II
Oltre il cielo
E così era
partita.
Aveva passato
gran parte del
viaggio a scrutare le nuvole all’orizzonte attraverso il vetro della
navicella
che era passata a prenderla in perfetto orario.
Fin troppo
perfetto.
Gli scienziati
erano davvero le persone
più precise e meticolose del mondo, le avevano fatto trovare a bordo il
programma dell’intero meeting; aveva impegni fin dal primo momento in
cui
avrebbe messo piede a terra. Sbuffò. Non era ancora convinta che
avrebbe
passato giornate interessanti, la convention verteva sulle nuove
scoperte
astronomiche e su nuovi modelli di robot da lavoro capaci di riparare
da soli i
satelliti in orbita attorno alla Terra; le premesse erano buone, ma i
nomi che
aveva letto sul depliant degli scienziati che vi avrebbero preso parte,
non la
entusiasmavano, alcuni li conosceva bene e sapeva che si trattava di
perfetti
imbecilli, altri erano dei farfalloni, e pochissimi erano intelligenti
abbastanza per poter sostenere dei discorsi sensati.
Il meeting si
sarebbe tenuto
presso Il Villaggio della Scienza a quattro ore di volo da casa sua,
sorrise
tra se pensando che conosceva chi in un battito di ciglia avrebbe
potuto coprire
distanze incredibili, cose che la scienza non avrebbe mai potuto
spiegare, e
probabilmente nemmeno accettare. Goku ci avrebbe messo un attimo a
percorrere
quella distanza, Vegeta un po’ in più, lei purtroppo era una terrestre,
e
doveva accontentarsi di un noioso e
lungo viaggio. Quattro ore non erano poi così tante calcolando che la
fortuna
era stata dalla sua, era sola, almeno quello. Intrattenere giornalisti
scientifici e ricercatori non era proprio rilassante di prima mattina,
e di
sicuro non avrebbe accorciato i tempi.
Il cielo era
terso quella mattina,
poche nuvole rade lo tagliavano in orizzontale, qualche gruppo di
uccelli
migratori passò sotto di loro. Era una splendida giornata, e sarebbe
stata
ancora più splendida se Vegeta, appena sveglio, non le avesse messo i
bastoni
fra le ruote, come al solito.
La dolcezza
della sera precedente
era completamente scomparsa al sorgere del sole. Quelle effusioni
pacate, non
sarebbero durate a lungo, lo sapeva, aveva avuto uno strano
presentimento che
pensava fosse riferito ad altro, ed invece sembrava proprio riferito a
quella
giornata.
Quel dannato
scimmione.
Era riuscita a
tenerlo a bada,
certo, ma a volte proprio non sopportava quei suoi modi arroganti,
soprattutto
quando aveva appuntamenti di lavoro importanti. Forse stargli lontana
per un
po’ era giusto, le avrebbe giovato e avrebbe raddrizzato anche lui.
Che illusa.
Con la stessa
velocità con cui
aveva formulato questo pensiero aveva formulato quello opposto, adorava
il suo
modo ‘carnale’ di volerla, e lui era così, duro, orgoglioso e pieno di
pretese,
lo amava anche per questo, purtroppo.
“Due ore
all’arrivo!” esclamò una
voce metallica femminile attraverso l’alto parlante.
Bulma bevve un
sorso di caffè, si
era ormai raffreddato, aveva passato tutto il tempo a guardare fuori,
piuttosto
che a fare colazione. Sbuffò infastidita, chiese di averne dell’ altro,
ma poi
ci ripensò, avrebbe lasciato freddare anche quello di sicuro. Aprì il
computer portatile,
e si mise a rileggere il discorso scritto la sera precedente; si
meravigliò di
come avesse riassunto così abilmente certi passaggi complicati, ebbe da
correggere ben poco, e in fretta ebbe terminato anche quel ‘lavoro’,
ora non
poteva fare altro che rimettersi a pensare a quello stupido di un
alieno che
viveva con lei.
Al risveglio non
le aveva
permesso di ultimare le valigie, era una tipa diciamo… previdente e
avrebbe
voluto portar con se ricambi per almeno dieci giorni, invece che per
due. Una
donna, scienziato non poteva apparire mai con un capello fuori posto, e
poi a
lei piaceva essere guardata, era sempre stato quello il suo punto
debole. Aveva
a stento messo insieme in necessario.
Vegeta aveva
preteso attenzioni.
“Credi che ti
lasci andare così?”
le aveva chiesto inchiodandola al letto, occhi negli occhi le aveva
lasciato
capire che voleva solo farle perdere tempo, quella mattina non la
desiderava,
voleva darle fastidio e nient’altro. Gli piaceva molto vederla
arrabbiata, era
reattiva e giocare con lei aveva un gusto diverso.
Il sole che
penetrava dalla
finestra lo illuminava di taglio, i suoi muscoli levigati erano già in
tensione, e lo modellavano come un bronzo di Riace, le aveva spesso
fatto
perdere la testa a quel modo, con il solo guardarla, o il solo
sfiorarla.
“Vegeta!!!” lo aveva ammonito, ma non era quello il momento migliore
per non
capirci più nulla, “Si sono io!” le aveva risposto di rimando con fare
sfacciato prendendo a tormentarle una spalla con dei piccoli morsi. Una
mano le
teneva fermi i polsi, mentre l’altra indagava sotto la maglietta.
Sentiva su di
se il suo corpo potente e non poteva reagire, avrebbe dovuto fregarlo
con
l’astuzia, come al solito.
Aveva allentato
la resistenza e
lo aveva lasciato fare, sapeva che presto si sarebbe accorto della sua
resa, e
così era stato. L’aveva guardata malizioso, lei gli aveva sorriso, gli
aveva
gentilmente chiesto di invertire le posizioni, capitava che lui la
lasciasse
fare e così era stato.
A cavalcioni
sulla belva si
sentiva sempre molto potente, lui le aveva afferrato i fianchi e chiuso
gli
occhi attendendo qualcosa, respirava a pieni polmoni con il petto,
attraversato
da piccole striscioline rosa che, possente, si muoveva lento. Bulma si
era
avvicinata al suo orecchio e gli aveva bisbigliato dapprima delle
parole
impronunciabili, che lui e solo lui avrebbe ricordato per sempre e poi,
con suo
sommo stupore, delle cattiverie, cose che lo avevano infastidito, che
lo
colpivano nell’orgoglio; sapeva sempre dove ferire con la bocca, lei.
Fu a quel punto
che l’uomo aveva
intuito che non avrebbe avuto niente da lei, almeno non quella mattina,
che
aveva intuito il suo gioco “Vuoi solo farmi perdere tempo scimmione che
non sei
altro!” lo aveva accusato alzandosi, lui aveva preso a ridere come un
pazzo,
una risata dura e rauca “Credi di averla vinta vero?” le aveva risposto
continuando a ridere.
Era riuscita a
mettere al volo
delle cose in valigia, Vegeta non avrebbe riso ancora per molto. Si
chiuse in
bagno, e per fortuna le lasciò fare una doccia, le concesse anche il
tempo di
organizzare un beauty con il necessario da viaggio; trucchi, saponi,
acque
profumate, creme. Indossò qualcosa di
comodo, ma sensuale, una camicia rosa e un pantalone lungo e stretto,
bianco; i
suoi colleghi scienziati volevano lei non solo per la testa, anche se
sarebbe
bastata quella per metterli nel sacco, tutti.
Fuori dalla
finestra aveva visto
atterrare la navicella privata, c’era stato un momento in cui era
arrivata
quasi a pensare di abbandonare tutti e rimanere con lui; nonostante la
sua
violenza, tra le sue braccia si sentiva completa e appagata, forse le
avrebbe
concesso qualche bacio, ma Vegeta non ne era il tipo, avrebbe preteso
di più e allora
aveva accantonato l’idea dirigendosi verso la porta.
Stava
cominciando male quella
giornata, ma forse avrebbe potuto ancora recuperare.
“Un ora
all’arrivo!”
l’altoparlante la distrasse da quei pensieri, era ancora arrabbiata con
lui, ma
già le mancava, sapeva che due giorni sarebbero stati lunghi per
entrambi, per
non parlare di Trunks che era abituato ad averla sempre a casa,
fortunatamente
a lui avrebbe pensato il nonno, con suo nipote era riuscito a
raggiungere
soglie di dolcezza impensabili per un uomo di scienza.
Le balzò alla
mente la foto ingiallita
che avevano ritrovato insieme nonno e nipote nel piccolo laboratorio,
una
giovanissima se stessa e un piccolo Goku, felice e spensierato. Non
riusciva a
ricordare chi aveva potuto scattarla, ma poco importava tutto sommato.
Una
fitta allo stomaco le ricordò che le mancava quella testa a punta, ogni
giorno;
in ogni ricordo felice c’era lui, accettare la sua scomparsa definitiva
non era
stato semplice, ma per fortuna lui aveva lasciato la testimonianza del
suo
amore lì sulla terra in Gohan e Goten, due splendidi esemplari di
vitalità e in
Goten lei lo rivedeva tutte le volte, erano due gocce d’acqua. Le venne
da
sorridere.
A volte
immaginava un Vegeta
buono e gentile come il suo migliore amico, ma poi ci rifletteva, di
sicuro non
le sarebbe piaciuto come le piaceva ancora quel rude principe alieno.
“Non penserai
che sia finita
qui?” le aveva chiesto poche ore prima, ringhiando, mentre lei, con
passo
rapido aveva provato a svignarsela. Lui l’aveva raggiunta alle spalle
con un
balzo e l’aveva costretta con il viso sulla porta. Il suo fiato le
aveva
riempito le orecchie “Vegeta su, devo andare, sarò di ritorno fra un
paio di
giorni!” aveva provato a convincerlo, inizialmente senza risultato “Non
farmi
venire lividi sul viso altrimenti..!” “Cosa?” aveva risposto lui
mettendo su
quel suo ghigno malefico che lei amava tanto quanto odiava “… mi
faresti fare
delle figure orribili alla convention, sai quanto ci tengo!” “Quanto ci
tieni a
mettere la mercanzia in mostra eh!?” le rispose tormentandole i seni da
sopra
alla camicia “Non fare il geloso!” era riuscita a girarsi mentre lo
diceva, ora
erano nuovamente occhi negli occhi, a pochi centimetri l’uno
dall’altro,
respiro dentro respiro “Valgo più io che tutta quella banda di
spocchiosi messi
insieme!” aveva ruggito sulle sue labbra, sapeva bene che così lo
avrebbe
innervosito, odiava quando lei gli attribuiva sentimenti umani insipidi
quali
la gelosia, a quella frase infatti risero insieme, lei divertita, lui
un po’
meno.
I loro occhi si
agganciarono in
punto imprecisato tra il naso e la fronte, nessuno dei due fece un
passo verso
l’altro. “Ti diverti a darmi fastidio vero?...” gli chiese “… dopo
tutti questi
anni ti diverti ancora un mondo!” sorrise terminando, lui le baciò le
labbra,
non sapeva mai cosa risponderle e l’unico modo che conosceva per
zittirla era
quello.
Fu un bacio
casto.
A rimbombare
nell’aria erano solo
i battiti di due cuori affannati “Devo andare!” “Non così presto!” la
interruppe lui facendola aderire a se e alla porta. Nel frattempo
dall’esterno
si udirono i passi di qualcuno che si avvicinava, probabilmente stavano
arrivando
a prendere i suoi bagagli, doveva districarsi in fretta da questa
situazione
complicata.
“Facciamo un
accordo…” gli
propose.
Aveva il fiato
spezzato per la
pressione contro la porta, e un timore stava salendo a galla: di li a
poco
avrebbe ceduto alle sue avance. Vegeta prese a baciarle il collo
alternando
baci e morsi lievi, se avesse potuto se la sarebbe mangiata sul serio.
“Cosa aspetti,
prosegui!” la
esortò, sapeva che così facendo le faceva perdere il tempo e la testa,
ma
quella mattina Bulma era irremovibile, le era venuta un’idea malsana “…
se mi
lasci andare ora… al mio ritorno…” allungò la bocca verso il suo
orecchio per
poter essere più sensuale possibile “… ti farò godere così tanto da
farti
gridare il mio nome!” sentì il cuore dell’alieno perdere un battito,
poi lo
vide allontanarsi dal suo collo e sorridere “Mi ricatti con il sesso
ora?”.
Sentì la sua presa allentarsi per un attimo prima di diventare ancora
più
forte, allora gli rispose “Nessun ricatto, è una promessa!” gli baciò
il mento
dolcemente.
Si persero
ancora una volta l’uno
negli occhi dell’altro, pece liquida e un mare cristallino che si
incontravano
e si cozzavano dentro e fuori. “Vedremo chi dei due griderà più forte!”
la
minacciò lasciandola andare del tutto. Le concesse solo un ultimo
sguardo prima
di dirigersi verso il bagno, poi riprese a ridere. Aveva calcolato ogni
singolo
secondo quell’uomo, perché nell’attimo in cui si chiuse la porta la
voce del
pilota echeggiò per la casa “Signora Brief, siamo pronti alla partenza!”
“Signora Brief,
siamo arrivati!”
Bulma distolse
lo sguardo dal
finestrino, quella voce l’aveva riportata alla realtà, non si era
nemmeno resa
conto che la navicella era atterrata, non stava cominciando bene questa
settimana lavorativa, proprio no.
Si riscosse dai
pensieri e gli
sorrise. Il Villaggio della Scienza era davvero enorme, un posto in cui
le
scoperte erano all’ordine del giorno, mise un piede sull’asfalto e
respirò a
fondo. Avrebbe dato il meglio di se!
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“La mamma uscirà
in tv oggi
pomeriggio Trunks, ti va di vederla vero?!” il nonno Brief, con la sua
solita
sigaretta attaccata ai baffi, e voce dolcissima, stava portando il
nipote con
se nei laboratori per continuare il lavoro di smantellamento iniziato
da giorni.
Il bambino aveva
pianto un po’
per l’assenza improvvisa della madre, ma si era subito ripreso grazie
ad un
nuovo giocattolo super tecnologico che lo scienziato gli aveva appena
regalato.
Si trattava di un grandioso dinosauro verde, cavalcabile, che
rispondeva ai
suoi comandi, solo a quelli del bambino. Bastava poco per farlo felice
e quando
sorrideva chiunque si scioglieva. Chiunque tranne suo padre,
ovviamente.
Vegeta si
trovava di passaggio in
cucina proprio in quel momento, e allungò l’orecchio quando sentì il
bambino
frignare. ‘Se fosse stato sul pianeta Vegeta a questa età sarebbe nel
deserto a
combattere contro la fame, la sete e una buona dose di mostri letali!
tsk!’
storse il naso alla sua vista, raramente aveva provato sentimenti
d’affetto nei
confronti di quell’essere messo umano.
Per quanto
riguarda l’altra
notizia, pensò che forse la donna avrebbe parlato di quelle sue
ricerche
intergalattiche che tanto gli erano interessate. Fra quelle carte, il
giorno
prima, aveva trovato la risposta ad alcune domande che si poneva da
sempre, o
meglio, da quando era stato costretto sulla Terra da una serie di
fattori
esterni, quali la morte di Freezer e la sfida aperta con, l’ormai
defunto,
Kakaroth, una morte che anche lui ancora non aveva accettato, il suo
unico
rivale rimasto se ne era andato e tutto stava diventando noioso e
ripetitivo.
“Vegeta!” la
voce del vecchio lo
fece voltare, da dolce era diventata seria. Quell’uomo gli parlava
raramente,
ma quando lo faceva era sempre per dirgli qualcosa che poteva
interessarlo sul
serio, stimava la sua intelligenza, e l’abilità che aveva avuto nel
dare alla
luce una femmina perfetta. Si scrutarono per un istante brevissimo, poi
il
dottor Brief parlò sostenendolo “Stasera Bulma esporrà in diretta della
nostra
ricerca… vieni ad ascoltarla, potrebbe interessarti!” Vegeta trasalì,
che
avesse capito qualcosa anche lui? Si trattava di un consiglio fin
troppo
esplicito.
Si degnò di non
rispondergli,
come al suo solito, ma era bastato uno sguardo tra i due per
intendersi. Se ne
avesse avuto voglia, sarebbe passato per il salotto; lì, lui e sua
moglie,
avrebbero ammirato la loro figlia geniale ‘esibirsi’ in diretta
mondiale.
Che donna! Pensò
fra se.
Non avrebbe
potuto trovarne una
migliore in tutta la galassia, lo sapeva benissimo, aveva cominciato a
capirlo
fin da subito; eppure doveva allontanarsi da lei, quella droga che gli
iniettava ogni volta che lo baciava stava diventando letale.
Quale folle lo
avrebbe accolto
fra le sue mura? Quale folle lo avrebbe affrontato così apertamente,
faccia a
faccia ogni giorno? Non aveva forza fisica, ma una forza mentale che lo
spiazzava giorno dopo giorno. Anche quella mattina, lo aveva raggirato,
solo in
parte l’aveva lasciata fare. Quella sua lingua tagliente lo faceva suo
in poco
tempo. Si era divertito un po’ con lei
semplicemente perché adorava tenerla sulle spine, le aveva concesso fin
troppo
la sera prima, tutta quella intimità così familiare non poteva durare
ancora
per molto, non era uno stabile lui. Da sempre nomade, aveva vissuto in
giro per
la galassia, tutti quegli anni sulla Terra lo stavano rovinando,
pensava.
Tutta quella
rabbia accumulata lo
stavano macerando dentro. L’amore di ‘lei’ non poteva bastargli, non
gli
sarebbe mai bastato, almeno questo era quello che ripeteva a se stesso
ogni
santo giorno.
Ma poi l’amore
che cos’era?
Non si vive di
sentimenti, un
sayan non vive di sentimenti, ma di
guerra, conquista e odio. Espansione coloniale e sviluppo della razza.
Nient’altro.
Da quanto non
uccideva qualcuno?
Un tempo il
sangue chiamava altro
sangue, ora solo l’apatia avvolgeva il suo sayan interiore.
Tra le carte
stellari di quella
donna era riuscito a leggere qualcosa che aveva risvegliato il suo lato
animalesco.
Forse, oltre quel cielo che vedeva fuori dalla finestra della sua
spoglia
stanza terreste, qualche altro sayan era alla ricerca dei suoi simili,
e forse,
aveva capito come raggiungerlo. Il principe sopito stava risvegliandosi
per
tornare all’attacco, era vivo dentro lui prepotentemente. Il sangue
reale aveva
cominciato a pompargli forte nelle vene quella notte precedente. Una
notte che
non avrebbe dimenticato, una notte in cui una fiammella si era accesa
nell’oscurità
di quella galassia.
Bulma, un’altra
galassia
incredibile, aveva dormito fra le sue braccia, il suo respiro leggero
lo aveva
cullato, mentre vigile aveva vagato con la mente nello spazio, fra le
stelle, individuando
forse il punto in cui loro lo stavano aspettando, perché i sayan sono
fedeli
alla corona e nulla possono, o riescono, senza un comandante.
L’aveva
desiderata, quasi tutta
la notte, aveva finto di non volerla per non cedere ulteriormente a
quel corpo
così perfetto che, ad un tocco più forte si sarebbe potuto spezzare.
Fra una
fantasia legata al ritornare principe, ne susseguiva una legata alle
gambe di
quella terrestre e si era odiato profondamente per questo. Per questa
sua
futile debolezza. Avrebbe potuto portarla con se, ma lei non avrebbe
mai
abbandonato né la sua famiglia, nè quel mezzosangue nato da una notte
di
passione fin troppo focosa.
Reagiva male
quando i
‘sentimenti’ di cui tanto Bulma vociferava, lo assalivano, si
presentavano a
lui come realtà tangibili ed esistenti. Reagiva male, e doveva darle
fastidio.
Volentieri le avrebbe fatto far tardi, molto più tardi, fino a
costringerla a
letto sotto la sua forza, fino a farle gridare sul serio il suo nome,
fino a
farle rompere la voce facendole raggiungere l’apice del piacere, ma
alla fine
aveva ceduto alla sua sensualità.
Riusciva a
prenderlo sempre nell’
orgoglio, e per la cintura.
“Ti adoro!” gli
diceva quando
sapeva che ‘Ti amo’ non gli sarebbe andato a genio.
L’intera
giornata l’aveva passata
nella Camera Gravitazionale, asettica e fredda come d’altronde era la
sua
camera, ma l’unico luogo dove la sua forza poteva esprimersi al cento
per cento
e dove, con il sudore, andavano via anche certi pensieri legati a lei.
Anni in
quella casa e quel corpo di donna, perfetto, lo facevano ancora
dannare.
Durante le fasi lunari la situazione peggiorava, Bulma sapeva che era
meglio
non farsi trovare in quei giorni, il taglio della coda non aveva
eliminato ‘quel
se stesso’, lo aveva solo incatenato infondo al suo petto, al suo
stomaco.
Decise di uscire
da lì solo
quando sentì che i muscoli stavano per esplodere, nel momento in cui il
suo
corpo cedeva, lo spirito si rinforzava. Ponderare con il sudore che gli
scorreva sulla pelle lo portava quasi sempre alle scelte più giuste.
Aveva un
nuovo scopo ora, ritrovare gli ultimi della sua razza, ciò implicava
andare via
da lì per sempre, era arrivato il momento.
Era deciso.