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Autore: Baileys    02/11/2013    6 recensioni
Dal Prologo:
Immagina, tuo padre ti proibisce di uscire proprio il giorno del concerto della tua band preferita. Tu e tuo fratello decidete di uscire di nascosto e andate a quel concerto. È una serata perfetta, al ritorno cantate a squarciagola sulla vostra canzone preferita, quando venite coinvolti in un terribile incidente automobilistico, batti la testa e tutto si fa nero.
Ti risvegli in ospedale, vai in bagno e ti guardi allo specchio, e là, di fronte a te, sta un volto che non riconosci. Certo, ti assomiglia, ma non sei tu.
Poi esci dal bagno e guardi i tuoi genitori e i tuoi fratellini che piangono la morte di tuo fratello maggiore.
Li guardi e non provi nessuna emozione.
Cosa faresti?
Arriveresti alla conclusione che tutto quello che stai vivendo è un’illusione: in realtà tu sei morto in quell’incidente, ed ora sei nell’aldilà. Dopo un po’ cominci a sentire il tuo corpo putrefarsi, ti sembra di non avere più gli organi interni, e allora a cosa serve mangiare? A cosa serve fare una qualsiasi delle cose che facevi prima, se sai intimamente di essere un morto che cammina?
Sono Hayden Aida Wilde, e soffro di sindrome di Cotard.
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Ordinaria follia.

Memorie di una sedicenne morta.

PROLOGO.

Immagina, tuo padre ti proibisce di uscire proprio il giorno del concerto della tua band preferita. Tu e tuo fratello decidete di uscire di nascosto e andate a quel concerto. Durante questo, nel momento in cui il tuo chitarrista preferito lancia i plettri, tuo fratello riesce a prendertene uno, e riesci a toccare la mano del tuo idolo. È una serata perfetta, al ritorno cantate a squarciagola, sulla vostra canzone preferita, quando venite coinvolti in un terribile incidente automobilistico, batti la testa e tutto si fa nero.
Ti risvegli in ospedale, e dopo qualche giorno riesci ad alzarti e recarti in bagno da solo. Per la prima volta dopo l’incidente puoi guardarti allo specchio, e là, di fronte a te, sta un volto che non riconosci. Certo, ti assomiglia, ma non sei tu.
Poi esci dal bagno e guardi i tuoi genitori, i tuoi fratellini, piangono la morte di tuo fratello maggiore. E tu, tu non provi nessuna emozione.
Cosa faresti?
Arriveresti alla conclusione che tutto quello che stai vivendo è un’illusione: in realtà tu sei morto in qull’incidente, e ora ti trovi in un deprimente aldilà, fatto ad immagine del buon vecchio mondo, ma che non ti può convincere appieno. Dopo un po’ cominci a sentire il tuo corpo putrefarsi, ti sembra di non avere più gli organi interni, e allora a cosa serve mangiare? A cosa serve fare una qualsiasi delle cose che facevi prima, se sai intimamente di essere un morto che cammina?
Sono Hayden Aida Wilde, e soffro di sindrome di Cotard

Capitolo I: Papà dorme, si va al concerto!

«Aida muoviti o vai a scuola a piedi! » urlava mio fratello Dave dall’auto, come ogni mattina. Sorrideva mentre suonava il clacson a ripetizione, mentre io imprecavo uscendo di casa tenendo lo zaino su una spalla e una mela in bocca. Salii velocemente nel posto del passeggero, i miei due fratellini, Ian e Axel, erano nei posti dietro, come ogni mattina. Essere l’unica donna in una casa di soli uomini non era affatto semplice.
«Mettiti la cintura» rimproverai mio fratello Dave, mentre mi allacciavo la cintura di sicurezza. Lui sbuffò e mise la cintura. «Anche voi sgorbi» dissi senza voltarmi ai due gemellini di nove anni seduti dietro. Loro mi fecero il verso, allacciandosi la cintura. Odiavo fare la mamma, anche perché avevo solo sedici anni, ma quando i tuoi sono separati, e vivi con tuo padre, mentre tua madre è perennemente in giro per il mondo con il lavoro è inevitabile dover fare da ‘baby mamma’. Dave partì, io abbassai il finestrino e mi sporsi fuori, per sentire l’aria accarezzarmi il viso, e sorridere per quel contatto. Vidi sfrecciarmi sul capo infinite foglie degli alberi ai lati della strada. Amavo la strada da casa mia alla mia scuola. Vivevamo in una piccola casetta sulle rive di un piccolo fiume affluente del Tamigi, in mezzo a un bosco, nella periferia di Londra. C’era molta pace lì. 
Arrivammo davanti alla scuola elementare. Dave si fermò, facendo scendere Ian e Axel. «Vi viene a prendere papà, ci vediamo stasera» li salutai io con un sorriso. «Ciao sgorbi! »
«Ciao brutta, ciao Dave! » risposero loro a tono. Io e Dave ci mettemmo a ridere, mentre Dave rimise in moto. Io presi un CD e lo infilai nello stereo dell’auto, come facevo sempre subito dopo che Ian e Axel scendevano. Feci partire la nona traccia.
Dave si voltò verso di me e mi sorrise.
«I should be over all the butterflies but I’m into you! » ci mettemmo a cantare, fra una risata e l’altra.
«Stasera andiamo a sentirli! » esultai allegra.
«Certo che sì sorellina! » mi sorrise lui.
Dave per me era molto più che un fratello, era tutto ciò che di più caro avessi. Quando i nostri genitori si erano separati, un anno dopo la nascita di Ian e Axel, lui c’era stato per me. Avevamo solo due anni di differenza, e lui è stato l’unico che mi aveva consolato, che mi aveva stretta forte a sé. L’unico che mi disse ‘va tutto, bene, io ci sono, andrà tutto bene’.
Arrivammo davanti a scuola e scendemmo dall’auto. Io raggiunsi il mio gruppo di amici, mentre Dave andò verso i suoi di amici.
«Allora stasera vai al concerto dei Paramore? » mi chiese emozionata Helena.
«Ovvio che sì! » ci mettemmo ad urlare come bambine. Vedere i Paramore era il mio sogno, non riuscivo a credere che finalmente Dave lo avrebbe esaudito.
«Hayden Aida Wilde, sei ufficialmente la persona che invidio di più al mondo» continuò Helena.
«Ma perché non vieni anche tu? » le chiesi.
«Domani c’è scuola, i miei non mi ci lascerebbero mai andare, sei davvero fortunata ad avere un padre che ti manda anche se ci sarebbe scuola»
Helena vide la mia faccia perplessa. «Non glielo hai ancora detto a tuo padre, non è così? »
«Mh, no, ma dirà sicuramente sì, tanto c’è anche Dave, lui è maggiorenne» continuai io, non credendo neanche io a quello che dicevo. Gli occhi di Helena presero la forma di un cuore non appena nominai mio fratello. Sì perché la mia migliore amica Helena aveva una cotta secolare per Dave, fin da quando l’avevo portata a casa mia la prima volta.
«Se ti piace tanto vai da lui e chiedigli di uscire» dissi io iniziando ad entrare a scuola.
«Ma che sei scema? Pensa se non gli piaccio! » mi rispose lei. Io risi. «Se non gli piaci ti saresti levata il pensiero» scherzai io.
Adoravo Helena, era sempre allegra e sempre disponibile.
Dopo tre ore di Matematica, Chimica e Letteratura, ci furono due ‘simpatiche’ ore di educazione fisica.
Condividevamo la palestra e il giardino con la classe di mio fratello, la 5D. E ovviamente Lena era su di giri, mentre io ridevo per le sue reazioni. Mettemmo la tuta da ginnastica, maglia a mezze maniche con scollo a V bianca e pantaloncini corti blu della Errea. Ovviamente avevo ‘accidentalmente’ dimenticato le scarpe da ginnastica, così mi lasciai le converse bianche. Odiavo quelle cose altissime che ti costringevano ad indossare. Mi feci una coda disordinata e uscii in giardino con Lena, che era tutta agitata e faticava a stare ferma. Io risi, salutando mio fratello da lontano.
Iniziammo con due giri di campo, seguiti da dello stretching.
«Mi fai paura quando ti pieghi in quel modo» mi disse Lena, vedendomi totalmente sdraiata sulla gamba destra. Risi.
Successivamente ci distribuirono uno per corsia, ognuno su uno step. Quando ci diedero il via presi a correre veloce, ignorando ciò che mi circondava. Sentii mio fratello urlarmi qualcosa tipo ‘vai sorellina’, sorrisi d’istinto e arrivai per prima al traguardo. Con un nuovo record personale di 45 secondi ai 300 metri.
Lena si avvicinò battendomi il cinque, io la abbracciai. Sentimmo la voce del professore dire che potevamo fare quel che volevamo, così mi avvicinai a mio fratello, che provava i rigori.
«Allora fratellino, ti diverti? » chiesi con un sorriso, unendo le mie mani dietro la schiena e avvicinandomi saltellando. Lui rise. «Vuoi provare? »
«Non centrerei la porta neanche se non ci fosse il portiere» dissi scherzando. Lui rise con me. 
«Provaci» mi disse, passandomi il pallone col piede.
«Mi prendi in giro»
«No»
«Io dico di si»
«Invece no»
«Non lo so fare»
«Non hai mai provato»
«è impossibile»
«Solo se pensi che lo sia» terminò lui. Io presi un sospiro, tenendo la palla sotto al mio piede destro.
«Concentrati sul tiro, so che ce la puoi fare» sussurrò, prima di allontanarsi. Presi due respiri profondi, lo sentii scommettere con un suo amico che ce l’avrei fatta.
Dovevo farcela, per lui.
Mi allontanai, presi la rincorsa e calciai con tutta la forza che avevo quella palla, in alto alla destra della rete. Il portiere non riuscì a intercettarla, facendola passare.
Attorno a me sentii tutti esultare, vidi mio fratello prendermi in braccio e urlare di gioia. «Mia sorella è la migliore del mondo» urlò, prendendomi a sacco di patate e facendomi roteare, mentre io ridevo. 
 
 
«Papà siamo a casa! » urlai mentre Dave chiudeva la porta.
«Hayden papà ha fatto un macello con la cucina» mi accolse in casa Ian, mentre Axl rideva sotto i baffi. I due biondini mi avrebbero fatto impazzire, ma mai quanto mio padre. Entrai in cucina, c’era cioccolata sciolta ovunque, mista a panna e della farina sul tavolo. «Papà! » urlai furiosa.
«Oh, ciao tesoro, come è andata a scuola? » mi salutò mio padre.
«Papà ti ho detto mille volte di non fare dolci se non sono in casa» lo rimproverai ancora una volta.
«Lo so tesoro ma i gemelli.. »
«Se i gemelli vogliono la torta aspettano che torno, un paio di hot dog bastava che gli facevi! »
«Scusami» disse, guardando il basso e grattandosi dietro la nuca con la mano destra, con fare imbarazzato.
Io risi e lo abbracciai. «Ma il casino lo metti a posto tu! » affermai. Lui rise «Va bene tesoro»
 
Aveva appena finito di cenare. Era sul divano, mentre guardava la tv, grattandosi la pancia piena. Il momento della giornata preferito di mio padre, in cui era sempre felice. Qualsiasi cosa dovessi chiedergli potevi farlo solo in quel momento.
«Papà, io e Dave vorremmo chiederti una cosa» iniziai io, con voce mielosa. Ero la cocca di papà, non poteva dirmi di no.
«Avete fatto i compiti? » chiese.
«Certo! » esclamai.
«Vi ascolto»
«Vedi, stasera c’è il concerto della band preferita di Aida, in città. So che domani c’è scuola e siamo a maggio.. ma ci terremmo veramente ad andarci» continuò Dave.
Mio padre si grattò la pancia, aggrottando le sopracciglia. Per un istante, uno solo, pensai che acconsentisse.
«No»
«Ma papà! » urlai io.
«Se ti dicessimo che domani andiamo a scuola lo stesso? » continuò Dave, cercando di convincerlo.
«Non mi interessa della scuola, tua sorella ha sedici anni, non ci va a quel concerto»
«Smettila di trattarmi come una bambina! » urlai io.
«Tu sei una bambina! »
«Ah sì? Però quando vuoi sono io la donna di casa! »
«Solo perché non c’è tua madre»
«Non ti sopporto! Metto tutto a posto io, ti stiro tutto, cucino e aiuto i ragazzi a fare i compiti, per una sera che voglio uscire a divertirmi non me lo lasci fare»
«Ho detto che non puoi uscire, quindi non esci, capito? Non voglio sentire ragioni, a quel concerto non ci vai» io scossi la testa e mi misi a correre su per le scale, mi chiusi in camera mia. Guardai l’orario. Erano le 8. Il concerto sarebbe iniziato alle 11 di sera. Un concerto a cui non avrei potuto partecipare.
Mi misi a leggere un libro, Dear John, di Nicholas Sparks, con le cuffie alle orecchie, ascoltato note di una chitarra che non avrei sentito suonare quella sera, e mimando con le labbra parole che non avrei udito, non quella sera.
D’un tratto la porta di camera mia si aprì, saranno state le nove e mezza di sera.
Sentii la voce di mio fratello «Papà dorme, si va al concerto!»
  
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