Storie originali > Fantascienza
Segui la storia  |       
Autore: Stanys    02/12/2013    0 recensioni
Quanto oltre può spingerci l'umana curiosità? Più di quanto si può immaginare.
Genere: Avventura, Mistero, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Potevano essere passati minuti, oppure ore, ma per Lucy non avrebbe fatto differenza, visto che da quando aveva salutato Harshad il paesaggio non era cambiato. La cognizione del tempo era diventato un optional di cui si era involontariamente disfatta appena uscita dal Nautilus. Quello di cui invece non poteva fare a meno era l’ossigeno, ed era proprio quello di cui più aveva bisogno: le rimanevano pochi minuti d’aria, ma procedeva ancora nella direzione opposta a quella in cui il cavo che si lasciava alle spalle sprofondava nel buio. Una parte di sé si stava convincendo che ormai fosse diventata una questione di principio, che dovesse per forza trovare un’uscita, o in ogni caso qualcosa che non fosse il nulla, giacché la sua mente si rifiutava di credere che a quello spazio non ci fosse fine. Si rifiutava di cedere all’idea che quella che aveva scambiato per conoscenza in realtà fosse quello che lei pensava non essere, cioè fede. La fede era fatta per le chiese e per i film di avventura, si disse. Quelli in cui quando la situazione era critica arrivava il “deus ex machina” a risolvere tutto. Era così dai tempi della tragedia greca, ma quella volta non sarebbe andata così: lei avrebbe trovato la soluzione a questo dilemma con le sue forze. Si appellava alla sua razionalità ricordando le dimensioni dell'anomalia raccolte tramite la sonda alpha: ricordava che non doveva essere più larga di una decina di chilometri, e il cavo che avevano raccolto arrivava a poco meno della metà, quindi a meno che non fossero atterrati giusto al centro dell'anomalia, la spiegazione più logica era che si stava allontanando dall'estremità più vicina dell'anomalia. Devo smetterla di chiamarla "anomalia", si disse. Ci sto camminando dentro, direi che posso tranquillamente chiamarla astronave.
Il suo flusso di penseri fu interrotto dalla radio che si attivò per un segnale in ingresso.
«Lucy, ci sei?». La voce di Harshad era allarmata.
«Sì, dimmi»
«Abbiamo un problema: la nave è sparita»
«Non può essere!»
«Fidati, è così. e ti dirò di più: è stata portata via»
«E come lo sai?»
«Lo so perché il cavo che avevamo legato non è tagliato, è stato sfilato via»
«Maledizione! Sto tornando indietro, resta vicino al cavo» disse Lucy buttando a terra quello che restava del cavo e correndo seguendo il cavo a terra.
La sua testa dopo poco cominciò a girare. All'inizio pensò che fosse per la paura, ma nell'agitazione aveva perso di vista l'indicatore dell'ossigeno che continuava a scendere, complice la corsa che le aveva consumato rapidamente l'ossigeno residuo.  Dopo i giramenti di testa comparvero dei segni di annebbiamento alla vista, che uniti alla stanchezza e al fiatone la fecero rallentare fino a boccheggiare con le mani poggiate sulle ginocchia.
«Lucy, sei ancora lì?»
«Più o meno»
«Non mi piace come respiri. Come stai messa con l'ossigeno?»
«Mal...male...»
«Ascolta, cerca di rimanere sveglia, ok? Sto venendo a prenderti»
«No, fermo...resta...dove sei...non consumare aria...»
«A che mi serve l'aria se resto da solo in questo posto? Sto arrivando, resisti...ascolta...voce...»
Lucy aveva la sensazione che Harshad le stesse dicendo qualcosa, ma lei lo sentiva distante, come se le stesse parlando dall'altra parte di un grande salone. Lentamente cadde in ginocchio e si lasciò andare a terra ormai sconfitta.
Avrebbe tanto voluto vedere qualcosa in più, capire cosa fosse quell'oggetto così strano in cui si erano imbattuti. Invece sarebbe morta su quel pavimento freddo, anonimo, insensibile ai suoi sogni e desideri. Attraverso gli occhi chiusi le parve di vedere una luce. Forse è Harshad che è arrivato ad aiutarmi, pensò. Forse non sto per morire...oppure è proprio questo il segno che sto per morire, la famosa "luce" che molti dicono di vedere. In fondo, anche questa sarebbe una grande avventura. L'ombra attraverso le palpebre cominciò a muoversi su e giù, e Lucy aprì gli occhi per osservarla. Ma non era una luce, bensì una porta.
Finalmente l'aveva trovata, proprio ora che non aveva la forza di raggiungerla. Cercò disperatamente di trascinarvisi aiutandosi con le braccia, ma quel varco sembrava irraggiungibile. Allungò una mano in cerca di un appiglio inesistente e, volgendo lo sguardo verso le lame di luce che uscivano dai contorni della porta e oscillavano ritmicamente, si accorse che stava piangendo. Non voleva morire. Chiese aiuto, e lo fece con l'ultimo filo di voce che le rimase, poi poggiò la testa a terra.
Ma non fu quella la sua fine.
Stordita dalla mancanza di ossigeno, riuscì a malapena a percepire il suo corpo che veniva sollevato da terra. Con uno sforzo immane aprì gli occhi e vide la porta aprirsi lentamente. Sopra di lei una figura con addosso la tuta del Nautilus guardava fisso davanti a sè, oltre la porta. Il suo viso non era riconoscibile, e anche se Lucy sperò che fosse Harshad, non riusciva a crederlo. Perse i sensi con una domanda in più in testa.


Lucy sognò. O almeno, credette di sognare. Vedeva delle pareti, vicine a lei, o almeno credeva di vederle. Una stanza, molto stretta. La sensazione di salire. Forse era in un ascensore. Lo sperava, perché significava che si stava muovendo in una direzione, anche se non sapeva quale, e questo in qualche modo la confortava. Pensò che quella doveva essere la sensazione che provavano i feti nel grembo materno prima di nascere. Allungò il braccio per cercare di toccare quella parete, ma non ci riuscì. Le sembrava di essere completamente immobile, così si guardò le mani. Ma non le trovò. Al posto delle mani, il nulla. Non c'erano, come non c'era il resto del suo corpo. Era lì, a stento riusciva a percepire la sua pelle, ma non la vedeva. Si sentiva nuda, ma per nulla in imbarazzo, né allarmata per quella scoperta. L'unica cosa che le interessava ora era sapere, ancor più di dove fosse o cosa le fosse successo, perché era così tranquilla, come se fosse già pronta a quell'evento.
Lucy...
Il bagliore intorno a lei cominciò lentamente a scemare.
Lucy...
«Chi parla?»
Guardami...
«Non ti vedo, e non vedo neanche me stessa»
Sono proprio accanto a te...
«Dove?»
Qui...
Si sentì toccare sulla spalla, e in un battito di ciglia era tornato il buio, quell'odiosa cappa di oscurità che le nascondeva la realtà. Non in modo dissimile da quanto faceva la luce purtroppo.
Istintivamente Lucy cercò di girarsi, e si sorprese nel sentirsi di nuovo normale. I suoi sensi erano tornati attivi a pieno regime, e aveva ripreso completamente possesso del suo corpo. Riusciva ora a vedersi addosso la tuta del Nautilus, anche se le mancava il casco.
«Non sembri agitata»
Ora riconosceva quella voce, ma stentava a crederci.
«A...Alex?»
Alexej stava davanti a lei, completo di tuta spaziale, con un'aria di sicurezza da fare invidia al più navigato degli showman sul palcoscenico.
«Chi ti aspettavi, ET?»
«Piantala»
«Scusa. Cercavo di rompere il ghiaccio. Io al posto tuo ero molto nervoso prima»
«Non è colpa tua, sono io ad essere strana»
«Lo vedo, ma in fondo non così tanto quanto credi. In fondo, non sei sola qui»
«Già, per fortuna». Mentre parlava, Lucy si guardava intorno, mentre Alexej la guardava fisso, in attesa forse di qualche sua reazione o domanda particolare. Avendolo notato, decise di accontentarlo.
«Alex, cosa ci è successo?»
«Una cosa stupenda: ci hanno portati via»
«Via? Dove?»
«Ora lo vedremo, ci hanno detto di attendere»
«Hanno detto...chi? E perché noi?»
«Quante domande. Non sono mica una guida turistica io»
«Ma tu eri svenuto sul Nautilus, e Hash...»
«Hash non ce l'ha fatta»
La voce di Lucy le si strozzò in gola. Chiuse le labbra e chinò il capo sospirando.
«Non è colpa tua» disse Alexej. «E di chi allora? Ero io la responsabile».
Alexej scosse le spalle. «Beh, sua»
Lucy non ebbe la forza di replicare perché, vergognandosi per quello che istintivamente per un attimo aveva pensato, lo pensava anche lei.
«Guarda» le disse Alexej «Sta cominciando». Indicava verso l'alto, e Lucy alzò la testa.
Nel buio del nulla tre stelle erano comparse, disposte a formare un triangolo. Sembravano avvicinarsi. Ma non erano stelle normali, perché al loro crescere, cambiarono colore e crebbero di dimensione.
«Sono supernove?» chiese Lucy.
«Sì. Che ne pensi?»
«Sono...meravigliose» rispose, anche se le sembrava estremamente riduttivo. Le tre supernove pulsavano dolcemente e ritmicamente, in un silenzioso ballo cosmico ipnotico.
«Cosa sappiamo di quelle stelle?»
«Nulla» rispose Alexej. «Non ci sono sulle nostre carte, non le avevamo ancora scoperte»
«...e ora stanno per morire, prima ancora che noi ne scopriamo la nascita»
«Non noi, la Terra: noi ora le conosciamo»
«Tra quanto la loro luce arriverà sulla Terra?»
«Qualche migliaio di anni»
Lucy sbarrò gli occhi. «Siamo così lontani?»
«Già. Non chiedermi come ci siamo arrivati, non mi è stato detto niente»
Lucy rimase a fissare quelle tre stelle così brillanti. «Così...li hai visti?»
«Eh, magari. Non ci ho capito molto in realtà. Quando mi sono svegliato però ero già qui accanto a te. Hanno detto che avrei dovuto farti compagnia»
«Per cosa?»
La risposta le arrivò subito dopo. Le tre stelle fermarono le loro pulsazioni e divennero piccolissime, quasi irriconoscibili, per poi esplodere contemporaneamente in un fascio di luce bianca di una potenza inaudita. Il contrasto di quella enorme esplosione col silenzio del vuoto intorno a Lucy fu terrificante. Alexej e Lucy ripararono gli occhi dalla luce accecante, e quando il bagliore svanì osservarono ciò che era rimasto delle stelle esplose.
Ognuna delle stelle aveva formato con le sue nubi di gas dei bracci che andavano ad unirsi a quelli delle due compagne, a formare un vortice caleidoscopico di colori che roteava lentamente intorno al proprio asse, e tutte insieme intorno ad un punto centrale, che irradiava una luce soffusa. Lucy tese un braccio come a cercare di sfiorare quell'opera di magnificenza, ma si fermò per paura di riuscire davvero a toccarla e interferire con quella danza così delicata. Non avrebbe mai potuto interromperla, ma ora che aveva visto qualcosa di così sconvolgente, sentiva che non sarebbe più riuscita a farne a meno.
Sorrise, e pianse di gioia. «È così bella...»
«Vero» disse Alexej. «Non vedremo mai niente di più bello, non sulla Terra almeno»
«Alex...» Lucy esitò. «Tranquilla» la interruppe Alexej «è per quello che stai pensando ora che siamo qui».
Lucy gli sorrise. Finalmente sapeva.
Chiuse gli occhi e si fece abbracciare dalla Nova.

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantascienza / Vai alla pagina dell'autore: Stanys