Il paesaggio scorreva lentamente, assomigliava un po' a quello che
Cate aveva già visto in uno dei suoi primi viaggi in Italia, nel regno Sabaudo,
tranquille e ordinate risaie e ogni tanto un piccolo villaggio o un insieme di
capanne.
Così quello era il Giappone. Sporse il naso fuori della portantina, suo padre a
cavallo, i 4 carri con le merci e i doni per il suo vecchio amico.
Erano partiti da Venezia quasi due anni prima, poco dopo la morte di suo
fratello Marco durante la battaglia di Lepanto. Ecco, al solo pensiero le erano
salite le lacrime agli occhi, le respinse subito, con un moto di rabbia!
Già. Doveva essere il "suo" viaggio di istruzione per prendere le
redini dei commerci familiari e non il suo. Ma suo padre era stato
irremovibile: -Non venderò le licenze a nessuno!la nostra famiglia commercia
con l'oriente dai tempi dei Polo, non sarà la mancanza di un figlio maschio ad
impedirmi di continuare l'attività!-
D'altronde, Cate aveva studiato con il fratello e aveva intelligenza e bellezza
da vendere, cosa che nel commercio non guastava mai, e in più aveva imparato un
poco di giapponese e cinese dai vecchi servitori di casa, soprattutto da Kento
che da anni era il servitore e amico più fidato del padre.
Caterina Farsetti Cornaro si chiese quanto mancava alla residenza dell'amico di
suo padre. Erano sbarcati una settimana prima in una cittadella chiamata Edo ed
erano in viaggio da circa due giorni.
Kento aveva predisposto ogni cosa per il viaggio. La guerra fra daimyo aveva
reso quella terra preda di bande di briganti e predoni. Solo la portantina di
Cate era circondata da ben 4 guardie a cavallo con tanto di archibugi e di
nuovissimi moschetti. Ogni carro aveva altrettanta scorta. Trasportavano
tessuti da Como e Firenze, raffinate suppellettili in vetro da Murano, spezie
dalla Cina e dall'India, essenze dalla Francia. E ovviamente l'arpa di
Caterina, strumento dal quale mai si separava e che suonava, da quando aveva 6
anni. Durante i lunghi trasferimenti per terra e per mare, sempre Cate aveva
suonato, e spesso quando avevano fatto tappa in qualche città, il signore del
luogo aveva chiesto a Cate di suonare. E tutti erano rimasti incantati da tanta
bravura e avevano fatto prezzi migliori a suo padre.
Sul cavallo del padre, poi, erano state messe le preziosissime lame spagnole,
che aveva fatto fare a Toledo da un artigiano che conosceva personalmente, per
il signore ed i suoi figli.
-Siamo arrivati!-Kento scostò la tenda e guardò la sua padroncina. Aveva
compiuto da poco i 19 anni ed era di una disarmante bellezza. Solo i capelli
erano una rarità, di quel rosso particolare reso celebre da un pittore di cui
avevano qualche quadro in casa, a Venezia e anche nella villa su nel bellunese.
Capelli così in Giappone, non se trovavano e neanche di occhi color giada.
-Finalmente!-sospirò Caterina, non ne poteva più, avrebbe preferito cavalcare a
fianco di suo padre, ma glielo avevano sconsigliato. In Giappone le donne non
godevano della libertà relativa che potevano avere in Europa. Kento le aveva
spesso riferito che non credevano possibile che ci fosse una donna a capo del
Regno di Inghilterra. Era inconcepibile per loro.
Da lontano videro avvicinarsi delle figure a cavallo, suo padre aveva fatto
fermare la carovana ed era sceso dal suo destriero. Cate non riusciva a vedere,
intravedeva il mantello di suo padre e altre figure, c'erano i carri davanti
che le impedivano la vista. Stava per scendere quando Kento le aprì il
portellino della portantina e le disse solo due parole, nell'aiutarla a
scendere -Ricordati quello che ti ho insegnato!-
Cate mise il piede sulla scaletta e scese, aiutata dal suo servitore. Fece
subito un bel inchino, come le era stato insegnato e rimase ferma, a capo
chino.
-E così tu sei la piccola Caterina- una voce con un curioso accento la invitò
ad alzare gli occhi-Sono passati molti anni da quando ti ho vista a Venezia
Caterina-chan.-
Cate alzò gli occhi verso quella voce gentile, un bel uomo, imponente e fiero,
con uno splendido kimono bianco le stava sorridendo. Aveva lunghi capelli
argentati e occhi color ambra.
-Grazie, Mio signore- disse sfoggiando il suo giapponese con grazia.
Ma quello che fece sussultare Cate, fu il giovane al suo fianco.
Aveva gli stessi occhi dorati e gli stessi capelli ma un espressione
indecifrabile sul volto, un misto di arroganza e freddezza, ma era
indubbiamente bello, molto bello, pericolosamente bello.
-Caterina questo è Sesshomaru, il figlio maggiore del nostro ospite- Caterina
lo guardò con un lampo rapido negli occhi, poi memore degli insegnamenti di
Kento, accennò un lieve inchino.
-Molto onorata Sesshomaru-sama- Disse lei, cercando di pronunciare ogni parola
alla perfezione
Il ragazzo non rispose, ma fece un lieve cenno con il capo, alzando le
sopracciglia.
-Se il buon giorno si vede dal mattino...-pensò Caterina mentre prendeva affettuosamente
il padre sottobraccio.
-Il viaggio è stato lungo, ma siete arrivati. Le vostre stanze sono pronte. Manca
poco alla mia dimora-
-Padre permettetemi di cavalcare ora che siamo arrivati, non ce la faccio più a
stare seduta-chiese Cate, nonostante l'occhiataccia di Kento.
-Come vuoi mia cara. Kento porta il cavallo di Cate- Non senza una seconda
occhiataccia il buon servo andò a prendere il cavallo della ragazza, che era
legato dietro ad un carro.
Cate salì agilmente e rise dentro di se scorgendo lo sguardo di stupore fra i
servi che avevano accompagnato il loro ospite, ma non le sfuggì lo
sguardo di palese indifferenza che Sesshomaru le aveva rivolto mentre saliva a
cavallo.
-Vieni Caterina-chan, cavalca al mio fianco e conversiamo nella tua bella lingua-
Inu No Taisho sorrise nel vedere la faccia del figlio maggiore, mentre Caterina
si affiancava.
Cominciarono a conversare amabilmente, mentre le porte della grande dimora si
avvicinavano.