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Autore: kiara_star    24/11/2013    6 recensioni
[Crossover | Adam (Only Lovers Left Alive); Eric (Snow White and the Huntsman)]
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“Ci sono leggende che si tramandano per decenni, secoli, millenni.
Ci sono leggende che raccontano mille verità e poche bugie, molto più spesso, accade che sia solo una la verità narrata e miriadi le gocce di menzogna in cui essa si perde.”
[...]
Si avvicinò per riprendere la sua arma e fu allora che lo sentì: un battito di mani, secco, a intervalli regolari, un rumore sordo che ricordava in modo inquietante il dondolare di una campana.
«Lascia che mi congratuli con te, ragazzo. La tua tecnica è sublime.»
Alzò lo sguardo sul muro di mattoni grezzi alla sua destra e strinse forte le dita sull'argento.
Occhi spenti eppure accecanti, pelle pallidissima e una corona informe di capelli neri.
«Scendi da quel muro così ti faccio assaggiare la mia tecnica sulla pelle, bestia
Genere: Angst, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Chris Hemsworth, Tom Hiddleston
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Crossover is the way!'
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Cap2
A story ever told





II. Il bacio del Vampiro





Padre Jonathan tornò a trovarlo, mesi dopo la morte di sua madre.
Tornò con la sua bibbia e il suo mantello e altre verità. Eric non le voleva udire.
«Torna dai tuoi cardinali, Jonathan.» Lo liquidò senza lasciargli il tempo neanche di un saluto. Fra le mani spaccate dal freddo un'ascia e un ceppo a metà.
«Ho saputo di Ester. Volevo porgerti le mie condoglianze e -»
«Non ho bisogno di nulla, risparmiati la pantomima del misericordioso.» Lo superò e gettò malamente la legna sul resto del gruppo.
Il prete si allontanò di qualche passo per poi sedersi silente su un tronco tagliato, guardandolo mentre terminava il suo lavoro.
Padre Jonathan aveva una dote: la perseveranza.
Eric poteva vantare lo stesso.
Poggiò l'ascia sulla spalla e rientrò in casa.
Non uno sguardo, non una parola.
I cardini cigolarono quando sbatté la porta senza riguardi.
«Resto in città qualche settimana, sono alla parrocchia di St. Thomas.»
Eric lanciò una rapida occhiata al legno dietro cui udì la debole frase. Scosse la testa e prese a sbucciare una mela: la sua cena.
Non aveva tempo, presto il sole sarebbe calato.



*



Sputò un grumo di sangue e si pulì le labbra con il dorso della mano.
«Te lo farò sputare tutto, cacciatore.» Un ghigno perverso piegava il volto di quello che all'apparenza era poco più di un bambino.
Dodici, forse tredici anni.
Eric non ne aveva mai incontrato uno così giovane.
Capelli biondi e due occhi azzurri che potevano essere i suoi.
Fece un balzo indietro quando il ragazzino si avventò contro di lui brandendo un piccolo pugnale, un pugnale che non poteva appartenere a quello che avrebbe dovuto essere uno sguattero.
Riuscì ad afferrargli un polso e lo gettò a terra poco distante.
Prese un respiro profondo e spense ogni pensiero.
Quando il piccolo demone si sollevò in piedi non ebbe neanche il tempo di accorgersi del paletto che volava via dalla balestra.
Un'ombra più umana sfumò il suo viso mentre ricadeva a terra, stavolta senza più rialzarsi.
Eric abbassò l'arma e sentì sulla lingua il suo stesso sangue; stavolta non lo sputò.
«Un bambino... che abominio.»
Le parole erano viaggiate nella sua mente eppure fu un'altra la voce che le pronunziò, la sua.
Alzò lo sguardo trovandoselo a pochi metri di distanza. Non riuscì neanche a sollevare il braccio che la balestra sfuggì magicamente dalle sue mani.
«Brutto bastardo!» ringhiò estraendo un paletto dalla cintola di cuoio che teneva legata alla vita.
Lo gettò rapido verso di lui. Gli bastò un semplice spostamento laterale per evitarlo.
Il secondo paletto non riuscì neanche a sentirlo sotto le dita quando si ritrovò con le spalle a terra.
Un piede schiacciava la sua mano destra e l'altro spingeva forte contro il suo stomaco.
«Lento e rozzo. Sei peggiorato.» Adam troneggiava su di lui con un'espressione quasi assente.
Eric digrignò i denti e cercò di calciarlo via. La mano gli afferrò la caviglia ma non riuscì a muoverlo di un solo centimetro. Il fiato mancava, poteva percepire la cassa toracica comprimersi attorno ai suoi polmoni.
Risentì il sangue risalirgli dalla gola finché non lo tossì sporcandosi le labbra e il mento.
Gli occhi di Adam, solo in quel momento, parvero vivi.
Il polso scricchiolò sotto la suola dello stivale e si sforzò di non lasciare andare alcun grido di dolore, non gli avrebbe dato questa soddisfazione.
Non l'avrebbe visto soffrire, non l'avrebbe ucciso.
Sarebbe stato Eric a uccidere lui, era una parola che avrebbe mantenuto.
«Morirai prima che questo anno si chiuda, Eric.»
«Sarai tu a morire...» La determinazione non bastò a non far vibrare la sua gola.
Adam sorrise e spinse ancora il piede contro il suo corpo. Era come avere un masso di roccia addosso, eppure il corpo di quell'animale era poco più sottile del suo.
«L'arroganza sarà la tua rovina, Cacciatore.»
Tossì ancora finché non avvertì il sangue salire in bocca e riscendere di nuovo. Poteva soffocare, e non sarebbe riuscito a portare a compimento la sua missione.
Aveva cacciato ogni notte solo per rivederlo, solo per poter avere l'occasione di piantare un paletto in quel cuore putrido, e ora giaceva a terra immobile e dolorante. L'infrangersi di quell'unica occasione sarebbe stata la sua morte.
Padre...
«È qui che ti ha colpito, vero?» Adam picchiò la punta dello stivale contro il suo stomaco e Eric non trattenne un gemito. «Sei stato uno sciocco. Non c'era nulla di umano in quel bambino.»
«L'ho ucciso...» sibilò sentendo la pressione diminuire e il fiato riempirgli di nuovo i polmoni.
«Hai esitato e gli hai concesso la possibilità di colpirti.»
Anche il suo polso fu libero ma non smise di fare male. Si tirò a sedere quando Adam indietreggiò di qualche metro.
Si passò le dita sulle labbra sporche di sangue e poi sul mento. Quegli occhi seguirono ogni suo gesto.
«Quel demone ha fatto la fine che meritava, fossi in te mi preoccuperei di non seguirlo a breve.»
Cercò di alzarsi ma la risata di Adam lo schiacciò di nuovo a terra.
«Mi inviti con tale presunzione a badare alla mia vita mentre sei steso nella polvere a bere il tuo sangue?!»
Deglutì e il sapore ferroso quasi parve tossico. «Sei più che patetico, sei ridicolo, Cacciatore.»
«Lo scherno delle tue parole sarà il tuo ultimo fiato.» Flesse un ginocchio e si mise in piedi cercando di ignorare il polso che ardeva. «E questa sarà l'ultima notte che i tuoi occhi dannati vedranno.»
«Se lottassi con la stessa foga con cui pronunzi minacce saresti un Mastro degno di questo nome. Ma sei solo un moccioso arrogante e avventato, che spera di poter competere con un Sire quando non riesce neanche a uccidere un vampiro di poche lune senza lasciarsi ferire.»
Odiava che quelle parole fossero solo verità. Sapeva che non aveva ancora né la forza né la lucidità per poterlo anche solo affrontare e sapeva che sì, aveva esitato davanti a quel volto di bambino e c'era voluta la rabbia del subire il colpo a fargli scoccare quel dardo per lui letale.
E se non fosse stato un bambino inesperto a quest'ora...
«Victor non ha mai commesso errori del genere.» Non poteva sopportate che quel demone parlasse di lui, non di suo padre, non dopo averne denigrato la memoria con le sue menzogne.
Non volle udire altro.
Affondò la mano nella casacca e tirò fuori il suo paletto d'argento. Non lo aveva più usato, lo teneva addosso solo per lui.
Da qualche parte suo padre lo avrebbe guardato mentre lo affondava nel suo petto, sua madre gli sarebbe stata accanto e sarebbero stati fieri di lui.
Strinse forte le dita il freddo dell'argento si scaldò in fretta.
Non avvertì più il dolore al polso, non avverti più lo stomaco che si contorceva.
Leccò via dalle labbra qualche altra traccia di sangue e la sputò lontano.
«Stai per tornare all'inferno a cui appartieni, Adam.»
Un altro sorriso di beffa. «Mi piace come suona il mio nome sulla tua lingua... Godrò nel sentirtelo piagnucolare quando mi supplicherai di risparmiarti.»
Serrò la mascella e le dita sulla sua arma. «Non accadrà mai!»
Si avventò contro di lui senza riflettere più di tanto, con furia cieca, rivedendo il volto in lacrime di sua madre, lo sguardo severo di suo padre e le parole di un bambino che chiedeva quando avrebbe potuto brandire un coltello.
Arriverà quel giorno, Eric.”
Fu veloce, freddo e caldo allo stesso tempo, fu bagnato e appiccicoso come il sangue che colava lungo la sua pelle.
Non era quello di Adam.



*



Aprì le palpebre che era notte, non la stessa, ne erano passate altre. Eric non sapeva dirlo.
«Sei sveglio...» Gli occhi che incontrò erano due gemme castane, calde e profonde. Castane come le onde morbide che incorniciavano il viso. «Riposa.»
Una pezza fresca gli venne posata sulla fronte. Non riuscì a guardarsi attorno, non riuscì a chiedersi dove fosse, perché fosse ancora lì. Nelle orecchie solo la voce di Adam, sulla pelle solo la sensazioni della paura.
«Io...»
Provò a sollevarsi ma due mani lo obbligarono a restare con le spalle contro il letto - era un letto?
«Non fare sforzi. Hai perso molto sangue.»
Cercò di mettete a fuoco il resto di quel viso quando due labbra gli sorrisero dolcemente.
Chi sei?
«Il mio nome è Sarah.»
Non capì se gli avesse letto nella mente.
Richiuse le palpebre, un nuovo sonno lo colse senza che potesse impedirlo.



*



Charles Williams era basso, grasso e dai modi burberi. Gestiva la locanda di Briston insieme alle sue figlie. Eric aveva conosciuto Catherine e Annemarie. Poi c'era Sarah.
Era stata lei a trovarlo dietro la locanda, privo di sensi e coperto solo dal suo stesso sangue.
Era stata Sarah a chiamare aiuto, a chiedere a suo padre di portarlo in casa. Era stata Sarah a vegliare il suo sonno agitato per sei notti di seguito.
Era stata Sarah a salvarlo.
«Due lepri e un fagiano.»
«Non ho un fucile. Come posso sparare a un fagiano?»
«Ti inventerai qualcosa.» Le sue labbra erano morbide e dolci. Per Eric erano il sapore di casa, la sua nuova casa.
«Sei ancora qui? Non hai da lavorare, bellimbusto?» Charles sbucò alle spalle di Sarah come sempre con la faccia irata di chi vorrebbe aprirti il cranio in due.
Eric si limitò a un sorriso sbilenco e a un cenno del capo.
«Stavo proprio per andare.»
«E allora sbrigati - e tu torna in cucina che i clienti aspettano.»
Quando Charles era rientrato Eric si era sporto per rubarle un altro bacio.
«Stai attento.»
«Sarah!» Si udì sbraitare poco distante.
«Devo andare.»
Eric non sapeva che nome dare a ciò che gli scaldava il petto. Ne aveva paura, ne aveva tremendamente paura.
Adam lo aveva portato a un passo dalla morte e lui neanche sapeva cosa fosse successo.
Ricordava solo il suo sorriso beffardo e poi il dolore che aveva attraversato il suo corpo quando aveva ripreso conoscenza.
Tre mesi, era questo il tempo trascorso.
Tre mesi in cui aveva cacciato di notte e rubato baci di giorno.
Tre mesi in cui non lo aveva più incontrato e in cui Sarah era diventata tutto ciò a cui pensava.
Si trovava sempre più spesso a rileggere il diario di suo padre, la sua lettera.
Padre Jonathan era partito da tempo e Eric a malincuore rimpiangeva di non avergli parlato, di non avergli chiesto come fosse il Victor “Cacciatore”, il Victor prima di diventare padre, prima di abbandonare la lotta per crescere un figlio.
Pensava sempre più spesso a cosa voleva dire avere un figlio, e sempre più spesso capiva la sua scelta.
Se avesse mai avuto un figlio, avrebbe avuto il sorriso di Sarah e i suoi occhi.
Se avesse mai avuto un figlio, Eric avrebbe gettato quella scatola e i suoi mille segreti sul fondo dell'oceano.



*



«Dove vai tutte le notti?» La domanda era giunta con tutto il suo peso, con lo sguardo preoccupato di Sarah e le mani strette attorno alla casacca. «Dove vai, Eric?»
Le aveva sfiorato il viso. «Se temi che ci sia un'altra- »
«No, non temo la tua infedeltà, temo il tuo silenzio, perché è assordante, Eric.»
Una prima lacrima le aveva segnato il viso poi una seconda e altre ancora.
Quella notte non andò a caccia, restò in un piccolo letto con lei, la tenne stretta fra le braccia e le raccontò la storia di un bambino che ammirava suo padre, di un ragazzo che lo aveva odiato e poi aveva capito. La storia di un uomo che aveva una missione che non aveva chiesto né compreso, ma che avrebbe portato a compimento.
Quando il sole si levò a baciare i loro corpi, Eric le chiese di essere la sua sposa.



*



Era al mercato per vendere le sue pelli quando udì quelle note.
Rabbiose eppure avvolgenti. Inquietanti e allo stesso tempo dolci come una carezza.
«Chi sta suonando?» chiese inconsciamente al vecchio che stava valutando attentamente la pelliccia avorio di un coniglio.
«Hai bevuto, cacciatore?»
Aggrottò la fronte mentre la musica sembrava accrescere di secondo in secondo.
«Questa musica, da dove viene?»
«Senti, ti do dieci denari per tutte e tre.» Non badò alle sue parole, non badò alla sua voce che gli urlava dietro. Afferrò le pellicce nella mano e cercò di seguire quelle note.
Perché?
Non cercò una risposta.
E fu lì, dietro al vetro appannato di un'elegante sala che lo vide.
Il sole coceva nei primi giorni d'estate, ardeva alto nel mezzogiorno eppure lui era lì, con gli occhi chiusi e le dita che si muovevano agili sullo strumento.
Aveva qualche paletto di frassino negli stivali, non il suo argento e se ne rammaricò.
La chioma nera seguiva ogni movimento del capo ed Eric pensò che sembrava danzasse. Un pensiero sciocco e inappropriato, folle.
Ogni tasto che pigiava con le dita risuonava assordante nelle sue orecchie, risuonava nel suo petto, nel suo ventre, nella sua testa.
Non riuscì a muovere neanche un piede finché la musica non cessò.
Solo in quel momento vide la coltre di gente ben vestita attorno a lui, seduta su eleganti poltrone di velluto rosso. Applaudivano, applaudivano chiamando il suo nome.
Ma gli occhi di Adam si aprirono solo per posarsi su di lui, sulla figura immobile davanti a quel vetro.
Un cenno del capo, un sorriso.
Eric avrebbe solo voluto che le sue dita stringessero un freddo paletto.



*



La sera appena Sarah prese sonno, Eric uscì.
Sapeva, lui lo stava aspettando.



*



Le strade della città erano insolitamente affollate, insolitamente vive.
Camminò sul marciapiede scrutando ogni angolo, ogni riflesso e ogni ombra.
Nei pressi della chiesta di St. Thomas, fu lì che sentì di nuovo quelle note.
Ed era più che sicuro di essere il solo a udirle.
Avrebbe dovuto provare per lo meno timore a ritrovarsi di fronte quegli occhi, perché era da quella notte che non li rivedeva, ma non c'era paura a guidare i suoi passi.
Mentre saliva le bianche scale della chiesa, Eric sentiva di provare solo una grande, profonda e inspiegabile necessità.
Necessità di sapere, necessità di capire.
Il massiccio portone di legno era appena socchiuso. Lo aprì con una sola mano e la musica lo inghiottì.
Adam sedeva davanti a un clavicembalo, apparentemente perso nella sua sonata.
Sembrava la stessa immagine che Eric aveva visto quella mattina al mercato, ma non c'erano più le donne eleganti ad applaudire, non c'era il caldo del sole.
Mentre avanzava per la navata con passi lenti ma decisi, sentì il suo cuore battere furente ad ogni nota.
Il paletto già nella sua mano.
Aspettò che terminasse, aspettò che risollevasse lo sguardo e che come quella mattina gli sorridesse.
«Neanche un piccolo plauso? Eppure ho suonato solo per te.»
Lo so.
«Come puoi camminare al sole?»
«Fra tante domande poni la più sciocca.» Adam si alzò dalla sua seduta e scese i tre gradini che li separavano. «“Perché sono ancora vivo?” È questa la domanda che temi di fare, Eric.»
Rabbrividì ma finse un sorriso. «Pensi ancora che non ti ucciderò?»
«Penso che tenterai, con tutte le tue deboli forze e che alla fine fallirai... Come tutti coloro che ti hanno preceduto.» Le braccia intrecciate dietro la schiena, le labbra una linea retta, una sola ciocca nera a tagliargli lo sguardo. Poi un sorriso. «Mi lusinga che tu abbia abbandonato il caldo giaciglio della tua sposa per raggiungere me in questa fredda notte.»
Le dita strinsero forte il paletto, i denti quasi scricchiolarono fra essi. Eric provò una rabbia che forse non aveva mai provato prima.
«Non osare neanche pensare di avvicinarti a lei.» Sapeva che Adam era a conoscenza di Sarah, sapeva che i suoi occhi non lo avevano lasciato mai in quei mesi e poi nei seguenti, sapeva e ne aveva timore. Eppure aveva rischiato e aveva deciso di cedere all'affetto di quella ragazza dolce, alla fantasia di essere felice al suo fianco, alla folle illusione di poter condividere con lei ogni singolo giorno.
Era stato un egoista, era stato uno stupido, forse si era solo scioccamente innamorato.
«Non sai difendere neanche la tua pelle e vorresti porti a difesa di un'altra vita.»
Non capiva come potesse lasciarsi toccare così ogni volta dalle sue parole, non riusciva ad accettare che quella bestia malefica conoscesse così bene le pieghe del suo cuore, della sua stessa anima.
«Io so perché sei qui, Eric.» Adam lo fronteggiò con un sorriso sulle labbra e lui non sapeva perché ancora non avesse tentato di colpirlo. «Vuoi risposte.»
«Non voglio nulla da te a parte vederti in cenere.»
Il sorriso era ancora lì, il paletto ancora fermo nella sua mano.
«Vuoi sapere di Victor, della sua storia, della nostra lotta...»
Deglutì sentendo quasi il bisogno di indietreggiare. Non lo fece.
«Non sopporti l'idea che io conosca il vero Victor.»
«Tu non conosci proprio niente!» Non riuscì a regolare la rabbia con cui aveva sputato quelle parole lasciando che Adam se ne facesse beffa con un risolino.
«No, sei tu che non sai chi fosse realmente Victor, quale cacciatore abile e spietato fosse, quale uomo privo di compassione e pietà.»
«Taci!»
Adam non tacque, Adam continuò a colpirlo con sguardi e sorrisi e lui era incapace di restituirgli uno solo di quei fendenti.
Rimpianse di essere andato lì, rimpianse l'abbraccio di Sarah. Voleva solo tornare codardamente fra le sue braccia e restare cieco e sordo di fronte a quella verità.
Era verità o erano le calunnie di una bestia di Lucifero?
Chi era veramente Adam? E perché voleva così ossessivamente scoprirlo?
«Tu hai conosciuto solo un'ombra di Victor, solo ciò che i tuoi occhi di fanciullo ti hanno permesso di vedere.» Le sentiva sul bordo delle ciglia quelle lacrime eppure riuscì a impedir loro di cadere.
Adam gli fu a un passo e avvertì le sue dita sul viso. «Non sarai mai un cacciatore come lui, Eric.» Quando le sentì scivolare su una guancia sollevò lentamente la mano con il paletto fino a portarla all'altezza del suo cuore. Lo guardò negli occhi e affondò.
Adam sparì dalla sua vista in un frammento di secondo.
Non riuscì neanche a cercarlo che lo sentì alle sue spalle.
Un braccio attorno al suo petto, una mano ad afferrargli il mento.
«Non sarai mai come lui...»
Tremò come non aveva mai tremato.
Fu un solo misero attimo.
«No...» Le parole morirono nella sua gola mentre il dolore lancinante gli lacerava la carne. Il paletto sfuggì dalla sua presa e tintinnò assordante sul pavimento della chiesa vuota.
Strinse le palpebre cercando la forza di opporsi, ma non la trovò.
Tutto il suo corpo pareva ardere, bruciava come fosse avvolto dalle fiamme eppure poté sentire il sangue colare lungo il suo collo, i capelli di Adam solleticargli il viso, i suoi denti affondare sempre più in lui.
Non poteva finire così, non voleva finisse così, avrebbe preferito morire mille volte anziché tramutarsi in una di quelle bestie, eppure con tutta la sua rabbia, la sua paura, il suo dolore, era completamente privo di volontà.
Il cuore batteva nel petto, forte, sempre più forte... sempre più forte.
La mente si annebbiò, immagini sbiadite coprirono i suoi ricordi, immagini scarlatte, occhi verdi, sorrisi taglienti.
Provò a sollevare una mano e riuscì a stringere le dita attorno al polso con cui lo teneva fermo.
«N-no...» A chi apparteneva quella voce? Era la sua? Era lui che stava supplicando come un bambino di non ucciderlo?
Lasciò che le sue spalle deboli si poggiassero contro il suo petto, che lo tenesse in piedi mentre gli strappava via sangue e anima.
Non sarai come Victor... Non sei come Victor...
Lo sentì nella testa e poi sentì la sua stessa voce implorare.
Smettila...
Il pavimento della chiesa era gelido eppure le sue ginocchia non lo avvertirono. Avvertirono solo l‘abbraccio soffocante in cui era stretto, il caldo del sangue che ormai colava sul petto, sulla sua camicia.
Era un fantoccio privo di forza e di volontà, un fantoccio nelle mani di un demone che sembrava impossibile da domare.
Nei suoi occhi avrebbe voluto imprimere l'immagine della sua dolce Sarah, del suo sorriso, dei suoi capelli castani smossi dal vento mentre lo salutava sulla soglia di casa.
Buona caccia, amor mio.
Ma non c'era. La voce nelle sue orecchie non era quella di Sara, il volto sorridente non apparteneva a sua moglie, il nero dei capelli non era il suo.
Dietro le palpebre lei non c'era, c'era solo il mostro.
Era dentro di lui, nella sua testa, nelle sue vene, in ogni più piccolo angolo del suo cuore. Graffiava nelle sue paure ed Eric le sentiva divorarlo senza pietà.
Suo padre, sua madre, il piccolo bambino che una volta era stato.
Tutto era solo un frammento perso fra le verdi iridi di Adam. Tutto era un riflesso di una vita che lo stava abbandonando.
Strinse finché poté le dita attorno a quel esile polso sentendo il caldo di una lacrima lasciare i suoi occhi.
Poi anche le ultime sue resistenze caddero sotto i denti di una bestia priva di anima, sotto le parole di beffa di un demone, sotto l'abbraccio mortale di Adam.



*



Un colpo, poi un altro, infine il freddo di qualcosa sul viso. Acqua, acqua gelida.
«Sveglia! Non voglio ubriaconi nella mia chiesa!» Ancora un colpo su un fianco.
Sollevò il viso verso l'uomo nella lunga veste nera che lo sovrastava. «Allora? Alzati!»
All'ennesimo calcio rifilato sul fianco si mise a sedere.
La testa girava.
Dov'era? Perché era lì?
Non ricordava.
«Dove...?»
Il fuoco, il sangue... Adam.
Tutto tornò prepotente nella sua memoria.
Si portò agitato una mano al collo. Toccò la pelle più volte portando poi sotto gli occhi le sue dita: pulite, non c'era alcuna traccia di sangue.
Saettò in piedi barcollando.
«Dov'è?»
«Chi stai cercando? In questa-»
«DOV'È?» gridò con forza tale da ardergli la gola.
Le mani erano sempre pulite, il suo collo privo di qualsiasi ferita, i suoi abiti coperti solo dalla polvere.
Non era possibile avesse sognato tutto.
No, quelle sensazioni erano state vere, quella paura era stata vera. La morte lo aveva tenuto per davvero fra le braccia.
Il respiro non voleva rallentare, il suo petto non voleva smettere di far male.
Guardò ancora le sue mani come quella prima notte di caccia, quando un ragazzo ingenuo si era ritrovato coperto di sangue dannato. Ora erano ancora assurdamente e spaventosamente immacolate.
Ma come quella prima notte urlò con tutto il fiato che avesse nel corpo.
Poi pianse.
In ginocchio, in una fredda chiesa, sotto lo sguardo immobile di un enorme crocifisso.



*



«Mio padre vorrebbe che lo aiutassi con i lavori alla locanda.»
Affondò il cucchiaio nella ciotola e mandò giù un boccone di patate bollite.
«Ha detto che ha bisogno di due braccia forti e capaci.» Sarah sorrise, Eric mangiò un'altra cucchiaiata di cibo.
Poi un'altra ancora finché Sarah non sorrise più.
«Eric- »
«Di' a tuo padre che non ho tempo per andare da lui.» La sedia aveva fischiato sul pavimento mentre si alzava pulendosi distrattamente la bocca con il dorso della mano.
Quando le dita di Sarah lo raggiunsero le scansò. «Eric?»
«Vado in città.»
Non era neanche arrivato alla porta. Stavolta la presa di sua moglie fu dolorosamente decisa.
«Per amore del cielo, Eric! Cosa ti sta succedendo?» Non voleva abbassare lo sguardo e si costrinse a reggere quello ferito di Sarah solo per un patetico orgoglio. «Cosa ti è accaduto? È da quella mattina... da quando sei tornato quella mattina che sei diverso, sei... sei lontano.» Un carezza sul viso, avrebbe voluto sfuggire anche da essa. «Dove sei Eric?... Parlami... Ti prego, amor mio, non chiudermi fuori dai tuoi pensieri.»
Sarah gli prese il viso fra le mani e lui le allontanò con le proprie. «Torno prima del tramonto.»
Si chiuse la porta alle spalle cercando di ignorare i singhiozzi che si era lasciato dietro.



*



Gli incubi non lo lasciavano dormire neanche poche ore. Eric non ricordava più sogni, solo nere ombre ad attenderlo nel suo letto, sotto l'ombra di un albero, fra le dure assi di una panca.
Ombre nere e mani pallide.
Occhi come fiamme verdi e un sorriso affilato.
Le note di una sonata disperata risuonavano per lui ogni notte e ogni alba.
L'abbraccio della morte, caldo e soffocante lo attendeva puntuale ad ogni sonno.
Si alzò dal letto passandosi una mano sul viso sudato, guardando la donna che dormiva al suo fianco e provando ribrezzo per se stesso.
La tinozza con l'acqua ai bordi del giaciglio gli diede misero sollievo. Si bagnò anche la testa senza però riuscire a cancellare le ultime immagini ferme come lame nelle sue pupille.
Si toccò il collo come ogni volta. Non c'era nulla eppure poteva sentire il sangue colare, i denti affondare e la sua bocca saziarsi di lui.
Era disgustoso e non poteva mandare via quella sensazione.
Tornò con il capo sul cuscino cercando di sfiorare i capelli di Sarah. Si ritrasse non appena lei si mosse.
Ormai cacciava solo poche ore per notte perché non voleva che lei fosse sola, eppure era così chiaro che Sarah fosse sola. Perché lui l'aveva abbandonata, l'aveva lasciata nonostante dormisse al suo fianco, nonostante condividesse ogni giorno con lei.
Sarah era sola.
Eric non era più lì, e lei lo sapeva.
Chiuse gli occhi pronto a rivivere l'ennesimo inferno, pronto a ritrovarsi privo di difese e di volontà, pronto a essere ancora una volta un fantoccio.

Adam suonava. Eric lo ascoltava in silenzio.
La musica cessava e il paletto era freddo nel palmo della mano.
Cadeva a terra con un tonfo e Adam sorrideva.
Passo dopo passo.
Paura... paura...paura.
“So perché sei qui.”
Paura... paura...paura.
“No, non sai niente!”
Un altro passo.
Un altro sorriso.
Paura.
Il paletto tornava gelido nella mano.
Adam affondava i denti nel suo collo e Eric lo lasciava cadere ancora.
Paura.
“So perché sei qui.”
Sangue... fuoco... paura.
...
Il crocifisso lo guardava.
Sangue... sangue... sangue.
Le braccia di Adam erano calde, bruciavano.
Eric bruciava con esse.
Paura...
Eric aveva paura di quel fuoco.
Eric aveva paura di quel sangue.
Eric aveva paura...
“So perché sei qui.”



*



Quando si compì un ciclo di lune, Eric lo sentì.
La cena con pochi pasti, Sarah che ravvivava le braci del piccolo camino affumicato.
Eric fece cadere il coltello sul tavolo.
«Dove vai?»
Si alzò lentamente.
Lentamente si avvicinò alla porta.
Lentamente l'aprì.
Lo sentiva.
Non c'era nulla nell'ombra della sera.
Un cielo plumbeo con poche stelle, la compagnia silenziosa di decine di alberi.
«Eric?» Sarah lo raggiunse.
«Va' dentro, Sarah.»
La guardò come non la guardava più da tempo, con gentilezza, con dolcezza, con amore.
«Fa' attenzione, Eric.»
Le sorrise e Sarah annuì.
La porta si chiuse e con essa la tiepida luce delle fiamme.
Era buio, troppo, ma non abbastanza.
Lo sentì e poi lo vide.
Il lampo di due occhi fra le fronde, il pallore di una figura che si muoveva fra le ombre e fu allora che Eric avverti la pelle far male.
Si toccò il collo e guardò le dita.
Erano sporche di sangue.
No, era un incubo, uno di quelli che lo tormentavano ormai tutte le notti.
Toccò ancora la ferita e altro sangue gli macchiò le mani.
Non si fermava.
Cercò con agitazione quegli occhi.
«Dove sei? Codardo, vieni avanti, lascia che metta fine a tutto!» ringhiò al vento della notte.
Nessuno rispose.
Guardò la porta della sua casa, guardo il legno chiuso.
Era al sicuro? La sua Sarah era al sicuro?
Il sangue era scivolato fin dentro alla stoffa dei suoi abiti, non si fermava.
Si pulì ancora una volta il collo con la mano ma non riusciva a impedire alla ferita di sanguinare.
Non capiva, non aveva risposte.
In quel diario non ne aveva più trovata alcuna, quelle di padre Jonathan non le aveva volute udire.
«Mostrati!» urlò ancora, e ancora fu silenzio. «Ti ucciderò! Lo giuro sul nome di mio padre e su questo stesso sangue! Ti ucciderò, lurida bestia, mi hai sentito?»
Affannò guardando in ogni direzione senza più trovarlo.
«Hai sentito quello che ho detto? Ti ucciderò, Adam! Ti ucciderò!»
«Eric?» Si voltò incrociando lo sguardo di Sarah, i suoi occhi colmi di paura.
«Va' dentro, Sarah!» Stavolta fu privo di qualsiasi gentilezza. «Vai!»
Gesticolò rabbioso verso la loro casa e a quel punto per poco non gli mancò il fiato.
Le sue mani erano di nuovo candide.
Toccò il collo: non c'era più sangue.
«No, no, no, questo non può accadere...» biascicò fra gli ansiti. «Non può accadere... »
«Eric, che sta succedendo?»
Si sfilò con impeto la maglia e la trovò senza alcuna macchia.
La sua mente lo ingannava, la sua ragione si stava sgretolando.
«Eric, guardami!» Sarah gli prese quelle mani pulite e le strinse fra le sue, Eric guardò i suoi occhi completamente e irrimediabilmente perso. «Guardami.»
«Sarah...»
«Sono qui, amor mio. Sono qui.»
«Sarah... » Abbandonò la maglia a terra e lasciò che le sue braccia lo stringessero forte.
«Sono qui.» L'abbracciò come forse non aveva mai fatto, come forse non aveva mai sentito il bisogno.



*



La chiesa era silenziosa, il pavimento freddo.
Adam sorrideva.
Il paletto giaceva a terra.
Il sangue colava lungo il suo collo.
“So perché sei qui.”
Eric indietreggiava strisciando sui gomiti e finiva con le spalle contro il muro.
“No, non sai niente!”
Adam sorrideva.
Paura...
Fuoco...
Sangue...
“Io so tutto.”
Adam incombeva su di lui, gli spostava senza fatica la mano dalla ferita e sorrideva ancora.
“No...”
Eric tremava.
Dita fra i capelli, ancora denti nella carne.
...
Il crocifisso lo guardava.
Sangue... sangue... sangue.
Le braccia di Adam erano calde, bruciavano.
Eric bruciava con esse.
Paura...
Eric aveva paura di quel fuoco.
Eric aveva paura di quel sangue.
Eric aveva paura...
“So perché sei qui.”
...paura di se stesso.

Si svegliò di soprassalto. Respirò profondamente ma il cuore continuava a battere privo di controllo.
Era solo un incubo, l'ennesimo, ma solo questo.
Non era reale.
Non è reale.
Si toccò il collo e portò le dita sotto la luce della finestra.
Tremò.
Erano sporche di sangue.
Lo sentiva: lui era lì.












***












NdA.
Grazie a tutti per l'apprezzamento a questa fic ^///^ spero sia stato gradito anche questo secondo appuntamento e mi scuso se è stato un pochino tardivo.
Con mia sorpresa mi sono accorda che la storia ha da dire molto più di quanto credevo per cui probabilmente aggiungerò qualche capitolino in più rispetto a quelli precedentemente plottati.
Non so se sia una buona notizia per voi u////u
Alla prossima e tranquilli, le risposte arriveranno.
Come sempre per consigli, suggerimenti e riflessioni sono a vostra disposizione ^^
Kiss kiss Chiara

p.s. Benché storicamente inappropriata, questa è la sonata che ho immaginato suonasse Adam, la linko nel caso vi andasse di ascoltarla. <3
  
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