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Autore: ailinon    10/06/2008    3 recensioni
Nel lontano rinascimento, un ragazzo con una grande e sola passione: la poesia e la lettura.
La sua vita a Firenze, lo condurrà a conoscere molti personaggi importanti.
Dalla sagace intelligenza di Pico, alla filosofia di Marsilio.
Dalla gioia di vivere di Giuliano de Medici, alla grandezza di Lorenzo il magnifico, suo fratello.
Fino alla superbia della famiglia de Pazzi.
Ma uno su tutti saprà cogliere l'essenza del suo animo...
Genere: Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rinascimento
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Capitolo 2 – IL SERVITORE DEL CUSTODE

Capitolo 2 – IL SERVITORE DEL CUSTODE

 

«Ancora tu!» sbraitò la capocuoca, osservando con occhio critico il ragazzino ossuto fermo davanti a lei.

Erano nell’anticamera che dava alle animate cucine della villa.

«Sei incorreggibile Angelo! Ogni volta che il signore organizza qualche convivio, tu te la svigni come un ladro!»

«Io…» prima di riuscire a parlare, la fantesca che lo aveva scoperto gli rifilò uno scapaccione dietro la testa.

«Zitto! Non parlare se non sei interrogato!»

Il fanciullo, che non doveva avere più di tredici anni ma che a causa della magrezza ne dimostrava molti di meno, si azzittì, chinando di più il capo.

La capocuoca, dall’aspetto grosso e rubicondo, si piantò le mani sui fianchi: «Non sei stato accettato qui per passare il tempo a far nulla! Guardati! Invece di ringraziare il signore che ti ha accolto qui con benevolenza malgrado fossi solo un orfanello lasciato allo spedale degli innocenti[1], non fai nulla! Sei solo un ingrato!»

Il ragazzino storse la bocca in una smorfia muta.

 «Che c’è ora? Parla, avanti!» sbuffò la rotonda donnetta, battendo un piede per terra.

Angelo alzò il viso, acceso dallo sdegno, e disse: «Io volevo solo ascoltare la poesia!»

La cameriera dietro di lui rise: «Poesia! E che se ne fa un insettino come te di ascoltar poesia?! Non sai che la poesia è per animi nobili?! E’ mica per gente come noi!»

 L’espressione del tredicenne s’incupì ancora di più, mentre la fantesca continuava la sua predica su quello che poteva e non poteva fare un servitore.

La capocuoca, nel mentre, studiò la figuretta davanti a lei.

Angelo, chiuso in una casacchetta logora, taceva.

Era davvero un bambino ostinato. Né la penitenza del digiuno, né la frusta, né la solitudine sapevano togliergli dalla testa quest’idea di non lavorare per seguire i convivi del loro signore, messer Lorenzo de Medici.

D’improvviso le venne un’idea e sorrise. Si chinò un poco verso l’altezza del bambino. La sua pancia rotonda sporse verso il basso. «So io cosa fare di te! Visto che ci tieni così tanto a seguire la poesia e i libri, ti manderò dal nuovo custode che ha assunto ser Lorenzo per il suo palazzo dei libri a Firenze!»

Angelo sgranò i grandi occhietti verdi dalla sorpresa. Lo avrebbero mandato a lavorare alla biblioteca di ser Lorenzo?! Era una notizia… Bellissima!

«Da ser Goffredo de Belardi?!» esclamò la fantesca con una curiosa voce allarmata.

Fissò Angelo, poi di nuovo la cuoca.

«Sei sicura?»

Le due donne si tirarono in disparte, confabulando in modo vistoso. Lo ignorarono.

Quindi la cuoca decretò: «E’ deciso! Domani andrai a Firenze con gli altri servitori. Stasera parlerò con il capo della servitù, e per domani tutto sarà pronto!»

***

Angelo non sapeva se sorridere o piangere al lasciare quella bella villa immersa nel verde della campagna toscana.

Da quando era piccolo non aveva visto altro che lo spedale degli innocenti, dove era stato abbandonato, e poi la villa.

In fasce era stato abbandonato davanti all’ospedale fatto costruire dai mercanti della seta, poi più nessuno era venuto a reclamarlo. Era stato dimenticato. Così i buoni frati che lo avevano cresciuto, lo avevano fatto diventare un servitore. Un mestiere qualunque, per poter sopravvivere anche da solo. Così era finito in quella villa, e adesso se ne stava seduto in un angolo di quel carretto saltellante, con le gambe sottili che penzolavano all’infuori.

Guardando davanti a sé, seduto con le altre decine di servitori, poteva vedere la bella villa allontanarsi lentamente; e più avanti, dietro le sue spalle, una lunga strada dissestata che si perdeva tra i colli, e che lo conduceva a Firenze.

***

Un servitore di nome Bruno fece scendere Angelo dal carro, poco lontano dal Duomo di Firenze, con la sua immensa cupola sospesa sopra al cielo. Lo condusse lungo la via straripante di gente, costringendolo a seguire il suo lungo passo deciso. Il ragazzino scansava a fatica la gente che si affollava nelle strade.

In ogni angolo c’erano botteghe e mercanti che urlavano e mostravano la loro mercanzia.

Ricordava vagamente la città di Firenze come un luogo caotico ma, non lo rammentava così pullulante di vita!

Quanto era cambiata la sua Firenze!

Seguendo il cameriere, Angelo girò in piazza san Lorenzo, e poi entrò in un piccolo vicolo laterale della chiesa dalla facciata semplice e spoglia

Il palazzo che si presentò davanti a lui, era incastrato tra le case e il luogo sacro. Era un normale edificio nobiliare all’esterno ma, l’interno invece era in netto contrasto con le animate e rumorose vie della città. Immerso nella quiete del chiostro della vicina chiesa, il palazzo sembrava addirittura vuoto e isolato.

«E’ qui che dovrò lavorare?» domandò Angelo, non resistendo all’impulso di interrompere il mutismo del suo accompagnatore. Il vecchio servitore, sulla cinquantina, lo guardò con volto severo: «Esatto Sempre ammesso che tu vada bene a ser Goffredo! E’un tipo molto difficile. Vedi di fargli una buona impressione»

Angelo annuì, un po’ intimidito.

Dopo aver parlato con una serva, i due attesero, per un breve momento, nel chiostro silenzioso.

Tutto era sereno e tranquillo, fin quando non udirono dei passi risuonare lungo lo scalone che scendeva dai piani superiori.

Quel lento scandire di battiti fuori tempo, ingigantì l’attesa del bambino, rendendolo ansioso.

Poteva notare la stessa emozione nel volto dell’anziano accanto a lui.

Ormai aspettava di vedersi comparire davanti un gigante, o un demone dall’aspetto feroce. Invece emerse, dall’angolo del pianerottolo, un uomo claudicante, dall’altezza normale.

Il ragazzo quasi sospirò.

Era solo un uomo. Aveva sulla quarantina d’anni. Indossava una lunga tunica amaranto a coprire le gambe, probabilmente una più lunga dell’altra. Camminava appoggiato ad un bastone nero e, malgrado questo, il suo aspetto non appariva meno severo e imponente.

Squadrò i due di fronte a lui poi, appoggiandosi al bastone, chiese: «Cosa mi hai portato, Bruno?»

 «L’aiutante che mi aveva chiesto per spostare i libri, ser…» balbettò l’anziano, togliendosi il cappello in segno di deferenza.

Angelo osservò stupito il modo in cui l’anziano torceva il capello tra le mani rugose. Benché fosse più anziano di Goffredo de Belardi, sembrava a disagio. Sembrava averne paura.

 «E mi hai portato, lui?!» proseguì il quarantenne, indicando Angelo.

Questi sussultò, riscuotendosi dai suoi pensieri.

 «Sì, ser. E’ giovane! Vedrete che vi sarà di aiuto a…»

Goffredo si avvicinò con incredibile velocità, malgrado il bastone, ed afferrò il braccio del ragazzino, mostrandolo al servo. «E’ un mingherlino senza muscoli! Come potrà spostare i libri al mio posto? Me lo dici?!...»

Bruno tacque e Goffredo lasciò il braccio del ragazzino, sbottando: «Tsè! Inutile!»

 Il tredicenne che fino ad allora aveva taciuto, osò aprir bocca: «Signore… Se sono libri… Posso farcela» affermò.

Goffredo e Bruno si voltarono a guardarlo.

La parola libri aveva dato nuovo coraggio al giovinetto, scaldandogli le gote e illuminandogli le iridi.

«Come?!» chiese il custode del palazzo.

«Se sono libri posso farcela» ripeté Angelo con più vigore.

I due, si guardarono negli occhi, e il Belardi vi lesse un ardore sconosciuto.

Quel viso, che pochi secondi prima era alquanto anonimo e smunto, come le pezze che indossava, ora brillava di nuovo calore, ravvivando la sua stessa espressione. Rendendola intelligente. Bramosa. Ardente.

 Goffredo si fece indietro, pensieroso.

Si voltò, dando le spalle ai due e chiese: «Sai leggere?»

«Si»

«E scrivere?»

«Un poco…» tentennò. Era da tanto che non scriveva.

L’uomo voltò il viso, duro, e lo guardò da sopra una spalla. Simile ad aquila che studia la sua preda. Il naso dritto e fiero; i capelli castani un po’ stempiati sulla fronte decisa.

«E il greco?»

Angelo chinò il capo: «No, ser»

Un pesante silenzio fermò la scena in un attimo lunghissimo.

Il ragazzino, contrito per la sua ignoranza, taceva, chino. L’altro lo studiava ancora. Quasi senza batter ciglio.

Fu Bruno a interrompere il silenzio: «Messer Belardi… Nessuno dei servi conosce il greco! E molti neanche il latino. Abbiate da provarlo. Se non vi aggrada ce lo rimanderete»

 Il custode serrò la bocca in una linea dura e sottile. Studiò ancora il ragazzino che gli avevano mandato. Con il suo capo bruno e quegli arti smilzi, chiusi in stracci orripilanti, era del tutto inadeguato a quel luogo!

«Va bene! Lo terrò!»

I due servitori sospirarono di sollievo.

 «Ma se sbaglia qualcosa non esiterò a cacciarlo! Fatelo sapere a messer Lorenzo! Se vuole che questo posto funzioni, ci vuole gente che sappia il fatto suo!»

«Ma certo, ser Belardi! Lo dirò di sicuro al signore!» ansimò il vecchio, profondendosi in ampi inchini, con ancora il cappello tra le mani.

 «Tu! Con me!» ordinò Goffredo, incamminandosi senza aspettare la risposta del ragazzino.

Angelo guardò per l’ultima volta l’anziano servitore, poi corse dietro al suo nuovo padrone.

***

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Spedale degli Innocenti si trova in Piazza Santissima Annunziata a Firenze. Fu il primo orfanotrofio d'Europa e una delle prime architetture rinascimentali. Lo Spedale degli Innocenti, fu attrezzato per risolvere razionalmente il dramma dei bambini abbandonati. Fu costruito su progetto di Filippo Brunelleschi a partire dal 1419 per volontà dell'Arte della Seta come istituto di beneficenza e assistenza all'infanzia.

In antico i piccoli venivano lasciati presso la pila dell'acqua santa, posta all'estrema sinistra del porticato, poi sostituita da una ruota girevole in pietra, la cosiddetta "rota", restata in uso fino al 1875. Le madri disperate potevano così appoggiare i loro figli (i gettatelli), girare la ruota e suonare la campanella, facendoli entrare al riparo senza essere viste. Spesso lasciavano delle lettere o dei ricordini insieme ai neonati. Molto frequentemente si trattava di medaglie spezzate, con le quali si sperava di ottenere un ricongiungimento con i figli in tempi migliori.

   
 
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