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Autore: holls    24/09/2013    11 recensioni
Un investigatore privato, solo e tormentato; il suo ex fidanzato, in coppia professionale con un tipo un po' sboccato per un lavoro lontano dalla luce del sole; il barista del Naughty Blu, custode dei drammi sentimentali dei suoi clienti; una ragazza, pianista quasi per forza, fotografa per passione; e un poliziotto un po' troppo galante, ma con una bella parlantina.
Personaggi che si incontrano, si dividono, si scontrano, si rincorrono, sullo sfondo di una caotica New York.
Ma proprio quando l'equilibrio sembra raggiunto, dopo incomprensioni, rimorsi, gelosie, silenzi colpevoli e segreti inconfessati, una serie di omicidi sopraggiungerà a sconvolgere la città: nulla di anormale, se non fosse che i delitti sembrano essere legati in qualche modo alle storie dei protagonisti.
Chi sta tentando di mettere a soqquadro le loro vite? Ma soprattutto, perché?
[Attenzione: le recensioni contengono spoiler!]
Genere: Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Nathalan'
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8. Spalle al muro
 
 
 7 gennaio 2005.
 
« Alan! »
Riconobbe la voce di Ashton che lo chiamava, mentre sul volto aveva un’espressione perplessa e preoccupata.
« Alan! Allora? Come sta? »
Alan aggrottò le sopracciglia.
« Come sta chi? »
« Parlo di Nathan, ovviamente. Com’è successo? Non sono ancora riuscito a leggere la denuncia. »
Un gigantesco punto interrogativo si dipinse sul volto di Alan.
« Di che stai parlando? Quale denuncia? »
Ashton sospirò.
« Non sai nulla allora. »
« Dannazione, smettila di essere così enigmatico. Cos’è successo? »
Ashton fece per aprire bocca, ma una voce roca glielo impedì.
« Alan, sei arrivato! Finite le chiacchiere vieni nel mio ufficio. Ho una cosuccia di cui parlarti. »
L’uomo rientrò nell’ufficio dal quale si era affacciato.
« A quanto pare il capo ha qualcosa da dirti. Ne riparliamo dopo. »
« Preferivo parlarne adesso, ma è meglio non scontentare Ed. Torno subito. »
Salutò Ashton con un sorriso e bussò all’ufficio di Edmond, il quale lo invitò a entrare.
Il capo gli indicò la sedia davanti alla sua scrivania.
« Siediti, siediti. »
Alan prese posto, e una nuvola di fumo fece quadrato intorno alla sua testa. L’odore del sigaro di Edmond era insopportabile.
Vide il capo tirare fuori un fascicoletto.
« Il caso di oggi è questo. » disse, porgendogli il dossier. « È una denuncia arrivata stanotte. E si tratta di nuovo di quel piantagrane, quello a cui piacciono i ragazzetti, sai. Ma forse non te ne sei mai occupato. »
Evidentemente il capo si aspettava una qualche risposta da Alan, il quale però non riusciva a staccare gli occhi da ciò che stava leggendo.
 
OGGETTO. Verbale di denuncia di tentata aggressione sporta da:  HAYWORTH Nathan, nato a Manhattan il 15 marzo 1980 …
... dichiara quanto segue: Il giorno 7 gennaio 2005 stavo rientrando a casa dopo una serata in compagnia di un amico verso le ore 03.30, quando sono stato aggredito da un uomo di mezza età, alto e robusto, brizzolato e di pelle bianca. Indossava una felpa pesante con cappuccio, che inizialmente gli copriva il viso; aveva una grossa cicatrice che tagliava il sopracciglio sinistro, e gli mancavano alcuni denti…
 
La scena di quel pomeriggio di ottobre gli riapparve all’improvviso. Si era sempre detto che i dettagli di quella scena non li ricordava, ma, leggendo quelle parole, quell’uomo era quanto di più vivido nei suoi ricordi. Non gli ci volle molto per capirlo: l'uomo che aveva trovato a letto con Nathan e quello della denuncia erano la stessa persona.
« Alan, sei tra noi? »
Annuì con un deciso segno del capo.
« Avrai tempo per leggere la denuncia. Ma vorrei parlarti prima di un’altra cosa. Il posto di Responsabile Generale della Divisione Penale si è liberato. »
Alan ne fu sorpreso.
« Già, ti ho convocato per questo. Mi piacerebbe mettere te a capo della Divisione. Però, » e qui Edmond si buttò sul morbido schienale della sua sedia girevole, « vorrei prima assegnarti un altro caso. Se lo porterai a termine in modo eccellente, come hai sempre fatto, il posto sarà tuo. »
« Senz’altro. Non sarà un problema. »
« Perfetto. »
« Di cosa si tratta, esattamente? »
Edmond sorrise.
« Il caso di cui vorrei che ti occupassi è quello che stai stringendo tra le mani. »
Alan si sentì come paralizzato. Si sentì irrigidire tutto, incapace di proferire parola.
« Ti senti bene? Devo affidare il caso a qualcun altro? »
Scosse debolmente la testa e deglutì a fatica.
« Nessun problema. Me ne occupo io. »
« Molto bene, allora possiamo passare ai dettagli. Il tipo che ha fatto la denuncia è un certo Nathan Hayworth, incensurato. Quando ho visto che l’aggressore era di nuovo quel Sánchez, ho esclamato: ‘Per la miseria, ancora lui!’. Quel vecchio ci ha già dato una marea di problemi in passato; ti consiglio di leggerti i vecchi fascicoli. Il punto è questo: voglio sbatterlo in galera. Ma stavolta per un bel po’, capisci. Ha già subito una condanna per molestie, ma era di soli sei mesi. Io invece voglio di più. Voglio vederlo marcire, in galera. Per questo ho bisogno di un’indagine approfondita. Il tipo di cose che fa quel maiale non vengono sempre denunciate, ma sono sicuro che, oltre a questo Nathan, ci siano altri che hanno subìto qualche schifezza da lui. Perciò, voglio che tu conosca questo ragazzo e che cerchi di capire che rapporti aveva con quel porco là, se conosce altre vittime che non hanno sporto denuncia e così via. Abbiamo bisogno di quanto più materiale possibile, capisci. »
Alan si passò una mano sulla fronte.
« Capisco. »
« Posso fidarmi di te, dunque? So che non mi deluderai. Ah, Ashton sarà il tuo partner. »
Alan annuì.
« C’è altro? »
« No, puoi andare. E ricorda, meno tempo ci metterai, meno sarò tentato dal dar via questo posto a un’altra persona. Buona giornata. »
Alan salutò Edmond e uscì dal suo ufficio. Si sedette su una delle sedie lì accanto, e cominciò a leggere il fascicolo.
 
***
 
« Toc toc. »
Alan alzò lo sguardo, e davanti a lui sbucò un bicchierino di caffè. Spostò i suoi occhi un altro po’, e vide che era Ashton. Gli porse il caffè e si sedette accanto a lui; Alan lo ringraziò.
« Allora, che voleva il capo? »
Alan gli raccontò in breve la vicenda.
« Ho capito. Una bella gatta da pelare, eh? »
« Non me ne parlare. Non so davvero come fare. Giusto ieri sera chiedevo al destino un altro po’ di tempo, e ora mi ritrovo faccia a faccia con questa situazione. Direi che non ho più scuse. »
« Sì, guarderei il lato positivo. Faremo chiarezza su molte cose. »
« Già. »
Seguirono attimi di silenzio. Alan continuava a bere il suo caffè, mentre Ashton picchiettava il pollice sull’altra mano, come in cerca di un’idea.
« Posso vedere il fascicolo? »
Alan glielo porse, e notò Ashton leggerlo con molta avidità.
« Tu hai mai sentito parlare di questo tizio? »
« Eh? Oh, parli del maniaco. Sì, ho curato qualche caso in passato. Ma non avevo affatto ricollegato le due cose. Spero invece che lo abbia fatto tu. »
Alan tirò un sospiro profondo, e poggiò la testa contro il muro.
« L’ho fatto. E penso che dovrei scusarmi, almeno. »
Sul volto di Ashton si aprì un sorriso radioso.
« Non sai quanto ne sono felice. Finalmente hai ritrovato il senno. »
Alan annuì.
« Anche se ancora ci sono molte cose che non mi convincono. Ma stavolta mi hanno messo con le spalle al muro. Non posso più far finta di niente. »
« Ne sembri quasi dispiaciuto. »
« No, non mi fraintendere, Ash. È solo… è una storia lunga. »
Tra i due calò di nuovo il silenzio. Il caffè di Alan era ormai finito, e si alzò per gettare il bicchierino nel cestino dei rifiuti. Tornò a sedersi accanto ad Ashton.
« Vabbè, Alan, direi che dobbiamo darci da fare. Pensavo di fare una visitina a Sánchez questo pomeriggio. Tu potresti passare da Nathan. »
Alan annuì.
« Mi sembra una buona idea. Cercherò di recuperare qualche informazione. E… proverò a scusarmi. »
« Lo sai che non basterà, vero? »
« Lo so. Ma voglio fare almeno un tentativo. »
 
Passarono un altro buon quarto d’ora a chiacchierare del più e del meno. Alla fine, Alan si alzò, pronto per la sua prossima meta.
 
***
 
Era quasi arrivato, quando il telefono squillò. Era Jack. Da quando erano usciti insieme, la Vigilia di Natale, Jack non faceva altro che telefonargli e mandargli messaggi. Fu tentato di rifiutare la chiamata, ma ormai il telefono aveva fatto troppi squilli: sarebbe stato palese il rifiuto volontario. Poteva lasciarlo squillare all’infinito, ma Jack si sarebbe arreso?
Alla fine, optò per rispondere.
« Ciao, Jack. »
« Ehi, Alan, ciao. Sei libero adesso? »
« Perché? »
« Avevo voglia di vederti. »
« Jack, adesso sono impegnato, e non so per quanto lo sarò. Per oggi non penso di poterti garantire la mia presenza. »
Sentì Jack esitare, dall’altra parte.
« Ok, ho capito. Possiamo vederci domani, allora. »
« Non so se il lavoro me lo permetterà, scusa. »
Seguì qualche momento di silenzio, poi Jack sospirò.
« D’accordo, ho capito. Fammi sapere tu quando sei libero, allora. »
« Va bene. »
Poté sentire Jack sorridere, benché non lo vedesse.
« A proposito, cos’è che ti tiene tanto impegnato oggi? »
« Devo lavorare. Ho delle indagini da condurre. »
Immaginò il suo naso crescere a dismisura per quella mezza verità. Non che volesse evitare Jack, ma, mentre il ragazzo era partito in quarta, dopo quel bacio, lui aveva bisogno di un altro po’ di tempo. Dopotutto, era la prima esperienza dopo Nathan.
« Ok, allora sei veramente impegnato. Spero di rivederti presto. Mi manchi un po’, sai? »
Di colpo, Alan si sentì terribilmente a disagio. Eppure, pensò, anche Nathan gli rivolgeva spesso frasi di quel tipo. E allora perché quelle di Jack lo facevano sentire in quel modo?
« Sì, ci rivedremo presto. Adesso vado, Jack. Ciao. »
Si salutarono e Alan riattaccò.
 
Si ritrovò davanti alla solita palazzina che cadeva a pezzi. Suonò il campanello. La solita scampanellata lunga. E cominciò l’attesa.
Un secondo.
Due secondi.
Tre secondi.
Dieci.
Poi, una voce dal citofono.
« Chi è? »
Esitò.
« Sono Alan. »
Ci fu un momento di silenzio. Passarono altri secondi e perse ormai ogni speranza di vedersi aprire la porta. Poi, come per miracolo, sentì lo scatto della serratura.
« Puoi salire. »
Spinse il portone e cominciò a salire le scale. Si aspettò di trovarlo sull’uscio, magari un po’ intimorito ma comunque pronto a dargli il benvenuto. E invece, come arrivò lì trovò la porta chiusa. Si sentì un po’ smarrito, e cominciò anche a pensare di aver sbagliato piano.
Si mise di fronte alla porta, e bussò. Sentì lo spioncino spostarsi. Poi Nathan aprì.
« Pensavi che non fossi io? »
Nathan non disse nulla, e gli fece cenno di entrare. Come mise di nuovo piede in quell’appartamento, Alan fu pervaso da una sensazione di nostalgia. Fu colpito da un’irrefrenabile voglia di abbracciare quella creatura che in quel momento gli dava le spalle, mentre lui chiudeva la porta. Fece qualche passo verso il soggiorno, e fu colpito dal vedere che tutte le serrande erano totalmente abbassate; era pieno giorno e Nathan teneva la luce accesa.
« Non sarà il caso di far entrare un po’ di luce? »
Alan si avviò verso la serranda e cominciò a tirarla su, quando fu interrotto da un grido.
« No! Fermo! »
Mollò subito la carrucola e rimase spaesato. Alan si avvicinò a Nathan, ma notò che questi si allontanava sempre di qualche passo.
« Perché non posso aprire? »
« Tu non puoi pretendere di entrare così e metterti a fare quello che vuoi! »
« Ma che stai… ? »
« Tu non capisci come mi sento! »
Si guardarono negli occhi, e Alan fu quasi certo di avergli visto gli occhi lucidi. Si sentiva così inerme, e ogni cosa che gli veniva in mente di fare gli sembrava così sbagliata. Provò ad allungare una mano verso di lui, nel tentativo di accarezzarlo; ma, come lo sfiorò, Nathan si ritrasse in modo repentino.
« Non mi toccare! Non voglio essere toccato! »
« Non ti capisco! Mi hai fatto salire, ma non posso né parlarti, né toccarti, che senso ha?! »
« È colpa tua! Se vivo una vita di merda, è solo colpa tua! Mi hai abbandonato, mi hai gettato via come un rifiuto, proprio quando avevo più bisogno di te! »
Vide alcune lacrime rigare il viso di Nathan, e sentì una morsa soffocargli il cuore.
« Sono qui per scusarmi, Nathan. Io ti credo. »
« Lo capisci che non ha più senso, adesso? Ma non lo vedi che non voglio più uscire di casa? Che non mi faccio sfiorare da nessuno? Non lo vedi che vita di merda che sto vivendo? Non puoi pensare di essere perdonato con delle patetiche scuse! »
Nathan scoppiò in lacrime. Si portò le mani al volto, e si lasciò cadere sul divano, singhiozzante. Alan provò a dire qualcosa, ma nessuna frase gli sembrava adatta. Ripensò alle parole di Ashton. Più aspettava, e meno speranze aveva di recuperare il rapporto. Si chiese se quelle speranze non fossero già arrivate allo zero.
Se ne stava lì in piedi davanti a Nathan, che continuava a piangere. Si sentiva totalmente inutile, ma allo stesso tempo non riusciva ad abbandonarlo. Lo aveva lasciato solo, influenzato dai suoi ricordi. Avrebbe dovuto proteggerlo e invece aveva preferito tapparsi gli occhi.
Voleva, doveva, fare qualcosa. Diede fiato al primo pensiero, benché sincero, che gli attraversò la mente.
« Stanotte posso rimanere qui con te, se vuoi. »
Nathan smise di piangere, e alzò lo sguardo verso di lui, incredulo.
« Che diavolo stai dicendo? »
« Mi fa pena vederti così. Probabilmente con una persona al tuo fianco ti sentiresti più al sicuro. »
Nathan spalancò gli occhi, si alzò, e si fermò davanti a lui, fissandolo gelido.
« Se è così che pensi di lavarti la coscienza, sappi che non ci riuscirai. »
Alan si sentì gelare. A lavarsi la coscienza non ci aveva proprio pensato. O forse sì?
L’unica cosa che sapeva era che non se la sentiva di abbandonarlo a se stesso ancora una volta. Aveva voglia di preoccuparsi per lui, di stargli vicino, di essere il suo sostegno.
Si schiarì la voce.
« C’è… qualcosa che posso fare per te? Vuoi che ti faccia la spesa? Riesci a pagarlo l’affitto, vero? »
L’espressione di Nathan diventò ferma, come una rocca impossibile da scalfire.
« C’è qualcosa che puoi fare per me, sì. Sparire. »
Nathan gli indicò la porta di casa.
« Non voglio più avere niente a che fare con te, Alan. Esci dalla mia vita e non rientrare mai più. Hai finito le tue possibilità. »
« Sono stato un cretino, Nathan. Perdonami. »
« ‘Perdonami’? Pensi davvero che possa bastare? Dovresti fare molto, ma molto di più. E non penso che basterebbe lo stesso. »
Alan lo fissò. Osservò le lacrime che si stavano asciugando su quella pelle così chiara, quegli occhi color diamante che guardavano altrove. Fu preso di nuovo dalla voglia di abbracciarlo, di stringerlo forte a sé, di rassicurarlo. Se da una parte si sentiva pieno di grinta, dall’altra era quasi rassegnato.
Sarebbe rimasto a fissarlo in eterno, ma avvertiva la sua presenza sempre più pesante, per Nathan. Era meglio andare.
Non disse nulla, e si avviò verso la porta. Con la coda dell’occhio, vide Nathan voltarsi per seguire i suoi movimenti. Portò le dita sulla maniglia e le parole gli uscirono senza un perché.
« Meno male che è arrivato il tuo amico, ieri sera. »
Nathan sospirò.
« Già. Se non fosse intervenuto, forse avrei preferito buttarmi sotto un treno, a quest’ora. »
« Che vuoi dire? »
« Vattene. »
« Questo amico è una persona speciale per te? »
« Ho detto ‘vattene’! »
Non se lo fece ripetere ancora. Per quanto lo facesse a malincuore, tirò giù la maniglia e abbandonò l’appartamento.
 
Solo quando fu fuori, si rese conto che non aveva detto neanche un decimo delle cose che avrebbe voluto dirgli. Non gli aveva chiesto niente della sera prima – era riuscito solo a essere indiscreto. Si domandò se ci fosse una qualche concreta speranza di mettere i cocci a posto. Adesso che si era scusato, sarebbe bastato far passare del tempo? O doveva trovare il modo di dimostrargli quanto gli dispiacesse?
Ripensò a come si era comportato nei mesi precedenti, e quasi si vergognò di se stesso. Aveva perso tutto. Forse. Ma in quel momento non vedeva nessuna luce in fondo al tunnel.
 
***
 
Si ripassò tra le mani il fascicolo, disteso sul letto; aveva riletto quella denuncia un migliaio di volte. Allegato al fascicolo c’era anche la foto del maniaco, e il solo vederlo gli provocava disgusto. Tra le tante cose, si chiese come mai Nathan non avesse sporto una denuncia anche tre mesi prima. Quel pensiero aveva cominciato a tormentarlo da una delle ultime riletture che aveva dato al dossier.
Il campanello suonò. Una fiaccola speranzosa si riaccese dentro di lui. Lasciò il fascicolo sul letto, e corse ad aprire.
Ma, di fronte a lui, trovò Jack. Il sorriso che lo aveva accompagnato in quei secondi svanì subito.
« Sorpresa! Disturbo? »
« Jack! No… figurati. Entra. »
Stavolta Jack non gli diede nessun bacio.
« Allora, che stavi facendo? Sempre per quella tua indagine? »
« Sì, rileggevo le informazioni in mio possesso. »
Jack gli sorrise e si tolse il cappotto, andando a posarlo in camera di Alan. Questi, dal salotto, udì ben presto il fruscio di fogli che venivano scorsi. Realizzò all’improvviso che Jack aveva trovato il dossier. Lo raggiunse in camera e, come aveva immaginato, lo stava sfogliando.
« Guarda che, teoricamente, sono informazioni riservate. »
« Questo è Nathan, vero? » chiese Jack, indicando la foto di Nathan sulla pagina e ignorando totalmente quanto gli veniva detto. Alan annuì. « E questo? »
Indicò la foto del maniaco qualche pagina più avanti.
« Quello… Ha tentato di aggredire Nathan. »
« Oh. ‘Aggredire’ nel senso di… »
« Non lo so, in che senso. »
« Sarà mica lo stesso di quella volta? »
« È lo stesso. »
Jack rimase a bocca aperta.
« Non ci posso credere! Ci stava riprovando? Chissà perché di nuovo con lui, poi. »
« Già, chissà. »
« Ammazza, ha una cicatrice gigantesca questo tipo. Come se la sarà procurata? »
« Possiamo parlare d’altro? »
Jack frenò subito il suo entusiasmo.
« Ehm. Sì, certo. Scusa. »
Prese posto sul letto, accanto a Jack.
« Pensa che si è pure barricato in casa. Ha paura di quell’uomo. A quanto pare non era raro trovarlo sotto casa sua. »
« Vuoi dire che tutte le sere stava appostato sotto casa, aspettando il momento buono? E col lavoro come faceva? »
« Probabilmente si faceva riaccompagnare da qualcuno. Ieri sera, invece, forse per un po’ è rimasto da solo. »
Jack sorrise.
« Non avevi detto che non volevi parlarne? »
« Hai ragione. »
Passarono alcuni momenti di silenzio, quando Alan avvertì all’improvviso la testa di Jack sulla sua spalla. Si irrigidì tutto, e cominciò a pensare a qualcosa da dire.
« Ti va se guardiamo un po’ di tv? »
Sentì la testa di Jack strusciarsi su e giù sulla sua spalla, insieme a un mugolio di assenso.
Alan allungò la mano sul telecomando posto sul comodino accanto al letto, e accese la televisione.
Sullo schermo apparvero le immagini di un noto quiz televisivo, dove il concorrente era ormai arrivato all’ultimo gioco.
« Sì, lascia questo! Mi piace da matti. »
Alan osservò Jack: sembrava eccitato come un bambino che non gioca da tanto col suo giocattolo preferito. Il ragazzo si voltò verso di lui con gli occhi illuminati.
« Vediamo un po’ che parola c’è da indovinare stasera! Allora, abbiamo: ‘Commissione’, ‘Seriale’, ‘Kennedy’, ‘Bianco’… Deve ancora dare l’ultima parola. Tu che ne pensi, Alan? Con ‘Commissione’ non mi viene in mente niente. Con Kennedy… »
« Presidente? »
« Sì, potrebbe essere. Ma con le altre parole non ci incastra nulla. ‘Seriale’… il numero seriale di un prodotto? Un prodotto su commissione, un prodotto bianco… »
« Un prodotto bianco? E che sarebbe? Per non parlare del ‘Presidente-prodotto’ o ‘Prodotto-presidente’ »
« Mmm…  Hai ragione, non è nessuna di queste. Secondo me ‘Kennedy’ è la chiave. »
Alan si mise due dita sulla tempia, pensoso.
« Sì, è possibile. Proviamo a concentrarci su quella. »
« Ah! Ecco l’ultima parola! Tu cosa scegli tra ‘Stradale’ e ‘Autostradale’? »
« ‘Autostradale’ è troppo particolare. Dico ‘Stradale’. »
« Ma più sono particolari e meglio è! Per me è ‘Autostradale’. »
Aspettarono entrambi il verdetto, e vinse Alan.
« Accidenti, avevi ragione. Ah, sta scrivendo la parola! Avanti, non rimane molto tempo! Hai pensato a qualcosa, Alan? »
Alan si strofinò una mano sul mento.
Commissione, seriale, Kennedy, bianco e stradale.
Una lampadina si accese nella sua testa.
« Kennedy. È stato assassinato. »
« Eh già. »
« No, non hai capito. È la parola. Assassinio… »
Jack alzò lo sguardo, pensieroso.
« In effetti… Si può assassinare su commissione.  Esistono gli assassini seriali. Kennedy è stato assassinato. Ma col resto… ? »
« Aspetta! Non è assassinio la parola. È… » Proprio in quel momento, il conduttore girò la scheda con su scritta la soluzione. « … Omicidio! »
Jack rimase a bocca aperta.
« Alan, sei una bomba! Io non ci ero arrivato. Ma con ‘bianco’ cosa c’entra? »
« Gli omicidi bianchi sono quelli sul luogo di lavoro. Ah, era troppo facile. »
« Ma dai, omicidio… »
Alan si immaginò che, in quei pochi secondi, Jack si stesse chiedendo come aveva fatto a non indovinare subito una cosa, in quel momento, tanto ovvia.
« Questo gioco riesce sempre a farmi sentire un perfetto cretino. E anche un genio le poche volte che riesco a indovinare. A proposito - e scusa se non c’entra niente -, ti sei mai occupato di omicidi? »
« In realtà no. O meglio, ho fatto qualche indagine di contorno, per così dire, ma non mi sono mai occupato del caso principale. Ci pensa un’altra Divisione. »
« E la tua Divisione di che si occupa, allora? »
« Di cose come quella che hai letto prima. » e indicò il dossier posto sul comodino. « Reati penali, ma minori. »
« Dev’essere un lavoro interessante. E, se devo dirla tutta, ti rende parecchio affascinante. »
Alan sorrise. Da fuori, il suo lavoro appariva sempre in qualche modo intrigante, ma era perlopiù faticoso. Anche perché, e lo ripeteva spesso, non era esattamente come nei film.
Ad un tratto, Jack si avvicinò a lui. Posò la sua testa su quella di Alan, formando un angolo retto. Alan si voltò appena, e si scontrò con lo sguardo penetrante di Jack.
Fu questione di un attimo, e le loro labbra si ritrovarono unite. Jack lo stuzzicò prima con un bacio lento e casto; si staccò solo per testare le sue reazioni, dopodiché lo baciò di nuovo, stavolta con più foga.
Alan chiuse gli occhi. Provò a sciogliere quella rigidità che lo pervadeva sempre quando era con Jack, e si concentrò sul sapore delle sue labbra e sull’odore dei suoi capelli lavati, probabilmente, con uno shampoo alla menta piperita.
La tv improvvisamente si spense, e gli applausi del pubblico svanirono in un istante.
Sentì Jack allungare una mano sul suo corpo. Come per il bacio, cominciò a esplorarlo con movimenti lenti ma consapevoli; poi quella mano gli sfilò la camicia dai pantaloni, e sgusciò sotto ad accarezzargli il petto.
Le sue mani gli sembrarono più grandi di quelle di Nathan, e i polpastrelli più ruvidi. Anche la bocca gli sembrava più grande, e gli ci volle un po’ per adattarsi.
Jack cominciò ad aprirgli i bottoni della camicia uno per uno, finché non fu totalmente aperta. Si staccarono dal bacio che li aveva uniti fino a quel momento, e Jack gli sorrise. Senza dire nulla, prese la mano destra di Alan e la portò sul suo fianco. Si alzò leggermente il maglioncino, cosicché le dita di Alan fossero a contatto con la sua pelle.
Fece scorrere la sua mano su tutto il tronco di Jack, ma pensò che Nathan era molto più scheletrico: riusciva sempre a sentirgli tutte le costole senza difficoltà.
Ripresero a baciarsi, e presto si abituò al tocco di Jack. Ormai questi lo aveva privato della sua camicia, mentre lui continuava a carezzare il corpo dell’altro da sotto il maglione.
Come per provocarlo, Jack si staccò di nuovo e si sfilò sia il golf che la maglietta che teneva sotto.
Gli fece strano vedere un altro uomo in intimità: si aspettò di trovarsi davanti il solito petto di sparuti peletti biondi, e invece ne trovò uno ricoperto in buona parte da ricci neri e vigorosi.
 
Arrivato a quel punto, era ormai troppo tardi per tirarsi indietro. Sentiva qualche preoccupazione addosso, e forse si sentiva anche un po’ in colpa. Per molto tempo aveva pensato di andare a letto con un altro per fare un dispetto a Nathan, anche se non l’avesse mai saputo; ma gli era sempre sembrato molto meschino, e non aveva mai combinato nulla.
Invece, in quel momento, era consapevole del fatto che Nathan non era mai stato con un altro uomo, come aveva creduto fino al giorno prima; ma alle mani di Jack, che adesso gli stavano aprendo la cintura, non oppose alcuna resistenza.

 

Salve a tutti, ecco qua il nuovo capitolo. Sembrerebbe un capitolo di passaggio, ma intanto vediamo che Alan comincia ad affrontare i suoi fantasmi e si rimette in contatto con Nathan, benché sia solo una questione lavorativa. Intanto, però, Jack non perde tempo! XD Come reagirà sapendo che adesso Alan e Nathan torneranno a interagire tra loro?
Lo scoprirete la settimana prossima! XD
A presto e spero che il capitolo vi sia piaciuto!
   
 
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