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Autore: Atarassia_    27/12/2013    7 recensioni
Il sorriso.
Il sorriso è la cosa più enigmatica che sia mai esistita.
C’è il sorriso di circostanza, quello sensuale, quello che si delinea sulle tue labbra dopo che hai sentito qualcosa di divertente o visto qualcuno che ti interessa. Il sorriso è un modo per dire “ciao”, “arrivederci” o anche “addio”. È un modo alternativo per chiedere scusa, uno per dire “mi piaci” e perché no, anche per dire “ti odio”. C’è il sorriso imbarazzato, quello che provoca delle fossette ai lati della bocca e quello inquietante.
Ecco, il sorriso è universale e enigmatico. Si proprio così, universale e enigmatico.
Una persona sorride ma può essere felice, arrabbiata, emozionata, triste, dubbiosa, imbarazzata. Il sorriso può voler dire tante cose che nemmeno riusciresti ad immaginartele. È misterioso, ingannevole, seducente. Una maschera.
Quante volte dietro ad un sorriso si nasconde il dolore? Quante volte i problemi, le lacrime, i turbamenti vengono celati dietro di esso? A te non è mai successo?
Siamo tra amici tesoro, puoi anche calare la maschera.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Tre cose ci sono rimaste del Paradiso:
le stelle, i fiori e i bambini." 
(Anonimo)


 
 
Le unghie laccate di nero e la sciarpa di lana. I lacci delle Dr Martens tutti sfilacciati e la borsa borchiata a tracolla. La giacca olivastra aperta e una treccia disfatta. Un sorriso sincero sulle labbra e uno strano luccichio negli occhi. Questa è Annika.
Una tranquillità apparente e la confusione in testa. La mano sinistra stretta in quella piccolina di Gabriel che arranca dietro lei e l’altra in tasca. E Annika non può non abbozzare un sorriso sentendolo parlare convulsamente con la vecchia scimmia di pezza che tiene stretta sotto il braccio. Si morde il labbro per trattenere una risata e scuote la testa rassegnata.
-Fa freddo, Mr. Puzzolo. Ti avevo detto di coprirti.- borbotta Gabriel con la bocca mezza coperta dalla sciarpa blu. Il peluche viene sbatacchiato a destra e a sinistra ed Annika teme per il suo corpo tenuto insieme da un vecchio filo consumato.
-Dopo ti viene il raffreddore. Vero Anni?- continua il bambino rivolgendosi alla sorella. È buffo conciato così: tutto imbacuccato nella giacca e con il cappello a forma di panda in testa.
Ha le guance rosse per l’aria fredda e il naso a patata irritato per il raffreddore. E lei sorride stando al gioco, sorride perché deve farlo, perché a lui non rimane altro che quel sorriso.
È un bambino Gabriel. È ancora piccolo ma già grande. Ha appena perso il suo primo dentino ma già conosce cose che non avrebbe nemmeno dovuto immaginare.
È innocente ma si sente colpevole, sbagliato.
E Annika ha promesso che gli sarebbe stata sempre vicino, che non lo avrebbe lasciato per nessun motivo al mondo. Nemmeno se avesse finito di nascosto tutte le caramelle alla frutta, né se per fare il bagnetto a Mr Puzzolo avesse allagato l’intero bagno, né se si fosse addormentato sul tappeto lasciando riversi in terra tutti i giocattoli.
Scatta il verde al semaforo e i due attraversano la strada correndo. Gabriel ride spensierato ed Annika finge che ciò stia a significare che vada tutto bene.
Si illude, lei ha bisogno di illudersi. Per un attimo, per un misero secondo fuggitivo, la sola sensazione che tutti i problemi siano svaniti è un lenitivo per la sua anima malata.
Raggiungono la fermata dei trasporti pubblici e Annika si siede sulla vecchia panchina piena di scritte mettendo Gabriel sulle sue ginocchia. Manca ancora qualche minuto prima dell’arrivo dell’auto e perdono tempo giocando a “Indovina chi sono”. Annika ride e si finge prima un coniglio, poi un gattino ed infine una scimmia. Improvvisa anche una faccia indispettita quando Gabriel indovina tutte e tre  le sue identità e scatena l’ilarità di quest’ultimo.
-Ridi di me? Ma che bravo!- esclama Annika prendendo a solleticargli il pancino da sopra un soffice strato di maglioni. Il bambino si contorce tutto rannicchiandosi contro il petto della sorella.
-Basta, basta, basta.- la implora Gabriel con le lacrime agli occhi per le risate.
-Riderai ancora di me?- chiede Annika guardandolo divertita e fingendosi minacciosa.
Lui scuote la testa con un sorriso furbo e per convincerla si allunga stampandole un lungo bacio sulla guancia per poi abbracciarla e nascondere il viso tra i suoi capelli. Lei ricambia la stretta e con fare materno gli accarezza la testa cullandolo appena.
Il rumore dell’auto che si avvicina li distoglie dal loro abbraccio e Annika alza un braccio per segnalare la fermata al conducente.
Quando gli sportelli si richiudono alle loro spalle, cercando di non perdere l’equilibrio, avanzano verso il fondo del mezzo in cerca di due posti isolati.
Gabriel insiste per sedersi dalla parte del finestrino e appoggiandosi con le mani al vetro si incanta a guardare il paesaggio. Una volta  ha confessato alla sorella che gli piace guardare di fuori mentre è su un mezzo in movimento perché “tutto passa veloce, tutto finisce subito. Sembra che non sia nemmeno esistito.”. Ad Annika venne un groppo alla gola sentendo quelle parole e per il tremolio delle mani quasi non riuscì a finire di rimboccargli le coperte. Mordendosi un labbro per evitare di piangere e facendosi forza, aveva resistito ancora cinque minuti, giusto il tempo per augurargli la buona notte e cantargli la prima parte  della sua ninna nanna. Poi era dovuta uscire di corsa da quella stanza perché gli mancava l’aria e la testa aveva preso a girarle convulsamente. Si era infilata nel letto senza nemmeno spogliarsi e aveva soffocato le lacrime nel cuscino, afferrando, tirando e mordendo il lenzuolo per trattenere la sua rabbia.
Mentre il fratello è concentrato ad ammirare le abitazioni e i vari veicoli, Annika si infila una cuffietta lasciando che l’altra ricada sul suo petto. Batte il piede ritmicamente e segue la voce di Ed Sheeran sussurrando a tratti le parole della canzone. Chiude gli occhi e si abbandona con la testa contro il sedile passando un braccio intorno alla vita di Gabriel che sta raccontando a Mr. Puzzolo del parco che hanno appena superato. L’auto effettua un paio di fermate e, quando in lontananza si intravedono le mura di una struttura vittoriana, Annika riavvolge le cuffie e prepara il fratello rimettendogli la giacca.
Prenotano la fermata e salutano frettolosamente l’autista saltando giù dal mezzo. Gabriel si è fatto improvvisamente silenzioso e ha un cipiglio serio in volto che poco si addice ai suoi cinque anni e mezzo.
Annika scuote la testa desolata e afferra con una mano quella del fratello mentre con l’altra suona il campanello. Deve attendere qualche secondo prima che una voce meccanica fuoriesca dall’apparecchio per chiedere chi sia a suonare.
In modo molto spicciolo scandisce il suo nome e quello del fratello per poi rilasciare il loro codice di accesso. Una volta verificata la loro identità, ricevono il permesso per passare e il cancello automatico viene aperto. I due si incamminano lungo il viale costeggiato da alberi secolari lasciandosi alle spalle l’ingresso e l’iscrizione “Land of Angels”(1) su di esso.
Annika lancia occhiate fugaci a Gabriel che si è distratto a guardare dei bambini con il loro mentore mentre giocano nella serra.
Salgono in fretta le scale dell’ingresso in pietra approdando nel portico e Annika scambia degli sguardi complici con delle madri che sono sedute lì in attesa. Un giovane infermiere apre loro la porta e saluta Gabriel cautamente ma il piccolo si ritrae quando quello tenta con la mano di scompigliargli i capelli e si rifugia a metà dietro le gambe della sorella.
Annika si stringe nelle spalle perché non può fare altro, se non ribollire dalla rabbia e stingere i pugni in tasca. Scusandosi con un sorriso timido, serra la presa intorno alla mano del fratello e lo guida nei corridoi del primo piano. Questo è per tutti il piano dei “dannati“. Quando sulla cartellina medica leggono il codice che rimanda a questo posto, tutti ti rivolgono un sorriso compassionevole e si fanno all’improvviso impacciati perché, chi c’è passato sa cosa vuol dire e parlare gli provocherebbe dolore, chi invece non c’è passato non sa cosa dire e teme di sbagliare. I più fortunati, per i quali le terapie fanno effetto più rapidamente, vengono indirizzati verso il secondo piano, quello dei “purificati”. Lì si impara ad identificare il problema mettendolo in relazione con sé stessi e ad eliminare gli ultimi complessi. Se la tua cartellina riporta questo codice, tutti ti guardano con speranza perché ci stai riuscendo, stai guarendo dai demoni che ti squassano l’anima.
Infine, se sei davvero bravo, raggiungi il terzo e ultimo piano, quello dei “salvati”. Qui devi imparare a relazionarti con gli altri, a tornare a sentirti parte del mondo. In questo caso non c’è più alcun codice ma solo nomi e vuol dire che ce l’hai fatta.
La disposizione dei tre reparti in questo modo, è una sorta di monito a fare sempre di più, a spingerti oltre, ad usare al massimo le tue capacità anelando verso l’ultimo piano dove tutti dicono che si trova il Paradiso. I bambini fremono per arrivare lassù. Un medico ha detto loro che ci troveranno tanti giocattoli, una torta di felicità e le caramelle che sanno di allegria. L’infermiera invece ha spifferato loro un altro piccolo segreto: in primavera ti portano nelle serre per allevare fiorellini colorati, in estate si organizzano corsi in piscina, in autunno si imparano delle belle filastrocche, in inverno si ritagliano le decorazioni da appendere al grande albero. Il clown(2), invece, ha promesso loro che insieme realizzeranno delle recite dove ognuno potrà essere quello che più desidera. Oppure, potranno fare dei disegni da appendere in camera o sul frigorifero, fare delle collane con la pasta e adottare un cagnolino.
Annika bussa delicatamente alla porta dello studio medico e una voce rassicurante la invita ad entrare. Apre la porta e fa per avvicinarsi alla scrivania della dottoressa Margot ma un contraccolpo la fa bloccare. Pazientemente guarda verso Gabriel che è restio ad entrare e scuote la testa senza mai alzare lo sguardo dal pavimento grigio. Scambiandosi un’occhiata con la dottoressa, che con un cenno del capo la invita a proseguire e a fare come meglio crede, si inginocchia davanti al fratello e con delicatezza lo stringe tra le braccia.
Lui si aggrappa al suo maglione e nasconde la testa nell’incavo del suo collo.
-Non  voglio Anni, non mi lasciare solo!- dice con voce flebile.
-Non sto andando da nessuna parte, Gabriel. Ti aspetto qui davanti e poi andiamo a prenderci un bel gelato.- dice Annika per rassicurarlo e costringerlo a guardarla negli occhi.
-Con la fragola?- ribatte quello più calmo asciugandosi le lacrime con la manica della giacca.
-E anche con il cioccolato. Adesso, da bravo, fai quello che ti dice la dottoressa Margot.- sussurra Annika mettendolo sdraiato sul divano dello studio dove la dottoressa attende con pazienza e la rassicura mentre esce dalla stanza.
Ha quasi messo la mano sulla maniglia quando la voce di Gabriel, questa volta più sicura e chiara, la fa bloccare.
-Ti voglio bene Anni.- grida sotto lo sguardo fiducioso del medico facendole venire le lacrime agli occhi.
-Ti voglio tanto bene, Gab.- ribatte sincera facendo sorridere il fratello che subito si rilassa lasciandosi andare contro il tessuto in pelle del divano.
Chiude la porta della stanza per permettere alla dottoressa di svolgere il suo lavoro e fa giusto in tempo a sentirla dire a Gabriel di parlarle di lui e della sua famiglia. E il bambino inizia a parlare con voce insicura ma poi le sue parole diventano solo sussurri spezzati che dall’altra parte del muro lei non può cogliere. Si rannicchia su un divanetto posto al limitare del corridoio. Da lì può vedere il cortile e seguire il volo di due aquiloni che sono rimasti intrecciati scatenando le risate dei bambini del terzo piano. Si lascia sfuggire anche lei un sorriso e poi distoglie lo sguardo dalla finestra. Saluta distratta gli infermieri e le varie persone che vagano per i corridoi indaffarate. Le saluta svogliatamente non perché è scocciata o non abbia la voglia di farlo, ma perché ha la testa che le scoppia e il pensiero costantemente da un’altra parte.
-Tesoro.- sussulta al suono di una voce familiare e, senza che abbia nemmeno il tempo per accorgersene, si ritrova stretta in un abbraccio caloroso di Becky, un’infermiera quarantenne che, da qualche mese a quella parte, sembra averla presa in simpatia.
-Come stai?- chiede quella con fare materno e Annika non ha bisogno di fingere o innalzare un nuovo muro perché Becky già ha capito tutto e tenta di confortarla con una carezza.
-Prima o poi anche l’inferno è destinato a finire. Ricordatelo.- sussurra lasciandole un bacio caldo sulla fronte prima di raggiungere il medico e riprendere le visite. Annika la segue con lo sguardo mentre si allontana con quel suo passo pesante e buffo che la contraddistingue.
I minuti passano e lei si porta la gambe al petto raggomitolandosi come un gatto. Assiste allo sfogo di una bambina che, terrorizzata, ha iniziato a strillare e a dimenarsi tra le braccia della madre mentre i demoni si impossessavano della sua mente e dei suoi ricordi. Vede un papà correre in bagno tenendo tra le braccia il suo bambino che si è urinato nei pantaloni. Ha giustamente distolto lo sguardo quando una mamma è uscita in lacrime dallo studio del medico rifugiandosi tra le braccia del marito perché non è riuscita a reggere tutto lo stress della situazione.
Un chiacchierio sommesso la distrae dallo stato di trance in cui è caduta e voltandosi verso l’ingresso di quell’ala della clinica vede avanzare verso di lei un gruppo di volontari e infermieri. Ne saluta alcuni e si attarda con lo sguardo soprattutto su una figura. Abbozza un sorriso timido, impacciato, insicuro e con le dita tremanti giocherella con i fili del maglione.
Harry ricambia il suo sorriso ma sobbalza quando un suo collega lo colpisce sul braccio perché non gli ha dato una risposta. Lo guarda strizzare gli occhi e boccheggiare perché, è anche pronta a scommetterlo, non ha seguito il discorso.
Sbuffa e lo guarda divertita, quasi con superiorità, mentre si passa una mano tra i capelli e tenta di darsi un contegno. Dalla prima volta che Annika è entrata nella clinica, Harry ha sempre dato dimostrazione di essere un tipo distratto, maldestro e scoordinato. Se non inciampa sui suoi stessi passi, fa cadere tutte le cose dal carrello delle pulizie; se non va a sbattere contro qualcuno, si rovescia tutto il tè sul camice. Però quando lavora non gli si può dire nulla, è come se si trasformasse in un’altra persona. Se lo osservi mentre discute con i colleghi su una questione importante o mentre si prende cura dei pazienti, puoi benissimo notare l’espressione seria che aleggia sul suo volto e i suoi modi di fare più sicuri e coordinati. In molti lo ritengono essere uno dei medici migliori sebbene sia solo un ventiseienne con la laurea in mano da un anno. Harry è un concentrato di sicurezza e fiducia; con quel suo modo di fare un po’ ingenuo e una praticità in ambito medico invidiabile, puoi star sicura di essere in buone mani. Annika ha sentito il primario parlare orgoglioso al suo arrivo “un ragazzo nato per questo lavoro. Un tipo a cui questa professione scorre da sempre nel sangue.”.
E lei ci ha preso gusto a punzecchiarlo con le sue occhiate e i sorrisi enigmatici perché è divertente starlo a guardare mentre si imbarazza o è confuso. Ma forse a lei piace guardarlo e basta perché, in un certo senso, è rilassante e appagante.
In quei mesi in cui, di sottecchi, ha seguito ogni sua mossa, ha imparato che Harry ha una passione sfrenata per le caramelle alla menta, che il verde e il grigio sono i colori che indossa meglio, che quando è sovrappensiero si tortura il labbro inferiore con il pollice e l’indice. Ha anche capito che sa parlare fluentemente il tedesco e infatti molte volte è lui ha dover far da tramite tra alcuni pazienti e i suoi colleghi. Sa che porta sempre due collane al collo e che tifa il Manchester United, che è capace di bere tre bicchieri di tè in meno di un’ora e che l’infermiera bionda del secondo piano stravede per lui. Ha imparato a riconoscere ogni sfumatura del suo volto: il modo in cui strizza gli occhi quando non gli vengono le parole, il colorito  livido che assumono le sue guance quando deve dare una cattiva notizia, l’inarcarsi del sopracciglio sinistro quando non riesce ad inquadrare bene la situazione. Harry è un libro aperto, con quel suo sorriso genuino e la camminata strascicata, le labbra costantemente screpolate e la fossetta che si crea sulla sua guancia quando sorride con sincerità. Annika ultimamente ha scoperto anche che è un buon ascoltatore e che quando ti abbraccia tende sempre ad accarezzarti con moti circolari la schiena. Sa che se nascondi il volto nell’incavo del suo collo rimani inebriata dal suo odore che non sa di nulla in particolare ma semplicemente di lui, di casa e di protezione. Sa che i suoi occhi visti da vicino sono verdi ed hanno delle sfumature grigiastre, che la sua voce a tratti roca le fa venire la pelle d’oca, che tra le sue braccia trovi un rifugio sicuro. Sa che Harry è in grado di starsene in silenzio per tutto il tempo per lasciarti sfogare e che non si arrabbia se stropicci la sua camicia o gliela rovini con il mascara colato a causa delle lacrime. E lei apprezza questo lato del carattere di Harry, apprezza il fatto che lui è realmente così buono e non deve fingere per sembrarlo.
Un unico grido sconvolge la momentanea calma calata nel corridoio e lei sobbalza riconoscendo la voce straziata dal dolore e dalla paura di Gabriel. Il cuore le batte forte e la testa sembra volerle scoppiare. Si porta le mani alle orecchie premendo forte per non sentire perché tutto quello le fa male e le lacrime rompono gli argini.
I singhiozzi le squassano il petto e lei piange disperata crollando sotto il peso di tutta quella situazione perché le sue spalle sono troppo fragili per poterlo sorreggere da sole.
Poi due braccia possenti la tirano a sé facendola cozzare contro un petto e la stringono in una stretta sicura, una stretta che sa di casa.
 
 
(1)La clinica “Land of Angels” e la sua struttura interna sono interamente frutto della mia fantasia. Nel caso in cui esistesse un’organizzazione avente questo nome, non era mia intenzione offendere o plagiare nessuno.
(2)Con Clown intendevo identificare i volontari. Non so se mi spiego bene ma, per essere sintetici, i clown sono delle persone che, come volontari, si mettono al servizio di questa clinica e cercano di collaborare per far tornare il sorriso sul volto di questi bambini e aiutano le loro famiglie ad affrontare il dramma.
 
 

SPAZIO AUTRICE
Anche se in ritardo: Buon Natale gente! ^_^
Come avete passato le feste? Vi siete ritrovati in famiglia o avete organizzato dei viaggi?
Comunque tornando alla storia, ecco a voi il primo capitolo. 
Come avete avuto modo di vedere, è stato introdotto il personaggio maschile e c'è una panoramica molto ampia riguardo il fratellino di Annika, Gabriel. 
Forse non sono ancora chiare tutte le cose e il problema principale che sconvolge la vita della protagonista, qualcuno potrebbe esserci arrivato ma, in ogni caso, grazie al prossimo capitolo vi farete un'idea più chiara di tutta la questione.
Premetto già da ora che è un tema molto delicato per il quale io vorrei lottare in tutta la mia vita e che cercherò di trattare in modo adeguato, documentandomi il più possibile.
Detto questo, fatemi sapere cosa ne pensate.
Vi lascio il mio contatto facebook dove potete contattarmi per qualunque cosa (Parlare della storia, ulteriori chiarimenti ma anche per delle semplici chiacchiere sulle cose di tutti i giorni!): 
Atarassia Efp.
A presto!
Con affetto,
Atarassia_

 
   
 
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