a cui pensava di non appartenere, ma il significato di quel termine non è cambiato.

Non è degno di un sayan svegliarsi la notte e sperare per un folle istante che sia stato tutto un lungo sogno… che quando aprirà gli occhi una giovane scienziata testarda lo importunerà invadendo il suo spazio vitale e solleticandogli il collo con i capelli turchini… che finiranno avvinghiati tra le lenzuola gemendo, incuranti del moccioso che dorme nella stanza accanto…

O forse sì. Forse anche i sayan amano. In fondo lui, Kakaroth e Tarble hanno voluto bene a qualcuno.

No.

Lui di più. Nessun altro ha provato quello che è spettato a lui. Non è paradossale e ridicolo che debba sentirsi migliore degli altri persino nelle debolezze? Che debba mettere su un piedistallo non se stesso, ma il sentimento provato per una donna?

Solo una donna. Eccezionale, è vero. Ma pur sempre un minuscolo e misero essere vivente.

La cosa peggiore è che a volte qualcosa di lei comincia a sfuggirgli. Il suo modo di mordersi il labbro si dissolve, il suono della sua risata si affievolisce, le cose che gli ha detto si confondono nella sua testa. Quando succede va in camera sua. Nella LORO camera. Prende il solo video che ha rubato nell’archivio della sala cinema, per non farne notare la mancanza ai ragazzi. Non gli importa di averlo visto già centinaia di volte. Non gli serve vedere qualcosa di nuovo. Gli basta vedere lei. Resta a contemplare la sua immagine che saluta la videocamera mentre culla Bra, la ascolta per ore ridere alle battute di Trunks e la guarda lottare ostinata con un se stesso molto più giovane per trascinarlo davanti all’obiettivo.

Si nutre di lei fino a che i pezzi del mosaico non tornano a posto.

Lo fa finché i ricordi non smettono di sbiadire.

Ogni volta che la vede comparire sullo schermo, ogni volta che si disonora aprendo il suo armadio che ancora nessuno ha avuto il coraggio di svuotare, qualcosa in fondo alla sua gola lotta disperatamente per uscire. Lui non glielo permette. C’è ancora un po’ d’orgoglio dentro l’inetto principe dei sayan. Lo stesso orgoglio che ha trattenuto quelle parole mai dette, nonostante una parte di lui si stesse sforzando di pronunciarle, nell’ultimo giorno di vita della sua metà.

Ci sarebbe riuscito. A dirglielo. Lo sa.

Ma quella donna straordinaria lo aveva sorpreso ancora. Lo aveva fermato, aveva messo fine al suo balbettio sconnesso.

Lo so, aveva detto con un sorriso sofferto, unica scintilla di vita in un corpo ormai allo stremo.

No. Non ci deve pensare. Non vuole ricordarla così.

È molto meglio pensare alle cose di lei che la malattia non ha cambiato… Le cose che rivede tutti i giorni nei suoi nipoti e che in un certo senso gli sono di conforto: la testardaggine di Vegeta, i capelli di Nami, la bocca di Bunny, la linguaccia lingua di Rickon e il fascino di Bran. E poi naturalmente gli occhi…

La porta scorre nuovamente. Sua nipote è tornata. Per un attimo ha sperato che non lo facesse, ma non sarà una cesta piena di cose inutili a sconfiggerlo. Non deve permettere che accada una cosa del genere.

La ragazza si siede di nuovo accanto a lui e gli posa sulle gambe una scatola di cartone.

“Puoi buttare qui tutto quello che non vuoi.”, gli dice indicando un’altra scatola vuota.

Vegeta distoglie malvolentieri gli occhi da lei e li porta sul contenuto misterioso.

Ha creduto che ci fosse chissà cosa, lì dentro. Chissà quale tesoro. Invece sono tutte cianfrusaglie: vecchie agende, piccoli prototipi, qualche indumento che non ricorda nemmeno di averle visto indossare, una collana, un giocattolo mordicchiato, una foto risalente ad almeno 40 anni prima che lei gli ha scattato di nascosto mentre dormiva… Che razza di stupida, come si è permessa?

In ogni caso, non c’è nulla che valga la pena conservare. Getta tutta quella roba nella scatola vuota che finirà tra i rifiuti, poi tira fuori un plico di fogli legati con dello spago e dopo averlo esaminato velocemente lo passa alla nipote.

“Questo dallo a tuo padre, vorrà tenerlo.”

Lei annuisce e sfoglia malinconica la risma di disegni buffi che lei, le sue sorelle, suo fratello e i suoi cugini hanno fatto per la nonna da bambini. Incredibile che lei li abbia tenuti tutti.

Sono rimaste solo due cose sul fondo dello scatolone. Vegeta afferra la prima incredulo e si ritrova a sorridere di fronte al suo vecchio scouter. Per quale motivo lei l’abbia conservato è un mistero. Forse l’aveva soltanto dimenticato in un cassetto.

“Questo puoi anche buttarlo. Non serve più a nessuno.”

“A dire la verità vorrei tenerlo.”, risponde la giovane.

“Sai cos’è, almeno?”, chiede lui, curioso del suo interesse.

“Sì, l’ho scoperto accendendolo. Voglio lavorarci su e capire se posso convertirlo in qualcosa di commercialmente interessante.”

Vegeta la osserva rigirarsi lo scouter tra le mani e non può fare a meno di pensare a lei di nuovo. Al modo in cui le sfide tecnologiche la entusiasmassero. Al fatto che quella stronzetta geniale non è mai stata seconda a nessuno degli scienziati di Freezer…

“Questo invece non riesco proprio a capire cos’è…”, afferma sua nipote afferrando l’ultimo oggetto.

Per Vegeta è una sorpresa. Da anni nessuno ne ha mai più avuto bisogno ed ha la sensazione che sia un bene. Toglie l’oggetto dalle mani della donna e lo accende con il grosso pulsante al polo superiore. Un punto luminoso si accende sulla mappa proprio in corrispondenza delle coordinate su cui poggia la sua casa: segno che funziona ancora, visto che nella loro cassaforte è custodita da almeno trent’anni la sfera con una stella. Sa anche che se allargasse il campo vedrebbe un identico punto lampeggiare in corrispondenza dei monti Paoz.

Se ci pensa è stato proprio quell’aggeggio a portarla da lui. A portarla su Namek e poi in quella foresta. Ma ancora prima… è stato grazie a quell’oggetto se lei ha incontrato Kakaroth, legando per sempre il suo destino a quello dei sayan. È buffo pensare che tutti gli abitanti di quella casa non esisterebbero, se non ci fosse stato il piccolo e vecchio radar che stringe tra le mani.

“Anche questo non serve più a nessuno, ma non buttarlo.”

“Ma si può sapere cos’è?”, chiede lei un po’ irritata. Di sicuro non riesce ad accettare che qualcosa sfugga alla sua intelligenza fuori dal comune.

In quel momento Rickon irrompe sul terrazzo con tre birre tra le braccia.

“Ehi voi due! Stiamo per dare una festa di compleanno, ve ne siete dimenticati?”

Senza attendere risposta li raggiunge e infila una birra in mano ad entrambi.

“Deve ancora arrivare Vegeta.”, gli fa notare la ragazza, prima di bere.

“Tanto per dovere di cronaca: papà e Goten stanno di nuovo litigando sul football, Bunny e Nami stanno cucinando, il che, da un lato, ci da la speranza che riescano ad avvelenare la nuova ragazza di Bran. Vi giuro, è ancora più stupida di quanto mi aspettassi.”, snocciola il giovane, sorseggiando dalla bottiglia.

Lei ride alle battute del fratello.

“Saranno anche stupide...”, interviene Vegeta. “Ma sono di sicuro più carine di quelle che porti tu.”

Rickon e sua sorella ammutoliscono sbalorditi nel sentirlo fare una battuta e qualcosa nel principe dei sayan prende vita. Qualcosa di quasi dimenticato, ma liberatorio. Scoppia a ridere. Vede i suoi nipoti guardarsi increduli a bocca aperta e la risata, seppur conclusa, lo scalda. Scioglie un po’ il ghiaccio che si sente dentro.

Rickon si riprende dallo shock e gli sorride in modo sfacciato, in una fedele imitazione del padre quando aveva la sua stessa età.

“Cominciavo a pensare che fossi diventato troppo vecchio per tenermi testa, nonno.”

“Pensavi male, moccioso.”, gli risponde prontamente.

Anche la donna non riesce a celare il sollievo sul volto e Vegeta capisce che si è dimenticata del radar, ancora nella sua mano.

“Dai, entriamo.”, gli fa cenno il ragazzo, dirigendosi felice all’interno. Vegeta si alza e da dietro il vetro lo scorge andare dritto dal padre, per dirgli qualcosa. Scorge Trunks sorridere e può immaginare che Rickon gli abbia detto di averlo sentito ridere. Razza di spione.

Anche sua nipote lo precede, ma prima che possa rientrare Vegeta la ferma.

“Aspetta, Bulma.”

Lei si gira. Lo guarda e vede che gli sta porgendo il piccolo oggetto di funzione ignota.

“Dallo a Gohan. O a Pan. A loro piacerebbe averlo.”

In fondo, quel radar è un ricordo di Kakaroth, quanto lo è di sua moglie.

Lei lo prende confusa e gli rivolge uno sguardo in cui Vegeta prova un insano piacere a perdersi.

“Non mi dirai cos’è, non è vero?”, gli chiede prendendolo sotto braccio e trascinandolo in casa.

Vegeta sorride.

“È solo un orologio.”

 

 

 

 

 

 

 

 

Eccomi qui, dopo aver scritto questa lagnosissima one-shot senza senso! Vi è piaciuta almeno un po’??? Spero di sì. E spero che con il casino dei nomi non si confondano i personaggi tra di loro! Ho cercato di non nominare Bulma per tutto il capitolo, e mi auguro che si capisca quando si parla di lei e quando invece della nipote. Anche il fatto di avere due Vegeta è stato alquanto stressante, ma per fortuna hanno sessi differenti, il che dovrebbe risultare in una stesura meno ingarbugliata. In ogni caso attendo i vostri giudizi trepidante. Come ho già detto, non c’è collegamento logico tra le one-shot che pubblicherò qui (o almeno l’idea è quella).

Per quanto riguarda i nomi dei nipoti di Vegeta: sulla scelta di chiamare le prime due come i nonni vi dirò altro più avanti. Bunny l’ho scelto perché sono sempre stata convinta che fosse il nome della mamma di Bulma, salvo poi scoprire che non è così (cosa mi ero bevuta per pensarlo non lo so!). Nami è il nome della protagonista di One Piece e visto che è un personaggio ispirato a Bulma ho pensato di prendere in prestito il suo nome. Rickon e Bran (diminutivo di Brandon) sono personaggi del Trono di Spade, di Rickon mi piaceva il suono, mentre il nome Bran è molto simile a quello della mamma, che sarebbe Bra. Vi piacciono? Fatemi sapere, please!

Prossimo aggiornamento: Sweet child o’ mine (ma abbiate un po’ di pazienza, è un periodo tremendo!)

Baci a tutti!

   
 
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