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Autore: schmiddt    16/01/2014    2 recensioni
Rose Weasley riemerse dal groviglio di mani e braccia e gli occhi azzurri si illuminarono della familiare scintilla furba. «Sogno o son desta?» disse con una pomposità tale da fare invidia a zio Percy. «Sbaglio o il signor Potter ha appena accettato di essere mio schiavo?»
«Vacci piano, coccodè» la mise in guardia il suddetto signor Potter. «Accetto di collaborare, ma a patto che non debba fare niente di pericoloso, che non corra il rischio di finire in punizione ed ultima cosa ma non meno importante…» la tenne sulle spine per qualche secondo. «…se tenterai un’altra volta di sabotare le mie pozioni sappi che vorrò la tua testa impalata su una picca»
«D’accordo, schiavo»
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Altro personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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LA PROGENIE DEL MALE

 

 

Capitolo III

 

 

In primis vorrei ringraziare _Back_ e Bocca Dorata per aver recensito la storia. Grazie mille, ragazze!

Ringrazio anche Ginny W, Marty Evans, Potterina1994, roby90, yle, Flaqui e JarOfHearts per aver inserito la fanfiction tra le preferite seguite.

Vi lascio alla lettura!

 

 

 

Erano le sei del mattino e la Sala Grande era totalmente deserta, eccezione fatta per gli Elfi domestici che si affaccendavano attorno ai lunghi tavoli delle Case e per Albus Potter. Quest’ultimo sedeva stranamente al tavolo di Grifondoro sfoggiando una smorfia corrucciata, il piede che batteva ritmico sul pavimento preannunciava l’imminente perdita di pazienza. Aveva mandato un Gufo a Rose, alle cinque e mezzo, per dirle di incontrarsi clandestinamente in Sala Grande, un’ora prima dell’inizio delle colazione. E lei non solo non si era degnata di rispondergli, ma non si era neanche presentata all’appuntamento. Inammissibile. Si passò una mano tra i capelli scuri, tanto scarmigliati e ribelli che un gufo avrebbe potuto scambiare la sua testa per un nido e sospirò spossato. Gli occhi verdi e allungati erano in attesa, fissi sul portone d’ingresso della Sala Grande

Scostò la manica dell’uniforme e fece emergere il grosso orologio d’oro che un tempo era appartenuto a suo padre. Segnava le sei e sette, constatò, intuendo che i minuti di ritardo accumulati da Rose sarebbero aumentati. Il movimento repentino del braccio aveva spaventato i pochi elfi rimasti a rassettare, che lo occhieggiarono atterriti. Albus era consapevole di essere considerato da loro alla stregua di un Mangiamorte. Tutti gli elfi domestici cercavano di mantenersi alla larga da lui per evitare che li liberasse con l’inganno, donando loro quegli orrendi calzini che era solito portarsi in giro. L’anno prima aveva causato un pianto isterico di gruppo tra gli elfi che era riuscito a liberare. E anche tra quelli con cui non aveva avuto a che fare. La voce che un maniaco seriale si fosse messo a distribuire capi di vestiario si era diffusa in fretta nelle cucine del castello.

La McGrannit non era stata molto contenta e aveva consigliato cordialmente ad Albus di smettere. Pena: il sonno eterno.

Proprio quando si decise a rassegnarsi e ad abbandonare l’idea del colloquio clandestino, una Rose Weasley assonnata sbucò dalla porta della Sala Grande.

«Alla buon ora!» esclamò a gran voce non appena la vide arrivare, traballante e con la cucitura del cuscino stampata su una guancia. «Avevo quasi perso le speranze» aveva aggiunto con voce più bassa, conscio di aver fatto perdere almeno dieci anni di vita alle tremanti creature presenti in Sala. Gli elfi si diedero comunque alla fuga, dimentichi della magia elfica che avrebbe permesso loro di smaterializzarsi ovunque.

«Vedo che fai voler bene come al solito» commentò Rose riferendosi al fuggifuggi generale. Si trascinò con malagrazia sulla panca su cui era seduto il cugino, per poi gettarsi sul tavolo come un sacco di patate ed intrecciare le braccia sotto la testa. Albus credette per un attimo che avesse cominciato a dormire.

«Che dia’olo ‘uoi a quest’ora del mattino?» aveva bofonchiato invece con la voce attutita dalla stoffa del maglione. Il ragazzo si passò una mano tra i capelli neri, ribelli tanto quanto quelli del padre, prendendo  tempo prima di rispondere. «Ho intenzione di accettare la tua proposta, Weasley» sbuffò seccato non appena racimolò il coraggio necessario per sputar fuori il suo assenso. «Non che avessi altra scelta».

Rose Weasley riemerse dal groviglio di mani e braccia e gli occhi azzurri si illuminarono della familiare scintilla furba. «Sogno o son desta?» disse con una pomposità tale da fare invidia a zio Percy. «Sbaglio o il signor Potter ha appena accettato di essere mio schiavo?»

«Vacci piano, coccodè» la mise in guardia il suddetto signor Potter. «Accetto di collaborare, ma a patto che non debba fare niente di pericoloso, che non corra il rischio di finire in punizione ed ultima cosa ma non meno importante…» la tenne sulle spine per qualche secondo. «…se tenterai un’altra volta di sabotare le mie pozioni sappi che vorrò la tua testa impalata su una picca»

«D’accordo, schiavo»

 

 

 

 

 

 

 

 

Le settimane passarono in fretta, ma Rose ed Albus non cavarono un ragno dal buco. I primi giorni andarono sprecati in futili battibecchi. Litigarono su tutto ciò su cui era possibile litigare: su chi doveva essere il capo della missione, su chi fosse il nipote preferito di nonna Molly, su quale fosse la squadra di Quidditch migliore (Rose tifava per i Cannoni di Chudley e Albus per i Tornados). Nulla che avesse a che fare con Frank, il suo dubbio legame di sangue con Neville Paciock o il suo passato torbido. Esausti e spossati dalle furibonde liti, passarono gradualmente a collaborare in maniera quasi civile. Concordarono sul fatto che bisognasse arruolare qualche segugio da mandare in ricognizione di tanto in tanto e la scelta ricadde su Lily e Hugo. Se la prima non si sarebbe mai posta il problema di ficcanasare nella vita altrui, in quanto quello costituiva già uno dei suoi hobby, il secondo fu più difficile da convincere. In qualità di suo superiore all’interno del C.R.E.P.A Albus lo aveva persuaso a sostenerli, dietro la malcelata minaccia di un’imminente espulsione dall’associazione. E fu per quel motivo che un martedì mattina Hugo e Lily si ritrovarono a sgattaiolare fuori dalla Sala Comune di Grifondoro, diretti verso quello che un tempo era stato l’ufficio di mastro Gazza. Rannicchiati sotto il mantello dell’invisibilità di James Potter, strisciarono silenziosamente lungo le pareti del secondo piano, stando attenti a non svegliare i numerosi personaggi storici dipinti sulle pareti della scuola. I lunghi capelli rossi di Lily erano raccolti in una coda sfatta che rispecchiava l’aria trasandata del pigiama, Hugo era sicuro di averlo già visto indosso a suo cugino James ma non poteva dirlo con certezza. Gli occhi nocciola, grandi e luminosi, vagliavano senza sosta la pergamena che stringeva tra le dita. Alle spalle del cugino, lasciava che fosse lui a guidarla, ma Hugo non aveva fatto un gran lavoro fino ad allora. Nonostante le indicazioni precise della ragazza aveva imboccato il corridoio sbagliato per ben due volte. Il nervosismo giocava brutti scherzi all’anima inquieta di Hugo Weasley. La fronte imperlata di sudore denotava il suo stato di tensione, così come i capelli appiccicati alla fronte e il continuo tremolio delle mani. Malgrado indossasse una tuta dall’aspetto pesante, quella non sembrava scaldarlo granché. Tremava come una foglia.

«Non capisco perché non possano farlo loro» si lamentò Hugo a voce bassissima, mentre evitava per un pelo di sbattere contro un’armatura. «E poi Frank è un bravo ragazzo» lanciò un’occhiata alle sue spalle, dove Lily procedeva con il naso ficcato nella Mappa del Malandrino. Si sarebbe aspettato che lei lo contraddicesse, d’altronde si era dimostrata entusiasta di fronte all’idea di distruggere la reputazione di Frank Paciock. Tuttavia la risposta di Lily lo lasciò spaesato.

«Proprio un ragazzo onesto e simpatico» lo liquidò seguendo con lo sguardo i due puntini  che sulla pergamena recavano il nome di Lily Potter e Hugo Weasley. «Non c’è traccia della McGrannit, gira a destra» aggiunse in fretta per cambiare discorso.

«Lily?» Hugo rallentò il passo, sollevando un sopracciglio nel palesare tutta la sua curiosità. La lunga chioma riccia riluceva di riflessi rossicci sotto il chiarore delle torce, tanto da far assomigliare la sua testa ad un fungo in fiamme. «Perché eri così contenta di indagare sul passato di Frank?» Una linea di disappunto percepibile dal tono della voce.

«Da quando ti interessa quello che faccio?» Lily ripiegò la mappa con stizza e la ripose nella tasca del pigiama, gli occhi, adesso ostili, puntati sulla nuca del cugino.

«Neanche tu ti sei tirato indietro, o sbaglio?» La frecciatina trafisse il cuore e la coscienza di Hugo, il cui collo iniziò ad imporporarsi. Lily assunse un’espressione soddisfatta che sembrava urlare “Ben ti sta”.

«Sono stato minacciato!» replicò il ragazzo sdegnato. Il tono acuto che accompagnò la sua giustificazione rischiò di svegliare il dipinto dell’ex Capo del Consiglio dei maghi, Barberus Bragge. Lily gli arpionò svelta le spalle per poi ficcargli un pugno in bocca.

«Shht» lo ammonì. E con la mano libera gli indicò lo spiraglio di luce che usciva da una delle stanze in fondo al corridoio. «Siamo arrivati» bisbigliò e mise fine a quell’inutile conversazione.

 

 

 

Il locale non sembrava aver perso lo squallore di un tempo, malgrado Gazza avesse tirato le cuoia già da un decennio e almeno tre inservienti si fossero susseguiti dopo di lui. Dal basso soffitto pendeva una lampada a petrolio che illuminava almeno in parte il lugubre antro e uno strano odore di frittura impregnava l’ambiente. Lungo le pareti prive di finestre si stagliavano gli archivi stracolmi di note e rapporti sulle punizioni, corporali e non, che erano state inflitte agli studenti dai tempi della fondazione della scuola. Appesa dietro la scrivania sporca e gremita di cartacce vi era l’amatissima collezione di manette appartenuta a Gazza. All’occhio allenato di Hugo quella stranezza non sfuggì. «Che diavolo è quella roba?» chiese interessato, puntando il dito contro le catene arrugginite. Lily lo ignorò deliberatamente.

«Dobbiamo sbrigarci» dichiarò con aria seria e professionale. «Occupati degli armadi a sinistra, io inizio da destra». E così fecero. Si diedero da fare per più di due ore, dato che dopo Gazza nessuno era stato così scrupoloso da rispettare l’ordine alfabetico dei documenti, ma alla fine riuscirono a trovare ciò che stavano cercando.

«Lily! Lily!» Hugo sventolò davanti al volto una cartella poco spessa su cui spiccava la parola “Paciock”. «Credo di averlo trovato» I granelli di polvere impigliati tra i suoi capelli riccioluti fecero quasi sorridere Lily che, dall’altro capo di quel tugurio, non sembrava essere messa meglio. Un sottile strato di terra le copriva il labbro superiore dandole l’aspetto di una fanciulla baffuta. Si spostò velocemente attraverso la stanza fino a raggiungerlo fiondandosi su quel pezzo di carta come se ne valesse della sua vita.

«Fa vedere!» strappò la cartella dalle mani del cugino e l’aprì sotto il suo sguardo attonito.

Nulla. Completamente vuota. Frank era uno stinco di santo e Rose si sarebbe dovuta rassegnare all’evidenza.

Lily sospirò sconfortata prima di gettare il fascicolo nel cassetto, insieme agli altri, ma in quel movimento un foglio piccolo quanto un post-it scivolò sul pavimento.

Il tempo doveva averlo consumato tanto che non era possibile leggerlo per intero, pochissime parole erano decifrabili. Tra queste: “Jean Granger”, “Malfoy” e “aula di Pozioni”.

I due cugini lo esaminarono scioccati.

Ciò che aveva da sempre spronato Hugo a dare il meglio di sé era la certezza che sua madre fosse perfetta, composta e ligia alle regole. Mai l’Hermione Granger che conosceva lui avrebbe potuto subire un richiamo.

E tutte le sue convinzioni crollarono come un castello di carte.

 

 

 

 

 

 

 

Quello stesso martedì mattina Scorpius Malfoy si svegliò nel suo letto con una nuova consapevolezza: Albus Potter necessitava di un suo studio approfondito. Erano trascorse diverse settimane dall’ultima conversazione tra i due e Scorpius non vedeva l’ora che l’evento si ripetesse. Lo aveva osservato da lontano, aveva analizzato le sue mosse e le sue espressioni, il modo in cui la sua mano scattava istintivamente in aria ad ogni lezione del professor Prince, il modo in cui storceva la bocca ogni volta sua cugina si azzardava a rivolgergli la parola. No, Scorpius Malfoy non ne era innamorato. Non sospirava grondante di amore e miele quando lo vedeva entrare nel dormitorio e non scriveva il suo nome sul suo diario tra cuoricini rossi.

Il motivo per cui era interessato ad Albus Potter era di natura scientifica.

Certo, riteneva che il compagno fosse uno dei pochi esseri umani simpatici con cui aveva avuto a che fare, ma era anche matto come un cavallo. Da bravo e potenziale etologo avrebbe analizzato i comportamenti di quella creatura di Merlino nel suo habitat naturale. Forte di quella convinzione pensò bene di alzarsi nel modo più silenzioso possibile. Scostò le lenzuola con cura, afferrò il taccuino grigio che teneva sempre sul comodino e con nonchalance si avvicinò di soppiatto alle cortine serrate del letto accanto al suo. Una fessura tra i tendaggi gli permise di osservare il Soggetto dormiente. Albus russava beatamente, rannicchiato in posizione fetale. «Ottimo, ottimo» mormorò compiaciuto prima di iniziare a scribacchiare nozioni sulla seconda pagina dell’agenda, sulla prima (scritto a grandi lettere) vi era il nome di Albus, seguito da una breve didascalia.

“Soggetto 345”

Scorpius era sicuro che con quella tesi avrebbe preso il M.A.G.O. in Cura delle Creature Magiche senza neanche dover sostenere l’esame. Ad honorem.

La professoressa Hopkirk sarebbe scoppiata in lacrime e sarebbe stata felicissima di cedere la cattedra al più grande scienziato di tutti i tempi: lui. Scorpius avrebbe galantemente rifiutato ma lei avrebbe insistito, lodando la sua modestia e la sua umiltà.

Un grido proveniente dal terzo letto del dormitorio lo distolse dai suoi sogni di gloria.

«Allora è proprio vero che sei una checca!» Lysander Scamandro, a petto nudo, tirava le lenzuola fin sopra i pettorali. Neanche dovesse coprirsi il seno.

Prima che potesse gridare “al maniaco” Scorpius scoppiò in una risata fragorosissima che svegliò tutto il dormitorio.

Lasciò la stanza tra le bestemmie generali, ma nemmeno quella sequela di insulti riuscì a scalfire la sua ilarità. Uscì dalla Sala Comune piegato in due per l’eccesso di risa, ma non appena ebbe la forza di rimettersi in piedi afferrò la matita e scrisse velocemente sul suo taccuino.

Un altro nome adesso compariva accanto a quello di Albus Potter.

Lysander Scamandro sarebbe stato la sua prossima cavia.

 

 

 

 

   
 
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