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Autore: Ormhaxan    24/10/2013    9 recensioni
Los Angeles, 2011. Candice Roberts è una ragazza di 22 anni di buona famiglia e amante dei Beatles. Per tutta la vita è vissuta nel lusso più sfrenato della sua immensa villa di Beverly Hills; viziata da tutti, ha sempre ottenuto ciò che voleva con il minimo sforzo. La sua vita cambierà drasticamente quando l'impero di suo padre subirà un crollo, e lei dovrà lasciare la sua vita da ricca borghese, la sua università prestigiosa, per iniziarne una totalmente nuova.
Logan 'Storm' O'Connell è un ragazzo di 23 anni di origini irlandesi, un fotografo in erba amante dell'arte e dei Rolling Stones. Figlio di una cameriera rimasta vedova ha sempre provato repulsione verso i ricchi e le loro vite fatte di agi e lussi.
Prudence e Kurt sono i migliori amici di lui, due ragazzi legati da un'amicizia tormentata, ma Prue è anche la coinquilina di lei.
E poi c'è Emily, presidentessa del club di arte moderna, ragazza dall'aria severa derisa e scansata da molti che nasconde un animo sensibile e segreti troppo dolorosi da rivelare.
Cosa accadrà quando le vite all'apparenza così diverse e distanti di questi ragazzi si scontreranno?
[ATTENZIONE: Linguaggio esplicito]
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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TE4


STORIA RIVISTA, EDITATA E AMPLIATA IL 13.01.2021



Berkley, California, 2011

 

“Candy!” la mia amica Laura si avvicina a me, veloce come un razzo e  mi prende per un braccio; mi scuote con forza, quasi fossi una bambola di pezza e punta il dito in direzione di un ragazzo con capelli color cenere tagliati a spazzola. E’ alto e con un fisico niente male, cammina sicuro lunto il sentiero di mattoni rossi che divide il verde prato all'inglese tagliato perfettamente, ma a differenza della mia amica, che lo guarda estasiata, io mantengo un atteggiamento rilassato, impassibile. “Candy, guarda quello!”

Sono sedute nel cortile antistante alla mia università di Berkley, in California, dove studio architettura da tre anni, approfittando di un ora di pausa dalle lezioni. La mia università è una delle più prestigiose della California, la più antica di tutte, ma grazie ai miei voti alti e alla mia uscita dalle scuole superiori con il massimo del punteggio non ho avuto problemi ad entrare ed essere ammessa. A tutto questo si è aggiunta la buona parola che mio padre - uomo stimato e conosciuto in tutta lo stato – ha messo con il rettore dell’università, suo vecchio amico e compagno di golf occasionale della domenica.

Se adesso vi state chiedendo chi mai io sia, vi toglierò subito il dubbio presentandomi. Mi chiamo Candice Roberts, - i miei amici mi chiamano Candy - e nei miei primi 22 anni di vita non ho mai dovuto pregare nessuno per avere ciò che volevo. Come vi ho già detto, mio padre è un magnate nel mondo della finanza e della moda ed è l’amministratore delegato di una famosa catena di negozi che vende abiti di alta moda in tutto il mondo. Ed è proprio grazie alla sua posizione privilegiata nel campo della moda che ha conosciuto, venticinque anni fa, mia madre, una ex modella francese con occhi blu da cerbiatta e capelli lunghi e neri. Mia madre ha dieci anni in meno di mio padre, cosa che fece piuttosto scandalo nella società perbenista dell’epoca, ma questo non gli ha impedito di conquistarla, sposarla, portarla in America e formare con lei una famiglia. Sin da piccola sono stata cresciuta nel lusso, nello sfarzo della nostra villa a Beverly Hills: da che ho memoria ricordo la mia casa pullulare di camerieri, tate e inservienti che mi servivano e riverivano dovunque andassi; mentre questo accadeva, mia madre frequentava i club più esclusivi della città, diventando una presenza suggente e distaccata come mio padre, da sempre stacanovista e gran sostenitore del lavo svolto fino a tarda notte. Nonostante il suo lavoro, però, mio padre mi ha sempre voluto bene e ha soddisfatto ogni mia richiesta, persino quella di avere un pony tutto mio per il mio nono compleanno. Lo so, ero una ragazzina viziata in tutto e per tutto, a detta di molti spocchiosa e distante, ma più di ogni altra cosa tutti coloro che avevano incrociato la loro strada con la mia fino a quel momento mi etichettavano come figlia di papà - una figlia di papà che frequentava altri figli di papà, ovviamente. Sfortunatamente per me non potevo dar loro torto.

Quello che, invece, non avrei mai potuto immaginare neanche lontanamente in quel momento, in quel mese di Ottobre del 2011, mentre me ne stavo distesa a godere del sole autunnale insieme alle mie compagne di corso, era che la mia vita sarebbe cambiata drasticamente e irrimediabilmente nel giro di un paio di settimane, quando l’azienda di mio padre andò in banca rotta dopo che il suo socio, un uomo meschino che non mi era mai piaciuto, scappò con la maggior parte dei soldi in qualche paradiso fiscale chissà dove.

“Laura, cara, lascia perdere quel tipo” continuò Barbara con la sua voce languida “Me lo sono sbattuto il mese scorso e, credimi, ce l’ha davvero piccolo”
A quella confessione tutte noi scoppiamo a ridere, e continuiamo tranquille a spettegolare sulle ragazze che incontriamo e sui ragazzi che ci guardano con  quello sguardo da macho che ci fa ridere a crepapelle ogni volta.

Quando mi sposto in biblioteca dell’università per studiare come faccio sempre tutti i pomeriggi, sento un paio occhi puntati su di me. Inizialmente non ci faccio caso, continuando a passeggiare tra i corridoi di marmo e legno pregiato che adornano quel luogo da più di cento anno, ma alla fine la curiosità prevale e, cercando di dare nell’occhio il meno possibile, alzo lo sguardo fino ad incontrare qualche tavolo più avanti quello di Richard Bloom. Richard è uno degli studenti più popolari di Berkley: primogenito  e figlio prediletto di un magnate di origini inglesi – nonché grande amico di mio padre, si capisce - da mesi mi muore dietro e cerca in tutti i modi di catturare la mia attenzione e le mie simpatie – se per simpatie si intende entrare nelle mie mutante, si capisce. Mi saluta con un cenno veloce della mano mano, mostrando il suo miglior sorriso sghembo, e per risposta io ne abbozzo uno tirato. Richard non è male come tipo, almeno questo devo concederglielo: capelli scuri tagliati corti, a spazzola, naso dritto e leggermente all’insù e occhi verde bottiglia; sa come vestirsi, firmato dalla testa ai piedi e il suo lieve accento inglese fa palpitare anche i cuori più freddi. Il suo unico, grande difetto è l’egocentrismo: parlerebbe di lui, della palla a nuoto – è capitano della squadra da due anni – e di come la sua famiglia sia ricca e agiata per ore, il che mi dà noia e mi ha fatto pensare più volte all’omicidio. In verità, sono pochi i ragazzi che dai miei diciassette anni – anno in cui ho dato il primo bacio ed ho avuto la mia prima storia, una storia estiva capitata durante una vacanza in Messico con le mie amiche – mi hanno interessato davvero, e sicuramente Richard non è uno di questi. Noioso: ecco come lo definirei, un tipo noioso e seccante, che non sa ammettere la sconfitta e ricevere un no in risposta. Ritorno al mio libro di architettura seicentesca, alla preparazione del mio esame che sarà tra qualche settimana e mi dimentico subito di quel galletto, sperando che capisca una volta per tutte che con me non c’è e non ci sarà mai storia.

La mia vita procede così per altre settimane, tra lezioni e preparazioni d’esami; tra feste con le amiche e shopping tra i negozi. Tutto è tranquillo, sta andando per il verso giusto, o almeno così penso fino a quando un giorno, una mattina per essere precisa, vengo svegliata da Laura, la mia compagna di stanza e succitata migliore amica, in modo piuttosto brusco. All’inizio non ci faccio molto caso, sicura che quello sia l’ennesimo tentativo di Laura di narrarmi nei minimi dettagli la sua ultima avventura notturna con chissà chi, ma l’ennesima protesta e tentativo di restare con la testa affondata nel cuscino la mia mente codifica le parole della mia amica e mette insieme le parole “telefono”, “mamma” e “urgente”. Sbadigliando mi alzo dal letto e inizio a pensare che ci sia qualcosa di strano in quella chiamata: mia madre non chiama mai la mattina presto, in effetti mi chiama di rado e solo nei weekend; perplessa, guardo il calendario e mi accerto che sia solo martedì. La questione si fa sempre più strana e preoccupante.

Candice!” la sua voce dall’accento francese è squillante quando rispondo salutandola con voce impastata di sonno, il suo tono è più alto del solito. Mia madre è l’unica che mi chiama Candice, nome preso da sua madre, una nonna dal viso austero che ho conosciuto solo in foto “Candice, mon cherie, devi tornare immediatamente a Los Angeles” mi dice senza troppi giri di parole e andando subito al sodo. Mia madre è sempre stata una donna diretta, questo glielo concedo.
“Perché mai dovrei tornare?” chiedo, perplessa e piuttosto seccata dal tono autoritario con cui si è appena rivolta a me “Ho lezione oggi e tutta la restante settimana e...” le parole mi muoiono in gola e una brutta sensazione prende piede dentro di me “E’ successo qualcosa a papà per caso? Ti prego dimmi che sta bene?”
“Sì, lui sta bene ma…” la sua voce si incrina lievemente, sembra quasi sull’orlo delle lacrime o, ancora, di una crisi di nervi “A dire la verità qualcosa è successo. Candice, non fare domande: prendi il primo volo per Los Angeles, anche in prima classe se necessario e torna qua appena puoi, chiaro?”
Non mi darà le risposte che cerco, adesso ne sono certa. Sospiro e, anche se lei non mi può vedere, annuisco e accetto. Senza salutare chiude bruscamente la chiamata ed io rimango ad ascoltare il “tu-tu-tu”  infinito del telefono, la cornetta ancora stretta nella mia mano destra.

“Tutto bene, Candy?” mi chiede Laura, la voce fintamente preoccupata, mostrando un altrettanto falso interesse che è solo una scusa per impicciarsi nei miei affari personali “E’ successo qualcosa a tuo padre?”
Scuoto la testa: “No, lui sta bene ma devo tornare a Los Angeles. Mia madre non mi ha detto il motivo e io brancolo nel buio più totale.” e anche se così fosse non te lo direi, penso, senza dirlo. Laura è una gran pettegola e se le confidassi qualcosa sono certa che il mio “segreto” sarebbe sputtanato su Facebook, twitter e su ogni chat di qualsiasi social network di sua conoscenza. No, non posso fidarmi di Laura, non posso fidarmi di nessuno. “E’ meglio se preparo le valige. Se i professori ti chiedono qualcosa di loro che sono dovuta tornare urgentemente a Los Angeles.” concludo mentre tiro da sotto il letto la mia valigia rigida di Louis Vuitton e inizio a riempirla con i primi vestiti che mi capitano davanti.

**


Tre ore dopo sono seduta su una comoda poltrona di pelle grigia situata nella prima classe dell’aereo che mi sta riportando a Los Angeles, in quella lussuosa villa che ancora per poco avrei chiamato casa. Arrivata in aeroporto trovo il nostro autista personale, Gregor, ad aspettarmi fuori dal gate. Mi saluta cordiale, e da bravo autista qual è si propone immediatamente di prendermi la valigia che io, stanca e con la testa piena di pensieri, gli lascio con molto piacere. Entrata nella spaziosa macchina dai vetri oscurati mi metto comoda e mi sfilo per alcuni minuti i piedi dalle ballerine di vernice rossa che indosso da quella mattina. Provo a chiedere a Gregor se sa qualcosa di ciò che sta accadendo a casa, il motivo per cui mi ha madre mi ha chiamato e ordinato di tornare a Los Angeles senza preavviso, ma lui scuote la testa da bravo soldatino addomesticato e dice che no, non sa assolutamente nulla.

Arriviamo alla villa dei miei genitori quasi mezz’ora dopo a causa traffico intenso che, come ogni giorno, blocca le strade della Città degli Angeli. Entrando in casa le mie narici si riempiono del profumo di cucina speziata che conosco tanto bene, segno che la signora Potter sta cucinando una delle sue prelibatezze per cena. Annuso meglio e sorrido: se il mio olfatto non mi tradisce, quello che sento è profumo di stufato, uno dei miei piatti preferiti. Mia madre non ha mai messo piedi in cucina, non si è mai avvicinata ai fornelli neanche per sbaglio, e durante tutta la mia vita è stata la signora Potter a cucinarmi pappine prima e pranzi e cene succulenti dopo. Da un certo punto di vista, quella donna sulla cinquantina, di costituzione robusta e con qualche ciocca di capelli argentata all’altezza delle tempie, è stata per molti aspetti più materna di quando la mia vera madre sia mai stata.

“Candice!” la padrona di casa sbuca dalle scale e si precipita a salutarmi con un aria trafilato: nonostante il suo trucco impeccabile e il suo tailleur rosa cipria il suo aspetto è diverso dal solito, il suo viso sconvolto. Mi abbraccia stretta, come non fa da anni e da quel gesto così inusuale per una donna distaccata come lei realizzo che è davvero successo qualcosa di grave.
“Mamma…” mi allontano appena da lei e la guardo sottecchi “Mamma, mi sembri sconvolta. Cosa sta succedendo?”
“Oh, tesoro” mi prende il viso tra le sue mani appena rugose e fredde e mi sorride malinconicamente. “Vieni, spostiamoci nello studio. Andiamo da tuo padre.”


Mi sposto insieme a mia madre nel grande studio dove mio padre è solito rinchiudersi quando è a casa. Come ho già detto, mio padre vive di lavoro e anche quando sta a casa non smette mai di stare attaccato al telefono e circondarsi di scartoffie di ogni tipo, anche quelle più inutili. Quando entriamo lo troviamo seduto dietro l’immensa scrivania di cristallo che ha fatto commissionare cinque anni prima: se ne sta ricurvo, il capo poggiato sulle mani giunte e gli occhi socchiusi come in preda a un attacco di emicrania; sembra essere in un mondo tutto suo, in una specie di trance, e se non lo conoscessi abbastanza bene azzarderei addirittura che stia pregando quel Dio a cui non ha mai creduto. Quando alza gli occhi rimango sconvolta dal suo sguardo vitreo, dal viso scavato; sembra essere invecchiato di dieci anni dall’ultima volta che l’ho visto, due mesi prima.

“Candy, tesoro” si alza dalla poltrona, lo fa quasi con fatica e mi abbraccia e mi bacia sulle guance “Che gioia per i miei occhi stanchi vederti a casa.”
“Papà, come stai?” chiedo con timore crescente e lui mi sorride. Sembra spossato, direi addirittura sofferente, come fosse un reduce di guerra.
“Vieni, sediamoci” faccio come detto e mi siedo insieme ai miei sul grande divano di pelle nera posto poco lontano dalla scrivania. Sono sempre più tesa. “Tesoro” inizia mio padre, guardando prima mia madre e dopo me “Sei grande ormai, una donna fatta e finita, quindi ti dirò le cose come stanno senza prenderti in giro o addolcirti la pillola” prende un profondo respiro e continua: “Da oggi in poi la nostra vita, la tua vita, cambierà totalmente.”
Io mi acciglio: cosa sta dicendo? Cambiamenti drastici, misteri, ma cosa succede? “Siamo al verde, in banca rotta!” continua, svelando l’arcano mistero “Non abbiamo più soldi, almeno non abbastanza per permetterci questa vita ed entro tre settimane dobbiamo lasciare la casa. So che ora sarai sconvolta, ma devi capire che niente di tutto questo è dipeso da me e che farò tutto ciò che è in mio potere per salvare il salvabile e dare a te e a tua madre una vita dignitosa.”

Sgrano gli occhi e boccheggio: non può essere vero, non deve essere vero. Guardo mia madre prima e mio padre poi, sconvolta. Sono sul punto di scoppiare a ridere istericamente e chiedere dove siano nascoste le telecamere, ma quando incontro nuovamente lo sguardo velato di mio padre capisco finalmente che o, non è uno scherzo: quello che ha appena ditto è la verità, la dura e triste realtà.
“Mi dispiace tanto tesoro mio, credimi. Odio me stesso per quello che ti sto facendo, ma ora dobbiamo essere forti e restare uniti.”
Forti. Uniti. Come posso rimanere forte in questo momento? Questo è l’inizio di un incubo, del mio personale incubo; è la fine della mia della mia vita che, da quel momento in poi, non sarebbe mai più stata la stessa.
 

*

Salve e grazie a tutti coloro che sono arrivati fin qui. Lo so, questo prologo è molto generico ed è solo un piccolo assaggio per farvi conoscere la protagonista, Candy.
Dal prossimo vedremo come la sua vita cambiarà ed entrerà in scena anche il protagonista maschile, Logan. Vi invito, se vi va, a lasciami una recensione con i vostri pareri, o anche più semplicemente per farmi notare errori e darmi consigli. Alla prossima ;)
  
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