Note dell’autrice: ho inserito l’avvertimento “non per
stomaci delicati” non perché vi siano presenti scene particolarmente cruente o
cosa, ma perché nei duelli trattati nel secondo capitolo viene descritto il
modo di uccisione di due personaggi. Diciamo che ho messo le mani avanti!
Alcuni personaggi, come Kiba, Shino, Choji, Sakura,
Shikamaru e Temari giocano un ruolo secondario. Altri vengono solo citati, come
nel caso di Sasuke, Kakashi, Orochimaru e Kankuro nell’epilogo.
1.Le conseguenze della Rivoluzione.
Nel salottino degli appartamenti familiari, Lady Ino si
stava acconciando a dovere per ricevere il suo amante, il parlamentare
monarchico Lord Neji.
Aveva inspirato a fondo il suo stesso profumo,
assicurandosi che non fosse troppo forte: quell’uomo era tanto bello quanto
insofferente, e si indisponeva per ogni minima imprecisione.
Ma lei…Lei era assolutamente perfetta, una bambola
di porcellana tanto delicata quanto aggressiva.
Con uno sguardo poteva avere ai suoi piedi qualunque uomo,
scoprendo un centimetro delle caviglie nel sollevare l’abito sapeva far
sussultare anche il più morigerato dei puritani e, quanto peggio, era
assolutamente consapevole del fascino dato dalla sua deliziosa aria innocente.
Dopo poco, lui era entrato nella stanza e, senza nemmeno
salutarla, si era adagiato con fare severo sul divanetto di broccato,
proveniente dal ducato di Milano, per poi alzare il braccio sinistro,
schioccando le dita per richiamare l’attenzione della fanciulla, che era
accorsa al suo cospetto inchinandosi profondamente.
“Milord?” aveva chiesto con tono accomodante.
“Lady Ino, sareste così cortese da porgermi un bicchiere di
vino ed aiutarmi a togliere gli stivali?” aveva detto lui, seccato dalle
formalità del suo rango: avrebbe di gran lunga preferito darle degli ordini
bruscamente come con una serva, ma il fatto che Lady Ino fosse tanto ricca,
bella e benvoluta dall’alta società gli impediva di contrariare la natura
permalosa e capricciosa della giovane donna.
Era tornata dopo qualche minuto con un bicchiere di Rosso
di Borgogna su un vassoio d’argento, che lui si era limitato ad agguantare, e
poi si era chinata ai suoi piedi per poter tirare via gli stivali sporchi di
polvere e sangue, macchiandosi così le mani candide.
Le sue guance si erano improvvisamente tinte di rosso per
l’impeto.
Neji si era allungato verso di lei dopo aver posato il
vassoio con il bicchiere vuoto sul tappeto provenzale, le aveva sollevato il
viso afferrandole il mento e l’aveva cominciata ad osservare, compiaciuto del
suo fascino stupefacente.
Ino lo scrutava nel modo in cui sapeva che lui amava essere
guardato: con occhi colmi di ammirazione, riserbo, naturale riverenza.
“Avete avuto una buona giornata, Milord?” Si era
accoccolata in terra, incrociando le braccia sulle gambe di lui, in posizione
d’ascolto.
“Affatto. Sembra che Cromwell abbia intenzione di epurare
ulteriormente il Parlamento. Che ne sarà di noi, per l’amor di Dio? Quell’uomo
è un folle, un invasato! Mira alla totale destabilizzazione della nobiltà,
alcuni mormorano addirittura dell’istituzione di una Repubblica! Dove andremo a
finire, mi chiedo.”
Infervorato dalla rabbia per i rivoltosi vincitori, si era
lasciato sfuggire un pugno nel vuoto, scagliato con un vigore tale da far
vibrare l’aria. Ino aveva fatto uno scatto inconsulto, spaventata da quel
gesto, portandosi una mano alla bocca per nascondere lo scandalo: ciò voleva
dire che sarebbe dovuta scappare al più presto, altrimenti la sua ricchezza
sarebbe andata perduta, saccheggiata da quei luridi borghesi, dai mercanti,
addirittura dalla plebaglia volgare.
Ma se per lei il pericolo consisteva semplicemente nella
perdita dei suoi beni, per Neji ciò significava l’arresto e, probabilmente, la
morte.
Si era dunque tornata ad accoccolare sulle sue ginocchia e
lui aveva preso ad accarezzarle i lunghi capelli biondo grano, colto da un
momento di dolcezza.
“Milady?” aveva sussurrato.
“Sì?”
“Vorreste degnarmi delle vostre attenzioni impareggiabili?
Ho bisogno di voi…”
A volte non la sopportava, doveva ammetterlo.
Ma altrettante volta era sopraffatto dalla tenerezza di
Ino, e non sapeva resistere a quel desiderio di prenderla e fare di lei la sua
sovrana, l’unica cui fosse concesso dominare la sua persona.
E si sentiva triste e preoccupato quella sera, nonché
terribilmente addolorato: sapeva che lo avrebbero cercato e che, prima o poi lo
avrebbero trovato.
Non gli sarebbe rimasto molto tempo, e quello che gli
restava avrebbe voluto usarlo nel migliore dei modi: stare con lei era uno di
quelli.
La dama, intuendone lo stato d’animo, lo aveva baciato
amorevolmente, sulle labbra, e sempre più incalzante aveva continuato ad
avanzare, maliziosa, lungo la mascella, sul mento…ed oltre.
***
Ore 23:34, Taverna “Ye Black
Knight”
“Avanti, compagni! Brindiamo alla Rivoluzione! A noi, al
grande Oliver Cromwell e a Dio!”aveva urlato un giovane baldanzoso ed
esuberante a gran voce, sollevando una pinta di birra scura, in piedi al centro
di una tavolata nella bettola “Ye Black Knight”, seguito da un’eco di urla ed
esclamazioni di approvazione.
Quando era tornato a sedersi, una ragazza dai grandi occhi
verdi lo aveva abbracciato, affettuosa, ed aveva reclinato la testa sulla sua
spalla.
Lui la aveva guardata, perdutamente innamorato, e le aveva
mormorato in un orecchio: “E a te.”
Lei aveva sorriso, arrossendo leggermente e intrecciando le
sue dita con quelle del ragazzo.
“Hey, Kiba! Allungaci un po’ di brodo, abbiamo fame! Qua si
è appena finito di combattere, se te lo fossi scordato.” Aveva gridato quello
ad un altro rivoltoso dai capelli castani, l’aspetto selvatico ed il fisico
muscoloso che rimandava facilmente alle sue origini campagnole.
“Toh, Naruto, vedi di rifocillarti, che domani si torna a
lottare!” Il moro gli aveva allungato due scodelle di brodo di patate, cavoli e
verza con intinte dentro delle croste
di pane secco.
L’altro si era allungato, spostandosi prima delle ciocche
di capelli biondi dalla fronte madida di sudore, ed le aveva afferrate.
Poi aveva porto quella più abbondante alla ragazza seduta
accanto a lui.
“Buon appetito, Sakura.”
“Buon appetito a te, amore.” Aveva replicato lei,
sorridendo allegra.
Dall’altro capo del tavolo, stavano seduti Kiba con degli
altri uomini: Shikamaru, valoroso condottiero, seppure la sua indole pigra e
riflessiva lo rendesse molto più valido come stratega che come vero e proprio
soldato; a seguire vi era Shino, un silenzioso naturalista che si era aggregato
al fronte dei dissidenti come unità di pronto soccorso; più in fondo sedeva,
lontano da tutti, Gaara, rampollo di una famiglia ricca e rinomata in tutta
Londra, dalla quale era stato bandito e diseredato per via della sue scorrerie
personali intrattenute con diversi nobili d’alto rango che ci avevano rimesso
la vita. Quel tipo era un eccezionale maestro di spada: prima che gli avversari
se ne fossero potuti rendere conto, lui gli aveva già reciso la giugulare.
Tutti avevano mangiato con voracità esemplare e dopo erano
usciti dalla locanda, barcollanti in uno stato di leggera e piacevole ebbrezza,
si erano infine separati per andare a casa.
Shikamaru aveva imboccato una stradina secondaria, dalla
quale si levava un forte lezzo di birra rancida, carogna e sudore.
Con una spallata svogliata aveva aperto il portone di legno
consumato dai tarli e umido, aveva salito le scale ed era entrato per l’uscio
di casa.
Sua madre si era alzata dallo sgabello presso il focolare e
gli era corsa incontro, abbracciandolo forte, per poi schiaffeggiarlo
sonoramente.
“Ahia…” aveva mugolato il ragazzo, massaggiandosi la
guancia con espressione seccata.
“Questo è per avermi fatta preoccupare! E questo è perché
sono molto fiera di quello che stai facendo.” Detto ciò, gli aveva schioccato
un bacio sul viso.
Suo padre era ancora in giro con gli altri combattenti,
probabilmente in attesa di ordini dal quartier generale dei Roundheads e
Shikamaru, aspettando il suo ritorno, si era sdraiato sul suo letto duro,
stanco, ed aveva controllato quella ferita contratta nella mattinata: fortunatamente
era solo una cosa superficiale, all’altezza della quinta costola.
Aveva strappato un lembo di stoffa dalla camicia e ce
l’aveva messa come tampone, poi si era addormentato come un sasso.
***
Il giorno dopo, centro di Londra
Gaara aveva peregrinato, solitario, tutta la notte.
Aveva le occhiaie scavate e scure, la vista gli si
appannava continuamente.
Non poteva dormire. I suoi delitti, i suoi fantasmi lo
avrebbero seguito anche lì.
Lo avrebbero ossessionato senza alcuna pietà, violenti ed
imprevedibili.
Finché avesse potuto, si sarebbe evitato quella sofferenza.
Una fitta improvvisa lo aveva riportato alla realtà: quel
fendente che gli aveva squarciato la pelle lattea e delicata, lungo il fianco
armonico, il giorno prima…Il dolore gli si ripresentava nei momenti più
disparati, ma come fare? Non poteva di certo spogliarsi nel mezzo della strada,
né trovare rifugio in alcun luogo.
Nonostante si fosse unito al fronte della media borghesia,
egli rimaneva pur sempre un nobile, e la sua educazione gli imponeva la
sopportazione e l’impassibilità.
Non doveva in alcun modo mostrare la ferita a nessuno,
quella gente doveva solo sapere il suo nome, niente di più.
Il resto era affar suo.
Un improvviso brulicare lungo i margini della lesione però
lo aveva costretto ad accasciarsi a terra, lungo la strada: aveva la netta idea
che si stesse infettando, quel bruciore doveva essere sicuramente il principio
di suppurazione.
Si era a forza rialzato, andando alla ricerca di un
ospitale dove farsi medicare in incognito, sotto falso nome.
Nonostante la sua volontà di ferro, dopo pochi metri il suo
organismo aveva smesso di sorreggerlo, ed era crollato, aggrappandosi ad una
carrozza di passaggio.
***
Hinata era la giovane, adorabile moglie del pastore
anglicano Hidan.
Quel mattino, quando erano usciti in carrozza per sbrigare
delle faccende, il suo umore era a terra.
Era passata dalle mani di un rigido padre-padrone ad un
marito molto più grande di lei, infinitamente devoto ed osservante, seppure
nascondesse una natura subdola e perversa.
Pensava che, con il tempo, avrebbe imparato ad amarlo.
Ma non era stato così.
C’era, tra i due, una sterile relazione in cui lei ubbidiva
docilmente ai desideri del consorte, e in cui lui, invece, desiderava quella
ragazza in maniera maniacale.
Con il suo corpo fantastico, formoso, provocante, quasi
sfacciato, e quel visetto da madonnina, quell’espressione virginale, casta,
schiva lo aveva soggiogato a sua insaputa.
Ad un tratto uno strattone aveva bloccato l’andare della
carrozza.
Hinata si era affacciata al finestrino, spaventata, ed
aveva scorto un giovane dai capelli rossi, sporco di polvere, dalle vesti lise,
appeso allo sportello della vettura.
“Fermatevi, c’è un giovane!” aveva urlato, impressionata e,
suo malgrado, preoccupata.
Hidan la aveva scrutata intensamente con i suoi occhi
purpurei, poi aveva rivolto lo sguardo verso il cocchiere, che era sceso per
soccorrere il malcapitato .
E di nuovo lo sguardo era tornato verso la moglie, che
aveva assunto un’irresistibile aria supplichevole.
Comprendendo al volo il desiderio di Hinata, si era rivolto
verso l’uomo e gli aveva ordinato, con fare autoritario: “Accomodatelo qui e
portatemi avanti al mio appuntamento, quindi accompagnate la signora a casa.
Dopodiché andrete a chiamare un medico e lo condurrete nella mia dimora.”
Il ragazzo era dunque stato adagiato a fianco della donna,
che lo aveva cominciato a scrutare con
una sensazione mista tra ribrezzo e pietà di quell’anima.
Aveva la pelle abrasa dalla caduta, sporca, seppure fosse
evidentemente curata.
Strano.
Curiosa combinazione: un dissidente tanto preciso e con
alcuni elementi propri della nobiltà di spada. Primo tra tutti il moschetto
legato in vita con una fusciacca rossa.
Una volta che il reverendo fu sceso, Hinata attese
pazientemente, in religioso silenzio, di arrivare a casa per poter offrire
soccorso a quel singolare elemento che giaceva accanto a lei, nella speranza
che non fosse troppo tardi.
***
Gaara si risvegliò pieno di dolori soffusi.
Non riconosceva l’ambiente in cui si trovava.
Era disteso in un letto a baldacchino, con tende in pesante
damasco bianco ed azzurro, e arazzi dallo spiccato tratto delle fiandre erano
affissi alle mura della piccola stanza.
Aveva spalancato gli occhi, perdendosi nella luce
abbacinante, poi aveva notato una figura seduta accanto a lui: aveva tutto
l’aspetto di una nobildonna, eterea ed evanescente, con una lunga chioma
corvina e degli impressionanti occhi perlacei.
“Ben svegliato. Come vi sentite?” aveva domandato cortesemente,
a bassa voce, la donna.
“Indolenzito.” Era crollato il silenzio fra i due.
“Vi ringrazio per l’ospitalità. A chi devo tanta
gentilezza?” aveva detto questi.
“Al misericordioso pastore Hidan, e alla compassione della
sua consorte, Hinata Hyuuga.”
Gaara aveva allungato la mano per stringere quella piccola
e gelida di lei.
“Saprò sdebitarmi, siete stata molto buona. Mi presento:
sono Gaara, il maestro di spada.”
Hinata era rimasta a bocca aperta, arrossendo violentemente
a quel tocco improvviso ed intenso.
Non riusciva a credere di trovarsi davanti a quel
famoso Gaara, la pietra dello scandalo della famiglia Sabaku, del quale si era
parlato tanto a lungo, e che quello stesso personaggio le si trovasse davanti,
tenendole la mano con riconoscenza.
“Non temete: siete al sicuro. Mi onorerò di ospitarvi per
tutto il tempo necessario alla vostra guarigione.” Gli aveva detto,
tranquillizzandolo.
Infine, quegli si era di nuovo addormentato.