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Autore: Mirchino94    16/02/2014    7 recensioni
Quello è stato il giorno più bello di tutti.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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SAN SIRO

 

Luisa

 

Quello è stato il giorno più bello di tutta la mia vita.

Sono riuscita a prendere quei famigerati biglietti il 28 settembre. Ricordo ancora.

Quel sabato mattina mi sono svegliata alle sette, ho acceso immediatamente il pc e sono stata incollata davanti fino alle dieci quando uscirono. Non ero sicura che li avrei presi, non avevo la certezza al centopercento, ma ci speravo. Ci speravo così tanto che mi venivano le lacrime agli occhi e il mal di stomaco solo al pensiero che il 28 giugno non sarei stata a San Siro. Alle otto mi chiama Marco. Marco, il mio migliore amico, con cui sono andata a quel concerto. Il ragazzo che diceva sempre: "certo sei proprio una rimasta, che ascolti quei quattro froci" e io che rispondevo: "sono cinque!". Lui a cui ho trasmesso la mia passione per quei ragazzi. Lui che mi canta Teenage Dirtbag stonato come una campana e io che rido a crepapelle. Lui che il giorno in cui annunciarono le date del tour mi chiamò e mi disse solo due parole: "Ci andiamo". E quello che risposi io fu solo: "Dovesse crollare il mondo. Cazzo se ci andiamo". Ore 10.00. Ticketone mi mette in sala d'attesa. Vado nel panico, il cuore mi batte a trecento all'ora e continuo ad essere in attesa. Anche Marco non riesce a entrare. Ci sono troppe persone connesse. Aiuto! Mi sale l'ansia e inizio a sudare. Mi tolgo la maglia e rimango in reggiseno e in pantaloni della tuta. Sono sempre in sala d'attesa. E' già la quarta volta che mi rimanda qua. Non carica niente. Comincio a sospirare forte, mi vengono le lacrime agli occhi. Alla sesta volta quel sito del cazzo mi fa entrare. E vedo quella scritta che non avrei mai voluto vedere. SOLD OUT.

Cazzo. Mi tremano le mani, piango come una matta, come una bambina che non ha potuto comprare la sua bambola preferita perché tutte sono finite. Perché quei ragazzi e quelle ragazze hanno presi quei cazzo di biglietti e io no? Perché? Riprovo a entrare, una, due, tre volte, ma niente, ancora tutto esaurito. Entro su twitter. Metà dei mie followers non sono riusciti a prendere quei biglietti. Cazzo. Marco mi sta chiamando.

"Marco, cazzo perché? Perché noi non possiamo avere quei biglietti?" Mi sgorgano le lacrime lungo il viso e urlo al telefono mentre Marco non sapeva che dire. Chiudo la telefonata e getto l'iphone sul letto. Mi metto con la testa tra le mani con i gomiti apoggiati sul piano della scrivania. Guardo la scritta che poco prima avevo fatto con la penna e avevo ripassato con l'evidenziatore verde: 28 giugno 2014. Ma non vedo niente. Buio. Vuoto. Mi hanno lanciato un coltello nel cuore. Arrivano dei messaggi sul telefono. Sono dei tweet: il suono è sicuramente quello. Non mi importa, continuo a guardare quei caratteri inicisi nel legno e lascio il telefono sul letto. Mi sento veramente uno schifo.

 

Se non avessi preso in mano quell'iphone in quel momento, non sarei mai andata a San Siro.

Fu solo quand mi getto sul letto rassegnato con gli occhi gonfi che letto il messaggio di Marco:

"Nuova data: 29 giugno. Ce la possiamo fare Lou!"

Mi alzo di scatto dal cuscino. Gli occhi mi si spalancano immediatamente, le mani mi cominciano a tremare, e sento dentro le vene quella forza di continuare a giocare, a lottare, solo per un unico obiettivo: per avere quei biglietti. Non mi importava più di niente, solo di quello.

Fatto sta che non ho mai preso due biglietti per il 28 giugno. Non sono mai stata ad un concerto il 28 giugno.

La cosa andò diversamente, perché io e Marco abiamo comprato due biglietti per il 29 giugno. E giuro che quel 29 giugno è stato il giorno più bello di tutta la mia vita.

 

Sono quasi le quattro del mattino. Mi sono buttata sul letto alle due di notte dopo mille telefonate con Marco, dopo mille tweet, dopo mille pensieri su quel concerto. Sono veramente felice. Anzi no, credo di essere troppo felice. So che cosa significasse essere felici. Non è prendere un sei al compito di latino e non è nemmeno uscire con le amiche il sabato sera. E' aver raggiunto un sogno per il quale hai sperato per quasi due anni, per il quale hai lottato una mattinata intera per avere quei fottuti biglietti. Sì, è proprio quello. Io sono proprio felice, non ho bisogno di nient'altro: solo che questa notte passi in fretta e il sole si levi presto a est.

Naturalmente non riesco a chiudere occhio. Mi rigiro nel letto tra il cuscino che ho messo per verticale e il quadernino che ho fatto, su cui ho attaccato le loro foto, parti delle loro canzoni, i loro sorrisi. Guardo il lampadario sul soffitto e poi la scrivania davanti al letto. Non è un sogno, è la realtà. Quel momento sta accadendo veramente, quel giorno è veramente arrivato. Mi stiro sul letto, alzano le mani dietro la testa e allungando le gambe. Sorrido come non ho mai fatto prima d'ora. Strano, però bello.

 

Vedo che l'iphone si illumina. Alle quattro del mattino non può essere che Marco.

"Livello 66 a flappy bird"

Anche lui non dorme. Ma come riesce a giocare a flappy bird?

"Sto sclerando. Mi sento male. Oddiooooo" gli rispondo

Stavo davvero male. Penso di poter vomitare da un momento all'altro. Ma non c'è alcuna nausea, nessun mal di pancia, c'è solo una immensa voglia di urlare e di cantare assieme alle loro voci.

"Cazzo dici stai benissimo. Prendo la vespa e vengo da te"

Oddio Marco. Sì, vieni. Così scleriamo insieme come il giorno prima. Ci abbracciamo. Almeno posso piangere con qualcuno che mi capisca, almeno posso condividere questa fottuta gioia.

"Vieni" gli scrivo

In meno di dieci minuti è lì, sotto la finestra, con i jeans attillati, le vans, un giacchetto di jeans e un casco tra le mani che dice: scendi o ti vengo a prendere io.

Non aspetto un secondo. Mi infilo i pantaloni e mi metto in fretta la prima felpa che trovo e scendo. Vedo che ha le cuffie attaccate all'iphone. Corro ad abbracciarlo e scoppio a piangere come una disgraziata. Anche a lui scende una lacrima, ma la nasconde subito. Però mi prende il viso tra le mani e mi dice: "Sali che andiamo a San Siro"

Mi asciugo le lacrime e scoppio a ridere. Ride anche lui e intanto gira la chiave e girà l'accelleratore. Ci mettiamo le cuffie, lui preme play. Parte la canzone.

 

The story of my life

I take her home

I drive all night

To keep her warm and time is fro-o-zen

 

Marco l'aveva bloccata al momento giusto. Facciamo un giro per le vie deserte. Solo i lampioni gettano una fioca luce sull'asfalto ancora caldo per il caldo che fa a fine giugno. I vetri delle macchine parcheggiate sul bordo dei marciapiedi riflettono la nostra immagine che sfreccia a sessanta all'ora.

"Matto, vai più piano!" Gli urlo tutt'altro che spaventata; anzi era come dirgli: accellera Marco, accellera.

 

And I've been waiting for this time

to come around

but baby running after you

is like chasing the clouds

 

Ci fermiamo nel parcheggio della Sacra. Mi sono scordata le sigarette a casa, lui ce l'ha. Mi fumerei tutto il pacchetto da tanto che sono nervosa, agitata, frenetica. Anche Marco è ansioso, ma lo nasconde. I maschi sono tutt uguali: ci vogliono le donne per farli sciogliere. Ma Marco era diverso da tutti gi altri ragazzi: aveva sempre una buona parola per me, mi capiva sempre e soprattutto c'era sempre quando avevo bisogno. Come stanotte. Come oggi. Come ogni volta che nemmeno le mie amiche sapevano aiutarmi. Lui mi regalava un sorriso che nessuno sapeva mai regalarmi. Era tutto più bello quando stavo con lui.

"Marco, noi saremo lì stasera. Marco, mi viene da piangere e basta. Vorrei... vorrei solo urlare al mondo che io stasera sarò a San Siro"

Si toglie la sigaretta di bocca, mi guarda serio e poi, accennando un sorriso, mi sussurra:
"Allora urliamo"

Mi prende per un braccio, mentre io lascio cadere a terra la sigaretta ancora accesa e mi domando perplessa dove mi porti quel matto. Perché Marco era un ragazzo perbene, aveva tutti nove a scuola e faceva il liceo classico; fumava qualche sigaretta, ma era con la testa apposto, come io d'altronde: eravamo due bravi ragazzi. Ma quando Marco diceva di fare il matto, lo faceva davvero. C'era da preoccuparsi. Marco era di parola, e quando dico di parola intendo su tutto, cose giuste e cose non giuste, cose normali e cose pazze.

Mi porta sul prato, dietro la pista di pattinaggio, mentre mi urla "vieni" e insieme si cade sull'erba fredda della notte. Mi guarda e poi, voltandosi per il cielo stellato, mi dice:

"Bene, adesso possiamo urlare" e poi con tutta la voce che ha in gola:

"noi andremo a San Siro!" ripetendo l'ultima o per cinque minuti e io che rido come una forsennata. Mi dà una pacca sulla spalla e mi esorta anche me ad urlare. Così anch'io urlo, fregandomene di tutto e di tutti. Con tutta la forza che ho. Grido sdraiata sul prato della Sacra alle quattro e mezza della notte del 29 giugno. Sono davvero felice. Davvero contenta. Sono davvero quello che vorrei essere oggi.

 

Marco

 

Questi capelli ricci fuoco sono i più belli che abbia mai visto. Sull'erba della notte, tutti in confusione, si spandono irregolarmente sul prato. E lei sorride, con le palpebre socchiuse e le mani strinte in pugni. La guardo per un po'. So quanto per lei questo momento sia importante.

"Che dici. Facciamo un giro e poi ti porto a casa?"

Lei, sempre con gli occhi chiusi, si rotola sull'erba, fa qualche giro e poi di nuovo con il viso rivolto alle stelle esplode in una risata soddisfatta davanti alla quale era impossibile non ridere.

"Sì andiamo, Marco" butta fuori queste parole con un sospiro e si gira verso di me.

 

Cause we got all night

we're going nowhere

why don't you stay

why don't we go there

 

Anch'io sono contento matto. Forse più di lei. Nessuno dei miei amici sa di questo concerto, che ascolto quei cinque ragazzi, che dentro le mie cuffie invece dei Rolling Stones e degli ACDC cantano gli One Direction. Mi ricordo ancora quando la Lou mi raccontava di questi cinque bimbetti ed io la prendevo in giro. Ero un ragazzo diverso. Solo quando ho cominciato ad ascoltare la musica che facevano, le canzoni che cantavano, solo allora ho capito che loro erano "i cinque froci" solo perché erano gli "One Direction". Che la gente li giudicava per il gusto di farlo e basta, senza pensare. Quei cinque froci sono diventati per me i miei cinque idoli. Loro sono davvero qualcosa di eccezionale. Ma grazie a lei, a quella ragazza pazza che alza le braccia alle cinque di notte in motorino e canta a squarciagola.

 

Let's take a ride

Out in a cold air

I know the way

Why don't we go there with me

 

Fermo la vespa sotto casa sua. Le do un bacio sulla guancia.

"Ci vediamo tra poco"

Lei sorride e piange allo stesso tempo.

"Domani... cioè oggi. Sarà il giorno più bello della mia vita"

"Anche il mio" le faccio un occhiolino e riparto con le cuffie negli orecchi

Se non fosse stato per lei, non sarei mai stato a San Siro oggi. Se non fosse stato per lei non avrei mai provato quella gioia nel cuore, non sarei mai stato felice in questo modo.

 

Sono le otto in punto. Il sole di fine giugno sta salendo pian piano nel cielo, cosparso leggermente di piccole nuvole qua e là. Un caldo già intenso si fa sentire sulle nostre felpe che stanno sopra le magliette a mezze maniche e un'aria bellissima gira nel parcheggio degli autobus. Novità, emozioni, sogni. Tutto ciò solo in due parole: San Siro.

Apro il finestrimo. Sesta fila, a sinistra, posto vicino al finestrino. La Lou accanto a me. Sì, siamo proprio sull'autobus diretto a San Siro. Sono le otto di mattina e noi partiamo da Firenze con i biglietti nello zaino e il cuore in gola.

Salgono tantissime ragazze. Magliette da vere fan scatenate, sneakers, zaino in spalla e il biglietto in mano. Anche noi abbiamo fatto le cose in grande. Le vans di Louis ai piedi, il cappello della NY in testa e le tshirt: io quella mitica di Zayn "cool kids don't dance" e lei quella fantastica di Niall "crazy mofos".

C'è anche un ragazzo, forse più piccolo di me, quindici o sedici anni, anche lui infognato come noi. In fondo è come se tutti noi siamo qui per una cosa sola, per un solo obiettivo e questo ci fa più uniti, forse leggermente troppo.

 

Baby you light up my world like nobody else

the way that you flip your heart gets me overwhelmed

but when you smile at the ground

you don't know oh-oh

you don't know you're beautiful

 

Cantare tutti insieme all'unisono è un qualcosa di indimenticabile. Tutti stonati. C'è una ragazza troppo agitata, non smette di urlare dalla partenza ed è già la terza volta che piange. Penso di amarla troppo. Io sono abbastanza calmo, almeno ci provo ad esserlo.

"Marco..."

"Dica"

*flash* Rimango abbagliato da un enorme flash, mentre la Lou scoppia a ridere.

"Una delle quattrocento foto che ci faremo oggi"

 

Sono le quattro del pomeriggio e il pullman si ferma. Davanti a noi: San Siro.

Non appena scendo, sbatto ripetutamente le palpebre per fare mente locale. Resto a bocca aperta per qualche secondo. Sento le urla di alcune ragazze dietro.

San Siro è enorme. Ma la cosa che mi fa salire i brividi lungo la schiena è il fatto che questa sera io e la mia migliore amica saremo là dentro, e ci saranno anche quei cinque ragazzi. Era vero, stava accandendo veramente. Niente poteva andare storto. Niente poteva farci odiare quella giornata. Tutto sembrava essere perfetto.

 

Delle volte si rimane senza parole perché non sappiamo cosa dire. Altre volte perché dobbiamo pensare a cosa dire. Altre volte ancora, invece, perché non ci sono parole per descrivere ciò che stai vedendo con i tuoi occhi. Le tue parole rovinerebbero ciò che stai provando dentro. Allora l'unica cosa che ti riesce fare è urlare. Perché urlare non è rumore come dicono tutti, non è confusione e nemmeno maleducazione, ma è il modo più bello che abbiamo per esprimere una felicità non comunicabile a parole.

Dopo che ci hanno strappato il biglietto e siamo entrati in quel fottuto stado, io e Lou riusciamo a fare solo quello. Un urlo dietro l'altro. Mani alzate e salti a non finire. Parole gridate al cielo e note stonate. Pianti e lacrime una dietro l'altro. Perché anch'io piango, sì è vero, mi scendono lacrime di gioia lungo il viso sudato. Abbraccio quella ragazza che sta piangendo dal momento in cui è entrata in questo stadio. Anch'io sono lì. Tutto il resto del mondo che vada pure a fare in culo!

 

And we danced all night

to the best song ever

we knew every line

now i can't remember

 

"Marco! Guardali!"

"Lou! Li vedo! Li vedo! Sono loro!"

Poi sono solo urla, canzoni e lacrime. Sfiderei chiunque in questo momento: nessuno sarebbe più felice di noi due. Anche i buttafuori ci hanno guardati con gli occhi bassi e lo sguardo truce: loro guadagnano strappando i biglietti, noi strappando i biglietti raggiungiamo il nostro sogno. E' così diverso. Addio mondo, stanotte il mio sogno è diventato realtà. Stanotte è la notte più bella di tutte. La guardo e sorrido. Con gli occhi, con la bocca, con tutto me stesso.

 

Cause you and I

we don't wanna be like them

we can make it till the end

nothing can come between you and I

 

Luisa

L'acuto di Zayn è sempre stato la mia morte. Quando lo ascoltavo in camera a tutto volume, in motorino nelle cuffie, quando lo scrivevo persino sui libri di scuola mi sentivo proprio le farfalle nello stomaco. E adesso l'ho appena ascoltato dal vivo. Mi sento veramente male. Anzi malissimo. Stringo la mano a Marco. Non mi reggo in piedi. Altro che farfalle nello stomaco. Ho appena visto Zayn Malik e l'ho appena sentito cantare la più bella canzone di questo mondo. Non so davvero come descrivere questa sensazione. Forse è meglio non farlo.

Le luci si spengono. Si sente la voce di Niall. Ed ecco che esce dal buio, con le adidas ai piedi, i suoi jeans, e il suo cappello. Microfono in mano e il suo sorriso a trentradue denti.

Grazie mille Milano.

Niall. Niall. Niall. Il mio amore. Ha detto grazie mille. Lo vedo benissimo. Lo vedo così bene che mi verrebbe da allungare la mano per capire se riesco a toccarlo oppure no.

I just wanna give you a massive thank you.

Lo stadio che esplode. Io che esplodo. E' tutto perfetto.

 

Una ragazza da dietro mi fa cadere il capello alzando in alto il braccio.

Merda! Non lo vedo. Sicuramente sarà vicino alle sue gambe, oppure a quelle dell'altra accanto. Marco non si è accorto di me, sta urlando. Io mi accascio lentamente per capire se riesco a intravederlo. Niente. Cristo santo! Prendo allora il telefono e metto la torcia per farmi più luce tra le gambe delle ragazze. Mi abbasso di nuovo con il telefono in mano. Vedo il cappello. Allungo la mano per prenderlo.

Un colpo secco e potente alla pancia mi fa cadere a terra tra centinaia di piedi. Vedo solo scarpe, gambe, sento la terra rigida e cruda che cozza con il mio corpo. Un dolore atroce allo stomaco non mi dà la forza per rialzarmi. Sono a terra con l'iphone in mano. In meno di mezzo secondo le ragazze da dietro spingono e vengono in avanti. Mi sento i piedi addosso. Il peso delle scarpe mi schiaccia. Comicio ad ansimare, l'aria si fa pesante. Sento una botta sulla mia faccia. Una botta così forte sulla mia guancia mi fa piangere dal troppo dolore.

E' iniziata Happily. Sento le note. Vedo tutto sfocato e grido con il filo di voce che mi resta il nome di Marco. Sto malissimo. Sento il peso della gente su di me, una sensazione di sudicio si insidia nel mio animo e un senso di morsa mi invade brutalmente.

"Marco! Marco!"

Le ragazze iniziano a saltare per il ritornello. Mi sento il sangue dentro il naso e poi anche sulla bocca. Le mie urla non servono a niente. Cazzo! Perché mi stanno schiacciando e non mi aiutano a rialzarmi? Il sangue, Cristo! No oddio. Il sangue no! Il giorno più bello della mia vita. Questo deve essere il giorno più bello della mia vita.

Marco si gira per guardarmi. Non mi vede accanto a sé.

Noto i suoi occhi spaventati. Li vedo pieni di terrore. So che ha urlato il mio nome. Ho seguito il movimento delle labbra. Poi un altro colpo alla testa, stavolta violento. La mia mano lascia cadere il telefono. Ed è buio.

 

Marco

La vedo per terra, schiacciata dai piedi di quelle stupide fanatiche. In questo momento sento di odiare con tutto il cuore tutte quelle ragazzine indemoniate che urlano e non capiscono un cazzo. La ma gioia si muta subito in rabbia. Tiro fuori la forza, quella violenza che sapevo usare solo in certe situazioni. Ma vedere Luisa in quel modo mi fa infiammare tutto, prendo fuoco, divento un'atra persona. Prendo per il braccio quella stupida che l'ha schiacciata con i piedi. La sposto e le lancio uno sguardo di sfida. La secondo mi dà una spinta sul petto come volendo dire 'che cazzo vuoi'. Prendo tutta la forza che ho e con una spinta la getto per terra. Non so che mi sta succedendo. Ho appena picchiato una ragazza, l'ho appena fatta cadere con una spinta. Ho solo quell'immagine della mia migliore amica pestata. Non posso crederci. Non voglio vedere. Voglio solo che questo giorno non sia mai cominciato.

"Luisa!"
La prendo cingendole la schiena con le mani e la alzo. Quelle di dietro continuano a spingere. Con la mano le spingo indietro. Alzo la Luisa. Una spinta dal dietro mi fa cadere anche me. Cado addosso ad una ragazza. Subito volgo gli occhi nella direzione da cui sono scivolato. La Lou è lì. L'ho vista. La prendo. Ce l'ho. Metto il suo braccio sinistro sopra le mie spalle e la conduco verso l'uscita.

L'uscita. Noi siamo quasi a dieci metri dal palco. Cazzo! Non ce la faccio. E' come attraversare una foresta di rovi. Ma che dico? Ce la devo fare!

Luisa ce la faccio. Te lo prometto. Luisa, mi senti?

Lei ha perso i sensi. Il sangue le gocciola dal naso sulla maglietta. I capelli sporchi di terra, i vestiti pure portano i segni delle suole delle scarpe. Mi viene da piangere. Non serve a niente urlare, nessuno mi sentirebbe o tantomeno mi aiuterebbe. So che è partita la canzone successiva: Half a heart. Questo concerto sta diventando un disastro e doveva essere il giorno più bello della nostra vita. Quella canzone la cantava sempre quando era con me, la cantavano insieme. Dovevamo cantarla insieme in quel cazzo di momento.

Mi faccio largo tra la folla. Spingo via la gente con tutta la forza che ho. Mi prendo i peggio calci, le peggio manate, i peggio insulti. Mi gira la testa.

Lou, dai, ti prego. Resisti.

Mi sembra che l'uscita sia distante un chilometro dal punto in cui siamo ora. Mi sembra che non ci siamo spostati di niente. Quelle canzoni mi sembrano soltanto un frastuono, solo un rumore assordante che non vedo l'ora che finisca. Voglio che tutto questo finisca!

Luisa, ti prego, riprenditi.

Non la posso vedere in questo stato. Questa era la sua giornata.

Ma che cazzo sto dicendo? Chi se ne frega di un cazzo di concerto. L'importante è che stia bene, che si riprenda, che qualche ambulanza fuori la curi. Non so nemmeno come sta, cosa farle per farla riprendere. Non so proprio un cazzo.

Luisa, cazzo, Luisa. Che posso fare?

Vedo l'uscita. Vedo quella grande porta di cemento da cui siamo entrati col sorriso sulla bocca. E adesso la sto portando fuori da quel casino con il sangue colante sul viso.

Continuo a farmi largo tra quella folla che odio sempre di più, detesto di più ogni momento che passa. Li odio tutti e tutte. Ammazzerei tutti.

Perché? Perchè doveva succedere questa cosa? Perché quando lei è caduta non c'ero? Come ha fatto a cadere? Perché è caduta? E io che stavo facendo? Stavo urlando. Anche lei stava urlando. Stava chiamando me... E IO NON C'ERO.

Luisa, mi senti? Perfavore Luisa, dimmi qualcosa.

Sento che mi sfugge il suo braccio dalle mie spalle. Oddio Luisa! La prendo in tempo.

Ho le lacrime agli occhi. Sto piangendo. Perché cazzo doveva succedere questo? Nel giorno più bello della mia vita? Perchè? Mi viene da dire le bestemmie peggiori, da mandare a fanculo chiunque si metta tra i piedi e dica qualcosa. Potrei distruggere il mondo, solo per il fatto di aver visto la mia amica in quello stato. Per il fatto che nessuno si è preoccupato di qualcuno che stava male, tutti se ne sono fregati.

Lou, ti ho presa. Dai che siamo vicini. Vedrai che c'è un'ambulanza.

Siamo alle colonne di cemento. Non ce la faccio più. I muscoli delle braccia, già affaticati dai salti e da tutti i movimenti fatti prima, non ne potevano più. Manca poco all'uscita dello stadio. Ho le orecchie tappate, gli occhi rossi e bagnati. Prendo con la mano sinistra un fazzoletto nella tasca e asciugo il sangue che le esce dalle narici. Tutto ciò mi fa ribrezzo. Cazzo!

Luisa siamo qua. Luisa ce l'abbiamo fatta. Siamo usciti.

Appena varchiamo l'uscita, sudato, con il sangue nelle mani, con gli occhi pieni di lacrime, urlo aiuto con tutta la forza che ho nel petto. C'è ancora la musica dietro, ancora un rumore assordante che mi entra dentro e mi schianta nel petto. Vorrei prendere una pistola e sparare a tutti. Non ce la faccio più a tenerla così. La appoggio delicatamente per terra, con la schiena appoggiata all'ambulanza.

"Aiuto! Aiuto! Vi prego! C'è un'ambulanza?! CAZZO, C'E' UN'AMBULANZA, CRISTO!?!?"

Com'è possibile che non ci sia un'ambulanza dietro uno stadio. Cristo, cosa faccio? Cosa faccio?!?! Mi viene in mente l'unica soluzione. Cerco il telefono in tasca.

Merda! Ho perso il telefono.

Inizio a piangere e a singhiozzare come un bambino di nove anni. Mentre Lou era sempre senza sensi. Che cazzo faccio? I singhiozzi si fanno più forti e agitati. Io non riesco più a riflettere, a pensare a niente. Sono andato nel panico. Mi assalgono le paure più brutte. Non ci voglio pensare. La mia testa è un infinito baccano, tra la musica che rimbomba e tutto ciò che sta accandendo.

Cerco nelle sue tasche. Non c'è nemmeno il suo.

Cazzo! Cazzo!

Luisa è tutta colpa mia. Luisa! Luisa.

 

Sento delle voci dietro a me. Mi volto di scatto. Sono degli infermieri.

Grazie. Oddio grazie! Grazie Dio!

Mi corrono incontro con una brandina. Io non riesco a smettere di singhiozzare.

"L'hanno pestata? E' caduta?"

Mi strappano Luisa di mano e la mettono sulla brandina. Arriva un infermiere con una valigetta da pronto soccorso. In mezzo secondo la apre e tira fuori lo strumento per sentire il cuore. Io non riesco a scandire le parole. Non mi riesce parlare. Faccio solo sì e no con la testa. Ho i capelli sudati, le mani sudate, il viso sporco.

"Vi prego... vi... vi prego... Luisa..."

Non riesco a dire niente, balbetto delle parole. Voglio solo che la mia Lou mi dica qualcosa.

Dicono qualcosa tra di loro. Che cazzo dicono? Anch'o voglio sapere cosa si dicono quei medici. Me lo devono riferire. Non voglio vedere Luisa in questo stato. Su una brandina, con il sangue sul viso, con due infermieri che le sentono il polso e il cuore. E' un incubo.

"Chi sei tu?" mi chiede un infermiere

"Un amico" rispondo io

"Sei solo? Ha solo te qua?"

"Sì, siamo venuti al concerto in bus. Sia... siamo soli"

L'interrogatorio pare essere finito.

Oddio ma che sta succedendo? Che ha?

Luisa, ti giuro, se ti è successo qualcosa, non me lo perdonerò mai. Luisa!

Mi volto dall'altra parte con la mano alla fronte e continuando a piangere. Non riesco a smettere. Non ci riesco davvero. Sento che stanno finendo l'ultima canzone: What Makes You Beautiful.

 

You don't know you're beautiful oh-oh

That's what makes you beautiful

 

Quel maledetto concerto è finito. E' stato un disastro. Tutto è andato in modo opposto a come doveva andare. Mi sento uno schifo. Inutile. Inerme. Incapace di gestire questa situazione. Mi sento l'unico responsabile dell'accaduto.

Mi viene incontro il medico, togliendosi le cuffie dello strumento dalle orecchie, ansioso e agitato. Mi mette la mano sulla spalle, mi guarda negli occhi, mentre gli infermieri sollevano la brandina e la portano dentro l'ambulanza che era arrivata lì davanti.

Mi agito immediatamente. Spalanco gli occhi, faccio per andare verso la brandina:

"Dove la portate? Luisa!"

Mi blocca il medico:

"Al pronto soccorso. Sali che partiamo"

Annuisco con la testa e il respiro pesante. Salgo velocemente e le porte si chiudono. L'autista gira la chiave e preme l'acceleratore. L'ambulanza parte.

La vedo su quel lettino con la flebo attaccata al braccio. Non riesco a capire. Guardo le facce impegnate degli infermieri. Non ho il tempo di fare alcuna domanda.

L'ambulanza viene tutta scossa da un colpo enorme. Gli oggetti si spostano tutti. La brandina viene fermata da due infermieri sul lato destro con un urlo. Anchio vengo spinto verso il lato destro. Picchio la testa contro la parete. Inizio a vedere sfocate le immagini. Capisco solo che una macchina è andata contro l'ambulanza. Un incidente. Un altro incidente. Vedo tutto grigio, poi tutto più scuro, infine buio. Prima di cadere a terra sento solo una serie di urla e di strilla che si precipitano verso l'ambulanza.

  
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