Alcune
cose non sono nel nostro destino, a
prescindere da quanto le vogliamo
«Avete
trovato tracce
di Ameiko?»
Jerle
si portò l’indice
davanti alla bocca, facendo segno a Amy di non fare rumore.
«Saresti tu la
ladra esperta?» soffiò.
Per
tutta risposta,
Robert si intromise tra loro, sussurrando: «Capita a tutti di
sbagliare, Jerle.
Abbiamo altro di cui occuparci adesso.»
L’elfo
sembrava
indispettito, ma lasciò cadere il discorso: erano penetrati
in piena notte
nella vetreria di Sandpoint alla ricerca della locandiera scomparsa e
non
potevano sapere se qualcuno fosse lì ad attenderli;
dopotutto colui o coloro
che avevano teso un agguato a lei e al fratellastro Tsuto proprio in
quel luogo
– a mezzanotte, stando al biglietto inviato dal mezzelfo alla
sorella il giorno
precedente la sparizione – potevano trovarsi ancora
lì, in attesa dei “famosi
eroi” che certamente sarebbero giunti a cercare la loro
amica. Sapeva di
trappola, Jerle aveva già esposto i suoi dubbi al gruppo,
anche se la reazione
di Ygritte era stata: «Che ci frega? Andiamoci e
spacchiamogli il culo.»
Dovevano
fare
attenzione, molta attenzione, perché c’erano
diverse porte sull’unico piano
della vetreria e dietro ciascuna avrebbe potuto celarsi un imprevisto.
Amy
poggiò l’orecchio sulla prima porta, cercando di
ascoltare un eventuale
movimento dall’altra…
«Vuoi
un caffè?» interruppe la narrazione Roberto, la
mano destra poggiata sulla
spalla di Marta.
«Sì,
grazie, oggi ho dormito poco…»
«Ci
stavo pensando, infatti. Ieri sera non saremmo dovuti rimanere
così tanto al
telefono… Ehi, master, puoi farci due
caffè?»
Lentamente,
il cervello che bolliva, Matteo riemerse dallo schermo del game master
che
nascondeva il manuale dell’avventura al resto dei giocatori. Odiava essere interrotto sul
più bello,
specialmente per motivi futili, e richiedere un caffè pochi
minuti dopo la
consueta pausa della sessione rientrava perfettamente nella definizione
di
“futile”; anche Roberto poteva essere inserito in
una categoria e si trattava
senza dubbio di “irritante”.
“Stupido
ragazzino viziato che pensa solo a fare il figo”
pensò, annuendo con fastidio e
alzandosi per compiere il servizio richiesto.
«Mi
dispiace doverti fermare,» si scusò Roberto con un
tono che a Matteo non
convinse minimamente, «ma sei il solo responsabile presente
del Sotterraneo…»
«Non
importa. Mi avresti interrotto comunque, chiedendo a qualcun
altro.»
Un
lampo di divertimento attraversò lo sguardo di Roberto, un
lampo che il suo
master colse appena in tempo, prima che sparisse – come colse
il sorriso
trattenuto. Si chiese a quale gioco stesse giocando: smetteva mai di
ruolare,
al termine di ogni sessione?
«Due
cucchiaini, grazie, mi piace dolce» si limitò a
ribattere il ragazzo. «E tu, Marta?»
“E
tu, Marta?” gli fece mentalmente il verso Matteo. Si chiese
cosa ci fosse tra
quei due, se la gentilezza di Roberto avesse un doppio scopo e se dopo
quel
bacio… “Toglitelo dalla testa, non è il
momento di pensarci.”
«Ehi,
master, hai sentito?»
«Scusa,
cos’hai detto?»
Roberto
ridacchiò come se la temporanea distrazione di Matteo fosse
un raro evento
esilarante. «Marta prende un cucchiaino e mezzo di
zucchero.»
«È
inutile dirmelo, tanto ci sono le bustine.»
E,
con ben poca grazia, Matteo lanciò sul tavolo di gioco il
contenitore delle
bustine di zucchero.
«Certo,
aggiungiamone altro, come se non ne avessi già la
nausea» si lamentò Stefania,
appoggiando il capo sul palmo della mano.
«Dieta?»
chiese Leonardo, guadagnandosi uno sguardo di fuoco.
«No,
stupido elfo, ma grazie per avermela ricordata. Stavo parlando di quei
due.»
Stefania puntò due dita verso i giocatori che aveva di
fronte.
«Ti
stiamo dando fastidio?» chiese Roberto, apparentemente
sorpreso. «Che abbiamo
fatto?»
«State
lì a cinciallegrare da
quando siamo
arrivati, mi avete stancato.»
«Fatti
nostri. A te abbiamo stancato, Leo?»
«Ehm…
no. Cioè, come vi pare. Ma se a lei da fastidio, ecco, non
so, potreste evitare
di… In fondo non sono affari miei, però, quindi
non posso dirvi…»
“Se
lo chiede anche a me, dietro la porta faccio apparire un Tarrasque con
la
passione per i guerrieri, e a fanculo
l’ambientazione.”
«E
a te, Marta? Sto esagerando? Marta?»
«Eh?
Oh, scusa…»
Con
la coda dell’occhio, Matteo notò che la ragazza
aveva appena distolto lo sguardo
da lui. Chissà cosa stava pensando… Forse si
stava colpevolizzando per averlo
innervosito; già, quelle come lei
tendevano sempre a sentirsi in colpa per cose che non avevano fatto.
Respirò
profondamente, cercando di controllarsi: non aveva niente contro di
Marta, era
stata la stupidità di Roberto a infastidirlo – e
le sue continue allusioni al
tempo insieme che avevano trascorso negli ultimi giorni, come se a
qualcuno
potesse interessare. Per una volta si trovava d’accordo con
Stefania.
«Tieni.»
Le porse gentilmente il caffè e allungò una
tazzina anche a Roberto. «Riprendiamo
da dove eravamo rimasti. Marta, fammi un tiro di Percezione.»
«Diciotto:
superato… credo.»
«Senti
delle voci oltre la porta, ma non riconosci il loro
linguaggio.»
«Aspetta»
si inserì Leonardo. «Marta ha un punteggio
Intelligenza alto, parla altre
lingue.»
Stefania
si sporse sul tavolino per scrutare la scheda di Marta.
«Dubito che parlino
Draconico in una vetreria, sai?»
Lui
avvampò, balbettando qualcosa come: «Beh, ma
io… non potevo saperlo… Cioè, non
era detto che…»
«Sono
goblin» svelò Matteo, esasperato. «I
goblin hanno attaccato la città, i goblin
hanno tentato di uccidervi, i goblin
sono gli unici nemici che posso mettervi al primo livello. Possiamo
andare
avanti, adesso?»
La
porta era chiusa a
chiave, ma ad Amy bastarono pochi esperti gesti per far scattare la
serratura;
dietro di lei, Robert e Ygritte erano già pronti ad
attaccare chiunque
avrebbero trovato nella stanza. Lo spettacolo che si
presentò ai loro occhi,
però, fu tale da catturare l’attenzione del
guerriero, che fallì l’assalto.
Nessuno
di loro era
preparato alla vista di quell’orrore: nove cadaveri giacevano
avvolti nel vetro
fuso, come se i loro aguzzini si fossero divertiti a ucciderli
colandoglielo
addosso ancora caldo; nel volto di una della vittime, che non era stato
raggiunto dal vetro, si potevano ancora leggere l’espressione
di paura e
dolore, gli occhi spalancati, la bocca aperta in un grido muto. Jerle
lo
riconobbe: era il padre di Ameiko Kaijitsu.
Ygritte
fu l’unica a non
farsi prendere dal panico e a tranciare in un colpo solo il collo di un
allarmato goblin. Presto anche gli altri le furono addosso, ma un
fiotto acido
proveniente dalle mani di Jerle raggiunse uno di loro, ferendolo
gravemente. La
battaglia fu breve, tra i colpi di spada di Robert e Ygritte, le magie
dell’elfo e i sassi di Amy; solamente la barbara rimase
ferita, ma il modo in
cui sventrò il goblin che l’aveva colpita fu da
monito agli altri avversari,
che cercarono di tenersi lontano da lei – per quanto fu loro
possibile.
Quando
tutto fu
concluso, Ygritte passò a recidere le orecchie dei goblin
che aveva abbattuto
per ornare la sua collana, mentre Jerle esaminava i corpi e Robert e
Amy
rovistavano nella stanza in cerca di indizi e armi da poter rivendere
al
migliore offerente. La cosa più saggia da fare sarebbe stato
perquisire il
resto della vetreria, ma Robert scoprì orme di piccoli piedi
che conducevano a
una botola, seminascosta dietro alcune casse.
«Guardate
qua.»
«Potrebbe
essere il
loro nascondiglio» azzardò Jerle. «Forse
ci sono altri goblin… e forse è da qui
che sono passati quelli che hanno assalito la città la notte
della festa.»
«Dovremmo
dare
un’occhiata al resto delle stanze, però»
rifletté Amy ad alta voce. «Ameiko
potrebbe essere nascosta da queste parti… Tra i cadaveri non
c’era.»
«Ma
non possiamo
escludere che sia morta.»
«Cosa
facciamo?»
«Avete
una settimana per deciderlo» li interruppe Matteo, chiudendo
sonoramente il
manuale.
Leonardo
controllò l’orologio e aggrottò la
fronte. «Mancano ancora due ore. Di solito
non finiamo all’una?»
«Giovanni
ci aspetta al pub.»
«Potevi
dircelo prima, almeno» esclamò Stefania,
incrociando le braccia al prosperoso
petto.
Fu
la volta di Matteo di sentirsi indispettito. È vero, aveva
dimenticato di
avvertirli, ma loro non avevano dimenticato le buone maniere per tutta
la
durata della sessione? Buone maniere che imponevano che il master non
venisse mai disturbato mentre
narrava?
«Volete
venire?» si limitò a chiedere, senza neanche
scusarsi – per poi ricordare che a
dargli sui nervi era stato unicamente Roberto. Come al solito, se la
stava
prendendo anche con chi non c’entrava niente.
«Giovanni ha una sorpresa per
noi.»
Roberto
si strinse nelle spalle. «Per me non c’è
problema, tanto avevo già progettato
di fare tardi. Tu, Marta? Preferisci che ti riaccompagni a
casa?»
«No,
posso venire, tanto domattina non ho
l’università.»
«Meglio,
mi fa piacere stare un altro po’ con te.»
“Mi
fa piacere stare un altro po’ con te” gli fece di
nuovo il verso Matteo,
distogliendo lo sguardo dal sorriso che Roberto stava lanciando alla
sua
ragazza.
Era
sicuro che fosse la sua ragazza? Sì, non sembravano esserci
dubbi. Certo che
Marta si consolava facilmente.
«Veniamo
anche noi» disse Stefania, indicando Leonardo con un cenno
del capo.
Lui
impallidì, colto alla sprovvista.
«“Noi”? Non… Perché
parli anche per me? Non
mi piacciono i pub. C’è gente.»
«Anche
al Romics c’era gente.»
«Certo,
ma qui c’è gente gente.»
Stefania
alzò gli occhi al cielo. «Per gli dèi
antichi e nuovi, elfo, muovi il culo e
andiamo a bere!»
«Qual
è la sorpresa di Giovanni?» chiese Roberto,
sogghignando per il loro scambio di
battute e circondando con il braccio le spalle di Marta.
«Lo
vedrete» rispose Matteo, evasivo. Con la coda
dell’occhio notò Marta
distogliere lo sguardo da lui ancora una volta.
♠
I
polpastrelli di Giovanni tamburellavano nervosamente sulla superficie
consumata
del tavolo, soffocati dal caos che regnava all’interno del
pub. Era un locale
situato lontano dalle strade principali della zona, in una stretta via
dove era
difficile trovare parcheggio, eppure la clientela abituale affollava le
due
piccole stanze come ogni venerdì sera; per quello che
credeva essere una sorta
di miracolo, Giovanni era riuscito a trovare un tavolo libero in fondo
al
locale, addossato a una delle pareti di pietra e posizionato di fronte
al
camino spento. Il luogo non era certo dei migliori per un primo
incontro, ma su
quel punto Matteo era stato irremovibile.
«Deve
trattarsi di un posto a cui sei già abituato»
aveva detto, perentorio
«altrimenti finirai per comportarti come un idiota.»
“Come
se non lo avessi già fatto.”
Giovanni
reputava profondamente idiota
– e
irresponsabile, infantile e stupido – il modo in cui aveva
terminato la cena
degli ex studenti, portandosi a casa, inebriato dall’alcol,
una compagna di
classe che al liceo non aveva mai davvero notato: a quel tempo, e per
tanti
anni a venire, era esistita “Cate e solo Cate”;
c’erano stati baci con altre
ragazze, ma nessuna donna che non fosse Caterina l’aveva
visto muoversi, nudo e
impacciato, sotto le coperte.
“E
neanche Miriam mi ci ha visto, effettivamente.”
Del
poco che ricordava di quella notte, era ben impressa nella sua mente la
figura
di un uomo sicuro di sé, molto diverso da ciò che
Giovanni era veramente.
L’avevano fatto nel letto matrimoniale…
Quel
pensiero lo faceva arrossire e sentire un verme, ma bastava ricordarsi
che
Caterina lo aveva fatto con un altro uomo – in un posto
diverso, certo, però
mentre stavano ancora insieme – per convincerlo che non aveva
agito nel modo
sbagliato: quello era il suo letto
e
Miriam era la sua… beh, ex rappresentante di classe?
Qualcosa del genere. Non
ragazza, no; “persona con cui si stava
frequentando”, ecco.
«È
tutto a posto?»
La
voce di Miriam lo distolse dai propri pensieri, facendogli scattare la
testa
verso l’alto in un modo tanto innaturale da strappare una
risata alla sua…
“compagna di bevute”.
«Sì,
stavo solo pensando che ci stanno mettendo un po’.
L’appuntamento era per le
undici e un quarto e Matteo non ama fare ritardo…»
«Matteo
è il tuo migliore amico, non è vero? Dopo Chad,
intendo.»
«Sì,
è la persona che mi conosce di più. Sono felice
di lavorare insieme a lui.»
Frasi
di circostanza: entro poco avrebbe cominciato a parlare del tempo
– senza che
potesse vederlo, lontano dalle poche finestre del pub. Quel pensiero
gli
strinse il collo, dandogli la sensazione di soffocare, e Giovanni
dovette
slacciare il primo bottone della camicia per liberarsene.
«Sei
sicuro che la cosa
migliore sia presentarvela?»
«Ma
sì, ti dico: non le
dai troppe false speranze in un’uscita tra amici, e poi chi
ti conosce capirà
che hai messo da parte Cate, no?»
Per
la prima volta in vita sua aveva chiesto consiglio a Matteo, ma solo
ora
cominciava a chiedersi se avesse fatto bene; d’altronde, non
gli sembrava che
il suo amico fosse la persona più esperta in campo amoroso.
Parlarne con Chad
era escluso, non avrebbe fatto altro che piagnucolare perché
voleva che le cose
con Caterina si sistemassero, e non poteva neanche rivolgersi a suo
fratello,
con il quale non aveva un grande legame, o a Lory, nascosta in
chissà quale
parte del mondo. Si rese conto, con mestizia, che l’unica
persona a cui si era
sempre affidato nella vita per un consiglio era sua moglie –
la sua ex moglie. Presto lo sarebbe
diventata,
perlomeno.
L’improvvisa
apparizione di una faccia burbera lo fece incredibilmente esultare.
«Uff,
non c’era proprio posto, eh?» esclamò
Stefania, rivolta più a se stessa che a
Giovanni. Probabilmente impiegava il tempo libero a polemizzare tra
sé e sé per
le questioni più disparate. «Ciao»
salutò poi, ricordandosi di avere di fronte
altre persone. Aggrottò le sopracciglia quando vide Miriam,
come studiandola,
ma non disse nulla.
Leonardo,
al contrario, apparve turbato e il sorriso esibito da Matteo era tanto
largo non
essere per niente convincente.
«Ciao!»
esordì, tendendo un braccio verso Miriam. «Tu devi
essere Miriam. Io sono
Matteo, piacere di conoscerti.»
La
ragazza gli strinse la mano e sorrise a sua volta, passando poi a
presentarsi
agli altri presenti. «Piacere, Miriam.»
«Stefania»
bofonchiò l’altra, ma fu Leonardo a mettere di
nuovo in agitazione Giovanni.
«P-piacere,
Le-Leonardo.» Si guardò intorno, spaesato,
lanciando di tanto in tanto occhiate
fugaci a Miriam, come se si aspettasse di vederla trasformare in
Caterina da un
momento all’altro.
«Ci
siete solo voi?» chiese Giovanni.
«Stanno
parcheggiando» disse Stefania con il solito tono brusco.
«Ci prendiamo una
birra?»
«Credo
sarebbe carino aspettarli» le rispose gentilmente Miriam.
Giovanni
non dovette essere l’unico ad annusare il disastro
nell’aria, perché il timido
Leonardo sembrò scegliere di essere lui l’agnello
sacrificale.
«Aspettiamoli!»
esclamò con voce acuta. «Tanto stanno
per… Ehi, eccoli là!»
L’apparizione
di Marta e Roberto calmò temporaneamente la acque. Si
stavano facendo largo tra
la folla, cercandoli e tenendosi per mano. Quel particolare
portò immediatamente
lo sguardo di Giovanni su Matteo, ma il suo amico stava scrivendo un
messaggio,
in apparenza tranquillo.
«Scusate
il ritardo, non trovavamo parcheggio.» Roberto si sedette,
facendo spazio sulla
panca anche a Marta, poi guardò Miriam sorpreso.
«Ciao, io sono Roberto.»
Giovanni
notò che si stava limitando a porgerle la mano e rivolgerle
un sorriso educato,
senza complimentarsi per il taglio dei capelli o la collana che
scivolava nei
seni – al contrario teneva lo sguardo concentrato sui suoi
occhi.
«Miriam.»
«Marta.»
«Voglio
una birra.»
Giovanni
alzò un braccio per richiamare l’attenzione del
barista, in modo da far tacere
Stefania, ma c’era troppa confusione nel locale
perché chiunque lo notasse,
così fu costretto ad alzarsi. «Cosa vi
prendo?»
«Una
rossa.»
“Mi
piacciono le rosse”: ancora una volta, qualcosa che credeva
di sentir uscire
dalle labbra di Roberto lo deluse. Era strano il modo in cui si stava
comportando con Marta, possibile che lei gli interessasse realmente?
Non aveva
tempo di pensarci, perché i suoi amici stavano continuando a
fare le loro
ordinazioni.
«Rossa
anch’io, e per te, Marta?»
«Una
chiara» risposero in coro Marta e Matteo. Si guardarono per
una frazione di
secondo, poi voltarono bruscamente la testa, imbarazzata o indifferente.
«Io
anche… penso… una chiara… Non mi piace
molto la birra, forse sarebbe meglio una
Co-»
«Una
mezza pinta chiara per l’elfo.»
«Ma…»
«Stasera
ti inizieremo all’alcol.»
«Tu
cosa prendi?» Giovanni, ormai in piedi, si chinò
verso Miriam per sentire la
sua voce al di sopra di quelle che stavano affollando le sue orecchie.
Immediatamente si pentì di quel gesto, che dovette sembrare
alquanto intimo per
due persone che si frequentavano da così poco.
“Che
ne sanno loro da quanto vi frequentate?” disse una vocina
nella sua testa.
Maledetto
Matteo e le sue idee.
«Prendo
una chiara media, grazie.»
Cate
avrebbe preso una scura grande. Cate, la donna dall’aspetto
delicato e dai
capelli sempre in ordine: era cambiata dal liceo, ma alcune abitudini
erano rimaste.
Fu
così che Giovanni si ritrovò a ordinare una scura
di troppo e a farla passare
per sua, quando al ritorno al tavolo trovò
un’altra donna al posto di Cate.
♠
Al
contrario di quello che Stefania aveva detto, quella non
era la prima volta che Leonardo aveva a che fare con l’alcol;
semplicemente non lo faceva impazzire. E gettava sua madre
nell’agitazione, il
che era anche peggio.
Gli
sembrava di sentirla ancora raccomandarsi: «Non bere
alcolici. Non andate in
due su un motorino. Non parlare con gli sconosciuti. Non mangiare cibo
scaduto.
Rifai il letto. Ricorda di buttare la spazzatura.» Frasi che
chiunque vivesse
con i propri genitori si era sentito dire almeno una volta nel corso
dell’adolescenza, ma quelle parole erano uscite dalla bocca
di sua madre quando
per l’università Leonardo aveva deciso di
trasferirsi a Roma. E poco prima che
lei scoppiasse a piangere e stringesse a sé
l’amato figlio, che non avrebbe
rivisto per almeno un mese.
A
pensarci bene, la settimana seguente Leonardo sarebbe tornato a casa
per un po’
di giorni, era il caso che cominciasse a preparare i vestiti da mettere
in
valigia così sua madre li avrebbe lavati e stirati non
appena…
«Ehi.»
Una voce lo richiamò alla realtà. «Che
fai, non bevi?»
Da
quando Giovanni era tornato al tavolo con le birre, Leonardo non aveva
fatto
altro che tenere la sua tra le mani, intatta, e osservare i movimenti
di tutti
quelli che sedevano al suo tavolo: Roberto aveva fatto assaggiare la
sua Eagle a
Marta, lasciando poi scivolare un braccio intorno alle sue spalle;
Matteo
controllava spesso il cellulare, alzando di tanto in tanto lo sguardo
per
chiacchierare con Giovanni; il proprietario del Vecchio
Mangaka, da parte sua, cercava di prestare attenzione a
Miriam e di coinvolgerla nei discorsi con gli assidui frequentatori del
suo
negozio. L’unica a cui Leonardo non aveva prestato attenzione
era Stefania, che
sedeva accanto a lui.
Portò
lo sguardo sul bicchiere ancora pieno.
«Ho
cenato presto stasera e ora ho lo stomaco vuoto…»
ammise.
«Aspetta.»
Stefania
si alzò e si allontanò, probabilmente diretta in
bagno: forse voleva lanciargli
qualche frecciatina, però “la vescica la stava
chiamando” – non era così che si
diceva da quelle parti? Sì, di sicuro era quello il motivo
per cui lo aveva
canzonato dandogli del ragazzino che si preoccupava di mangiare prima
di bere o
lamentandosi di andare in giro con uno come lui. Marta doveva essere
una buona
compagnia per le bevute, invece, a giudicare da quanto alcol stava
mandando giù
quella sera.
«E
tu, Leonardo, cosa studi?» gli chiese Miriam, attirando la
sua attenzione.
«Lettere
a Roma Tre» rispose lui. Si chiese se in quel momento dovesse
bere un sorso di
birra per darsi un contegno.
«Oh,
che bravo! E che cosa vuoi fare da grande?»
Gli
dava fastidio il modo in cui Miriam si stava rivolgendo a lui, come se
fosse un
bambino. Avevano dodici anni di differenza, ma Leonardo non andava
più al
liceo! Cate non l’avrebbe trattato così.
Fu
solo dopo essersi indignato per il tono usato da Miriam che si rese
conto della
domanda che gli aveva posto. Che cosa voleva fare in futuro? Bella
domanda, di
sicuro si aspettava una risposta, ma stava passando troppo tempo in
silenzio.
«Già,
Leo» si intromise Roberto. «Che vuoi fare da
grande?»
Lo
guardò con un sorriso che non prometteva niente di buono, ma
Stefania non era
là a dargli corda, per fortuna, e Leonardo doveva
approfittarne per cercare di
tirare fuori le parole che gli si erano incastrate in gola.
«Beh…»
Tossì. «Il mio sogno è lavorare in una
casa editrice. So che è difficile,
però…
Mi piace, ecco.»
«Ami
leggere?»
Che
domande erano? Forse Miriam lo vedeva davvero come un bambino, forse
pensava
addirittura che Giovanni l’avesse portata all’asilo.
«Sì,
certo» si ritrovò a rispondere con più
glacialità di quando avrebbe voluto.
«Ecco
qua.» Stefania comparve dal nulla con in mano due piatti che
poggiò sul tavolo.
«Questo è per te, elfo. Spero ti piaccia il
formaggio.»
Leonardo
sgranò gli occhi. «Perché?»
«Beh,
hai detto di avere lo stomaco vuoto. Non potevo farti sprecare una
birra.»
Stava
sognando. Sì, stava decisamente sognando, non
c’era altra spiegazione. Eppure
il panino ripieno di hamburger, insalata e formaggio sembrava davvero reale; per assicurarsene ne
addentò un
pezzo e dovette ammettere che non si trattava di un sogno.
«Ti
restituisco i soldi.»
«Non
serve.»
«Lascia
che ti paghi la birra, allora.»
Stefania
si pulì le labbra sporche di ketchup con il tovagliolino in
cui era avvolto il
suo hot dog. «Studi fuori casa, non lavori e non puoi fare
sempre affidamento
sui soldi dei tuoi» disse, schietta.
«Perciò ora mangia quel panino e non
rompere le palle se ti offro qualcosa.»
Era
ancora incerto se sognare o no: l’atteggiamento di Stefania
restava lo stesso
che lui conosceva, ma i fatti… Gli stava davvero offrendo un
panino? No, non si
trattava di quello, ma dall’esserlo andata a comprare quando
lui aveva detto di
avere fame. Quella non era la Stefania che conosceva – in
parte sì, ma era la
Stefania del Romics. E in quel momento nessuno dei due era in cosplay.
Gettò
un’occhiata al bicchiere di lei, ma mancava pochissima birra
ed era certo di
non avergliene visto portare altra con sé quando era tornata
al tavolo. Nel
distogliere lo sguardo, notò che Stefania stava fissando con
astio Marta.
“Possibile
che…?”
Non
fu in grado di formulare l’intero pensiero, perché
Stefania si voltò verso di
lui. «È la prima volta che bevi?»
«No,
però… non ne vado pazzo, te l’ho
detto.»
Sorseggiò
della birra, fissando l’orlo del bicchiere. «Te ne
ho fatta prendere un po’
troppa, mi sa… Se non ti va lasciala, eh, quella puoi
pagarla tu senza sentirti
in colpa.»
«No,
la bevo con calma. Chiara non mi dispiace. Senti, posso chiederti una
cosa?»
Annuì.
Leonardo
si fece coraggio. «Perché non mi stai
insultando?»
«Eh?»
chiese lei, senza staccare gli occhi dal bicchiere.
«Non
mi hai preso in giro perché avevo paura di bere a stomaco
vuoto.»
«Significa
che non volevi ubriacarti.»
«In
effetti, no…»
«E
cosa c’è di male in questo?» La testa di
Stefania scattò di nuovo verso di lui
e Leonardo fu certo di vedere balenare nei suoi occhi verdi un velo di
tristezza. «Neanche a me piace molto la birra»
confessò. «La bevo solo rossa,
le poche volte che vengo al pub. Questo è il ritrovo
preferito degli associati,
vero?»
«Già,
lo chiamiamo “Testa di Porco”: non è
pulitissimo, Max lascia fumare all’interno
quando c’è poca clientela e
c’è un fortissimo odore di formaggio, ma si sta
bene, dà un’atmosfera di
“casa”. Che cosa ti piace, allora?»
Leonardo cambiò
bruscamente discorso, sentendosi ridicolo per quello che aveva appena
detto.
«Lo
zucchero filato. Mangerei montagne di zucchero filato.»
Sorrise
di fronte al suo sguardo improvvisamente felice. «Mi piace lo
zucchero filato.
E poi?»
«Sempre
cibo?»
«No,
tutto quello che ti viene in mente.»
«Beh,
sai già di Game of Thrones…
Neon Genesis Evangelion. Amo
Asuka.»
Stefania si indicò la maglietta. «Ho una vera
fissazione per quel manga, ho
anche i primi volumi e a ogni fiera compro una action figure di
Asuka.»
«Già,
mi ricordo di avertela vista prendere anche al Romics!»
«Sì,
quella con la gonna sollevata… Mi mancava. E tu? Cosa ti
piace?»
Leonardo
stava per chiedere se fosse davvero interessata a saperlo, quando
notò che i
suoi occhi stavano per diventare lucidi: aveva gettato
un’altra occhiata in
direzione di Marta e Roberto ed era ormai evidente che stesse facendo
il
possibile per pensare ad altro. Accorgersene gli chiuse
inspiegabilmente lo
stomaco.
«I
fantasy di ogni tipo. Ho letto Harry
Potter, Martin, Pratchett, Brooks, Dragonlance…
perfino Cronache del Mondo Emerso!»
«Che
schifo, dici sul serio?»
«Anche
Twilight.»
«Cosa?! Ma sei un uomo!»
Si
strinse nelle spalle. «Era in casa…»
«Ti
piace Benni?»
«È
una domanda a trabocchetto?»
«Rispondi.»
«Beh…
Non ho letto niente di suo.»
«Hai
fatto bene, fa schifo.»
Se
anche avesse insultato il suo scrittore preferito – cosa
alquanto improbabile,
dal momento che si trattava di Martin – Leonardo sarebbe
scoppiato a ridere
comunque, solo per alzarle il morale. Era piacevole parlare con lei
quando non
lo trattava male, e non solo delle Cronache
di Martin. Evitò però di chiederle il suo
personaggio preferito, intuendo che
si sarebbe impelagato in un bel guaio.
“È
una Lannister, di sicuro amerà Cersei. Non posso mica dirle
che voglio Sansa
sul Trono.”
Dietro
le spalle di Stefania, Roberto e Marta si stavano scambiando un bacio e
Leonardo fu lieto di averla distratta. Avrebbe volentieri continuato a
farlo
per tutta la serata, pur di risparmiarle quel dolore.
Il
titolo è una citazione da Una
mamma per
amica.
MATTEO:
LEONARDO:
-
Testa di Porco: pub situato a Hogsmeade nella saga di Harry
Potter
-
Cersei e Sansa: personaggi rispettivamente Lannister e Stark
SPAZIO AUTRICE
Poche
note per questo capitolo e un gigantesco SCUSATE IL RITARDO!
Tra
storie da betare e storie da correggere per un contest (ben trenta e
ancora non
ho finito) sono riuscita a scrivere il capitolo solo in questi ultimi
giorni.
Spero che soddisfi le vostre aspettative, perlomeno!
Matteo
(come Marta) sta risultando il più difficile su cui
scrivere, mentre Giovanni
fila abbastanza liscio come l’olio e i dialoghi tra Stefania
e Leonardo si
scrivono da soli; Roberto poi è il mio personaggio
preferito, ma non dovrei
avere preferenze. Non dovrei proprio, visto la fine che fanno i miei
personaggi
preferiti XD Ma non ho ancora in serbo niente per lui, don’t
worry!
Che
pensate di Miriam? Giovanni potrà abituarsi a una ragazza
che non è Cate? Cate
che finora è apparsa ben poco, ma tornerà nei
prossimi capitoli.
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto e anche di aggiornare presto. Se tra
voi
dovesse esserci qualche amante di Game of
Thrones, ne approfitto per spammare una minilong AU che sto
scrivendo e che
aggiornerò presto: Rabbit heart and Lion heart.