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Autore: Amens Ophelia    10/10/2013    11 recensioni
[SasuHina]
Hinata ha poche certezze, dietro quegli occhi chiarissimi: sa che il sole sorge e tramonta sempre, anche dietro le nuvole, e che il suo astro personale è un ragazzo biondo, in classe con lei. Purtroppo è anche a conoscenza del fatto che lui non lo saprà mai.
Troppe sono le cose che ignora pericolosamente, come il posto che occupa nei pensieri di Sasuke Uchiha.
(NB: accenno SasuKarin)
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Neji Hyuuga, Sasuke Uchiha | Coppie: Hinata/Sasuke
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun contesto
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6. Un motivo per lottare

 



 
 

Il ramen era il suo piatto preferito e sapere che Shimoko l’avrebbe proposto a cena chiuse lo stomaco alla ragazza, anziché aprirglielo. Ne era venuta a conoscenza quando, scesa di soppiatto nella cucina, un delizioso profumo di brodo e carne aveva invaso le sue narici. Sarebbe stato un regalo gradito per un tipo come Naruto, ma decisamente fuori luogo per un compleanno. Che pensiero stupido, lei non ci sarebbe mai andata!
            La cuoca, nonché governante di casa Hyuga, l’aveva colta appoggiata allo stipite della porta, con lo sguardo perso nel vuoto, e quasi si spaventò alla vista di ciò che restava di Hinata. Perché quella non era decisamente la ragazzina che aveva visto crescere. Da quando la signora Hyuga era venuta a mancare in seguito all’incidente, la piccola si era rabbuiata, presa di mira dal padre, additata come responsabile di tutto, e afflitta anche dal disprezzo di Neji, che pendeva dalle labbra dello zio. Non aveva potuto fare niente per ristabilire la pace, in quella casa, nonostante la premura con cui, da anni, si occupava di tutti. Non aveva potuto alleviare nemmeno il dolore di quella bambina che trascorreva ore rinchiusa in camera sua, a differenza dei coetanei; si chiedeva come sarebbe riuscita a risollevare il suo morale ora, quando la situazione era incredibilmente riuscita persino a peggiorare.
            «Signorina, si sente bene?», domandò preoccupata, avvicinandosi.
            Lei, ricomponendosi, sorrise e annuì, complimentandosi per quell’aroma appetitoso. Inevitabile pensare alla voracità dell’Uzumaki a casa Uchiha, quando si era sbafato ben tre porzioni di ramen. Sembrava essere passata una vita, ma era stato solo mercoledì.
            «Le serve qualcosa? Ha fame?», chiese la donna.
            «Biscotti. Vorrei preparare dei biscotti, da sola», rispose automaticamente, senza rendersene conto.
            «Sicura di non volere una mano?». Erano passati anni da quando Hinata aveva preparato un dolce, non ricordava chiaramente nemmeno quale fosse stata l’occasione, forse il compleanno di Neji o Hanabi.
            «Ce la posso fare, grazie Shimoko», confermò lei, con un sorriso.
            La donna tornò a occuparsi del ramen, mentre la ragazza si accinse a spargere la farina sul piano di marmo, mischiandola poi alle uova e al latte. Lavorò l’impasto con cura, meticolosamente, cercando di non cacciare in quell’amore un solo atomo di preoccupazione. Non le importava del destino che avrebbero avuto i biscotti, se sarebbero miracolosamente giunti nelle mani di Naruto – ipotesi che non era nemmeno da prendere in considerazione, o se sarebbero finiti nella pattumiera. Non se ne curava, sapeva solo che doveva impastarli, che desiderava creare qualcosa, scaricare un peso di affetto che sarebbe altrimenti finito cestinato, non compreso da nessuno. Ben consapevole che quei dolcetti appena infornati non sarebbero mai giunti sotto al naso di Naruto, finse che fossero destinati a lui, che li avrebbe presi e gustati, sorridendole come solo lui sapeva fare.
            Una volta pronti, li lasciò raffreddare sul piano della cucina, tornando in camera sua. Ecco, ciò che poteva realizzare per aiutare il proprio destino l’aveva fatto. Ma tutto finiva lì, con quel misero tentativo di fornire una piccola prova d’amore a Naruto. Peccato che non l’avrebbe mai assaporata.
 
Lo scenario di quella cena era il consueto: Hiashi, il fratello e la moglie di questi cenavano alla testa del tavolo, discutendo fra loro di qualche questione lavorativa o di attualità; poche sedie più in là, Neji e Hanabi mangiavano il loro ramen con calma, parlando, di tanto in tanto, della propria mattinata, mentre Hinata aveva a malapena toccato uno spaghetto di soia, presa dalla tensione. Quando il cugino si alzò da tavola, in procinto di salire per prepararsi, la ragazza lo seguì. Doveva parlargli, anche a costo di beccarsi una porta in faccia.
            «Che vuoi?», tagliò corto lui, girandosi all’improvviso sulle scale, non appena aveva sentito la ragazza salire il primo gradino.
            «N-Neji, mi dispiace per giovedì. Voglio che tu sappia che fra me e Sasuke non c’è nulla, non siamo che compagni di classe, lo sai», giurò lei.
            «Hai finto?», chiese spazientito, contraendo la mascella.
            «Non gli ho detto nulla di quello che succede a casa, di come tu e mio padre mi…». Si bloccò, impaurita dallo scatto che il cugino aveva fatto verso di lei, raggiungendola.
            «Trovi forse che sia sbagliato il nostro atteggiamento nei tuoi confronti?», domandò rabbioso. Notando come la ragazza fosse rimasta a bocca aperta, tremante, lui le prese le spalle e la scosse violentemente. «Tuo padre non è già abbastanza clemente, mantenendoti sotto il suo stesso tetto?», quasi urlò.
            «Hai… hai ragione, scusami», sussurrò con un nodo in gola.
            Il ragazzo si fermò, staccò la presa da Hinata e la fissò nuovamente in silenzio, per alcuni secondi, prima di girarsi e proseguire verso la sua camera.
            La ragazza si sedette sui gradini, stremata da quell’inutile confronto; si portò le mani alla fronte, lisciando nervosamente la frangia, fino a calarsela sugli occhi. Non sapeva nemmeno cosa l’avesse spinta a voler chiarire, sapendo bene come sarebbe andata a finire. Era inutile combattere contro i mulini a vento.
             Il suono del campanello la fece sussultare. Guardò rapidamente l’orologio a pendolo, pronto a scandire le ventuno: poteva essere solo una persona, a quell’ora. Qualcuno che era lì proprio per lei. Il cuore cominciò a pulsarle violentemente e, prima che suo zio giungesse alla porta, filò a nascondersi in cucina. Non voleva assistere alla scena, non avrebbe retto un’ulteriore umiliazione sotto agli occhi dell’Uchiha.
 
Hizashi aprì la porta, leggermente sorpreso per una visita a quell’ora di sera, ma non ebbe il tempo di chiedere chi fosse, perché quel ragazzo dallo sguardo deciso non gliene diede l’occasione.
            «Buonasera, sono Sasuke Uchiha… ma immagino che lei sappia già chi io sia, signor Hyuga. Ho promesso a sua figlia che l’avrei portata alla festa di compleanno di Naruto e non me ne andrò da qui senza Hinata», dichiarò senza timore, guardando l’uomo in quegli occhi chiari.
            «Veramente io sono lo zio di Hinata, ragazzo. Suo padre è sommerso dal lavoro nel suo ufficio, in questo momento. Prego, accomodati pure», sorrise Hizashi, facendogli strada.
            Sasuke sgranò gli occhi: il padre di Neji, il genitore di quel ragazzo che aveva preso a pugni, lo aveva accolto in casa sua. Qualcosa non gli tornava, ma decise di non darci peso.
            I due entrarono in cucina, cogliendo la corvina di sorpresa, mentre stava sistemando i biscotti in una busta colorata, ormai decisa a donarli a sua sorella.
            «Ah, eccoti, Hinata. Sapevo che eri qui», rise lo zio.
            Lei si girò e trasalì nel notare la presenza di quel ragazzo, in casa sua. Non avrebbe mai immaginato che qualcuno diverso da Kiba e Tenten potesse mettere piede nella villa, a maggior ragione quel giovane. Eppure era lì, elegantemente abbigliato con dei jeans scuri, giacca, camicia, e la sua espressione tranquilla.
            «S-Sasuke?», mormorò incredula.
            «Quello è il regalo per Naruto, vero?», chiese lui, indicando il pacchettino che lei stringeva nervosamente fra le dita.
            «Oh beh, se hai già confezionato anche il dono, non vedo perché tu debba restare a casa. Ci penserò io a tuo padre, non preoccuparti. Inoltre ci sarà anche Neji: Hiashi non avrà nulla da ridire», sorrise lo zio.
            «M-ma… Non mi p-permetterà mai…».
            «Andiamo, faremo tardi», la spronò Sasuke, prendendola per un gomito: meglio approfittare della benevolenza di quell’uomo, prima che cambiasse idea. Il ragazzo si girò verso Hizashi, lo ringraziò e promise che avrebbe badato che tutto filasse liscio, e che Hinata sarebbe rientrata ad un orario decente.
 
Prima che i due entrassero in auto, Neji giunse alla porta, pronto a partire in direzione della festa. Strinse i pugni, notando che Sasuke era addirittura giunto a sfidarlo in casa sua, e che la cugina se n’era infischiata dei divieti.
            Hizashi, osservò la mascella contratta del figlio e si affrettò a mettergli una mano sulla spalla.
           «Parlerò io con suo padre. Non mettere il naso in faccende che non ti riguardano, Neji».
           Il ragazzo si voltò contrariato, incontrando l’espressione serena del padre.
           «Sta disonorando il nostro nome. Hinata è debole, stupida, non ne combina una giusta! Zio Hiashi è profondamente deluso», dichiarò amaramente.
           «Tratta tua cugina come si deve e vedi di non deludere me, piuttosto. Io non capisco questa venerazione per tuo zio e la sua freddezza! Non ci stiamo rendendo conto che la stiamo perdendo, mentre lei vorrebbe solo ritrovarci». La sua voce era calma, ma la tristezza velava il suo sguardo, mentre osservava la nipote salire in auto.
            Non aveva mai capito come il fratello potesse trattare così duramente sua figlia, addossandole la colpa di una tragedia che certamente non dipendeva da lei. Non si rendeva conto di quanto lei ne soffrisse ancora oggi? Ma, soprattutto, non capiva che di quel passo, anziché riunificare la famiglia come sperava, l’avrebbe solo divisa? Era riuscito a proiettare i suoi ideali in Neji, indicandolo già come futuro capofamiglia degli Hyuga, e questa era una cosa che, per quanto onorevole, non riusciva a perdonargli. Neji era suo figlio, ma sembrava dare più ascolto allo zio, totalmente assorto nei suoi dettami di forza, autorità e disciplina.
           Mentre il ragazzo saliva in auto, Hizashi si strinse la mano sul cuore e giurò che avrebbe fatto di tutto per ristabilire l’armonia fra quelle mura.
 
 
***
 
 
La musica passava lentamente, nell’abitacolo, e non riusciva, con le sue note, a colmare quel silenzio palpabile che li divideva, ma anche avvicinava. Hinata osservava le mani di Sasuke stese sul volante, pallide e dalle dita lunghe e affusolate. Mani bellissime, pensò, che però sapevano spezzare respiri in modo atroce, proprio come i suoi occhi.
            «Avevo previsto che non saresti stata vestita in modo adatto», disse lui, ad un tratto, guardando di sfuggita i suoi jeans e la felpa lilla.
            Lei si strinse nelle spalle, ammettendo che, in effetti, quello non era l’abbigliamento con cui si sarebbe voluta far vedere da Naruto.
            «Per questo ho chiesto a Itachi di fare intrusione nel guardaroba della sua ragazza e prendere qualcosa di appropriato», concluse, indicando con il pollice i sedili posteriori.
            Raggiunse uno spiazzo isolato e fermò l’auto, pronto a scendere.
            «A-aspetta, cosa dovrei fare?», chiese lei, imbarazzata, stringendo il bracciolo della portiera.
            «Cambiarti, no? Vedi di fare in fretta». Scese rapidamente dall’auto, sbuffando.
            La Hyuga si fiondò sui sedili posteriori, dove i vetri oscurati potevano garantirle una maggior privacy. Era imbarazzatissima, non le era mai successo di doversi svestire nell’auto di qualcuno, specialmente di un compagno di classe. Tirò fuori dal cellophane quel meraviglioso abitino nero, e cominciò a liberarsi dei suoi indumenti.
            Sasuke bussò impaziente al finestrino, spronandola a darsi una mossa, e lei, dopo avere infilato delle decolté di vernice nera – scomodi trampoli che avrebbe volentieri evitato, scese timidamente dalla macchina, impacciata. Si sistemò il vestito sulle cosce, ma, per quanto cercasse di spingerlo verso il basso, appena lei si raddrizzava, la gonna saliva di quattro dita abbondanti sopra le ginocchia; niente da fare, quella era l’effettiva lunghezza.
            Si sentiva assurdamente a disagio, fasciata in quell’abito attillato, a maniche lunghe e lavorato con inserti di pizzo. Non era il suo stile, avrebbe optato per ben altri tessuti, lunghezza e comodità. Come se non fosse già abbastanza imbarazzata, un lembo del vestito le era scivolato giù dalla spalla, mettendo in mostra anche la sua incapacità di chiuderlo. Lei lo tirò su prontamente, rossa come un peperone, mentre Sasuke se la rideva sotto i baffi.
            «Vieni, ti aiuto con la chiusura», si era offerto lui, facendole cenno di avvicinarsi.
            «M-ma ecco, n-no…».
            «Beh, fai come vuoi. Vai pure così alla festa, se preferisci». Aveva notato lo sbigottimento nel volto della Hyuga e sorriso lievemente, di fronte a quel rossore.
            La ragazza gli si appropinquò timidamente, a piccoli passi. Si girò di scatto, dandogli le spalle, desiderano che un fulmine la centrasse in quel preciso momento. Sasuke le scostò i capelli, facendoglieli ricadere sul petto. Osservò la sua schiena bianchissima, quasi abbagliante; una mandorla di luce, in tutta quella oscurità dovuta alla notte e all’abito. Era una visione celestiale, ai suoi occhi, tutta quell’innocenza offerta su un piatto d’argento.
            L’occhio gli cadde sul reggiseno blu scuro e una tentazione peccaminosa lo obbligò a sfiorarlo con i polpastrelli. La ragazza tremò, a quel contatto, incapace di dire una sola parola. Pregò mentalmente perché il ragazzo avesse toccato per sbaglio quel punto, ma non ne era pienamente certa; sentiva le sue dita accarezzarle la pelle della schiena, e lei chiuse gli occhi, sospirando. Nessuno aveva mai lambito in quel modo la sua epidermide, né poteva immaginare che quella sensazione misteriosa, quel contatto inimmaginabile, sarebbe potuto essere tanto piacevole quanto pericoloso.
            Sasuke voleva irrazionalmente baciare quella pelle candida, ma sapeva che era un tempio inviolabile. Accostò il pollice al gancetto, mentre respirava il suo profumo delicato, puro, senza fragranze chimiche aggiuntive, a pochi centimetri dalla sua colonna vertebrale. Sapeva che stava accarezzando l’orlo di un peccato mortale, ma avrebbe pagato tutto l’oro del mondo per sfiorarla con le labbra. Il suo alito caldo era la prova che quella sera era reale, sia per lei, sia per lui.
            Il moro, scosso da un brivido che aveva percepito correre sotto la carne della Hyuga, cacciò indietro quei pensieri oscuri, afferrando un bottoncino e infilandolo nell’asola. Uno dopo l’altro, arrivò al collo, sigillando così quel desiderio represso. Era Hinata, dannazione! Cosa gli era passato per la mente?
            «G-grazie», sussurrò lei, rigirandosi.
            Sasuke la fissò ammutolito per alcuni secondi; era davvero bella, strano come non se ne fosse mai accorto. O meglio, mai se n’era reso conto come quella sera; aveva ancora vagato con gli occhi sulla sua figura, sulle sue curve sinuose – e poco ci mancava che Itachi l’avesse rivelato chiaramente in faccia alla diretta interessata, quel pomeriggio! Ma questa creatura non assomigliava per niente a quella ragazza imbranata che in classe passava inosservata, nei suoi silenzi e sorrisi nascosti. Era come se avesse visto un’altra Hinata, incredibilmente meravigliosa, delicata e preziosa. Ecco, “preziosa” era l’aggettivo giusto. Talmente preziosa che gli dispiaceva condividere quella nuova ragazza con gli altri.
            «Andiamo?», chiese lei, cercando di calcare la voce con un tono di entusiasmo.
            «Certo, andiamo», rispose sospirando, riaprendo la portiera.
 
«Ti ringrazio, davvero», aveva dichiarato in un solo fiato, senza balbettare, ma, non appena Sasuke si girò verso di lei, tutta quella fermezza scomparve. Si sentiva in dovere di specificare che la sua riconoscenza andava oltre quei bottoncini e l’attimo di disagio. «E-ecco, s-stai f-facendo così tanto e…».
            «Non devi ringraziarmi, non sto facendo nulla. Ho persino picchiato tuo cugino, non è forse sbagliato?».
            Ma dove voleva andare a parare? Prima le aveva detto che avrebbe volentieri spaccato la faccia a Neji, poi, una volta fatto, le aveva confessato quanto quel gesto fosse stato scorretto. Non ci capiva più nulla, ma aveva deciso di rinunciare ad arrovellarsi. L’Uchiha rimaneva un mistero e, per quanto gli fosse riconoscente, non intendeva fare luce.
            «Assolutamente sbagliato. Non avresti dovuto», precisò la ragazza, scuotendo il capo.
            «Ma lo meritava», sorrise sinistramente.
            Lei si voltò in sua direzione, fissandolo con un’espressione confusa. Quel volto sereno, imperturbabile, su cui spiccavano degli occhi ferini e scuri, suscitava paura, ma anche un sentimento che non sapeva spiegarsi ancora. Sicurezza, fiducia, speranza? Non riusciva a decidersi.
            «Se davvero devo essere sincero, non amo fare a pugni gratuitamente, senza motivo… per quello esistono le palestre o le sbronze fuori dai pub. Io preferisco combattere, lottare, anziché buttarmi a capofitto nelle risse; c’è una sottile differenza. Solo quando lotti, anche se cadi, hai un ottimo motivo per cui rialzarti e non darti per vinto».
            Questa era la sua morale, poco gli importava se Hinata non l’avrebbe mai capita. Non aveva proferito tali parole per essere compreso o giustificarsi, voleva solo mettere in chiaro ciò in cui credeva. Era quello che lo faceva sentire vivo e sperava che anche lei potesse trovare un ideale cui aggrapparsi, che non fosse quello dell’ostrica.
            Dal canto suo, la ragazza dai lunghi capelli blu lo fissava con gli occhi lucidi, percependo lievemente che quel giovane che tutti temevano le aveva appena rivolto il complimento più affettuoso della sua giovinezza. Lei era un motivo per cui combattere. Lei, la ragione per cui non arrendersi. Lei, il pensiero di qualcuno.
            «Ma non voglio che tu ci vada di mezzo. È una questione fra me e Neji». Finalmente era riuscita a dirglielo, senza esitazioni. Gli era riconoscente per quella strana forma di velata amicizia – lei desiderava davvero credere che fosse tale, quel sottile filo che cominciava a legarli – ma non voleva che la rabbia di suo cugino colpisse un’altra persona, un amico. Ancora quella parola, “amico”. Poteva definirlo così? Naturalmente no, stava parlando di Sasuke Uchiha.
            «Non lo faccio solo per te, ma anche per me. Ho sempre voluto dare una lezione a quella testa di cazzo… senza offesa», sorrise debolmente, guardandola. Non conosceva mezzi termini, né mezze misure, e mai li avrebbe appresi, finché sul volto di un’innocente come Hinata sarebbe spiccato un livido come quello che ancora le sfigurava la guancia.
             «È un ragazzo pericoloso», sussurrò lei, abbassando la testa.
             «Perché, io no?», proruppe in una risata sincera.
             Impercettibilmente, anche la corvina sorrise. No che non lo era, non in quell’auto, non quella sera. Non verso di lei.
             «Spiegami perché tuo padre ti odia».
             «M-mio padre n-non mi odia», negò lei, troppo debolmente. Ancora una volta era riuscito a leggerla dentro.
             «Non sai mentire, stupida. Evita di farmi ripetere sempre le stesse cose», si lamentò, sbuffando.
             «Non me la sento», ammise tristemente.
             Temeva che Sasuke le avrebbe detto ciò che Neji le aveva malignamente confessato in auto, giovedì mattina. “Non ti è ancora chiaro che a nessuno importa cosa provi, come ti senti, ciò che desideri?”. Quelle parole ancora la ferivano, niente avrebbe potuto cancellarle, nemmeno il loro opposto… nemmeno se fosse stato Naruto in persona a confortarla. Possibilità che le appariva ridicola, proprio come il pensiero di recarsi alla festa, soprattutto agghindata in quel modo. Osservò le sue gambe, le mani tremanti che cercavano di coprirle… cosa diavolo stava facendo? Perché era lì?
             «Non importa, vorrà dire che continuerò a immaginare da solo il motivo che lo spinge a detestarti. Ciò che non riesco a comprendere, nonostante gli sforzi, è l’odio di tuo cugino», ammise il ragazzo, con espressione confusa.
Hinata si voltò di scatto verso di lui. Non importa. A lui non importava se non si era spiegata, ma si curava di lei, di ciò che provava, di ciò che stava vivendo.
              «Neji segue mio padre come modello. I suoi genitori sono persone di buon cuore, generose, amorevoli, ma lui li vede come deboli, fragili rami sul punto di spezzarsi, o essere recisi. Pensa che sia per questo che Hizashi, mio zio, non sia il capofamiglia e, onde non cadere nel suo stesso errore, è cresciuto nella più totale riverenza verso mio padre. Non ha mai commesso un passo falso, obbedendo ad ogni suo volere, recandogli il massimo rispetto. Non c’è nemmeno bisogno di dire che la stima è reciproca: mio padre preferirebbe mille volte avere Neji, come figlio, piuttosto che me… e non sono così meschina da biasimarlo, ha perfettamente ragione». Non sapeva perché l’aveva ammesso, non avrebbe mai voluto confidare una verità tanto pesante a nessuno, eppure era come se quegli abissi neri di Sasuke sapessero risucchiare anche il suo, portandolo alla luce.
                Il ragazzo aveva indossato una smorfia contrariata, al suono di quelle parole, e poi sospirato lentamente; odiava ripetersi, ma, più di ogni altra cosa, in quel momento detestava la bassa autostima di Hinata.
               «E tua madre? Non dice nulla?», chiese incredulo.
                La corvina reclinò il capo verso il basso, fissando i piedi. Si sarebbe dovuta aspettare una domanda del genere, prima o poi, ma non aveva mai fatto in tempo ad inventarsi una bugia bianca; non le andava di rivelare tanti dettagli della propria vita, la reputava di scarso interesse e troppo delicata da farne parola con qualcuno. Sua madre, poi, rimaneva un fantasma puro, troppo sacro per poter essere imbrattato da sillabe e frasi. La mamma era morta, ma continuava a vivere nel suo cuore, l’unico luogo dove poteva ancora sentire la sua voce.
                «Mia madre… lei tace, al riguardo, ma mi vuole bene». La confessione le era costata una lacrima pesantissima, ma questo era tutto ciò che Sasuke – e nessun altro - poteva sapere.
                «Perché non si ribella? È timida come te?», chiese rabbioso, stringendo il pugno attorno al volante.
                 Hinata poteva osservare le falangi appuntite comparire dalle nocche, coperte da un sottile strato di pelle bianchissimo. Quella era l’arma più fatale di Sasuke, nonché l’immagine che descriveva al meglio il suo istinto. Per un secondo si domandò cosa avesse dovuto provare Neji, al contatto di quel pugno sul naso; un dolore lancinante, molto probabilmente. Eppure era curioso come quella mano violentemente contratta riuscisse a provocare in lei un sentimento di segno opposto, qualcosa che assomigliava all’affetto e alla protezione. L’Uchiha non era suo amico, lo sapeva bene, ma quella sera sembrava essere una persona che l’aveva a cuore.
                 «Ascolta, mio padre lavora nella polizia, lo sai… Se lei volesse esporre denuncia… o se desiderassi farlo tu, al suo posto…». Non era nemmeno riuscito a terminare la frase; non era una cosa facile da dire, soprattutto da parte di una sorta di teppista quale lui era, ma forse quella era una soluzione ai problemi della Hyuga.
                  «Sasuke, mia madre è morta».
                  Nemmeno il rombo di un tuono sarebbe stato in grado di replicare l’angoscia suscitata da quella rivelazione.
 
Nessuno dei due aveva il coraggio di spezzare il silenzio, forse perché entrambi non erano bravi con le parole. Eppure, c’erano tante cose da dire, prima di scendere dall’abitacolo. Hinata voleva solo trovare un modo efficace per ringraziare quel ragazzo sinceramente preoccupato per lei, contro ogni più inimmaginabile prospettiva. Sasuke desiderava invece scusarsi e comunicarle che gli dispiaceva. Già, per la prima volta riusciva a provare compassione per qualcuno. Non sapeva con quale altro modo chiamare quella sensazione simile a un nodo in gola che lo stava travolgendo da qualche minuto, mentre guidava con calma verso la festa. Tutt’a un tratto, non aveva più voglia di mischiarsi alla gente, fingere di divertirsi, incontrare decine di sguardi, osservare le ragazze scapigliarsi per lui, i giovani offrirgli bicchieri e risate… non che desiderasse rimanere in quel silenzio di ghiaccio con la Hyuga, ma, al confronto, era un modo più consono per spendere quella serata.
            L’abitazione di Jiraiya, dove Naruto viveva da quando Sasuke poteva ricordarsi, comparve nella loro visuale. Le luci delle lanterne producevano un chiarore soffuso, ma anche invadente, nella notte di quel dieci ottobre. Mentre il moro parcheggiava, Hinata strinse istintivamente le mani intorno alle braccia, sfregando i palmi sul tessuto dell’abito; non aveva freddo, ma percepire quel poco di calore era un modo per farsi forza.
            «Coraggio, sei pronta?», chiese Sasuke, sfilando le chiavi da sotto il quadrante.
            Al sorriso appena accennato della ragazza, l’Uchiha scese e andò ad aprirle lo sportello. Lei afferrò il sacchettino con i biscotti e smontò lentamente, quasi incapace di reggersi in piedi, sia per i tacchi cui non era abituata, sia per la tensione.
            «Andrà tutto bene, Naruto sarà felicissimo». Aveva sorriso? Hinata sbatté le palpebre più volte, onde accertarsene, ma Sasuke aveva quasi subito mutato espressione.
            «N-non credo di farcela», mormorò lei, appoggiandosi all’auto.
            «Per questo ci sono io», sospirò spazientito il moro, prendendola per un braccio e trascinandola verso la luce, i colori, la musica, la vita.
            La Hyuga sobbalzò, ma non oppose resistenza quando le dita di Sasuke afferrarono le sue, stringendole convulsamente. Che anche lui cercasse un contatto umano che gli desse la forza per affrontare il mondo? Impossibile, soprattutto perché quella pietra angolare non poteva davvero essere lei.
            Non sapeva nemmeno quanto fosse vicina alla verità, mentre la ignorava.
 
Fecero così il loro ingresso, in quella giostra che per Hinata somigliava sempre più a un ottovolante. Chi era a testa in giù, ora, lei o il suo cuore?











Scusate la lunga assenza :( Sono così dispiaciuta di essermi fatta tanto attendere, ma l'università, con i suoi orribili orari, mi ha risucchiata in una realtà parallela che avrei volentieri evitato XD
Ho fatto il possibile per aggiornare entro oggi, 10 ottobre: AUGURI NARUTO (e Gintoki, ma questa è un'altra storia XD) 
Sono stata costretta a spezzare la sequenza della festa in due capitoli, perché prevedo ci sarà un bel movimento nel prossimo! :D
Spero di aggiornare presto, mi metto subito all'opera per voi! ;) 
Grazie a tutti voi che avete letto, recensito, preferito/seguito/ricordato questa FF! Grazie, grazie di cuore, splendidi lettori!! <3
Un abbraccio grandissimo!! 

Ophelia
   
 
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