Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: MedusaNoir    25/09/2013    2 recensioni
A Roma Giovanni e Matteo gestiscono un negozio di fumetti, ma sono anche soci di un'associazione ludica dove spesso alcuni ragazzi dell'Eur si ritrovano per giocare di ruolo. Marta, goffa e testarda, cerca di seguire più serie tv possibili, finendo così per pensare per citazioni; Leonardo è timido, ma gli basta parlare di "Game of Thrones" per dimenticare di avere davanti un'altra persona; Stefania, ventun'anni, è la più piccola del gruppo e cerca di mascherare con un atteggiamento scostante l'insicurezza che deriva dall'avere un corpo massiccio e troppo lontano dai canoni della bellezza; Roberto è manipolatore e detesta essere battuto, che si tratti di giochi da tavola o di scommesse.
Tra feste nel negozio di fumetti, giochi e vacanze di ruolo - ma senza dimenticare la vita universitaria o domestica che scorre intorno ai protagonisti, divorzi, esami e amori inaspettati - i sei ragazzi si troveranno ad affrontare le loro paure e, chissà, forse anche a superarle.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Alcune cose non sono nel nostro destino, a prescindere da quanto le vogliamo





 

«Avete trovato tracce di Ameiko?»

Jerle si portò l’indice davanti alla bocca, facendo segno a Amy di non fare rumore. «Saresti tu la ladra esperta?» soffiò.

Per tutta risposta, Robert si intromise tra loro, sussurrando: «Capita a tutti di sbagliare, Jerle. Abbiamo altro di cui occuparci adesso.»

L’elfo sembrava indispettito, ma lasciò cadere il discorso: erano penetrati in piena notte nella vetreria di Sandpoint alla ricerca della locandiera scomparsa e non potevano sapere se qualcuno fosse lì ad attenderli; dopotutto colui o coloro che avevano teso un agguato a lei e al fratellastro Tsuto proprio in quel luogo – a mezzanotte, stando al biglietto inviato dal mezzelfo alla sorella il giorno precedente la sparizione – potevano trovarsi ancora lì, in attesa dei “famosi eroi” che certamente sarebbero giunti a cercare la loro amica. Sapeva di trappola, Jerle aveva già esposto i suoi dubbi al gruppo, anche se la reazione di Ygritte era stata: «Che ci frega? Andiamoci e spacchiamogli il culo.»

Dovevano fare attenzione, molta attenzione, perché c’erano diverse porte sull’unico piano della vetreria e dietro ciascuna avrebbe potuto celarsi un imprevisto. Amy poggiò l’orecchio sulla prima porta, cercando di ascoltare un eventuale movimento dall’altra…

 

«Vuoi un caffè?» interruppe la narrazione Roberto, la mano destra poggiata sulla spalla di Marta.

«Sì, grazie, oggi ho dormito poco…»

«Ci stavo pensando, infatti. Ieri sera non saremmo dovuti rimanere così tanto al telefono… Ehi, master, puoi farci due caffè?»

Lentamente, il cervello che bolliva, Matteo riemerse dallo schermo del game master che nascondeva il manuale dell’avventura al resto dei giocatori. Odiava essere interrotto sul più bello, specialmente per motivi futili, e richiedere un caffè pochi minuti dopo la consueta pausa della sessione rientrava perfettamente nella definizione di “futile”; anche Roberto poteva essere inserito in una categoria e si trattava senza dubbio di “irritante”.

“Stupido ragazzino viziato che pensa solo a fare il figo” pensò, annuendo con fastidio e alzandosi per compiere il servizio richiesto.

«Mi dispiace doverti fermare,» si scusò Roberto con un tono che a Matteo non convinse minimamente, «ma sei il solo responsabile presente del Sotterraneo…»

«Non importa. Mi avresti interrotto comunque, chiedendo a qualcun altro.»

Un lampo di divertimento attraversò lo sguardo di Roberto, un lampo che il suo master colse appena in tempo, prima che sparisse – come colse il sorriso trattenuto. Si chiese a quale gioco stesse giocando: smetteva mai di ruolare, al termine di ogni sessione?

«Due cucchiaini, grazie, mi piace dolce» si limitò a ribattere il ragazzo. «E tu, Marta?»

“E tu, Marta?” gli fece mentalmente il verso Matteo. Si chiese cosa ci fosse tra quei due, se la gentilezza di Roberto avesse un doppio scopo e se dopo quel bacio… “Toglitelo dalla testa, non è il momento di pensarci.”

«Ehi, master, hai sentito?»

«Scusa, cos’hai detto?»

Roberto ridacchiò come se la temporanea distrazione di Matteo fosse un raro evento esilarante. «Marta prende un cucchiaino e mezzo di zucchero.»

«È inutile dirmelo, tanto ci sono le bustine.»

E, con ben poca grazia, Matteo lanciò sul tavolo di gioco il contenitore delle bustine di zucchero.

«Certo, aggiungiamone altro, come se non ne avessi già la nausea» si lamentò Stefania, appoggiando il capo sul palmo della mano.

«Dieta?» chiese Leonardo, guadagnandosi uno sguardo di fuoco.

«No, stupido elfo, ma grazie per avermela ricordata. Stavo parlando di quei due.» Stefania puntò due dita verso i giocatori che aveva di fronte.

«Ti stiamo dando fastidio?» chiese Roberto, apparentemente sorpreso. «Che abbiamo fatto?»

«State lì a cinciallegrare da quando siamo arrivati, mi avete stancato.»

«Fatti nostri. A te abbiamo stancato, Leo?»

«Ehm… no. Cioè, come vi pare. Ma se a lei da fastidio, ecco, non so, potreste evitare di… In fondo non sono affari miei, però, quindi non posso dirvi…»

“Se lo chiede anche a me, dietro la porta faccio apparire un Tarrasque con la passione per i guerrieri, e a fanculo l’ambientazione.”

«E a te, Marta? Sto esagerando? Marta?»

«Eh? Oh, scusa…»

Con la coda dell’occhio, Matteo notò che la ragazza aveva appena distolto lo sguardo da lui. Chissà cosa stava pensando… Forse si stava colpevolizzando per averlo innervosito; già, quelle come lei tendevano sempre a sentirsi in colpa per cose che non avevano fatto. Respirò profondamente, cercando di controllarsi: non aveva niente contro di Marta, era stata la stupidità di Roberto a infastidirlo – e le sue continue allusioni al tempo insieme che avevano trascorso negli ultimi giorni, come se a qualcuno potesse interessare. Per una volta si trovava d’accordo con Stefania.

«Tieni.» Le porse gentilmente il caffè e allungò una tazzina anche a Roberto. «Riprendiamo da dove eravamo rimasti. Marta, fammi un tiro di Percezione.»

«Diciotto: superato… credo.»

«Senti delle voci oltre la porta, ma non riconosci il loro linguaggio.»

«Aspetta» si inserì Leonardo. «Marta ha un punteggio Intelligenza alto, parla altre lingue.»

Stefania si sporse sul tavolino per scrutare la scheda di Marta. «Dubito che parlino Draconico in una vetreria, sai?»

Lui avvampò, balbettando qualcosa come: «Beh, ma io… non potevo saperlo… Cioè, non era detto che…»

«Sono goblin» svelò Matteo, esasperato. «I goblin hanno attaccato la città, i goblin hanno tentato di uccidervi, i goblin sono gli unici nemici che posso mettervi al primo livello. Possiamo andare avanti, adesso

 

La porta era chiusa a chiave, ma ad Amy bastarono pochi esperti gesti per far scattare la serratura; dietro di lei, Robert e Ygritte erano già pronti ad attaccare chiunque avrebbero trovato nella stanza. Lo spettacolo che si presentò ai loro occhi, però, fu tale da catturare l’attenzione del guerriero, che fallì l’assalto.

Nessuno di loro era preparato alla vista di quell’orrore: nove cadaveri giacevano avvolti nel vetro fuso, come se i loro aguzzini si fossero divertiti a ucciderli colandoglielo addosso ancora caldo; nel volto di una della vittime, che non era stato raggiunto dal vetro, si potevano ancora leggere l’espressione di paura e dolore, gli occhi spalancati, la bocca aperta in un grido muto. Jerle lo riconobbe: era il padre di Ameiko Kaijitsu.

Ygritte fu l’unica a non farsi prendere dal panico e a tranciare in un colpo solo il collo di un allarmato goblin. Presto anche gli altri le furono addosso, ma un fiotto acido proveniente dalle mani di Jerle raggiunse uno di loro, ferendolo gravemente. La battaglia fu breve, tra i colpi di spada di Robert e Ygritte, le magie dell’elfo e i sassi di Amy; solamente la barbara rimase ferita, ma il modo in cui sventrò il goblin che l’aveva colpita fu da monito agli altri avversari, che cercarono di tenersi lontano da lei – per quanto fu loro possibile.

Quando tutto fu concluso, Ygritte passò a recidere le orecchie dei goblin che aveva abbattuto per ornare la sua collana, mentre Jerle esaminava i corpi e Robert e Amy rovistavano nella stanza in cerca di indizi e armi da poter rivendere al migliore offerente. La cosa più saggia da fare sarebbe stato perquisire il resto della vetreria, ma Robert scoprì orme di piccoli piedi che conducevano a una botola, seminascosta dietro alcune casse.

«Guardate qua.»

«Potrebbe essere il loro nascondiglio» azzardò Jerle. «Forse ci sono altri goblin… e forse è da qui che sono passati quelli che hanno assalito la città la notte della festa.»

«Dovremmo dare un’occhiata al resto delle stanze, però» rifletté Amy ad alta voce. «Ameiko potrebbe essere nascosta da queste parti… Tra i cadaveri non c’era.»

«Ma non possiamo escludere che sia morta.»

«Cosa facciamo?»

 

«Avete una settimana per deciderlo» li interruppe Matteo, chiudendo sonoramente il manuale.

Leonardo controllò l’orologio e aggrottò la fronte. «Mancano ancora due ore. Di solito non finiamo all’una?»

«Giovanni ci aspetta al pub.»

«Potevi dircelo prima, almeno» esclamò Stefania, incrociando le braccia al prosperoso petto.

Fu la volta di Matteo di sentirsi indispettito. È vero, aveva dimenticato di avvertirli, ma loro non avevano dimenticato le buone maniere per tutta la durata della sessione? Buone maniere che imponevano che il master non venisse mai disturbato mentre narrava?

«Volete venire?» si limitò a chiedere, senza neanche scusarsi – per poi ricordare che a dargli sui nervi era stato unicamente Roberto. Come al solito, se la stava prendendo anche con chi non c’entrava niente. «Giovanni ha una sorpresa per noi.»

Roberto si strinse nelle spalle. «Per me non c’è problema, tanto avevo già progettato di fare tardi. Tu, Marta? Preferisci che ti riaccompagni a casa?»

«No, posso venire, tanto domattina non ho l’università.»

«Meglio, mi fa piacere stare un altro po’ con te.»

“Mi fa piacere stare un altro po’ con te” gli fece di nuovo il verso Matteo, distogliendo lo sguardo dal sorriso che Roberto stava lanciando alla sua ragazza.

Era sicuro che fosse la sua ragazza? Sì, non sembravano esserci dubbi. Certo che Marta si consolava facilmente.

«Veniamo anche noi» disse Stefania, indicando Leonardo con un cenno del capo.

Lui impallidì, colto alla sprovvista. «“Noi”? Non… Perché parli anche per me? Non mi piacciono i pub. C’è gente.»

«Anche al Romics c’era gente.»

«Certo, ma qui c’è gente gente

Stefania alzò gli occhi al cielo. «Per gli dèi antichi e nuovi, elfo, muovi il culo e andiamo a bere!»

«Qual è la sorpresa di Giovanni?» chiese Roberto, sogghignando per il loro scambio di battute e circondando con il braccio le spalle di Marta.

«Lo vedrete» rispose Matteo, evasivo. Con la coda dell’occhio notò Marta distogliere lo sguardo da lui ancora una volta.

 

 

I polpastrelli di Giovanni tamburellavano nervosamente sulla superficie consumata del tavolo, soffocati dal caos che regnava all’interno del pub. Era un locale situato lontano dalle strade principali della zona, in una stretta via dove era difficile trovare parcheggio, eppure la clientela abituale affollava le due piccole stanze come ogni venerdì sera; per quello che credeva essere una sorta di miracolo, Giovanni era riuscito a trovare un tavolo libero in fondo al locale, addossato a una delle pareti di pietra e posizionato di fronte al camino spento. Il luogo non era certo dei migliori per un primo incontro, ma su quel punto Matteo era stato irremovibile.

«Deve trattarsi di un posto a cui sei già abituato» aveva detto, perentorio «altrimenti finirai per comportarti come un idiota.»

“Come se non lo avessi già fatto.”

Giovanni reputava profondamente idiota – e irresponsabile, infantile e stupido – il modo in cui aveva terminato la cena degli ex studenti, portandosi a casa, inebriato dall’alcol, una compagna di classe che al liceo non aveva mai davvero notato: a quel tempo, e per tanti anni a venire, era esistita “Cate e solo Cate”; c’erano stati baci con altre ragazze, ma nessuna donna che non fosse Caterina l’aveva visto muoversi, nudo e impacciato, sotto le coperte.

“E neanche Miriam mi ci ha visto, effettivamente.”

Del poco che ricordava di quella notte, era ben impressa nella sua mente la figura di un uomo sicuro di sé, molto diverso da ciò che Giovanni era veramente. L’avevano fatto nel letto matrimoniale…

Quel pensiero lo faceva arrossire e sentire un verme, ma bastava ricordarsi che Caterina lo aveva fatto con un altro uomo – in un posto diverso, certo, però mentre stavano ancora insieme – per convincerlo che non aveva agito nel modo sbagliato: quello era il suo letto e Miriam era la sua… beh, ex rappresentante di classe? Qualcosa del genere. Non ragazza, no; “persona con cui si stava frequentando”, ecco.

«È tutto a posto?»

La voce di Miriam lo distolse dai propri pensieri, facendogli scattare la testa verso l’alto in un modo tanto innaturale da strappare una risata alla sua… “compagna di bevute”.

«Sì, stavo solo pensando che ci stanno mettendo un po’. L’appuntamento era per le undici e un quarto e Matteo non ama fare ritardo…»

«Matteo è il tuo migliore amico, non è vero? Dopo Chad, intendo.»

«Sì, è la persona che mi conosce di più. Sono felice di lavorare insieme a lui.»

Frasi di circostanza: entro poco avrebbe cominciato a parlare del tempo – senza che potesse vederlo, lontano dalle poche finestre del pub. Quel pensiero gli strinse il collo, dandogli la sensazione di soffocare, e Giovanni dovette slacciare il primo bottone della camicia per liberarsene.

«Sei sicuro che la cosa migliore sia presentarvela?»

«Ma sì, ti dico: non le dai troppe false speranze in un’uscita tra amici, e poi chi ti conosce capirà che hai messo da parte Cate, no?»

Per la prima volta in vita sua aveva chiesto consiglio a Matteo, ma solo ora cominciava a chiedersi se avesse fatto bene; d’altronde, non gli sembrava che il suo amico fosse la persona più esperta in campo amoroso. Parlarne con Chad era escluso, non avrebbe fatto altro che piagnucolare perché voleva che le cose con Caterina si sistemassero, e non poteva neanche rivolgersi a suo fratello, con il quale non aveva un grande legame, o a Lory, nascosta in chissà quale parte del mondo. Si rese conto, con mestizia, che l’unica persona a cui si era sempre affidato nella vita per un consiglio era sua moglie – la sua ex moglie. Presto lo sarebbe diventata, perlomeno.

L’improvvisa apparizione di una faccia burbera lo fece incredibilmente esultare.

«Uff, non c’era proprio posto, eh?» esclamò Stefania, rivolta più a se stessa che a Giovanni. Probabilmente impiegava il tempo libero a polemizzare tra sé e sé per le questioni più disparate. «Ciao» salutò poi, ricordandosi di avere di fronte altre persone. Aggrottò le sopracciglia quando vide Miriam, come studiandola, ma non disse nulla.

Leonardo, al contrario, apparve turbato e il sorriso esibito da Matteo era tanto largo non essere per niente convincente.

«Ciao!» esordì, tendendo un braccio verso Miriam. «Tu devi essere Miriam. Io sono Matteo, piacere di conoscerti.»

La ragazza gli strinse la mano e sorrise a sua volta, passando poi a presentarsi agli altri presenti. «Piacere, Miriam.»

«Stefania» bofonchiò l’altra, ma fu Leonardo a mettere di nuovo in agitazione Giovanni.

«P-piacere, Le-Leonardo.» Si guardò intorno, spaesato, lanciando di tanto in tanto occhiate fugaci a Miriam, come se si aspettasse di vederla trasformare in Caterina da un momento all’altro.

«Ci siete solo voi?» chiese Giovanni.

«Stanno parcheggiando» disse Stefania con il solito tono brusco. «Ci prendiamo una birra?»

«Credo sarebbe carino aspettarli» le rispose gentilmente Miriam.

Giovanni non dovette essere l’unico ad annusare il disastro nell’aria, perché il timido Leonardo sembrò scegliere di essere lui l’agnello sacrificale.

«Aspettiamoli!» esclamò con voce acuta. «Tanto stanno per… Ehi, eccoli là!»

L’apparizione di Marta e Roberto calmò temporaneamente la acque. Si stavano facendo largo tra la folla, cercandoli e tenendosi per mano. Quel particolare portò immediatamente lo sguardo di Giovanni su Matteo, ma il suo amico stava scrivendo un messaggio, in apparenza tranquillo.

«Scusate il ritardo, non trovavamo parcheggio.» Roberto si sedette, facendo spazio sulla panca anche a Marta, poi guardò Miriam sorpreso. «Ciao, io sono Roberto.»

Giovanni notò che si stava limitando a porgerle la mano e rivolgerle un sorriso educato, senza complimentarsi per il taglio dei capelli o la collana che scivolava nei seni – al contrario teneva lo sguardo concentrato sui suoi occhi.

«Miriam.»

«Marta.»

«Voglio una birra.»

Giovanni alzò un braccio per richiamare l’attenzione del barista, in modo da far tacere Stefania, ma c’era troppa confusione nel locale perché chiunque lo notasse, così fu costretto ad alzarsi. «Cosa vi prendo?»

«Una rossa.»

“Mi piacciono le rosse”: ancora una volta, qualcosa che credeva di sentir uscire dalle labbra di Roberto lo deluse. Era strano il modo in cui si stava comportando con Marta, possibile che lei gli interessasse realmente? Non aveva tempo di pensarci, perché i suoi amici stavano continuando a fare le loro ordinazioni.

«Rossa anch’io, e per te, Marta?»

«Una chiara» risposero in coro Marta e Matteo. Si guardarono per una frazione di secondo, poi voltarono bruscamente la testa, imbarazzata o indifferente.

«Io anche… penso… una chiara… Non mi piace molto la birra, forse sarebbe meglio una Co-»

«Una mezza pinta chiara per l’elfo.»

«Ma…»

«Stasera ti inizieremo all’alcol.»

«Tu cosa prendi?» Giovanni, ormai in piedi, si chinò verso Miriam per sentire la sua voce al di sopra di quelle che stavano affollando le sue orecchie. Immediatamente si pentì di quel gesto, che dovette sembrare alquanto intimo per due persone che si frequentavano da così poco.

“Che ne sanno loro da quanto vi frequentate?” disse una vocina nella sua testa.

Maledetto Matteo e le sue idee.

«Prendo una chiara media, grazie.»

Cate avrebbe preso una scura grande. Cate, la donna dall’aspetto delicato e dai capelli sempre in ordine: era cambiata dal liceo, ma alcune abitudini erano rimaste.

Fu così che Giovanni si ritrovò a ordinare una scura di troppo e a farla passare per sua, quando al ritorno al tavolo trovò un’altra donna al posto di Cate.

 

 

Al contrario di quello che Stefania aveva detto, quella non era la prima volta che Leonardo aveva a che fare con l’alcol; semplicemente non lo faceva impazzire. E gettava sua madre nell’agitazione, il che era anche peggio.

Gli sembrava di sentirla ancora raccomandarsi: «Non bere alcolici. Non andate in due su un motorino. Non parlare con gli sconosciuti. Non mangiare cibo scaduto. Rifai il letto. Ricorda di buttare la spazzatura.» Frasi che chiunque vivesse con i propri genitori si era sentito dire almeno una volta nel corso dell’adolescenza, ma quelle parole erano uscite dalla bocca di sua madre quando per l’università Leonardo aveva deciso di trasferirsi a Roma. E poco prima che lei scoppiasse a piangere e stringesse a sé l’amato figlio, che non avrebbe rivisto per almeno un mese.

A pensarci bene, la settimana seguente Leonardo sarebbe tornato a casa per un po’ di giorni, era il caso che cominciasse a preparare i vestiti da mettere in valigia così sua madre li avrebbe lavati e stirati non appena…

«Ehi.» Una voce lo richiamò alla realtà. «Che fai, non bevi?»

Da quando Giovanni era tornato al tavolo con le birre, Leonardo non aveva fatto altro che tenere la sua tra le mani, intatta, e osservare i movimenti di tutti quelli che sedevano al suo tavolo: Roberto aveva fatto assaggiare la sua Eagle a Marta, lasciando poi scivolare un braccio intorno alle sue spalle; Matteo controllava spesso il cellulare, alzando di tanto in tanto lo sguardo per chiacchierare con Giovanni; il proprietario del Vecchio Mangaka, da parte sua, cercava di prestare attenzione a Miriam e di coinvolgerla nei discorsi con gli assidui frequentatori del suo negozio. L’unica a cui Leonardo non aveva prestato attenzione era Stefania, che sedeva accanto a lui.

Portò lo sguardo sul bicchiere ancora pieno.

«Ho cenato presto stasera e ora ho lo stomaco vuoto…» ammise.

«Aspetta.»

Stefania si alzò e si allontanò, probabilmente diretta in bagno: forse voleva lanciargli qualche frecciatina, però “la vescica la stava chiamando” – non era così che si diceva da quelle parti? Sì, di sicuro era quello il motivo per cui lo aveva canzonato dandogli del ragazzino che si preoccupava di mangiare prima di bere o lamentandosi di andare in giro con uno come lui. Marta doveva essere una buona compagnia per le bevute, invece, a giudicare da quanto alcol stava mandando giù quella sera.

«E tu, Leonardo, cosa studi?» gli chiese Miriam, attirando la sua attenzione.

«Lettere a Roma Tre» rispose lui. Si chiese se in quel momento dovesse bere un sorso di birra per darsi un contegno.

«Oh, che bravo! E che cosa vuoi fare da grande?»

Gli dava fastidio il modo in cui Miriam si stava rivolgendo a lui, come se fosse un bambino. Avevano dodici anni di differenza, ma Leonardo non andava più al liceo! Cate non l’avrebbe trattato così.

Fu solo dopo essersi indignato per il tono usato da Miriam che si rese conto della domanda che gli aveva posto. Che cosa voleva fare in futuro? Bella domanda, di sicuro si aspettava una risposta, ma stava passando troppo tempo in silenzio.

«Già, Leo» si intromise Roberto. «Che vuoi fare da grande

Lo guardò con un sorriso che non prometteva niente di buono, ma Stefania non era là a dargli corda, per fortuna, e Leonardo doveva approfittarne per cercare di tirare fuori le parole che gli si erano incastrate in gola.

«Beh…» Tossì. «Il mio sogno è lavorare in una casa editrice. So che è difficile, però… Mi piace, ecco.»

«Ami leggere?»

Che domande erano? Forse Miriam lo vedeva davvero come un bambino, forse pensava addirittura che Giovanni l’avesse portata all’asilo.

«Sì, certo» si ritrovò a rispondere con più glacialità di quando avrebbe voluto.

«Ecco qua.» Stefania comparve dal nulla con in mano due piatti che poggiò sul tavolo. «Questo è per te, elfo. Spero ti piaccia il formaggio.»

Leonardo sgranò gli occhi. «Perché?»

«Beh, hai detto di avere lo stomaco vuoto. Non potevo farti sprecare una birra.»

Stava sognando. Sì, stava decisamente sognando, non c’era altra spiegazione. Eppure il panino ripieno di hamburger, insalata e formaggio sembrava davvero reale; per assicurarsene ne addentò un pezzo e dovette ammettere che non si trattava di un sogno.

«Ti restituisco i soldi.»

«Non serve.»

«Lascia che ti paghi la birra, allora.»

Stefania si pulì le labbra sporche di ketchup con il tovagliolino in cui era avvolto il suo hot dog. «Studi fuori casa, non lavori e non puoi fare sempre affidamento sui soldi dei tuoi» disse, schietta. «Perciò ora mangia quel panino e non rompere le palle se ti offro qualcosa.»

Era ancora incerto se sognare o no: l’atteggiamento di Stefania restava lo stesso che lui conosceva, ma i fatti… Gli stava davvero offrendo un panino? No, non si trattava di quello, ma dall’esserlo andata a comprare quando lui aveva detto di avere fame. Quella non era la Stefania che conosceva – in parte sì, ma era la Stefania del Romics. E in quel momento nessuno dei due era in cosplay. Gettò un’occhiata al bicchiere di lei, ma mancava pochissima birra ed era certo di non avergliene visto portare altra con sé quando era tornata al tavolo. Nel distogliere lo sguardo, notò che Stefania stava fissando con astio Marta.

“Possibile che…?”

Non fu in grado di formulare l’intero pensiero, perché Stefania si voltò verso di lui. «È la prima volta che bevi?»

«No, però… non ne vado pazzo, te l’ho detto.»

Sorseggiò della birra, fissando l’orlo del bicchiere. «Te ne ho fatta prendere un po’ troppa, mi sa… Se non ti va lasciala, eh, quella puoi pagarla tu senza sentirti in colpa.»

«No, la bevo con calma. Chiara non mi dispiace. Senti, posso chiederti una cosa?»

Annuì.

Leonardo si fece coraggio. «Perché non mi stai insultando?»

«Eh?» chiese lei, senza staccare gli occhi dal bicchiere.

«Non mi hai preso in giro perché avevo paura di bere a stomaco vuoto.»

«Significa che non volevi ubriacarti.»

«In effetti, no…»

«E cosa c’è di male in questo?» La testa di Stefania scattò di nuovo verso di lui e Leonardo fu certo di vedere balenare nei suoi occhi verdi un velo di tristezza. «Neanche a me piace molto la birra» confessò. «La bevo solo rossa, le poche volte che vengo al pub. Questo è il ritrovo preferito degli associati, vero?»

«Già, lo chiamiamo “Testa di Porco”: non è pulitissimo, Max lascia fumare all’interno quando c’è poca clientela e c’è un fortissimo odore di formaggio, ma si sta bene, dà un’atmosfera di “casa”. Che cosa ti piace, allora?» Leonardo cambiò bruscamente discorso, sentendosi ridicolo per quello che aveva appena detto.

«Lo zucchero filato. Mangerei montagne di zucchero filato.»

Sorrise di fronte al suo sguardo improvvisamente felice. «Mi piace lo zucchero filato. E poi?»

«Sempre cibo?»

«No, tutto quello che ti viene in mente.»

«Beh, sai già di Game of ThronesNeon Genesis Evangelion. Amo Asuka.» Stefania si indicò la maglietta. «Ho una vera fissazione per quel manga, ho anche i primi volumi e a ogni fiera compro una action figure di Asuka.»

«Già, mi ricordo di avertela vista prendere anche al Romics!»

«Sì, quella con la gonna sollevata… Mi mancava. E tu? Cosa ti piace?»

Leonardo stava per chiedere se fosse davvero interessata a saperlo, quando notò che i suoi occhi stavano per diventare lucidi: aveva gettato un’altra occhiata in direzione di Marta e Roberto ed era ormai evidente che stesse facendo il possibile per pensare ad altro. Accorgersene gli chiuse inspiegabilmente lo stomaco.

«I fantasy di ogni tipo. Ho letto Harry Potter, Martin, Pratchett, Brooks, Dragonlance… perfino Cronache del Mondo Emerso

«Che schifo, dici sul serio?»

«Anche Twilight.»

«Cosa?! Ma sei un uomo!»

Si strinse nelle spalle. «Era in casa…»

«Ti piace Benni?»

«È una domanda a trabocchetto?»

«Rispondi.»

«Beh… Non ho letto niente di suo.»

«Hai fatto bene, fa schifo.»

Se anche avesse insultato il suo scrittore preferito – cosa alquanto improbabile, dal momento che si trattava di Martin – Leonardo sarebbe scoppiato a ridere comunque, solo per alzarle il morale. Era piacevole parlare con lei quando non lo trattava male, e non solo delle Cronache di Martin. Evitò però di chiederle il suo personaggio preferito, intuendo che si sarebbe impelagato in un bel guaio.

“È una Lannister, di sicuro amerà Cersei. Non posso mica dirle che voglio Sansa sul Trono.”

Dietro le spalle di Stefania, Roberto e Marta si stavano scambiando un bacio e Leonardo fu lieto di averla distratta. Avrebbe volentieri continuato a farlo per tutta la serata, pur di risparmiarle quel dolore.








Il titolo è una citazione da Una mamma per amica.

 

MATTEO:

- Tarrasque

 

LEONARDO:

- Testa di Porco: pub situato a Hogsmeade nella saga di Harry Potter

- Cersei e Sansa: personaggi rispettivamente Lannister e Stark

 

 

 

 

SPAZIO AUTRICE

 

Poche note per questo capitolo e un gigantesco SCUSATE IL RITARDO!

Tra storie da betare e storie da correggere per un contest (ben trenta e ancora non ho finito) sono riuscita a scrivere il capitolo solo in questi ultimi giorni. Spero che soddisfi le vostre aspettative, perlomeno!

Matteo (come Marta) sta risultando il più difficile su cui scrivere, mentre Giovanni fila abbastanza liscio come l’olio e i dialoghi tra Stefania e Leonardo si scrivono da soli; Roberto poi è il mio personaggio preferito, ma non dovrei avere preferenze. Non dovrei proprio, visto la fine che fanno i miei personaggi preferiti XD Ma non ho ancora in serbo niente per lui, don’t worry!

Che pensate di Miriam? Giovanni potrà abituarsi a una ragazza che non è Cate? Cate che finora è apparsa ben poco, ma tornerà nei prossimi capitoli.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e anche di aggiornare presto. Se tra voi dovesse esserci qualche amante di Game of Thrones, ne approfitto per spammare una minilong AU che sto scrivendo e che aggiornerò presto: Rabbit heart and Lion heart.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: MedusaNoir