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Autore: elyxyz    07/06/2008    22 recensioni
“Se ci fosse stata l’elezione di Miss Pettegola del Villaggio, la signorina Stanley avrebbe potuto partecipare alle selezioni e, senza peccare di falsa modestia, ambire al podio più alto.”
NB: la fic ha un’impronta prettamente ironica, purtroppo non è tra i generi presenti in scaletta.
Seconda Classificata al Contest sul Peccato – EFP Forum
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Jessica
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il concorso prevedeva che ogni partecipante scegliesse una tra le dieci citazioni famose riguardanti il peccato e poi sviluppasse una storia ad essa concernente, nella più totale libertà.

Io ho scelto la frase “A parlare male degli altri si fa peccato, ma spesso si indovina” di G. Andreotti.

 

 

 

<>O<>O<>O<>

 

 

 

Ars Garrula

 

(La Pettegola del Villaggio)

 

 

by elyxyz

 

 

 

 

Jessica Stanley aveva sempre brillato per numerose qualità, ma dimostrava una spiccata propensione ad uno sport, in cui si applicava con costanza ed assiduità quasi maniacale. Uno sport in cui molti si cimentano, ma pochi eccellono. Ed era un peccato che non esistessero i Giochi Olimpici di questa specialità, perché lei avrebbe conseguito la medaglia d’oro, senza alcun dubbio.

La sua velleità si chiama pettegolezzo. Un pettegolezzo che spaziava dalla malalingua pura alla misera chiacchiera vuota e inconcludente, con una spruzzata di malignità e due gocce di indiscrezione, a seconda dei casi; e Isabella Swan se n’era resa conto presto, malgrado la sua buona fede iniziale.

Le ci era voluto poco per comprendere che Jess - tu puoi chiamarmi così, perché siamo amiche - l’aveva avvicinata non certo per spirito di beneficenza, o disinteressata generosità.

Il suo scopo era risplendere di luce riflessa. Ed era calata come un avvoltoio sulla sua preda, mentre questa aveva appena rantolato l’ultimo respiro.

 

Bella non era mai stata un’ingenua sprovveduta, ma a Phoenix non brillava certo per le sue numerose amicizie, e le sue conoscenze si contavano sulle dita di una mano.

 

Essere improvvisamente al centro di quel piccolo microcosmo scolastico, la Forks High School, era per lei una cosa bizzarra, fastidiosa e imbarazzante.

Perché poi fosse sulla bocca di tutti, proprio non se lo spiegava. Era una comunissima ragazza, né troppo bella né appariscente. Che fosse la figlia dell’ispettore della cittadina doveva contare ben poco, o era del tutto irrilevante, a conti fatti.

Eppure… eppure, subito dopo aver aperto la porta del suo inferno personale, - quel maniglione antipanico d’entrata, in cui per poco non s’era rotta un dito - fin sulla soglia si era sentita sondata ai raggi X da tutti: un basso chiacchiericcio di sottofondo, quegli annuire d’intesa nella sua direzione, delle occhiate più o meno curiose, più o meno velate o invadenti.

In quel paese disperso nel niente, persino una tipa normale come lei era una novità degna di nota.

E in tutto quel marasma di trasformazione - Bella non aveva mai desiderato una ribalta così appariscente - era comparsa lei, Jessica, un sorriso gioviale e una stretta di mano.

 

A lezione di trigo e di spagnolo, l’aveva subissata col suo ciarlare, e Isabella aveva imparato in fretta che bastava annuirle - un minimo cenno della testa, che testimoniasse che era ancora viva, non necessariamente che la stava seguendo nel filo dei discorsi - e il gioco era fatto: Jess parlava e parlava, di mille cose e più, del suo mondo, dei suoi gusti, delle sue vicissitudini. In tutta questa logorrea, non lesinava confronti, sprezzanti analisi e critiche, abilmente camuffate in realtà di fatto.

La sua arte sapiente consisteva nel trovare un difetto - seppure minino o madornale - che annacquasse le altrui virtù.

 

A tavola in mensa, quel primo giorno della sua nuova vita a Forks, Bella aveva trovato giovamento da quest’inusitata Gola Profonda, che aveva saputo soddisfare più che egregiamente la sua sete di curiosità: tutti guardavano lei, la nuova arrivata, tranne quell’unica tavolata discosta dagli altri. Quelle cinque persone che non sembravano badarle minimamente; i soli, a ben vedere. E fu quasi un passo obbligato chiedersi il perché.

Il fatto, poi, che loro non la calcolassero manco di striscio, era un fattore stranamente positivo, per lei.

Una sorta di distorto ‘mal comune, mezzo gaudio’; perché, se davvero erano così popolari come si diceva ovunque (persino lei l’aveva captato, pur nel vorticoso marasma delle novità), e tuttavia continuavano imperterriti ad alimentare le riflessioni su di loro, attirandole come i metalli verso le calamite anche a distanza di tempo, questo avrebbe giocato a suo favore. Senza dubbio. Bella era più che certa che, ben presto, tutta la scuola si sarebbe scordata di lei. L’avrebbero relegata in un angolino - il posto delle novità vecchie, consumate e inutilizzabili - e avrebbero ripreso a puntare la loro attenzione su quel quintetto straordinario.

Eppure c’era da chiedersi come mai. Come mai quei ragazzi attraessero e, al tempo stesso, respingessero l’interesse generale - e anche il suo -, quasi come se fossero delle divinità e dei reietti, al contempo.

Lo aveva chiesto alla sua compagna, chi fossero. E Jessica, che non aspettava altro, le aveva fornito i più succosi aggiornamenti del caso.

L’aveva fatto con sadico gusto di abbondare di particolari, come al suo solito.

 

Bella aveva recepito l’insita malignità nello snocciolare i ragguagli in suo possesso; ragguagli raccolti di prima o seconda mano, lustrati e incerati e tenuti in serbo per occasioni come queste, per farsi bella e informata agli occhi di terzi.

Jess le aveva raccontato che le cose, in quel gotha così perfetto, non erano a loro volta altrettanto perfette. Che loro, ad esempio, erano stati tutti adottati per pietà, da un giovane medico bello come un dio greco, ma altrettanto eccentrico, e da sua moglie. E che, sebbene non fossero fratelli di sangue, dovevano considerarsi parenti. Ciononostante, tra di loro vi erano delle relazioni sentimentali in corso. Fratellastri, amanti. Sotto lo stesso tetto. Cosa inaudita, a Forks. Non si era certo lesinata, nel tono sprezzante con cui l’aveva rimarcato.

In particolare, la bionda mozzafiato con il fisico da modella e quell’armadio ambulante che faceva impressione, - Emmet Cullen e Rosalie Hale, questi i loro nomi - non si vergognavano di render pubblica la loro disdicevole unione.

 

Bella avrebbe riso più di una volta, nei mesi successivi, immaginandosi la faccia di Jessica mentre le diceva che quei due, che si intrattenevano in una unione disdicevole, come la definiva lei, erano marito e moglie da tempo.

E che si erano sposati parecchie volte, a dirla tutta. Al contrario di lei, che, con buona probabilità, sarebbe rimasta zitella a causa del suo caratteraccio. Ed era inutile che sbrodolasse dietro a Mike Newton, perché non aveva speranza con lui. E, quando se ne sarebbe accorta, avrebbe cominciato a sparare a zero anche su di lui che, per quanto bello e popolare fosse, anche al di sopra della media studentesca, non era sicuramente perfetto.

Magari si sarebbe presa il disturbo di denigrare persino la sua futura non-suocera, per come gestiva il negozietto di articoli sportivi in centro e per come aveva allevato quell’inetto di suo figlio. Ma questo l’avrebbero visto solo i posteri. O Alice.

 

Anche su di lei aveva chiacchierato, riprendendo il suo excursus sui giovani Cullen, per rendere partecipe Bella di ciò che sapeva. Jessica aveva sparlato di Alice e del suo ragazzo Jasper. Lei, una tipetta piccolina, capelli neri e corti, un corpo minuto, come quello degli esseri fatati, come i folletti. Lui invece aveva un bel corpo proporzionato, più piccolo di quello dell’energumeno che gli sedeva accanto, capelli color del miele.

La signorina Stanley aveva sorvolato sui particolari riguardanti il loro padre, il dottor Cullen, ma si capiva benissimo che non condividesse le sue scelte. Si era sbottonata un po’ più sulla moglie, la loro matrigna. Una parente lontana degli Hale, che erano fratelli per davvero, addirittura gemelli.

Questa povera donna era di carattere tendenzialmente fragile, e gracile di salute. Non era in grado di avere bambini, a quanto si diceva in paese. Questa sua sfortunata condizione aveva fatto della maternità la sua ossessione e, quando aveva capito di non poter far nascere figli suoi, si era buttata a capofitto a far beneficenza, raccattando quelli altrui.

 

Isabella sarebbe rimasta molto stupita di quanto certe cose si avvicinassero straordinariamente alla realtà e di quante, invece, fossero solo il parto di una fantasia alquanto fervida e di informazioni fuorvianti ben disseminate.

 

Un giorno, si era persino chiesta cosa sarebbe stata capace di architettare Jess, se avesse avuto modo di conoscere più approfonditamente Jacob Black, oltre a quella prima occhiata patinata di disprezzo che aveva lanciato contro quell’indiano sciatto e dai capelli lunghi che viveva giù alla riserva, e i commenti al vetriolo sulla sua moto rumorosa e i suoi modi volgari e irriverenti, sul perché si fosse permesso di venire alla festa di fine anno, benché non fosse stato invitato e non avesse nulla a che spartire con loro, della Forks High School.

Jake, quasi certamente, avrebbe detto che l’imprinting di Jessica era il pettegolezzo. Perché lei amava il pettegolare, era la sua aria. Lo amava, lo cullava, lo nutriva con dedizione. Era una cosa quasi morbosa.

Per quanto fosse impossibile per i licantropi, a volte, non ci si infatuava di una persona, ma di un concetto. Jessica ne era l’esempio più lampante.

 

Ma Jess e Bella avrebbero avuto il piacere di incontrare Jacob solo più tardi nel tempo.

Quel primo giorno di scuola, miss Stanley era più che impegnata a ragguagliare la sua nuova amichetta, mescolando ipocrisia e frivolezza. Perché il suo scopo era ricavarne un guadagno personale, sebbene interiormente disprezzasse già la figlia dell’ispettore Swan, e non si capacitasse del perché di tanta, ingiustificata e immeritata popolarità. Lei ne avrebbe approfittato. Non era mica un peccato.

E se quei cinque di casta superiore erano lo spunto offertole, era benvoluto.

Quantunque davvero, davvero non capisse come mai persino Edward Cullen si degnasse di rivolgere alla tizia al suo fianco la propria attenzione, - che in termini concreti si traduceva in un’occhiata distratta, ma era molto più di quanto avesse ottenuto metà della popolazione femminile di quella scuola in due anni. Cioè dal momento in cui erano arrivati lì dall’Alaska.

 

La famiglia Cullen era attorniata da un’aura di oscuro misticismo di cui tutti si sentivano al contempo attratti e impauriti.

Quei ragazzi erano troppo belli, troppo perfetti per essere veri.

Con quei lineamenti così sottili, aristocratici; le pelli di porcellana finissima, i vestiti all’ultima moda, mai un capello fuori posto, mai una sbavatura.

Silenziosi, eterei. Benché non amassero confondersi con la gente comune e non facessero nulla per far parlare di sé, erano comunque - volenti o nolenti - pietra di paragone o argomento di conversazione: amati, odiati, temuti a distanza da tutti gli altri studenti di Forks.

 

Col tempo, Bella avrebbe appreso che era l’istinto di sopravvivenza a sussurrare inconsciamente nel loro io più profondo, e suggeriva saggiamente di stare alla larga da quel pericolo così vicino e così mortale.

La curiosità uccise il gatto. Figurarsi un branco di poveri, stupidi esseri umani…

Peccato che lei non l’avesse mai sentito, questo canto mellifluo. Oppure l’aveva deliberatamente ignorato.

D’altra parte, neppure Edward Cullen riusciva a sentire quel canto suadente, e la cosa lo sconcertava non poco.

Perché Isabella Swan era l’eccezione curiosa, un enigma avvolto in un mistero. Un mistero che non aveva voce, - cosa assai rara, per lui, che si vantava (a ragione) di conoscere i pensieri del mondo.

Forse era quello, il problema.

La curiosità uccise il gatto. Ma Edward non era un gatto; ciononostante, per lui, ogni cosa incomprensibile andava capita, ogni mente sondata, ogni pericolo evitato.

E... Bella Swan rappresentava un pericolo?

Più la scrutava, più vedeva un muro bianco davanti a sé. Un foglio immacolato dove non v’era traccia di idee, di congetture, della più piccola, infinitesimale riflessione personale.

Che non avesse pensieri suoi?

Impossibile, si era detto, facendosi più prudente e insistente nel captare anche il più minuscolo movimento cerebrale. Silenzio assoluto. Eppure…

I Cullen facevano sempre notizia: i Cullen incuriosivano, affascinavano, spaventavano.

Ma, lasciare indifferenti, no.

E lei, Bella, così comune all’apparenza, non poteva essere l’eccezione alla sua regola. Perché sui suoi poteri Edward aveva una fede certa, non sbagliava mai. Non poteva sbagliare.

Jessica Stanley, ad esempio, che era lì accanto alla nuova venuta, passava ore a farneticare su di loro: pensieri assurdi, oltre il limite della decenza, talvolta. E non lo pensava perché possedeva una mentalità da vecchio secolo, ma perché - davvero - c’era un limite a tutto, e lei l’aveva superato da tempo.

Se ci fosse stata l’elezione di Miss Pettegola del Villaggio, la signorina Stanley avrebbe potuto partecipare alle selezioni e, senza peccare di falsa modestia, ambire al podio più alto.

Edward sorrise, rievocando il fantasma della cotta adolescenziale che Jessica aveva nutrito per lui, un sentimento torbido e decisamente oltre il senso del decoro e del pudore. Una fantasia eclissatasi velocemente, per fortuna. E che lui aveva scoraggiato indirettamente in ogni modo.

Forse era per questo che, scuotendo quella massa confusa e riccia che si ritrovava per testa, Jessica si prodigava in commenti al vetriolo e confidenze tendenziose alla new entry. O forse no, non era mera malignità o limitatezza mentale. Lei era fatta così. Punto e stop.

Buon per lei, comunque, che avesse smesso. Tra le tante voci interiori, la sua era una tra le più fastidiose e, di voci fastidiose, Edward se ne intendeva bene.

Perciò, forse era il caso di concentrarsi sull’idea che Isabella Swan si era fatta di lui e della sua famiglia, dopo una scrematura dei pettegolezzi instillati dalla sua vicina, che la stava giusto mettendo in guardia.

 

“E’ meglio che tu stia alla larga da Edward Cullen,” le aveva detto già quel primo giorno, con un tono accorato - da amica sincera, pronta a dispensare consigli gratuiti e disinteressati -, e una punta di premonizione vagamente sinistra nella voce, che lasciava sottendere ad una predizione catastrofica dal retrogusto amaro in gola. “E’ fuori dalla tua portata. Lui è fuori dalla portata di tutte.” Aveva precisato. “Se ti interesserai a lui, finirai solo in un mare di guai. Parola mia.”

 

Forse era davvero un peccato… perché uno, quando indovina, vuole giustamente ottenere il riconoscimento di ciò che ha fatto; oppure, chissà… era il giusto contrappasso da pagare per le sue maldicenze perpetuate negli anni - fatto sta che, Jessica Stanley, non avrebbe mai saputo quanto le sue intuizioni, in quel caso, fossero vere.

 

 

 

Fine

 

 

 

Disclaimer: I personaggi citati in questo racconto non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.


Credits: Ho scelto la frase n°1 “A parlare male degli altri si fa peccato, ma spesso si indovina” di Giulio Andreotti, e quindi ovviamente non mi appartiene; così pure “Un enigma avvolto in un mistero” non è una mia frase, è tratta dall’episodio 4x10 del telefilm Crossing Jordan.

Il termine ‘Gola Profonda’ prende il nome da un noto, citatissimo film, suo omonimo. Il primo film pornografico legale della storia del cinema. In seguito allo scandalo Watergate, il termine ‘gola profonda’ è riferito a chi compie il ruolo di informatore, riuscendo a trovare informazioni negate ad altri o in tempi più brevi; successivamente è divenuto sinonimo di chi parla troppo.

In X-Files, Gola Profonda era il prezioso informatore segreto di Fox Mulder.

‘La curiosità uccise il gatto’ è la prima parte di un proverbio popolare inglese, che si conclude con ‘ma la soddisfazione lo riportò in vita’.

 

Note dell’Autore: In questa fic, ho voluto dare la mia interpretazione del personaggio di Jessica, in base alle informazioni poco lusinghiere che ci ha offerto la Meyer su di lei, rivedendole in chiave ironica, lievemente satirica, forse calcata - ma è assolutamente voluto.

In particolare, ho attinto e rielaborato a mio piacimento i capitoli iniziali di Twilight e il primo di Midnight Sun, senza dimenticare i successivi libri.

Il titolo scelto viene dal latino:Ars Garrula’ si traduce in ‘L’Arte del Pettegolezzo’.

 

Mi sembra giusto riportare il giudizio ricevuto dal giudice Akane:

“Infine qualche ultima parole la spendo per le prime due classificate…
Come ho detto prima si meritavano entrambe il podio perché dal punto di vista dell’originalità dello stile, della grammatica e della caratterizzazione dei pg si equivalevano completamente ed entrambe si meritavano la vittoria, non so cosa alla fine mi abbia fatto propendere per la prima classificata... ma ho sentito dentro di me qualcosa che mi spingeva in quella direzione...
...quindi forse non sono riuscita ad essere del tutto oggettiva....
gomen.”


10 punti per la grammatica
10 punti per il complesso
10 punti per l'originalità
10 punti per lo stile
9 punti per la caratterizzazione dei personaggi
TOT= 49

 

Recensione:

 

Una storia fresca e divertente, ma sopra ogni cosa incredibilmente originale che si ripromette di approfondire la conoscenza e la caratterizzazione di uno dei personaggi che nel fandom di Twilight sono stati praticamente inutilizzati, riuscendoci divinamente. Svelando al lettore l’anima della protagonista e i suoi pensieri più reconditi, grazie a uno stile di scrittura davvero appassionante e fluido, ma soprattutto ironico. Un’ironia quanto mai azzeccata ed elaborata! Attraverso la presentazione della protagonista l’autrice e riuscita a svelare anche i pensieri degli altri personaggi permettendo al lettore di avere un quadro completo della situazione.
Nulla da dire sulla grammatica, infatti non è presente nessun errore di sorta.
Ho apprezzato immensamente come senza inserirla nella trama, l’autrice sia riuscita a sfruttare a suo vantaggio la citazione scelta, spiegando con minuzia il tema affrontato. Non avrei mai creduto che basandosi sul peccato si riuscisse a scrivere una storia senza utilizzare dei toni cupi, per questo vanno i miei più grandi complimenti all’autrice e alla sua originalità!! Mi ha lasciato davvero senza parole…

 

 

 

 

 

 

Seconda Classificata al Contest sul Peccato – EFP Forum

 

 

 

Ringrazio quanti hanno letto e commentato la mia fic comica: My personal...e quanti lo faranno.
Il vostro entusiasmo mi ha commossa. Grazie davvero.

Cercherò di accontentarvi, appena l’ispirazione tornerà.

 

 

 

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Come sempre, sono graditi commenti, consigli e critiche.


Grazie (_ _)

elyxyz

 

   
 
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