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Autore: captainhyuga    14/02/2014    3 recensioni
"Tutti hanno sempre trovato delle somiglianze tra noi. Io invece, ho sempre pensato che ci fosse una grande differenza tra quel coraggio e quello spirito estremamente competitivo e combattivo che dicevano avessimo in comune. Perché io li avevo appresi a parole e sul tatami, tu dalla vita. Pochi hanno capito che quell’apparente somiglianza tra me e te, altro non era che il mio tentativo di essere come te."
"Più mi tenevi testa, ed eri l’unico sulla faccia della terra, più ti ammiravo. Quando lo facevi tu, non so perché, riuscivo a sopportarlo, come se fosse la prova che eri simile a me. E ne ero felice. Tu hai deciso che sarei diventato il tuo Capitano solo dopo essere stato sconfitto… e non sapevi nulla di me, della mia vita. Ma l’hai accettato solo perché ho dimostrato di avere il tuo stesso spirito: quello di un orgoglioso combattente."
Ken Wakashimazu X Kojiro Hyuga: Similitudini
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Ed Warner/Ken Wakashimazu, Kojiro Hyuga/Mark
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAP 2: Capitano Hyuga
CAPITOLO 2: Capitano Hyuga



Per quanto fossero ormai diventati calciatori professionisti e di successo, e tutti lontani dai propri luoghi d'origine per buona parte dell'anno già dai tempi delle medie, né lui, Wakashimazu o Sawada avevano deciso di cambiare le loro residenze.

Dopo la vittoria al World Youth e l’acquisto da parte della Juventus, poteva dirsi finalmente benestante; eppure Kojiro Hyuga non aveva posto obiezioni quando sua madre aveva preferito che acquistassero la loro nuova casa al Meiwa. La signora Hyuga era una donna semplice, e pure se il loro quartiere non poteva certo dirsi bello, lì c’era tutta la gente con cui erano cresciuti e che era stata loro vicino nei momenti difficili, incluso quando era stata in coma all’ospedale. Un po’ rozza certo, e indurita dalla fatica quotidiana, ma schietta e di buon cuore. Proprio come erano gli Hyuga.

 
Quando Kojiro usciva tra le strade del suo quartiere, sembrava non essere cambiato nulla. Tutti lo salutavano proprio come tanti anni fa, quando vedevano passare il bruno e laborioso ragazzino con il suo immancabile pallone al piede e i giornali sottobraccio. Certo, ora anche quelli che erano stati semplici conoscenti lo fermavano per strada. Gli chiedevano autografi, di fare una foto insieme; ognuno aveva sempre un fatto o un aneddoto da ricordare. Ma non si sentiva una celebrità. Ed era incredibile come si sentisse ancora tanto a suo agio, quando la sera andava a bere una birra all’izakaya(1) all’aperto dove aveva lavorato tante notti fino a tardi; al punto da aiutare i ragazzi a sgombrare le casse di birre alla chiusura.

Per quanto in Italia si fosse adattato benissimo, nonostante le difficoltà iniziali, non vedeva l’ora che il campionato finisse, rientrare a casa dai suoi cari e godersi quel breve periodo di vacanza a disposizione prima del ritiro e della partenza per il Messico con la selezione olimpica.

 

Dopo aver terminato la sua telefonata, quella mattina un po’ piovosa del sette luglio, Kojiro per distrarsi era andato in giro con sua madre e Naoko per acquistare uno yukata per sua sorella. Finalmente, dopo tanto tempo, la sua famiglia quella sera si sarebbe goduta la Festa delle Stelle in tutta serenità.

Rientrati a casa, Naoko aveva tormentato i suoi fratelli affinché preparassero con lei i tanzaku, cercando di estorcere loro qualche confessione su eventuali fidanzate. Infine la ragazzina ammise, con un pizzico di sfacciataggine, che invece lei ce l’aveva un ragazzo che le piaceva, ottenendo finalmente una reazione da parte dei due riservati e gelosi fratelli maggiori, pure se non fu quella sperata! Era diventata proprio tremenda!

“E’ inutile che neghi Ko! Confessa! Tanto lo so! Cosa ci sei andato a fare a Yokohama appena tornato dall’Italia? E quei viaggetti ad Okinawa?”

“E tu che ne sai di Okinawa?” sussultò Kojiro, colto sul fatto.

“Me l’ha detto Takeshi!”

“Take… Takeshi? E da quando in qua Sawada ora è per te Takeshi?” esclamò Kojiro, mettendo per un secondo da parte gli istinti maneschi nei confronti di quella “bocca larga” del suo amico, per farsene venire altri, ben più pericolosi!

La ragazzina arrossì violentemente e Kojiro ingaggiò una lotta scherzosa con lei, proprio come quando erano piccoli, sotto gli occhi divertiti della madre e dei fratelli. Sì, era gelosissimo della sua Naoko, ma tutto sommato… se quella simpatia tra il suo amico fraterno e la sua sorellina era destinata a crescere, non poteva desiderare di meglio per lei.

“Bene. Mi sa che sarai tu a confessarmi qualcosa più tardi, ragazzina!” disse, ponendo fine alla questione.

Kojiro poi prese distrattamente un tanzaku dal tavolo, intinse il pennello e vi scrisse sopra qualcosa.

“Ehi! Dai, fammi vedere cosa c’è scritto!” esclamò Naoko che, sveglia come sempre, si era accorta dei movimenti furtivi del fratello sul tavolo.

“Niente che ti interessi. Guarda, è uscito il sole!” rispose Kojiro, indicando la finestra e distraendola.

“Evviva! Così Orihime e Hikoboshi potranno rivedersi! E i nostri desideri si realizzeranno!” disse saltellando la ragazzina.

 
“Ok io esco, ci vediamo più tardi!”

La signora Hyuga salutò Kojiro con il suo dolce sorriso. Conosceva bene suo figlio ed ormai sapeva che aveva bisogno dei suoi momenti di solitudine, per quanto amasse stare con i suoi cari. Era sempre stato così; e poi, quand’era morto suo padre, per tanto tempo non aveva avuto più un momento per se stesso. La sua naturale aggressività era cresciuta di pari passo con la sua introversione e la sua diffidenza. Poi, per fortuna, col tempo aveva mitigato certi aspetti del suo carattere e fatto emergere di nuovo la sua parte migliore, palesandola anche agli altri, e non solo alla ristretta cerchia della sua famiglia. Ma Midori(2), per quanto amasse suo figlio incondizionatamente, era consapevole che Kojiro non fosse una persona semplice. E per stargli accanto, bisognava essere pronti ad affrontare quasi una battaglia a volte, o a saper tacere e accettare, cosa non meno difficile.

Ma nonostante la sua indole, Kojiro era un gran ragazzo, con una forza d'animo irriducibile. Nonostante tutti i problemi e la sorte avversa, non si era mai lamentato o scoraggiato, e si era sempre preoccupato e preso cura di loro. Con i primi soldi guadagnati con gli spot e l’ingaggio con la Juventus, aveva desiderato solo due cose: far costruire una tomba per suo padre e acquistare la loro nuova casa, che chiamavano affettuosamente il “castello”. (3)

“E con i prossimi soldi che guadagnerò, compreremo un castello ancora più grande”, le aveva detto prima della partenza per l’Italia.(3)

“No figlio mio. Hai già fatto abbastanza per noi. E’ ora che tu pensi anche a te stesso e che abbia un castello tutto tuo.” (3) gli aveva risposto sua madre, sperando che Kojiro cogliesse bene il significato delle sue parole.

“Cosa posso volere ancora?” diceva spesso il ragazzo in quei giorni. Nient’altro… ah, be’, diventare uno dei migliori attaccanti del mondo, certo. La strada per il vero successo era ancora lunga… ma già così poteva dirsi soddisfatto.

Mancava solo, forse, la cosa più importante… 


Kojiro era uscito portandosi dietro il tanzaku, lasciando la sorella a cuocersi nella curiosità.
Passeggiando di nuovo per quelle strade che l’avevano visto crescere, Kojiro non riusciva a sentirsi tanto diverso dal dodicenne incazzato con il mondo che le percorreva. Persino fisicamente non era tanto diverso da allora, a parte i venti e passa centimetri in più di statura e i muscoli finalmente modellati, e riequilibrati, da un allenamento vero, e non solo forgiati dal duro lavoro. Inoltre, la lotta per emergere e trovare il suo posto nel mondo pareva far parte del suo karma; da sempre, ovunque andasse, aveva trovato tanti “Meiwa”, dove aveva dovuto lavorare sodo per dimostrare il suo valore. Incluso alla Juventus, dove sperava di rientrare presto dopo il positivo prestito alla Reggiana.

Rispetto a quei tempi era però meno solo. Dal campionato nazionale delle elementari in poi, con gli anni aveva capito di non essere circondato solo da nemici, e che l’amicizia, quella vera, esisteva anche per lui.

Un bel passo avanti per il tipo che era. Perché il carattere di Kojiro non era diventato così solo per le tristi e difficili vicende vissute in tenera età. L’essenza più intima di Kojiro aveva in sé la stessa forza del tifone che affrontò ad Okinawa quando scappò da scuola ai tempi delle medie. Pulsioni, istinti, pensieri e sentimenti così potenti e complessi, di cui Kojiro stesso aveva paura a volte; paura della loro forza totalizzante e a volte ingestibile. E che, inevitabilmente, rendevano difficile anche la vita di chi decideva di stargli accanto come amico, o altro. Eccetto forse, a chi aveva un animo così simile al suo, dal non limitarsi solo ad accettarlo e comprenderlo pazientemente… ma a sentirlo.

 
MEGADETH – Tornado Of Souls

This morning I made the call  (Questa mattina ho fatto la telefonata)
The one that ends it all  (Quella che ha posto fine a tutto)
Hanging up, I wanted to cry  (Riagganciando, volevo piangere)
But dammit,  (ma, dannazione)
this well’s gone dry  (queste sorgenti sono diventate secche)
Not for the money,  (non a causa dei soldi)
not for the fame  (non a causa della fama)
Not for the power,  (non a causa del potere)
just no more games 
(ma solo perché non si poteva più giocare)

But now I’m safe in the eye of the tornado   (Ma ora sono salvo nell’occhio del tornado)
I can’t replace the lies, (Non posso sostituire le bugie)
that let a 1000 days go (che consentono a mille giorni di andare avanti)
No more living trapped inside (Non ci sto vivendo più intrappolato dentro)
In her way I’ll surely die (Nella sua strada morirò sicuramente)
In the eye of the tornado, blow me away  (Nell’occhio del tornado, volerò lontano
)

You’ll grow to loathe my name   (Potrai crescere e detestare il mio nome)
You’ll hate me just the same   (Mi odierai per lo stesso motivo)
You won’t need your breath   (Non avrai bisogno del tuo respiro)
And soon you’ll meet your death   (E presto incontrerai la tua morte)
Not from the years,   (Non per colpa degli anni)
not from the use  (non per come hai usato la tua vita)
Not from the tears,  (Non per le lacrime)
just self abuse  (solamente per aver fatto del male a te stesso)

No more living trapped inside  (Non vi vivrò più intrappolato dentro)
In her way I’ll surely die  (Nella sua strada morirò sicuramente)
In the eye of the tornado, blow me away  
(Nell’occhio del tornado, volerò lontano)

Who’s to say what’s for me to say   (Chi può dire cosa significa per me dire)
Who’s to say what’s for me to be  (Chi può dire cosa significa per me essere)
Who’s to say what’s for me to do  (Chi può dire cosa significa per me fare)

Cause a big nothing it’ll be for me  (Perché tutto ciò sarà un grande niente per me)
The land of opportunity  (La terra delle opportunità)
The golden chance for me  (l’occasione d’oro per me).
My future looks so bright  (Il mio futuro appare così luminoso).
Now I think I’ve seen the light  (Adesso penso di aver visto la luce)

Can’t say what’s on my mind  (Non posso dire cosa penso)
Can’t do what I really feel  (Non posso fare cosa veramente sento)
In this bed I made for me  (In questo letto che ho fatto per me)
Is where I sleep, I really feel  (qui dove dormo, provo davvero emozioni)
I warn you of the fate  (Ti ho messo in guardia dal destino)
Proven true to late  (che si è dimostrato vero alla fine)
Your tongue twist perverse (La tua lingua gira perversamente)
Come drink now of this curse
(Vieni a bere ora questa maledizione)

And now I fill your brain  (E adesso riempio il tuo cervello)
I spin you round again  (Ti giro ancora intorno)
My poison fills your head  (Il mio veleno riempie la tua testa)
As I tuck you into bed  (Come quando ti metto a letto)

You feel my fingertips  (Senti le punta delle mie dita)
You won’t forget my lips  (Non dimenticherai le mie labbra)
You’ll feel my cold breath   (Sentirai il mio freddo respiro)
It’s the kiss of death   (È il bacio della morte)

 
***

 

KOJIRO

Sinceramente non me n’è mai fregato un cazzo della leggenda di quei due. Quasi non ricordo nemmeno il loro nomi. Quando eravamo bambini, la festa di Tanabata era la scusa per far casino alla fiera con i miei fratelli e gli altri bambini del quartiere, giocare, guardare i fuochi di artificio e mangiare a sbafo dalle bancarelle. Però ne ho un bel ricordo. Anche papà si divertiva tanto con noi e ci dava man forte. La mamma diceva sempre che doveva badare a quattro bambini(4), ma si vedeva che scherzava e ci lasciava fare. Bei tempi… che rimpiangerò per sempre, pure se, dopo tante sofferenze e sacrifici, ora posso dire di aver raggiunto finalmente un qualcosa che si avvicina alla felicità per me e i miei cari.

Poi una sera, alle superiori, ne ho parlato con lui. Doveva per forza esserci anche lui. Pure se ci siamo conosciuti dopo anni, siamo pur sempre nati e cresciuti non solo nella stessa città, ma persino nello stesso quartiere.

Me la ricordo ancora quella notte; ci trovavamo al solito di nascosto sulla terrazza dei nostri dormitori della Toho(5), a fumare e bere birra o saké un'ultima volta, prima di iniziare a dare il massimo per i campionati nazionali. Un po' brilli, avevamo i nasi in aria, a cercare invano le stelle nel cielo inquinato di smog e luci di Tokyo. A quei tempi ci sentivamo ‘grandi’ e guardavamo con sufficienza a queste feste tradizionali, dove si divertivano solo i bambini e le “donniciuole”. E poi, dopo la morte di mio padre, la Festa di Tanabata ormai non era più tra i miei primi pensieri. A cosa sarebbe servito poi portarci i miei fratelli? Sarebbe stata una sofferenza per loro girare tra tutte quelle bancarelle e non poter comprare nulla. Però la mamma non dimenticava mai di appendere i tanzaku nel nostro minuscolo giardino. Io non l’ho più fatto.

In verità non ho mai creduto in queste cose, a differenza tua, Wakashimazu; e sono sempre stato convinto che è con le nostre forze, e con la forza, che otteniamo quello che desideriamo. E quando tu, con quella tua finta noncuranza, mi hai candidamente detto - dopo esserti scolato l’ennesima tazzina di saké - che anche a te non fregava un cazzo della leggenda, ma al destino un po’ ci credevi e ogni tanto un tanzaku lo appendevi la notte del sette luglio, ti sono scoppiato a ridere in faccia per evitare di riempirtela di baci e di carezze. E, quando mi hai chiesto, guardandomi con i tuoi occhi, gli unici che riescano a sostenere il mio sguardo e farlo capitolare, se non volevo sapere quali fossero i tuoi desideri, ho chiuso frettolosamente il discorso e ricordato che era ora di rientrare nelle nostre camere, prima che i tutor si accorgessero della nostra assenza.


Dal primo giorno in cui parasti per caso la mia pallonata uscita fuori campo(6), ho provato qualcosa che ancora oggi non riesco a descrivere. Un qualcosa che, a distanza di dieci anni, ancora non mi abbandona, nonostante i conflitti, gli ostacoli, le persone, e gli eventi che hanno separato le nostre strade. E credo che non mi abbandonerà mai, per il resto della mia vita.

Sarà che io con le parole non ci ho mai saputo fare, ma forse queste non esistono per davvero per descrivere esattamente la forza di quello che ho sentito.

Ti volevo. Ti volevo a tutti i costi. Semplificando al massimo, queste sono le parole che potrebbero in parte descrivere le sensazioni che avevo provato.  Mi costava ammetterle, ma pensai che ero sempre stato un po’ prepotente e possessivo, sin da piccolo. Mi convinsi che ti volevo così tanto perché ne avevo bisogno per la mia squadra, certo, per renderla imbattibile. Pensavo fosse questo il motivo e nessun'altro... Ma sentii anche come la sensazione di non essere più solo. Ma non nel senso comune del termine. Dai tuoi occhi senza ombre, dal tuo sguardo dritto e fiero, sentii che non sarei stato più solo nel percepire e dare il mio significato alle cose e la vita.

E poi, a poco a poco, dovetti anche ammettere che mi piacevi. Più mi tenevi testa, ed eri l’unico sulla faccia della terra, più ti ammiravo. Se ai tempi l’avesse fatto qualcun altro, non garantisco che ne sarebbe uscito tutto intero. Ma quando lo facevi tu, non so perché, riuscivo ad accettarlo, come se fosse la prova che eri simile a me. E ne ero felice.

Quando ti ho sfidato in questi boschi, dove ora mi ritrovo a passeggiare, stavamo quasi finendo alle mani; e tu hai deciso che sarei stato il tuo Capitano solo dopo essere stato sconfitto… e non sapevi nulla di me, della mia vita. Ma l’hai accettato solo perché ho dimostrato di avere il tuo stesso spirito: quello di un orgoglioso combattente.


Anch’io, come te, ero sempre solo. Avevo scelto di esserlo, per tutto quello che mi era successo, e per alcune persone che ci avevano voltato la faccia. Solo dopo ho capito che per me è anche un bisogno, per rigenerare me stesso e far chiarezza in questo mio animo così difficile. Ma quando ti conobbi, ero colpito dalla tua solitudine. Per te era naturale. Io invece, devo ammetterlo, dopo un po’ ne ho paura.

 
E continuavi a piacermi sempre più, mano mano che passavano i giorni. Quando vidi il tuo corpo per la prima volta, così simile al mio, non provai quelle sensazioni di confronto e invidia come spesso succede a quell’età. Ma ammirazione, fascinazione e infine… desiderio. Quante volte ho dovuto reprimere anche solo la voglia di posare semplicemente le mie mani su di te, stringerti forte e accarezzarti. Ho fatto tanti sbagli, coinvolto troppe persone, pur di soffocare e non cedere più a quello che io credevo qualcosa di sbagliato. E anche quando capii che mi ricambiavi, la vera paura era quello che tu rappresentavi per me, molto più del fatto di amare un altro uomo.


Temevo che mi rendessi debole. Come quei due tizi della leggenda, pensavo che la passione mi travolgesse e mi distogliesse dai miei obiettivi, dalle mie responsabilità. Perché per quanto tu sia così sicuro di te e di quello che vali, e non fai nulla per farti amare… forse non hai nemmeno minimamente idea di quanto tu possa diventare indispensabile.


Per quanto tutti mi dicessero che ero un bambino forte, quando ho perso mio padre avevo ancora tanto bisogno di lui, della sua guida, dei suoi consigli, anche della sua autorità. E all'improvviso mi sono ritrovato ad essere io invece quello a dover essere tutto questo, e a negare a me stesso qualsiasi lacrima, qualsiasi bisogno... soprattutto il bisogno di un legame che mi fosse necessario più dell'aria che respiro. Come quella che ho sentito mancarmi quel giorno di febbraio. Perché non ho mai saputo bene come spiegarlo ma... starti accanto è vita. E' la mia vita, quella che abbiamo costruito insieme, crescendo insieme. O meglio, quella che tu mi hai aiutato a costruire, dedicandoci anima e corpo al mio sogno, che è diventato poi anche il tuo; la vita che hai scelto di vivere stando al mio fianco per quasi dieci anni, pure se in certi momenti il mio egoismo lo aveva dato per scontato. Eppure, anche se i nostri sentieri si sono allontanati, forse per sempre, ancora oggi non so in quali altri mani rimetterla la mia vita, se non nelle tue.


Anche quando tutto sembrava finito e mi è sembrato di cadere di nuovo nel baratro, tu eri di nuovo al mio fianco.

Lo ricordo ancora quel giorno in ospedale, al capezzale di mia madre, mentre stavo per telefonare l’agente degli Urawa Red Diamonds. Qualcuno pose la mano sul telefono per bloccare la chiamata. Una mano familiare, che avrei riconosciuto tra tante anche ad occhi chiusi; bella, grande, elegante e forte, alla cui presa era impossibile sfuggire e che racchiudeva quell’energia inconfondibile, che solo io e te possiamo percepire. Capii che eri tu, ancor prima di girarmi e fingere sorpresa.

Eri lì per me. Tu c’eri e ci saresti sempre stato per me, forse da prima che nascessimo, in un'altra vita, così come piacerebbe dire a te.
Mi conosci bene, e lo sapevi che mi sarei pentito un giorno di quella decisione, pure se dettata dall'amore per mia madre. Tu hai sempre saputo capire cos'era giusto per me, e sei stato anche capace di metterti da parte per questo. Non l'ho mai dimenticato. Così come non ho mai dimenticato l'eccezionale Capitano che sei stato durante la mia punizione alla Toho, e il tuo essere sempre e comunque dalla mia parte. Quello che invece non ho fatto io quando lasciasti la Nazionale. Me ne sono accorto troppo tardi... e anziché dirti quello che finalmente avevo capito, e provavo, ho trovato solo la forza di risolvere tutto con la forza. Che tu forse hai forse più di me, e non solo fisicamente. 

Cosa mi dicevi sempre? “Ricorda Capitano. Non sono solo le battaglie sul campo quelle sulle quali potrai contare su di me”. C’eri tu quel giorno e non lei, pure se non poteva sapere.

 



*****
 


“Capitano!” esclamò Ken.

L'aveva detto ancora una volta, nonostante da un po’ si imponesse di chiamarlo semplicemente Hyuga. E non perché i tempi del Toho ormai erano passati. Anche quando erano in Nazionale, e il capitano era Oozora o Matsuyama, aveva sempre continuato a rivolgersi a lui così. Perché era il suo eterno Capitano
(7), il Capitano della sua vita. Ed ora non lo era più.

Quando Ken l’aveva chiamato, era ancora seduto a terra, con la schiena appoggiata al tronco dell’albero, e gli occhi chiusi. Ma aveva avvertito la sua presenza, percepito la sua energia. Quando però li riaprì, rimase quasi sorpreso di vederlo.

“Sapevo di trovarti qui” disse semplicemente Kojiro.

Non erano mai stati tipi da convenevoli o manifestazioni esplicite di amicizia. Ma quello che sentivano dentro ogni volta che erano vicini, pure dopo tanti anni, era forse qualcosa di troppo forte e speciale, per esprimerlo. E forse, era meglio trattenerlo a volte.

Kojiro prese in braccio il cagnolino che, dalle braccia di Ken, era corso verso di lui per fargli festa.

“Anche tu non sei cambiato, pure se ormai sei un vecchio! E’ sempre tutto uguale qui al Meiwa, o è una mia impressione? Di sicuro tu ci sei ritornato più spesso di me.”

“Non spesso come avrei voluto. Nagoya non è vicinissima e poi con gli impegni in Nazionale non ho avuto molto tempo”

“Nemmeno di scrivere… vero?”

Ken non rispose. Sapeva che Takeshi spesso scambiava delle mail con il Capitano, ogni tanto una telefonata. Sì, avrebbe voluto scrivergli, almeno una volta, come si era ripromesso. Ma sarebbe stato inutile. Quello che avrebbe voluto in realtà esprimergli, non avrebbe portato più da nessuna parte.
La verità è che, dopo un illusorio riavvicinamento con il suo rientro a Jakarta durante il World Youth, si erano di nuovo allontanati, soprattutto con la partenza di Kojiro per l’Italia.

“Ho del saké. Vieni a farti un goccio” cambiò discorso Ken, rivolgendogli un delicato sorriso.

Kojiro sorrise a sua volta e andò a sedersi accanto a lui sotto l’albero. Per un attimo, la pelle delle rispettive braccia nude entrò in contatto. Calda e solare quella di Kojiro, fresca e lunare quella di Ken.

“Nemmeno tu sei cambiato Wakashimazu, pure ora che sei un Maestro! Ma “astinenza” non era tra le parole d’ordine di Mister Kira? Porca puttana… mi stava prendendo un colpo tanto che ho riso, quando Takeshi me lo ha scritto!”

Ken scoppiò a ridere, ricordando la prima conferenza stampa di Mister Kira, quando fu nominato CT della Nazionale olimpica.

“Appunto… e non solo riferita a lui! Perciò, meglio che ne approfitti! Comunque è un grande, come sempre. Sono felice che finalmente sia arrivato anche il suo momento.”

“Già. Anche il fatto di averti spostato in attacco, si è rivelata una mossa vincente. Non ne avevo dubbi, io so quali sono le tue capacità.”

“Te li ricordi allora?”

“Cosa?”

“Quei giorni in cui Kira ci fece giocare in attacco… insieme.”

 “Sì… come potrei scordarli? Anche se abbiamo voluto dimenticarcene in tutti questi anni.”

Kojiro andò un attimo indietro con la memoria. Quante volte durante le partite l'aveva visto fremere quando, costretto a stare fermo tra i pali, osservava la 'battaglia' sotto la porta avversaria alla quale non poteva partecipare. Insieme a lui.

“Io non rimpiango di aver scelto di ritornare in porta." disse poi Ken "Io amo essere un portiere. Tutto sommato, è quello il ruolo per il quale tu e Kira mi avete voluto al Meiwa. Proteggere la porta della nostra squadra e difendere le nostre vittorie, mi ha fatto sempre sentire importante. Però… in quel momento mi sembrò come se finisse un' illusione. Anche dopo che ho dimenticato, o in parte rinunciato a quel debole sogno infantile… giocare in avanti e formare una coppia d’attacco con te” (8

I loro sguardi si incrociarono e per un attimo si rividero ragazzini. Un lieve alito di vento accarezzò i loro volti, che già ai tempi erano quelli di due piccoli uomini.

“Stasera è Tanabata." disse Kojiro, abbassando gli occhi. "La notte dei desideri. Non ho mai chiesto nulla che sia solo per me. Prima di partire per l'Italia mia mamma mi ha detto: "costruisci il tuo castello ora". Io all'inizio non avevo capito fino in fondo cosa intendesse. Io il mio castello credevo di averlo già realizzato. La casa, la tomba per mio padre, il mio sogno di diventare un calciatore professionista. Cos'altro potevo desiderare?”

“Sai bene invece cosa intendeva tua madre. Come va con... con quella tipa di Okinawa?”

“Niente... io... io non sono una persona facile, Wakashimazu. Anche se col tempo sono un po' cambiato, la mia anima è un qualcosa di troppo complicato e incomprensibile, di violento a volte, per essere capita ed accettata da chi non è cresciuto con me, da chi non mi ha conosciuto nel profondo, da chi con me non ha condiviso tutto, anche il male che compare a causa di quello che sono, e quindi non sa come comprenderlo, né gestirlo. E c'è solo una persona di fronte alla quale non ho paura di mostrare tutto questo e che può capirmi, davanti alla quale non ho paura di essere me stesso... in fondo e sempre, in ogni istante, senza pormi il problema di dover essere migliore, perché... solo quando mi rispecchio nei suoi occhi, gli unici che riescono a sostenere il mio sguardo, io riesco a vedere la mia immagine”.

Kojiro pronunciò le ultime parole girando di nuovo il suo volto verso quello di Ken, i loro profondi occhi neri in quelli dell’altro, diversi nella forma ma identici nello sguardo e nella forza che emanavano.

L'atmosfera tra loro stava per diventare troppo densa di emozioni e sentimenti inespressi. Cosa volevano dire quelle parole? L'aveva lasciata?

“Io... io credevo che tu desiderassi una famiglia, prima o poi...” disse Ken, dopo un silenzio che parve lunghissimo, e senza staccare i suoi occhi da quelli di Kojiro.

“Sono già stato padre. Io ora vorrei solo... solo qualcuno che si prenda cura di me. Voglio solo amare e basta, non chiedo altro”.

“Wakashimazu... ricordi?” continuò Kojiro, che aveva rotto gli argini ed era ormai incapace di fermarsi  “In quello spazio tra quegli alberi … Qui ti ho sfidato la prima volta, chiedendoti di entrare nella mia squadra. Ed è qui che i nostri fili rossi si sono annodati... e prima che le stelle inizino a comparire, voglio appendere il mio desiderio, anche se forse è troppo tardi!”

Hyuga si alzò di scatto e appese il suo tanzaku ad uno dei rami più bassi dell’alberello vicino, per poi allontanarsi a passo svelto.

“Capitano… Capitano, aspetta!” Ken balzò in piedi e prima di raggiungere Kojiro, si affrettò a leggere la scritta sul tanzaku.


Ken. Il suo nome. Nient’altro.

"Capitano!" lo chiamò a voce ancora più alta, affrettandosi a raggiungerlo.

Kojiro si fermò, ma per qualche secondo non osò girarsi. Chissà se aveva letto... sentiva la presenza e il respiro un po’ affannato di Ken alle sue spalle.

"Non so cos'altro chiedere per me stesso, per il mio castello, se non... te, Ken! Ma..."
 
Kojiro avrebbe voluto aggiungere qualcos'altro, ma Ken lo abbracciò con forza e dopo averlo costretto a girarsi, posò le labbra sulle sue. Esprimere i sentimenti con semplicità e naturalezza non era mai stato il loro forte, soprattutto se erano così enormi, assoluti e contenessero in sé la forza di una tigre, di un leone, di un antico guerriero, del tifone e del fulmine; proprio come erano i loro caratteri, i loro spiriti indomiti e liberi, che liberamente avevano scelto a chi appartenere. Le parole tra loro non erano mai servite, se non a velare un po’ pudicamente quello che in realtà provavano dentro.

Kojiro rispose alle tanto anelate labbra di Ken con passione crescente, e al termine di quel lungo, profondo e intimo bacio, che finalmente suggellò il loro ritrovarsi, Ken per la prima volta pronunciò il nome del suo Capitano:


 "Non aver paura… Prima che le stelle inizino a comparire nel cielo, non è mai tardi ed io ti amo Kojiro, da sempre, da prima che iniziassi a vederle le stelle..."

 
I lembi del tempo strappati e portati lontano dal vento degli eventi, sembrarono ricucirsi all'istante. 

Non esistono cuciture invisibili, così come non è possibile coprire le crepe di un qualcosa di rotto... ma può essere riparato e talvolta diventare ancor più bello e prezioso. 



THE DOORS - Touch Me 

Come on, come on, come on, come on (vieni, vieni, vieni, vieni)
Now, touch me, babe (adesso, toccami, babe)
Can’t you see that I am not afraid? (Non vedi che non sono spaventato?)
What was that promise that you made? (Cos’era quella promessa che hai fatto?)
Why won’t you tell me what she said?
(Perchè non vuoi dirmi di cosa lei parlava?)
What was that promise that you made? (Cos’era quella promessa che hai fatto?)

I’m gonna love you, (Ti amerò)
Till the heavens stop the rain.
(fino a che dal cielo smetterà di piovere)
I’m gonna love you, (Ti amerò)
Till the stars fall from the sky for you and I ( fino a che le stelle le stelle cadranno dal cielo per me e per te)

Now, touch me, babe. (adesso, toccami, babe)
Can’t you see that I am not afraid? (Non vedi che non sono spaventato?)
What was that promise that you made? (Cos’era quella promessa che hai fatto?)
Why won’t you tell me what she said?
(Perchè non vuoi dirmi di cosa lei parlava?)
What was that promise that you made? (Cos’era quella promessa che hai fatto?)

I’m gonna love you, (Ti amerò)
Till the heavens stop the rain.
(fino a che dal cielo smetterà di piovere)
I’m gonna love you, (Ti amerò)
Till the stars fall from the sky for you and I (fino a che le stelle le stelle cadranno dal cielo per me e per te)

I’m gonna love you, (Ti amerò)
Till the heavens stop the rain.
(fino a che dal cielo smetterà di piovere)
I’m gonna love you, (Ti amerò)

Till the stars fall from the sky for you and I (fino a che le stelle le stelle cadranno dal cielo per me e per te )

 


OZZY OSBOURNE - I Just Want You (Voglio Solo Te)

There are no unlockable doors    (Non ci sono porte che non si possono aprire)
There are no unwinnable wars   (Non ci sono guerre che non si possono vincere)
There are no unrightable wrongs   (Non ci sono torti ingiusti)
or unsingable songs.   (O canzoni che non si possono cantare.)

There are no unbeatable odds   (Non ci sono quote imbattibili)
There are no believable Gods   (Non ci sono Dei credibili)
There are no unnameable names  (Non ci sono nomi innominabili)
Shall I say it again? Yeah  (Devo dirlo ancora una volta? Sì.)

There are no impossible dreams  (Non ci sono sogni impossibili)
There are no invisible seams  (Non ci sono cuciture invisibili)
Each night when the day is through, (Ogni notte quando il giorno è finito)
I don’t ask much  (Non chiedo molto)

I just want you  (Voglio solo te)
I just want you

There are no uncriminal crimes  (Non ci sono crimini senza criminali)
There are no unrhymable rhymes  (Non ci sono rime senza rima)
There are no identical twins  (Non ci sono gemelli uguali)
or forgivable sins   (o peccati perdonabili)

There are no incurable ills  (Non ci sono mali incurabili )
There are no unkillable thrills   (Non ci sono emozioni che non ti uccidono)
One thing and you know it’s true,  (Una cosa sola tu sai è vera)
I don’t ask much  (Non chiedo molto)

I just want you   (Voglio solo te)
I just want you
I just want you
I just want you

I’m sick and tired of bein’ sick and tired   (Sono stufo di essere stufo)
I used to go to bed so high and wired   (Ero solito andare a letto così ubriaco e tirato)
Yeah – yeah – yeah
I think I’ll buy myself some plastic water  (Penso che mi comprerò dell’acqua di plastica)
I guess I should have married Lennon’s daughter  (Credo che avrei dovuto sposare la figlia di Lennon)
Yeah – yeah – yeah – yeah

There are no unachievable goals   (Non ci sono obiettivi irraggiungibili)
There are no unsaveable souls  (Non ci sono anime insalvabili)
No legitimate kings or queens,  (Non ci sono re o regine legittimi)
Do you know what I mean? Yeah  (Capisci cosa intendo dire? Sì)

There are no indisputable truths  (Non ci sono verità indiscutibili)
And there ain’t no fountain of youth   (E non c’è alcuna fonte della giovinezza) 
Each night when the day is through   (Ogni notte quando il giorno è finito)
I don’t ask much   (Non chiedo molto)

I just want you  (Voglio solo te)
I just want you
I just want you
I just want you

 

 

Tanabata... La tradizione vuole che in questa festa si realizzino i sogni più a lungo rincorsi, i desideri più a lungo sperati. Calligrafati su foglietti  colorati poi legati alle fronde dei bambù o sui rami di un albero, i desideri vengono affidati al vento perché li spinga verso il cielo…

 

KEN e KOJIRO


Prima delle Olimpiadi, la Nazionale giapponese U-23 ebbe un ultimo test match con la fortissima Nazionale greca, in memoria delle vittime di Hiroshima.
Durante il secondo tempo, il CT Kozo Kira, così come già sperimentato durante i test match contro la Danimarca e la Nigeria, e le qualificazioni asiatiche, sposterà il portiere Ken Wakashimazu in attacco, aggiungendolo alla prima punta Kojiro Hyuga. Quello fu in assoluto il loro primo esordio come “two top” della Nazionale, seguito poi dal test match contro la rappresentativa olimpica della Nuova Zelanda durante il training camp in Messico, dove Hyuga segnerà un grande goal grazie ad un perfetto postplay di Wakashimazu.

La loro perfetta intesa in campo, li fece immediatamente definire dai cronisti “Dreamy Two Top” e “Double Golden Combi”, al pari di quella storica formata da Tsubasa Oozora e Taro Misaki. 

"In quel momento mi sembrò come se finisse un' illusione. Anche dopo che ho dimenticato, o in parte rinunciato a quel debole sogno infantile… giocare in avanti e formare una coppia d’attacco con Hyuga Kojiro” (8)

Quel sogno finalmente sembrò realizzarsi per il giovane Ken, quasi in contemporanea a quello che desiderava il suo cuore.

 
Al termine dell’avventura olimpica, ciascuno sarebbe ritornato alle proprie vite. Un’eventuale medaglia d’oro del Giappone avrebbe forse aperto nuovi scenari nelle loro carriere, soprattutto quella di Wakashimazu. Quello che al momento era certo, era il rientro di Hyuga in Italia una volta ripreso il campionato.

Probabilmente la distanza li avrebbe ancora una volta separati, anche se stavolta solo fisicamente. Ma la loro città natale sarebbe stata il loro Tanabata per sempre.


(1) Izakaya (居酒屋) è un termine giapponese composto dalle parole "i" (sedersi), saka (sake) e ya (negozio) è un tipico locale giapponese, che vende bevande accompagnate da cibo a poco prezzo. Quelli all'aperto, tipo chiosco, sono forse gli oden-ya: sono bancarelle di strada con posti a sedere e popolari d'inverno, specializzati in oden.

(2) "Midori" è il nome che diedi alla signora Hyuga anni fa e significa "verde".

(3) v. "Road to 2002" e anime "Holly&Benji Forever"


(4) Pare che Masaru sia nato dopo la morte del signor Hyuga.

(5) Le vacanze scolastiche estive in Giappone vanno dal 20 luglio al 31 agosto.

(6) Versione di “Holly e Benji Forever”

(7) v. "Road to 2002" e anime "Holly&Benji Forever" 

(8) testuali parole di Ken dal Golden 23, dopo il goal segnato alla Nigeria “At the moment it ended like an illusion... Even afterwards I had forgotten or partly gave up... On this faint childhood dream... form the two top with Hyuga Kojiro..."  

Note di chiusura

Che Ken e Kojiro abbiano molte cose in comune e similitudini tra loro, è innegabile. Già il fatto che due asociali e individualisti come loro stiano sempre insieme e vadano pure d’accordo, è un sintomo ;-)! Però, ragionandoci su nel corso degli anni, ho intravisto tra Kojiro e Ken sempre più differenze, ma di tipo complementare, che diventano poi quelle che uniscono per davvero due persone. E quindi, la vera similitudine tra loro è forse una questione di ‘sentire’ in modo simile, di avere uno spirito simile, più che il carattere in sé.

Il mio amore per il pairing KojiroxKen non nasce solo dalla vecchia fantasia di un'adolescente, desiderosa di vedere i suoi pg più amati e preferiti (due ragazzi bellissimi e pieni di fascino, non solo esteriore^^) insieme e innamorati. C'è sempre stata una parte di me che ha maturato la convinzione che loro due fossero Anime Gemelle, che ognuno potesse capire l'altro come nessuno al mondo. Sono due ragazzi che difficilmente condividono qualcosa di se stessi con gli altri. Hanno bisogno di intesa profonda con poche parole, di gesti importanti, di lealtà, e soprattutto fiducia reciproca. Ho sempre pensato che, per come sono fatti, Ken e Kojiro potessero legarsi solo a qualcuno con cui sono cresciuti insieme e con cui hanno condiviso momenti importanti.

Ripeto, sono andata sul sicuro e sono stata prevedibile, parlando per l'ennesima volta della mia OTP del cuore. Eppure mi son resa conto che, in effetti, tutto quello che ho scritto, e voglio ancora esprimere su di loro, non è noto al mondo (e si vede... scusate, appunto, la mia pipposissima prolissità^^?). Quindi, dedicarmi a questo contest mi ha dato l'opportunità di mettere nero su bianco una delle mie tante emozioni e immagini su di loro, e ringrazio di <3 Karon per questa possibilità! Grazie di <3 anche a Melanto per gli apprezzatissimi consigli post-contest, le sue parole e il suo entusiasmo! 

Questa FF la dedico a Ko_chan, (sempre nel <3) con la quale condivido l’amore appassionato per questi due pg (pure se lei è decisamente più "Kojiriana" ^^) e con l'augurio che si realizzino i desideri dei tanzaku che ha appeso il sette luglio scorso! Un ringraziamento particolare a Releuse per il supporto e per lo stesso ideale di Amore in cui crediamo! E un abbraccio fortissimo a tutte le ELFine, siete meravigliose.

Un ultimo ringraziamento a Jim Morrison e zio Ozzy, per avermi accompagnato in tutti questi anni e aver dato sempre voce a quello che avevo dentro, com'è successo anche questa volta, per puro (apparentemente) caso... 


BUON SAN VALENTINO! <3

 

  
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