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Autore: yoyo_whitehole    24/01/2014    11 recensioni
«Ha tradito. Ha ucciso. Ha torturato» Kevin diede le spalle al Pacificatore ammanettato, posizionandosi tra lui e la folla. «Ma non ha tradito me. Non ha torturato me, e direi che non mi ha ancora ucciso. I suoi crimini non sono contro me.»
Kevin ruotò la pistola tra le dita, allungò il braccio. Rivolse l’impugnatura alla folla.
Si chinò quel che bastava per poggiare l’arma a terra, con delicatezza. Si spostò, di lato, un solo passo; tra la folla e il Pacificatore rimase solo la pistola.
(...)
Imhor raccolse l’arma e tolse la sicura. Fissò Kevin un’ultima volta, non con l’aria di chi cercasse una conferma, o un tacito invito: con una pistola carica nella mano e un’imperscrutabile serietà nel volto.
«Uccidilo» sibilò il Pacificatore, la voce strozzata «Non avete mai avuto speranza, Capitol City vi sterminerà dal primo all’ultimo se non finite questa follia adesso. Se lo uccidete vi perdonerà…» guardò Kevin con odio disperato «Dimenticherà… Dimenticheremo tutto…»
Il gigante spostò lo sguardo sul Pacificatore, che si azzittì. Il silenzio strisciò ancora per qualche attimo, qualche attimo ancora, poi Imhor puntò la pistola.
«Io non dimentico» disse, e premette il grilletto.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Caesar Flickerman, Presidente Snow, Sorpresa, Tributi di Fanfiction Interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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ALEA IACTA EST. Parte I




Distretto 1


"Non è oro tutto quello che luccica; ma bisognerebbe equamente aggiungere che neppure luccica tutto quel che è oro."


Swyd aprì la mano, raccogliendo le gocce d’acqua nel palmo. Lo rilassava, la pioggia. Era facile confondersi nel grigiore e scomparire.
Lamelle, la presentatrice, aveva il biglietto in mano. I suoi occhi socchiusi vagavano imperscrutabili per i volti delle ragazze.
-Gehenna Sunshine Iskra Shinespark-
Calò una cortina di silenzio stranito e teso. Le numerose mani per metà alzate si abbassarono ad una ad una, esitanti.
Swyd capiva bene il perchè. Gehenna. Il solo significato del nome era sinistro e inquietante, la fama della ragazza ancor di più. Nell’arena con Gehenna… L'istinto di scappare via lo ghermì, ma fu un solo istante.
E dove dovrei scappare, dopotutto? Non ci sono via di fuga, non dalla mia vita.
La piazza si era fatta così silenziosa che poté udire ogni passo della ragazza. Avanzò verso il palco, snella e tonica, con lunghi capelli di una particolare sfumatura biondo scuro, quasi color pesca. Sarebbe potuta sembrare anche attraente, finché non si incrociava il suo sguardo.
Si fermò a fianco della presentatrice, sul viso inespressivo l’accenno di un sorriso vacuo. Gli occhi smeraldini, da sopra le occhiaie, erano persi nel vuoto. Swyd tentò di scrutarla, di carpire qualcosa di lei dal suo sguardo fisso e assente, ma non vide nulla. Inquieto, distolse gli occhi dal suo viso.
Lamelle, decisamente di pessimo umore, non degnò alla diciassettenne più di un'occhiata. Fece un passo verso la seconda boccia... Swyd chiuse gli occhi. Era arrivato il momento. Si morse la lingua, ignorando il cuore martellante nel petto, cercando di tornare il più lucido possibile. Difficile, per lui, quando si trattava di Hunger Games.
-Mi offro volontario- gridò, controllando il tono di voce. Sicuro, era così che doveva apparire, da lì a una settimana. Da adesso, sono sotto le telecamere. A dire il vero, da quando era nato si sentiva sotto le telecamere.
Si costruì sul viso un sorriso spavaldo, orgoglioso. Un sorriso da Favorito. Una volta sul palco, Lamelle lo guardò con lo stesso interesse che avrebbe dedicato a un ciocco di legno. -Un applauso ai tributi dei 51esimi Hunger Games!- disse frettolosamente. -Su, su ragazzi, al riparo-
Gehenna spostò lentamente lo sguardo su di lui. Il sorriso della ragazza si era allargato, lasciando intravedere i denti candidi. Un brivido interminabile corse giù per la schiena di Swyd, che quasi si rimproverò. Avrebbe dovuto pensare a qualcos’altro, a suo fratello, alla sua famiglia. A suo padre.


Wonder mi se le mani in tasca, guardando di sottecchi la sua famiglia. Erano tutti in piedi, ad aspettare, dietro quella porta.
-Come… come dobbiamo comportarci, mamma?- mormorò Amethyst.
Diamond sorrise incerta, l’espressione sul viso combattuta tra dolore e paura. -Fatele capire che l’amiamo. Solo questo.-
-Silver- bisbigliò Wonder al fratello maggiore -Secondo te, mamma spera che muoia?-
-No, santo cielo, no- il ragazzo si abbassò per arruffargli affettuosamente i capelli, l’espressione esitante -Ma…- cercò disperatamente qualcosa da dire -La sua vita è sempre stata un inferno... Forse…- gli sfuggì un singhiozzo, e non riuscì a continuare.
-Oh, al diavolo!- disse suo padre, e con un unico colpo deciso aprì la porta. Lei era lì.
Gehenna, in piedi davanti a loro, si stava scrocchiando le dita della mano destra, come faceva sempre. I suoi occhi si spostarono sulla sua famiglia e sorrise contenta. I farmaci rendevano ogni suo movimento un po’ più lento, più innaturale.
A dispetto dell’esitazione di tutti, Wonder corse verso la sorella e l’abbracciò d’impeto. Diamond soffocò un gemito di paura. Non mi farebbe mai del male, avrebbe voluto dirle Wonder. Mai.
Gehenna lo strinse a sé. -Wonderful significa meraviglia.- disse quando l’abbraccio si sciolse, con voce candida e dolce. -Silver, Amethyst. Diamond. Sono nomi che luccicano-. Le sfuggì una risatina -Secondo voi, il mio nome luccica?-
Diamond le poggiò una mano sulla spalla e la guardò con gli occhi lucidi. -Gehenna…» cercò invano qualcosa da aggiungere.
-Cerca di restare controllata. E non toccare assolutamente… forbici- completò per lei Amethyst, decisa. Se c’era qualcuno in quella stanza che non accettava una resa della sorella, era lei. Wonder la guardò con un pizzico di consolazione, sebbene quella frase, rivolta a Gehenna, non avesse alcun senso.
Alla sola parola forbici, la ragazza si era risvegliata. -Le forbici luccicano- mormorò, con un sorriso meno perso di quello che stagnava abitualmente sul suo viso. Per un istante, gli occhi smisero di fissare il vuoto e brillarono di una luce ambigua.
L’espressione di sua madre si fece ancor più terrorizzata. Chiuse gli occhi e la sua stretta della mano sulla spalla di Gehenna divenne ferrea. Disperata.
Wonder capì. Quello che Diamond temeva era rivedere sua figlia, in quell’arena. Rivederla senza farmaci.
Sentire di nuovo la sua risata.



Distretto 2

"Senza problemi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia."

-Alber Einstein


Un cielo grigio e grave incombeva su tutta Panem.
Samuel si passò una mano tra i capelli biondo scuro, lucidi per la cera che li teneva all’indietro, guardando accigliato le nuvole. In tutti i modi aveva sognato la sua ultima Mietitura, ma mai con il brutto tempo.
Espirò profondamente, tirò fuori il suo solito sorriso beffardo e uscì fuori di casa, precedendo i suoi genitori.
Diciotto anni. Era la sua ultima possibilità.
L’ultima possibilità per la sua famiglia.
Si avviò con le mani in tasca, fischiettando un allegro motivetto insensato che stonava con il grigiore diffuso.
L’arena era gremita di gente vestita a festa, ma l’entusiasmo era inevitabilmente smorzato. Anche la presentatrice, sul palco, fissava le nuvole con un pizzico di ansia.
-Sam!- si sentì chiamare, appena fatto pungere il dito per le firme. -Allora?- gli chiese Trent, da sotto la sua zazzera di capelli scuri, con un sorriso concitato.
-Sì- affermò Samuel, come se fosse cosa da niente. Poi diede un’occhiata pigra al cielo -Se proprio deve piovere, quando mi offrirò volontario voglio un tuono. Sarebbe alquanto teatrale, non credi?-
Gli occhi di Trent brillarono in un sorriso divertito. -Sarebbe alquanto terrificante-
Quel giorno, però, il cielo fu clemente. Quando la presentatrice, Ellie Milson, proruppe in un -E ora, finalmente, vediamo chi saranno i nostri tributi nella 51esima edizione!- l’intera piazza vibrava di eccitazione e attesa.
-Walda Mcpone!- chiamò Ellie, stringendo febbrilmente il bigliettino tra le mani.
-Volontaria- Una mano alzata. La folla si divise per lasciar passare una sedicenne. Alta e slanciata, salì sul palco con passo deciso. Sulla schiena, una lunga coda di capelli rosso intenso.
Quando si girò, Samuel poté vederla in volto. Occhi verde chiaro, una spruzzata di lentiggini sul viso, sguardo determinato. A giudicare dall’espressione, era il giorno più bello della sua vita. La capiva perfettamente.
-Qual è il tuo nome, cara fanciulla?- domandò Ellie.
-Scarlett Jackson-
La donna sorrise e si avvicinò all’altra boccia. -Quest’anno vinciamo, oh sì- borbottò soddisfatta.
Concordo, pensò Samuel, ora pesca questo stramaledetto bigliettino.
Seguì il movimento delle sue mani con rapimento, assaporando ogni istante. -Mi offro volontario!- gridò infine, prima che la presentatrice finisse di leggere il nome. Avanzò con passo tranquillo, inseguito da grida di entusiasmo.
Una volta salito, sorrise spavaldo alla piazza in fermento.
-Samuel Narper- si presentò rapidamente. Ellie Milspor, nonostante l’enorme cappello blu, gli arrivava a stento alle spalle.
Sam scrutò la sua probabile alleata con sfavillanti occhi nocciola. Lei stava facendo lo stesso, per nulla intimidita. Si rivolsero un breve, reciproco sorrisetto di sfida.
-Oh, che ragazzo coraggioso- esclamò banalmente la presentatrice, genuinamente felice, prima di salutare il distretto.
Samuel non le prestò ascolto, in un istante dimenticò anche l’avversaria di fronte a lui. Aveva gli occhi pieni di sua sorella. Di com’era quattro anni prima, su quello stesso palco.
Ti vendicherò, promise, vincerò dove tu hai fallito.
Vincerò, vincerò, vincerò.


Scarlett camminava su e giù per la stanza con aria esaltata. Finalmente avrebbe potuto mettersi alla prova. Avrebbe potuto dimostrare chi era, a Panem, ma soprattutto a se stessa.
Sarebbe stato più saggio aspettare qualche altro anno, negli ultimi giorni non aveva smesso di ripeterselo, ma quando aveva visto la presentatrice estrarre un nome l’adrenalina aveva vinto.
Impose alle sue gambe a fermarsi, strinse i pugni e prese un lungo respiro.
Sei qui, sei nei Giochi. Si concentrò su quell’unica frase, calmandosi.
Appena la porta si aprì suo padre piombò su di lei, abbracciandola. Sorpresa, Scarlett subì inerme quell’inusuale gesto d’affetto.
-Scarlett. Scarlett. Non potevi rendermi un padre più orgoglioso- la guardò con gli occhi lucidi. Aveva cercato per anni di convincerla a partecipare ai Giochi, non perdonandosi per non averlo fatto lui stesso, da giovane. Non era stato svelto ad offrirsi volontario, tutto lì.
Sua madre Melyanna le si avvicinò con un sorriso rassegnato, e fu un abbraccio più sincero e più caldo quello che si scambiarono. Eppure, quando la guardò in volto, il vuoto negli occhi della donna sconvolse Scarlett.
-Hai fatto la tua scelta- le disse. La ragazza dovette soffocare un accenno di paura e incertezza che quel tono di voce tanto triste, tanto sconfitto le aveva instillato. Perché sua madre sapeva cos’erano gli Hunger Games. Aveva vinto nella trentesima edizione, e l’idea che sua figlia potesse andare nell’arena l’aveva sempre terrorizzata.
C’era qualcosa di tremendamente sbagliato in quella situazione, in quella frase.
-Ho fatto la mia scelta- concordò Scarlett -ma non mi sono offerta volontaria per te, papà. Né per te…- guardò sua madre con tutta la determinazione che riuscì a racimolare. -L’ho fatto per me.-
-Tempo- disse un Pacificatore, l’aria annoiata.
-So di poter vincere. So che vincerò- assicurò velocemente ai suoi genitori. Dall’ultimo sorriso che Melyanna le rivolse, capì perfettamente che sua madre non temeva solamente la sua morte. Temeva anche la sua vittoria.
Scarlett fissò per qualche istante il punto in cui la sua schiena era scomparsa, poi annuì al Pacificatore. E quando salì sul treno, il sorriso arrogante che sfoggiava non aveva nessuna incrinatura.



Distretto 3

"L'eterno è immobile, la vera bellezza è nel tocco fugace dell'arcobaleno che, per un istante, ci abbraccia tra terra e cielo."


No. Non lui.
Eppure sembrava proprio che il presentatore avesse detto il suo nome.
Aveva sentito male. Si era distratto, la paura aveva fatto il resto. Certo.
Ma allora, perché la folla si era aperta davanti a lui? Mentre la sua mente realizzava lentamente l’accaduto, il presentatore sembrò perdere la pazienza. –Harvey Lewis Cadwalader- scandì. -Stavolta sono riuscito a dirlo tutto senza annodarmi la lingua, e non ho alcuna intenzione di riprovarci-
Sì, questa volta aveva detto proprio il suo nome.
Harvey si morse la lingua a sangue, facendo il primo passo. Il terrore gli annebbiava la vista. Ma non aveva paura per sé. Aveva paura per i suoi fratellini, David, Cooper, per i piccoli gemelli, per suo padre e la sua sedia a rotelle, per sua madre. Sua madre, il cui stipendio non bastava per mantenere tutti. Beh, forse sì, anche per me.
Non sapeva bene come ci fosse arrivato, ma fu sul palco, di fianco al presentatore.
-Ce l’abbiamo fatta, a quanto pare- concluse l’uomo, un sorriso arzillo sul volto truccato. Harvey, invece, avrebbe trovato più facile sollevare una montagna che gli angoli della sua bocca.
I suoi occhi scuri fissavano la piazza alla ricerca della sua famiglia. Ci ho provato, ce l’ho messa tutta per proteggervi. Non posso fare più nulla. Cercò di ritrovare il suo spirito, di non lasciarsi prendere dalla disperazione. Si accarezzò istintivamente il braccio sinistro, dove, nascosta dalla manica, c’era la sua lunga cicatrice. Un sorriso, è solo un sorriso. Se c’era una cosa che aveva sempre saputo fare, qualsiasi cosa succedesse, era questo.
Ma stavolta era diverso. Non era solo lui ad essere in gioco. Non posso fare più nulla, non posso fare più nulla. Quelle parole rimbombavano dentro di lui come rintocchi funebri.
Sentì qualcuno prendergli la mano. Era una stretta dolce e calma. Si girò verso il tributo femmina del suo distretto, stupito. I suoi occhi scuri si persero in quelli ambrati di Alyson, rassegnati, ma così tranquilli, così sereni. La ragazza aveva quindici anni, ovvero uno più dei suoi, e teneva una margherita tra le dita. –Ciao.- disse semplicemente.
-Ciao- ricambiò meccanicamente Harvey. Il sorriso si era di nuovo formato sulle sue labbra.


Quando la porta si aprì, fu Jasmine ad irrompere nella stanza. Alyson sorrise nel vederla.
L’amica la strinse a sé con disperazione. –Tornerai?- le chiese. Aveva l’aria scoraggiata di chi sa già la risposta.
-Se anche tornassi, non sarebbe per molto- le ricordò dolcemente. Gli occhi di Jasmine lottarono per trattenere le lacrime. –Perché? Perché sei entrata nella mia vita, se… Se…-
Se amare significa soffrire? Sarebbe una frase banale da dire. Eppure non ci entra mai in testa, non è meraviglioso? Io ho sempre amato vivere.
-Avresti preferito il contrario?- domandò. L’amica scosse la testa. –No. No.-
-Anche i ricordi sono doni- disse Alyson, serena. Jasmine annuì e le strinse per un ultimo istante la mano, prima che il Pacificatore la portasse via.
Alyson la guardò scomparire dalla stanza, e dalla sua vita. Poi il suo sguardo cadde sulla margherita che teneva in mano. Era così bella, candida e fine. Sfiorò i morbidi petali con il dito, perdendosi nella bellezza del fiore, e la tristezza si dissipò.
La porta si riaprì ed entrò sua madre. Non disse niente, semplicemente la baciò in fronte, senza tentare di nascondere le lacrime. –Alyson…- mormorò, scostandole la frangetta di capelli castano dorato dagli occhi. Non c’era nessuna disperazione nel suo sguardo. Solo rassegnazione.
Alyson sorrise ai suoi genitori. –Sapevate che sarebbe successo. Dopotutto, sono stati belli, no? Questi quindici anni-
Sentì un singhiozzò di suo padre. –Sono stati meravigliosi. Tu sei meravigliosa-
Alyson lo abbracciò, assaporando quel calore così familiare. Quando si sa che i tuoi istanti sono contati, ognuno diventa prezioso. E lei lo sapeva da sempre.
Passarono quei due minuti semplicemente così, stretti l’uno all’altro, in un amaro, dolce addio.



Distretto 4

"A Birkenau il camino del Crematorio fuma da dieci giorni. Deve essere fatto posto per un enorme trasporto in arrivo dal ghetto di Posen. I giovani dicono ai giovani che saranno scelti tutti i vecchi. I sani dicono ai sani che saranno scelti solo i malati. Saranno esclusi gli specialisti. saranno esclusi gli ebrei tedeschi. Saranno esclusi i Piccoli Numeri.
Sarai scelto tu.
Sarò escluso io."

-Primo Levi

 


-E ancora una!- esclamò Stephen, tirando indietro la canna da pesca. L’ombrina scintillò al sole, lanciando una miriade di gocce nell’aria prima di finire sul legno del molo.
Carl mugugnò un non è ancora finita, mentre combatteva con un pesce che non ne voleva sapere di andare a galla.
Stephen guardò soddisfatto il suo cesto, pieno di merluzzi e ombrine. –Mi sa che ti dovrai arrendere. Ho già vinto-
-Oh, andiamo…- sibilò l’amico, tirando la lenza.
-Scommetto un merluzzo che si spezzerà- commentò serenamente Stephen. A dispetto del brutto tempo nel resto di Panem, il sole rischiarava i suoi capelli castani.
-Lo so che stai cercando di distrarmi, brutto pallone gonfiato- disse Carl. Con un ultimo strattone, il pesce saltò fuori dall’acqua e rimase a dimenarsi appeso alla lenza, enorme e gocciolante.
-Questo...- mormorò Stephen –Questo è il cefalo più grande che io abbia mai visto-
Carl sogghignò, ammirando la preda mentre la toglieva dall’amo. –Il destino è triste. Non hai vinto neanche oggi-
Successe in un istante. Il pesce, libero dall’amo, diede un colpo di coda improvviso e cadde sul ponte. Un altro salto, poi un ploff.
Carl rimase con l’amo in mano, e un’espressione sul viso alquanto scioccata.
Dopo qualche istante di smarrimento, Stephen scoppiò a ridere di cuore. –Ah, Carl. Non credo che rivedrò mai qualcosa di così patetico-
Lui lasciò cadere la canna da pesca e crollò seduto sul ponte. –Non sai quanto mi secca darti ragione, Steph- disse ridacchiando. –Ehi, guarda chi c’è-
Stephen seguì il suo sguardo. Un anziano sedeva, all’altro capo del molo, con accanto una ragazza con un’enorme chioma di capelli rossi. Stavano pescando, scuri nell’ultima luce dell’alba.
-Ciao, Coral. Quanti ne hai presi, oggi?- chiese Stephen, sorridendo.
La ragazza gli gettò un’occhiata diffidente. –Come se ti interessasse- rispose, tornando a guardare l’acqua smeraldina.
-E’ così bella- mormorò Carl, con un sorriso sognante.
-E’ così simpatica- concordò Stephen, dando una pacca sulla spalla dell’altro. –Prima o poi riuscirai a farti rivolgere la parola, ne sono certo.-
-Steph- Carl aveva cambiato tono. –Ti offrirai?-
Il ragazzo fece una smorfia, non apprezzando il cambio repentino di discorso.
–No. Non lo farò.- Aveva partecipato agli allenamenti per Favoriti, ma gli Hunger Games non erano affatto nei suoi interessi.


-Che magnifica giornata, nel Distretto 4! Chissà che non sia segno di prossima vittoria?- esordì Yalen, allargando le braccia come ad abbracciare la folla.
Coral scrutò la presentatrice con i suoi occhi verde chiaro. I capelli della donna brillavano di perle argentate, cadendo lunghi sull’enorme vestito d’oro con le maniche a palloncino.
–E ora, il video!-
L’entusiasmo mi soffoca, pensò Coral. Quando finirà questa stupida giornata? Non le piaceva la folla. Troppe persone, troppi occhi puntati su di lei.
Le altre ragazze stavano parlottando tra di loro e, come al solito, nessuno le rivolse la parola. Non che fosse un male.
L’afa era soffocante, ma l’odore di salsedine intenso. Coral si lasciò scivolare addosso quei minuti, ma quando l’ora del sorteggio arrivò, si pentì quasi per la sua impazienza.
-Allora- disse Yalen, mescolando i bigliettini nella boccia. Ne aprì uno.
Coral si morse le labbra. Un istante forse fatale e tutto quello che si può fare è aspettare, le mani in mano.
-Coral… Sahara… Smith- pronunciò teatralmente la presentatrice, guardando poi curiosa la folla.
Per la ragazza, ognuna di quelle tre parole era stata un colpo nello stomaco. Immediatamente, fu al centro dell’attenzione.
Gli attimi passarono, e nessuno si stava offrendo volontario. Coral ricambiò le occhiate con puro odio, poi si costrinse a ignorarle. Ridipinse nella sua mente il sorriso calmo di sua nonna, morta qualche anno prima, e ne trasse forza per avanzare.
Sopra il palco. Guardò il suo distretto impavida, non molto sicura di sentirsi davvero così.
Il suo sguardo si perse sul mare, in lontananza. La pesca con suo nonno, la danza, la sua vita. Avrebbe dovuto dire addio a tutto ciò.
-Carol, sei meravigliosa­- esclamò la presentatrice.
Nessun modo migliore di peggiorare la situazione. La ragazza strinse gli occhi, lo sguardo ribollente ostilità. Mi chiamo Coral, imbecille.
-Passiamo ora al nostro ragazzo- continuò la presentatrice, forse offesa dall’assenza di qualsiasi accenno di risposta.
-Carl Meylon!-
Qualche istante di silenzio. –Vado volontario- disse poi una voce vagamente familiare.
Stephen Williams si fece largo tra la gente.
Coral lo conosceva, seppur vagamente. Uno dei classici ragazzi alti e abbronzati inseguiti da una fiumana di corteggiatrici, tra quelli che più spesso tentavano di fare amicizia con lei.
-Conoscevi quel nome?- chiese Yalen, in un secondo tentativo di far parlare un tributo.
-Sì, certo. Ma sarei andato comunque-
Che sorpresa. Stephen conosceva praticamente tutti, nel Distretto.
-Grandioso- squittì la presentatrice. –Un applauso ai nostri bellissimi tributi-
Stephen le offrì la mano per la simbolica stretta, sorridendole gentilmente.
Coral la accettò, lentamente, lasciando brillare nei suoi occhi quello che avrebbe voluto dirgli. Non mi fido di te.

-Ti prego, promettimi che ce la metterai tutta- Sua madre si morse le labbra, come sempre quand’era nervosa. Era un gesto così dolorosamente familiare che Coral dovette usare tutta la sua forza per impedirsi di piangere.
-Tieni- disse con un sorriso triste suo nonno, porgendole un involto. Coral lo aprì delicatamente, scoprendo un paio di piccole scarpine da danza. La commozione le bloccò la gola per un istante.
-Sono… sue?-
Suo nonno si limitò ad annuire. Coral strinse al petto le scarpine, ancora di dolcezza nel terrore. Nonna. Per un istante, la ragazza fu certa di sentire di nuovo il suo odore. La sua voce, mentre la invitava a danzare.
Ti piace questa musica, vero? Vieni, Coral, ti insegno una cosa.
-Sì, mamma. Ce la metterò tutta.-
Riuscì a sorridere.


 
NOTE DELL'AUTORE RITARDATARIO:



Preparatevi a un lungo discorso sconclusionato.

a) Se di alcuni personaggi avete capito a stento 1% di ciò che pensavano/facevano sono soddisfatta ^-^ non disperate, spiegherò più avanti il loro passato con flashback e roba varia.
b) Aspetto prenotazioni per gli abiti dei distretti. Ricordo (di nuovo) che si possono creare i vestiti per uno o due distretti obbligatoriamente IN BLOCCO. (maschio e femmina)
Stilisti disponibili:
Distretto 3,5,7,10,11,12

c) CI SONO ANCORA TRIBUTI DISPONIBILI.
Ragazze: distretto 10
Ragazzi: distretto 9
DATEMI AL PIU' PRESTO LE SCHEDE DEI TRIBUTI PER IL PROSSIMO CAPITOLO (DISTRETTO 4,5,6,7), SCRIVO IN MAIUSCOLO PER METTERVI FRETTA :)
Chi vuole può creare un terzo tributo.
d) Se _Krzyz si aspetta che scriva qualcosa dal punto di vista di Gehenna, sappia che mi ha messo abbastanza in difficoltà già così o.o No, vabbè, ci penserò.
e) A parte chi me li ha già comunicati, preferirei che aspettaste un poco prima di mandarmi i consigli del mentore del vostro personaggio. Anche per conoscere i tributi: se i favoriti si scoprono una banda di pazzi (... tanto per dire...) io non direi al mio allievo di allearsi con loro, per esempio.
f) Ricordo che potete inviarmi proposte per l'arena, se avete belle idee comunicatemele.
g) Ricordo (uffa) che anche se non avete creato nessun personaggio potrete seguire la storia, sponsorizzare i tributi e proporre arene.
h) Vi spiegherei la sponsorizzazione ma ho tempo e vi ho annoiati abbastanza. Mi sta finendo l'alfabeto D:
l) Recensite se volete, anche perchè ci sono alcuni tributi che non ho la più pallida idea se li abbia descritti bene o abbia scritto bestialità.


Ho finito, per la vostra gioia. Cercherò di aggiornare ogni 4-5 giorni.
  
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