E, sì, questo è un piccolo regalo per
te, Chiara, Artemisia89, che oggi compi
diciannove anni e, anche se non li festeggerai, meritano comunque un misero
segno di... gratitudine? stima? Boh, deciderai tu :).
Questo per dirti che, comunque sia andata, ho
apprezzato il tuo lavoro come Beta, ti stimo immensamente come scrittrice, come
persona, come semplice fanwriter. E, diamine, sono
davvero contenta d'aver fatto la tua conoscenza, qualche mese fa. Sul serio,
non sai quanto.
Spero che la cosa che ho scritto ti possa piacere anche solo un pochino, anche
se riconosco di non aver fatto granchè -dannata mania perfezionista!- e tu meriteresti un regalo infinitamente più bello. Ma facciamo
ciò che possiamo :) e, tanto per levarci un po' quest'aria
solenne e cerimoniosa, in bocca al lupo per la matura!
Un saluto e un abbraccio,
Eleonora
Disclaimer: I personaggi citati
appartengono a Masashi Kishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del
loro uso. Il brano riportato all'inizio è, come scritto, frutto del genio di
Haruki Murakami e del suo "Kafka sulla spiaggia" e la strofa di canzone
inserita alla fine è stata scritta da Fabrizio de André, e a Lui va ogni
elogio, ovunque sia.
E poi, non so come dirlo. Proviamo.
Gli Hyuuga sono cugini. Ergo questa storia è a sfondo Hyuugacest, che lo
vogliate o no. Se la cosa dovesse disturbarvi, nulla
vi vieta di non leggere :).
The Strong
and the Ephemeral
"Qualche volta il destino
assomiglia a una tempesta di sabbia che muta
incessantemente la direzione del percorso.
Per evitarla cambi l'andatura. E il vento cambia
l'andatura, per seguirti meglio.
Tu allora cambi di nuovo, e subito il vento cambia di nuovo per adattarsi al
tuo passo.
(...) Perchè quel vento non è qualcosa che è arrivato da lontano,
indipentente da te. E' qualcosa che hai dentro.
Quel vento sei tu."
[Haruki Murakami, Kafka sulla spiaggia]
I loro passi sono silenziosi,
cauti e circospetti come quelli dei gatti; i loro sguardi, pur essendo luce,
non abbagliano, non feriscono; le loro stanze sono cupe, per non svegliare le
ombre che dormono addossate ai muri; le loro voci sono attutite, basse, per
paura che la carta di riso si squarci - e il mondo intero crolli.
Il loro cognome è Hyuuga.
Il loro Clan ha cominciato da tempo ad avviarsi
lungo la strada del declino, da quando, precisamente, anche Konoha ha smesso di
essere il Paradiso Terrestre o il Giardino dell'Eden ed è stata sommersa dalle
acque torbide di vecchie storie e vecchi rancori mai
dimenticati. Si è cominciato a intravedere la carcassa
putrescente sotto la patina brillante del trucco, e questa visione sconvolge,
terrorizza, annienta.
C'è chi lotta e non si rassegna all'evidenza, c'è chi nega, c'è chi continua a
sperare, c'è chi piange, c'è chi ha perso tutto, c'è chi non crede più a
niente, c'è chi risponde alla violenza con la violenza,
e poi c'è lei.
Lei, che osserva.
Hinata ha smesso di camminare in punta di piedi,
ha smesso di balbettare e parlare a mezza voce, i suoi occhi adesso risplendono
in un tripudio di vetro e glicine.
Fuori la pioggia sferza i tetti delle case; i tuoni la spronano con rabbia a
correre più veloce, a parlare più forte, a guardare più fisso senza mai
abbassare lo sguardo. Il vento soffia impazzito, sembra voler sradicare via la
casa ed è come se Hinata sentisse tutta la sua furia dirompente contro il viso,
come se le raffiche gelide tentassero di fermarla.
Ma Hinata non è fatta di carta di riso o di cristallo
come le pareti del suo fragile mondo: l'inclemenza del temporale non basta ad
annientarla.
I tuoni si susseguono senza fine, le pareti della casa tremano sotto i loro
strepiti cupi, sembrano volersi sgretolare.
Hinata non ricorda un giorno in cui non ci sia stata
tempesta per lei, non ricorda un cielo diverso da quello nero di pioggia e un
rumore che non sia il crepitare dei lampi. E ancora si chiede come le ombre di
quella villa possano continuare a dormire da anni, da secoli, cullandosi nella
penombra delle stanze vuote, come possano annullarsi
nella loro oscurità nonostante la casa minacci di essere divelta dalla furia
del temporale.
Eppure Hinata continua imperterrita a correre lungo i
corridoi bui. I suoi passi affrettati hanno la stessa violenza dei tuoni che
borbottano cupi nel cielo notturno, il frusciare del suo yukata assomiglia alla
frusta del vento fra i rami degli alberi.
La sua parte più infantile ha quasi paura che il rumore dei piedi che battono
sulle assi di legno sia talmente forte da svegliare gli spettri addormentati:
le pare quasi di udire alle spalle il loro sibilo sinistro e le loro zanne acuminate che scattano per ghermirla, ma Hinata
non si fermerà, Hinata non ha tempo per pensare. Il temporale infuria, il suo
cuore batte col fragore del tuono e i suoi occhi per la prima volta vedono luce
in quella casa oppressa dalle tenebre.
Quando Hanabi, minuti prima, le ha comunicato con noncuranza che la Volpe a
Nove Code aveva trionfato sulla Forza Portante e che Neji-niisan sarebbe stato
uno dei Jonin che avrebbero tentato di fermare
l'avanzata del mostro sul villaggio, Hinata non si è sentita morire, no.
Hinata si è sentita d'acciaio, di fuoco e di fulmine: per la prima volta nella
sua vita si è sentita forte come il vento, capace di sfidare il destino e
infrangere quella spessa corazza di gelo che li soffoca fin da prima della
nascita.
Si è sentita come le tempeste, come gli uragani: pura distruzione.
Per questo Hinata corre, incurante delle buone maniere, delle convenzioni,
dell'obbligo al silenzio; per questo non le importa più di parlare troppo forte
e strappare via le sottili pareti di carta di riso che la circondano.
Si sente talmente forte che ogni suo passo potrebbe aprire una voragine nel
pavimento, si sente eterna e invincibile come le danze dei venti, lei, Hinata,
la sciocca, la debole, la bimbetta malaticcia e insicura.
Ogni suo pensiero invece sembra rallentare, sfilacciarsi, perdersi a metà del
corpo e svanire lì, senza poterla raggiungere davvero. Ogni suo pensiero si
eclissa nel colpo assordante che le risuona nel petto, nelle orecchie e nella
testa, mentre anche l'impulso di respirare diviene secondario, sovrastato da
una necessità che per lei è ben più che vitale: correre.
L'armeria del Clan Hyuuga, nei sotterranei della
villa, non le è mai sembrata tanto lontana.
Adesso che è lì sulla soglia, mentre i visi degli antenati la scrutano
accigliati e Neji-niisan le volge la schiena, intento ad affilare la spada da
ANBU, Hinata non ce la fa più e crolla, si lascia andare contro lo stipite:
deve respirare.
Gli occhi cupi come il temporale degli antichi Hyuuga disapprovano
quell'affanno, quella goffaggine, quel respiro forte da affogata che cerca la
vita; quegli occhi candidi eppure pieni di ombre accusano lei, i suoi capelli
in disordine, il suo yukata che nella foga le ha lasciato scoperta una spalla,
i suoi piccoli piedi nudi: disapprovano lei e quel suo amore cieco e testardo,
quel suo amore che dicono sbagliato, poichè loro non possono comprendere una
cosa tanto bella e viva, loro, vecchi e morti, loro, austeri e inflessibili,
loro che hanno allevato una generazione di soldati e mercenari.
Neji ha sentito il tocco leggero del corpo della cugina contro lo stipite della
porta, ha sentito il suo respiro infrangersi ritmico come le onde della marea e
ha sentito il suo silenzio prepotente, ostinato.
"Non gli faremo alcun male, se non necessario."
Neji sceglie le parole con cura, esita, parla lentamente come se si rivolgesse a un animale impaurito, parla con la calma estenuante con
cui si fa una carezza. L'effetto della sua voce è proprio questo: una carezza
lenta e leggera, il tocco fuggevole di un soffio di neve.
Hinata può respirare, adesso. In silenzio può riprendere fiato e colore sul
viso.
"Non useremo la forza, se non saremo costretti."
Quasi dimenticandosi della katana da affilare, Neji dispone una parola dopo
l'altra con la cautela di chi costruisce un castello di carte:"Lui
non è un nemico. Lui è uno di noi.
E' più di tutti uno di noi."
Neji guarda dritto davanti a sé, guarda il drago che
affonda le fauci spalancate nella lama istoriata di un naginata appartenuto al Fondatore
del Clan, Izanagi Hyuuga. Si chiede distrattamente quante gole abbia tagliato, quel naginata, quanti corpi abbia mutilato,
quante volte sia stato affilato.
"Ti dò la mia parola."
Hinata fissa la sua schiena, mentre a poco a poco il suo respiro torna a
regolarizzarsi, torna ad essere quello di sempre. Hinata beve con avidità ogni
sua parola, ogni sua sillaba, con la foga dell'assetato che si tuffa nella
sorgente, e i pozzi oscuri di silenzio che si aprono fra una frase e l'altra sono più dolorosi di uno sparo.
Sente il cuore pronto a esplodere come un frutto
maturo, sente tremare ogni singola fibra del suo essere, mentre col pensiero
implora Neji-niisan di capire, solo questo, di capire, di voltarsi verso di lei
e finalmente capire.
Hinata adesso riesce a riflettere con sorprendente lucidità, anche se deve fare
uno sforzo disumano per tenere unito il suo corpo,
poichè sente i muscoli tendersi e minacciare di lacerare la carne
nell'irrefrenabile impulso di fuggire via, lontano, dov'è la libertà.
I vecchi Hyuuga fissano inquisitori quella ragazzina
scarmigliata e quell'ANBU pronto per la missione, li scrutano severi e
inorridiscono per aver dato loro i natali. I vecchi Hyuuga giudicano dall'alto
delle loro cornici e li hanno già condannati, senza alcuna possibilità di
redenzione.
Sotto gli occhi di quei ritratti, Hinata non è più sicura di
riuscire a parlare. Ha la bocca piena di sangue caldo, la testa pesante e la
lingua incollata al palato. Non è sicura di ricordare come si fa a parlare,
inoltre lei non è mai stata capace di farlo bene: non esistono parole capaci di
fare da specchio ai suoi pensieri, non avrebbero alcun significato per il resto
del mondo.
Ma forse per Neji lo hanno.
Neji conosce il significato delle piccole rughe che sovente si formano sulla
fronte di Hinata, o delle sue labbra arricciate, o delle miriadi di sfumature dei suoi occhi.
Neji sa che gli occhi di Hinata sono vivi, liquidi, espressivi come il mare.
Neji sa che Hinata inclina il capo solo quando è molto
stanca, quando proprio non ce la fa più a reggersi in piedi.
Neji sa riconoscere quando Hinata pronuncia il suo
nome o quando lo sta solamente chiamando.
Ma Neji adesso ha affilato la sua katana e con un
secco scatto lugubre l'ha riposta nella custodia che porta sulla schiena. Neji
ha già calato sulle tempie lo stridio dell'Aquila che solo in battaglia porterà
sul viso, poichè non osa indossare la maschera da ANBU davanti alla cugina, non
osa mostrarle quanto sia appuntito il becco adunco del
rapace, quanto possa ferire.
Neji in un passo è già davanti a lei e un passo dopo sarà fuori, nella pioggia.
Ed è in quel preciso istante che il fulmine è dentro
Hinata: è proprio in quel momento che lei, semplicemente, con gli occhi
impassibili di un animale, gli si getta addosso e lo stringe alla vita.
(E' già condannata, Hinata).
Neji vedeva la piccola testolina di corvo appena sotto il mento e stupito
pensava ai diamanti, ai cristalli, alla lama di un'arma, a tutte le cose
scintillanti e trasparenti che con un sorriso possono uccidere.
Le occhiate risentite dei suoi avi bruciano sulla nuca, si sente stupido e
sciocco, quasi debole di fronte a loro, lui, Neji, che non riesce a sottrarsi a
quella stretta, non riesce a spingere via la piccola Hinata, quella sbagliata,
quella fragile, il fuscello in balìa del vento.
Non riesce o non vuole?
Tutto ciò che ha sempre voluto, tutto ciò di cui ha sempre avuto bisogno, è lì,
tra le sue braccia.
"Hinata-sama, spostati." Neji prova, perchè non sentirà il suo addio prima delle fiamme di Kyuubi, perchè sa di
voler vivere per tutte le volte che ritornerà da lei e vedrà la sua figura di
disegno a inchiostro sotto le raffiche di pioggia.
Prova e riprova con più convinzione, la prende per le spalle:"Spostati."
Ma la corona di capelli neri non si sposta, preme sul suo petto come una
macchia di notte e non si lascia scoraggiare. La sua volontà non è mai stata
così forte, addirittura più forte di quella di Neji - Neji il genio, il talento
innato, l'inarrivabile vetta di bravura.
La sua volontà non lascia scampo.
Hinata mormora qualcosa d'indistinto che lui non coglie subito: ci vuole del tempo prima che il sussurro sommesso di Hinata diventi
man mano più definito e come i tuoni scuota le pareti della casa, terrorizzando
col suo impeto anche i volti arcigni degli Hyuuga già morti, che adesso serrano
le labbra e si trincerano spaventati dietro il loro gelo.
"Voglio solo stare qui,"
ripete nitida Hinata, la voce a poco a poco più ferma e sicura, "Solo per
un poco, solo un altro po'.
Voglio solo stare qui, solo questo, non chiedo altro."
"Voglio stare qui. Per favore."
Oltre il muro dei vetri si
risveglia la vita
che si prende per mano
a battaglia finita
come fa questo amore che dall'ansia di perdersi
ha avuto in un giorno la certezza di aversi
[Dolcenera, Fabrizio De Andrè]
Fin
Nota dell'Autrice
Uargh. Ho faticato come non mai. Non riesco ancora a crederci di averla scritta, giuro. E' la prima e l'ultima volta che
mi cimento con un incesto, lo giuro, è troppo difficile per me ç_ç!
Queste Flavours sono troppo bianche, direi: su cinque, tre sono sulla famiglia
Hyuuga XD! Sembra che non sappia scrivere d'altro, ma non è così. Arriveranno
presto molte altre, e le mie storie si tingeranno di nuovi colori.
E adesso andiamo alle recensioni, che altrimenti passo per l'Autrice Snob di
turno ;):
Talpina Pensierosa: Ti ringrazio^^! Spero
che continuerai a leggere questa raccolta.
Ayumi Yoshida: Ma figurati, non ero di cattivo umore per il Sesto Posto, ma va^^! Sarei stupida se mi pregiudicassi l'umore
per un concorso di scrittura, e poi non si può farne
una colpa a nessuno se la mia storia non ha avuto successo. E' una cosa
normalissima scrivere cose che possono non piacere, e ritengo fondate e sensate
le critiche che mi sono state rivolte, dunque non devi
assolutamente scusarti né pensare di aver torto in qualcosa. Lo ripeto, non
preoccuparti :) e grazie del tempo speso per giudicare
e recensire la mia storia.
Kaho_chan: Oh, my love *_*! Come vedi alla fine
l'ho pubblicata, e immagino che, se ti piace come ho caratterizzato Hinata
nelle altre flavours, questa ti piacerà sommamente XD ma che lo dico a fare?
L'hai già letta! A parte questo, ho esasperato un po' l'aspetto angelico e
'delicato' di Hinata, per poi, come vedi, riportarla bruscamente alla realtà.
La ritengo un personaggio molto particolare, molto sfaccettato, teso tra un
aspetto ultraterreno e uno più umano. Non per niente
ho visto in lei Remedios la bella (leggilo, Cent'anni di Solitudine, merita
*_*!), che è l'espressione dell'estraneità degli angeli al mondo comune.
Insomma, Hinata è sprecata per Naruto come per Neji (non mi uccidere XD!), è
sprecata per un mondo chiuso entro certi limiti, per un mondo che non la
capisce. In quasi tutte le mie storie la pongo vicino
ad Hanabi per far risaltare la diversità delle due, che Hanabi comprende
benissimo e che detesta, come ama e odia quella sorella irraggiungibile a cui è
permesso essere delicata, eterea e semplicemente fuori dal mondo, mentre lei,
Hanabi, dev'essere saldamente piantata coi piedi per terra. Gh. Sto partendo per la tangente, lo so XD! Non vedo l'ora di
risentirti su msn, caVa, le nostre conversazioni sono
sempre così brevi ç_ç!
StAkuro: Sono molto felice che la storia ti abbia ispirato un sentimento
di rabbia, perchè è in effetti proprio quello che
volevo XD! La rabbia è quella che Hinata non riesce a
esprimere, per come la vedo io, ed è il sentimento che la tiene inchiodata alla
sua realtà, fatta di gesti, di cose, di pensieri lontani da quello che è il suo
obiettivo (ovvero Naruto). Ho voluto descrivere la sconfitta di Hinata, anzichè
il suo scatto d'orgoglio, e la sua mancata maturazione: fa rabbia, è ovvio,
perchè Naruto si aspetta che lei gli parli dei suoi sentimenti, del suo
incondizionato amore e ammirazione per lui (hai colto giustamente l'accenno, infatti =D), ma lei preferisce crogiolarsi nella certezza
che comunque vada ci sarà tempo per farlo, quindi perchè sprecarsi ora,
perchè parlare? ...Ovviamente io spero che nel manga
le cose non vadano così XXD!
Comunque non dire più che la tua storia è vuota, anzi:
lo giudico un onore che sia arrivata a parimerito con la mia.
Grazie dell'attenzione,
Hipatya