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Autore: Alvin Miller    19/02/2014    1 recensioni
A pochi mesi dall'incoronazione a Principessa di Twilight Sparkle, una legione di mostruose creature giganti emerse dal nulla minacciando di ridurre l'intero regno di Equestria a una nuvola di polvere.
Il primo attacco colpì Manehattan. Il secondo puntò a Baltimare. Il terzo insidiò Las Pegasus.
Quando anche Canterlot fu presa di mira, capirono che gli Elementi dell'Armonia non erano più sufficienti.
Per combattere i mostri chiesero aiuto a Bibski Doss, un ribelle inventore sopravvissuto al primo attacco, che creò dei mostri a sua volta.
La battaglia per il destino del regno è cominciata!
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Princess Celestia, Twilight Sparkle, Un po' tutti
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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APITOLO 2: La chiamata dei cristalli.


Il giorno dopo. Biblioteca di Ponyville.


Twilight Sparkle appoggiò delicatamente la penna d’oca accanto al calamaio sullo scrittoio, contemplando in clericale silenzio le due pagine di diario che aveva appena riempito. L’inchiostro sui fogli, con il quale aveva descritto per filo e per segno il sunto degli attacchi Kaiju degli ultimi mesi, era ancora umido, e rifletteva come nera rugiada i grigi raggi del sole invernale che filtravano attraverso le finestre della biblioteca di Ponyville. L’inverno stava avanzando già da diversi giorni, e da una settimana i pegasi di Cloudsdale avevano cominciato a convogliare nei cieli del paesino le prime nuvole cariche di neve pronta a fioccare. Nel frattempo, qualcuno stava già addobbando la propria abitazione e le strade in vista della Festa del Focolare dell’Amicizia, e anche chi aveva deciso di attendere ancora, sembrava non vedesse l’ora che la festività  potesse cominciare.

D’altronde non gli si poteva dar torto. Per ben sedici ininterrotti mesi il timore per un nuovo, imminente attacco Kaiju, che avrebbe potuto scatenare in qualunque momento e in qualunque luogo di Equestria una nuova ondata di terrore, era stato l’unico grande argomento di discussione sulla bocca dei pony di ogni città e rango sociale. Tradizionali festività, come la festa dei Pony Innamorati, la Notte degli Incubi, ma anche eventi di punta come il Gran Galà Galoppante, erano stati sospesi per timore di altri attacchi nel corso delle ricorrenze, ma anche per un generale malumore che ungeva gli animi della popolazione nel corso delle stagioni. Gli unici a essersi mantenuti attivi e vitali erano stati i corpi militari delle Guardie Cittadine e Reali, che su ordine delle governanti avevano dato via a una vasta campagna di arruolamenti di nuove reclute che andassero a infoltire i fronti di difesa della città in vista dei prossimi attacchi.

Era trascorso più di un anno e mezzo dal disastro di Manehattan, ma il ricordo di chi aveva assistito con i suoi occhi agli orrori di quel giorno continuava a farsi pressante come una macchia di cui non era possibile liberarsi - perché avente la forma delle vite spezzate delle sue vittime – sebbene tutti cercassero di superarla giorno per giorno.

Ognuno degli attacchi, anche se diverso nel luogo e nell’approccio, aveva portato con sé una carica di consapevolezza e paura che si andava a sommare a quelle dello scontro precedente, ma più i pony combattevano, e più le invasioni iniziavano a entrare nell’ordine delle loro vite.

I Kaiju, autentiche furie della natura, la cui mole era eguagliata solo dalla loro fame di distruzione, erano mostri che miravano – apparentemente e per fini sconosciuti – all’estinzione della vita su Equestria, ma tutti sembravano seguire un preciso modus operandi, malgrado le forme e gli schemi comportamentali variavano ad ogni manifestazione: ogni sei mesi un nuovo titano compariva dal nulla puntando a qualche grande città. Quando ciò si verificava, le Custodi venivano convocate sul luogo dell’assalto per combatterlo servendosi dei poteri degli Elementi, e alla fine di ogni battaglia, il Kaiju si accasciava a terra per poi dissolversi nel nulla, come una statua di ghiaccio che evapora al sole, vanificando qualunque speranza di scoprire qualcosa sul loro conto.

Se i primi due attacchi erano stati la “rivelazionee la “consapevolezzadella guerra, il terzo scandì, invece, la sua accettazione”. Quando il Kaiju di Las Pegasus aveva esalato il suo ultimo respiro, irradiato per ben due volte dalla magia degli Elementi dell’Armonia, non importava più a nessuno da dove venissero e quali fossero le ragioni che li spingessero ad attaccare, né dei terremoti che abitualmente si registravano in tutto il regno tra un attacco e l’altro.

I pony erano stanchi di brancolare nel buio in attesa di un fato oscuro, terrorizzati dallo scorrere dei mesi e dalla fobia delle grandi città, e decisero all’unanimità che era giunto il momento di tornare a vivere serenamente.

L’annuncio della riapertura della festa del Focolare, approvata in prima persona dalle Principesse Luna e Celestia, fu la prima grande prova di questa presa di coscienza, e del desiderio di riportare ogni cosa come ai vecchi tempi, e aveva infuso un’ondata d’ottimismo e di speranza negli animi inquieti delle giumente e degli stalloni che fino ad allora si erano confrontati solo con l’ansia dei nuovi attacchi. Twilight, però, non riusciva a essere partecipe di quella spensieratezza sprovveduta. Lei si era battuta contro i Kaiju, aveva visto con i propri occhi quanto potevano essere pericolose quelle creature. Sosteneva – ed era una convinzione che difendeva con gli zoccoli e con i denti – che i primi tre Kaiju non erano niente in confronto a quello che sarebbe arrivato da lì a qualche tempo. Che erano solo l’avanguardia di una guerra che non aspettava altro che il momento giusto per esporre sul tavolo le sue vere carte. E per questo cercava di mettere tutti in guardia della minaccia, asserendo strenuamente che non andava presa sotto zampa.

Le sue amiche, di contro, non erano d’accordo con lei, sentenziando che come di consueto si stava preoccupando troppo. Non era la prima volta che si lasciava cogliere dal panico in situazioni del genere, e spesso era stata ella stessa l’artefice dei guai che aveva cercato di evitare.

Le sue parole si perdevano nell’aria come un soffio di vento, e l’unica cosa che poteva fare era augurarsi di aver torto e loro ragione.

«Who?»

L’alicorno alzò lo sguardo e vide il suo animaletto da compagnia Gufolisio alzarsi in volo dal suo trespolo, e atterrare sulla testa equina di legno intagliato che sovrastava lo scrittoio. Il gufo la guardò con i suoi piccoli e imperscrutabili occhietti neri, emettendo un'altra volta quel tenue bubolare, come a volerle chiedere se c’era qualcosa che la turbava.

«Va tutto bene, amico mio. Non ti preoccupare.» Lo rincuorò sorridendogli.

Guardò il messaggio scritto sul diario, sapendo di dover prendere una decisione al riguardo. Si alzò per riporlo nel suo nascondiglio.

Facendolo levitare accanto a sé con la telecinesi, cercò il punto giusto nella sezione degli Incantesimi Elementari, unico segmento della biblioteca in cui sapeva che Spike non sarebbe mai andato a cercarlo, e lo inserì dietro una fila di libri proveniente dall’Accademia per Unicorni Dotati, che a dire il vero lei aveva già imparato a memoria ancora prima che i suoi genitori avessero deciso di iscriverla alla scuola.

Messi al sicuro i suoi segreti, si sistemò le piume delle ali con il muso e le distese per sgranchirsi i muscoli.

Era stata insignita del rango di Principessa da quasi due anni, sebbene l’invasione dei Kaiju avesse stravolto completamente i piani originali che Princess Celestia aveva serbato per lei, e grazie alle dure lezioni dell’amica Rainbow Dash aveva imparato l’arte del volo al meglio delle sue capacità, applicandosi nel padroneggiare tutte le regole fondamentali della pratica, dallo sfruttamento del moto delle correnti, alle tecniche per il mantenimento della stabilità in quota nelle situazioni più avverse. E ora, sebbene le mancassero ancora molte miglia di volo per potersi considerare una candidata ideale per l’Accademia degli Wonderbolts, conosceva quanto bastava della disciplina da essere in grado di svolazzare tranquillamente per i cieli di Ponyville senza temere di rovinare al suolo in imbarazzanti capitomboli, che mal si sarebbero addetti a una Principessa.

Sbatté le ali un paio di volte sollevandosi da terra, quindi si librò fino alla sua camera da letto al piano di sopra. Quel giorno la sua (di solito) straripante agenda non disponeva impegni particolari per il pomeriggio, e l’ora di pranzo era già passata da un pezzo, pertanto, invece di prendersi avanti con i doveri dei giorni seguenti, decise di punto in bianco di appartarsi sul materasso, in compagnia di un po’ di sane letture di narrativa equina classica, avvolta nelle calde coperte del suo letto. Così facendo, sperava di tener lontani da sé i turbamenti della guerra contro i Kaiju.

Prese dalla libreria accanto al materasso uno dei tanti libri che aveva nella lista delle letture in corso, e aprì all’incirca a un terzo del romanzo.

Quando poi si accoccolò tra le lenzuola, pronta ad avventurarsi nell’epica storia del protagonista dell’opera, avvenne qualcosa di assolutamente imprevisto, che la costrinse a cambiare repentinamente i suoi piani per la giornata: il suo assistente Spike entrò precipitosamente nella biblioteca chiamandola per nome e agitandosi, alternando invocazioni d’aiuto a inquietanti versi strozzati.

«Spike! Che ti prende, ti senti male?!» Galoppò giù dalla rampa di scale e corse in soccorso del draghetto, con il cuore che palpitava a mille. Era inginocchiato a terra, e si tirava dei poderosi pugni al petto, come se tentasse di liberarsi da qualcosa che gli era andato di traverso in gola.

«Io… Twilight… non so… male…» furono le sue uniche parole.

«Ti porto dell’acqua, resisti!»

«No… ‘spetta!» La arrestò di colpo. Si alzò in piedi e piegò in avanti la testa, colto da un conato di rigurgito. Twilight lo guardava spaventata e impotente, chiedendosi se potesse aiutarlo.

Un verso strozzato anticipò un secondo conato, poi un altro ancora, e alla fine, un terzo, che terminò con un fragoroso rutto, seguito da una grande fiammata verde che materializzò nell’aria una pergamena ordinatamente arrotolata. Spike quindi si accasciò a terra, esalando un sospiro di sollievo.

«Va meglio ora?» Chiese l’alicorno.

«S-sì…» rispose ansimando «accetto volentieri quel bicchiere d’acqua.»

Twilight fece per andare a prenderglielo, ma la pergamena attirò la sua attenzione. A un’analisi superficiale sembrava la tipica comunicazione della Principessa Celestia, ma guardandola più attentamente notò che aveva qualcosa di diverso dal solito: in genere si presentavano arrotolate con un nastro cremisi, tenuto insieme da un sigillo placato in oro, con incisa sopra la “C” dello stemma di Canterlot, a dimostrazione che provenivano dalla posta Reale del castello. Il doblone che avvolgeva questa, invece, era in bronzo, e su di esso vi era impressa una stella a cinque punte.

Nella sua vita, le era capitato soltanto un paio di volte di vederne altre di quel tipo, e si ricordò che abitualmente erano usati dal corpo militare delle Guardie Reali (cui simbolo era per l’appunto una stella a cinque punte) per scambiarsi comunicazioni in battaglia, oppure per…

«“Convocazione urgente per Sua Altezza Princess Twilight Sparkle”!» Lesse ad alta voce, in modo che anche Spike potesse sentire.

«Ah sì? E da parte di chi?»

Twilight guardò il mittente, e leggendo il nome si ritrovò più confusa di prima nel vedervi scritto: «Princess Celestia!»

Spike assentì con un’esclamazione poco convinta.

«Ma non capisci?!» Continuò l’alicorno. «Lei non mi ha mai inviato messaggi di questo tipo, nemmeno quando ci convocava per combattere contro i Kaiju!» Riflettendoci attentamente, le venne il sospetto che poteva non essere un caso. Sussultò. «Forse le è successo qualcosa di grave?! Forse a Princess Luna?!? Forse… a tutta Canterlot!!»

«Che ne dici di leggere quello che c’è scritto?»

Twilight tornò con gli zoccoli per terra. «Oh? Sì… giusto. Eheh.»

Spike sospirò rassegnato. Come dice il detto: “Il lupo del legno perde i rami, ma non il vizio”.

Twilight diede uno scorcio alla grafia, constatando che corrispondeva a quella abitualmente usata dalla Principessa. Le lettere scorrevano con un corsivo nobile ed elegante, senza sbavature o segni d’imperfezione ai margini che lasciassero intuire che fosse stata redatta di fretta. Anzi, il contenuto in sé dava prova di essere stato composto con grande cura e ponderata scelta di parole. Non fosse stato per il sigillo militare e il testo dell’Oggetto, sarebbe apparsa uguale a qualsiasi altra lettera inviatale fino ad allora:


“Cara Twilight.

In questi giorni di tensioni e paure, dove tutti noi ci troviamo a condividere la difficile emergenza dei Kaiju, che ha travolto le nostre vite come vento di burrasca, vi porgo le mie scuse – in particolare a Spike – per l’agitazione che questa mia lettera vi ha causato. Era fondamentale per me assicurarmi che vi fosse recapitata in tempi rapidi, e ho ritenuto pertanto opportuno servirmi in via straordinaria del sigillo marziale per adempiere allo scopo.

Qualche ora fa, mi è giunta notizia che tuo fratello, il Principe Shining Armor, ha provveduto alla cattura di un pericoloso ricercato in fuga dai nostri eserciti da molti mesi a questa parte.

Il soggetto si trova ora incarcerato insieme a un suo collaboratore nella prigione dell’Impero di Cristallo, in attesa dell’interrogatorio e del processo, ed è stato richiesto a me e a mia sorella Luna di presenziarvi con urgenza.

Abbiamo a che fare con due elementi incredibilmente scaltri e pericolosi, che durante la cattura hanno messo in seria difficoltà l’intero plotone di Shining Armor.

Princess Twilight, tu sai quanta fiducia io riponga in te e nelle tue amiche, perciò è mio desiderio richiedere anche la vostra presenza, nel caso la situazione dovesse precipitare.

Non possiamo perdere tempo. Con la Festa del Focolare dell’Amicizia alle porte e il ritorno dei Kaiju previsto in due mesi, dobbiamo porre rimedio a questa emergenza in tempi rapidi e senza inconvenienti.

Qualora accettaste, è importante che vi mettiate subito in viaggio con il primo espresso per l’Impero di Cristallo, e che mi comunichiate la vostra decisione entro pochi minuti dalla lettura di questa lettera.

Vi saranno dati maggiori dettagli al riguardo una volta giunti a destinazione.

Dettovi questo, il mio augurio è che possiate venire tutte.

Ora vi lascio, in attesa della vostra risposta, e vi chiedo ancora scusa per il tumulto.”


Al termine della lettera, Twilight deglutì rumorosamente. «Presenziare a un… processo?»

«Già. Non è fantastico?» Esulto Spike, sprizzante di gioia «forse è il famoso ladro gentil-stallone Arsenic Clopin… o… oppure un qualche criminale psicopatico in fuga da qualche carcere di massima sicurezza… o… »

«Non lo so, Spike… è la prima volta che Princess Celestia mi fa una richiesta del genere. Sinceramente non me lo sarei mai aspettata.»

«Beh, chissà. Può darsi che questo faccia parte dell’ordinaria amministrazione delle Principesse, non pensi?»

La pony dal manto viola sospirò. «Sì, forse hai ragione. Vado a scriverle la lettera di risposta.»

«Vuoi che ci penso io?» Chiese il draghetto, armatosi di penna e papiro, estratti magicamente dal nulla.

«No, grazie. Ho voglia di scribacchiare un po’.»

Il volto di Spike s’imbruttì in una smorfia di delusione. «Oh… ok.»

Twilight compilò il messaggio cercando di essere il più sintetica possibile. Cominciò col ringraziare la Principessa dell’invito e proseguì dandole conferma che avrebbe contattato le altre non appena la pergamena sarebbe stata rispedita. Aggiunse anche un breve paragrafo in calligrafia incerta, in cui la ringraziava della fiducia e che si augurava di poterle essere d’aiuto una volta giunte all’Impero.

Certamente le sue amiche non si sarebbero tirare indietro di fronte a una richiesta così importante da parte della Principessa. Doveva soltanto usare i Cristalli del Richiamo che le aveva regalato Cadance, per convocarle rapidamente.

Spike le era accanto e la guardava disilluso mentre seguiva con gli occhi la penna che s’intingeva nell’inchiostro del calamaio, riempiendo la superficie ruvida del foglio riga dopo riga.

«Fatto!» Annunciò Twilight, arrotolandola col nastro del sigillo di bronzo e consegnandola all’assistente. Lui, imbronciato e tenendo le braccia conserte, la incendiò con uno zampillo poco convinto, e immediatamente una fiammella verde l’avvolse trasformandola in un nugolo di scintille volteggianti, che poi scomparvero nel nulla, dirette a Canterlot.

«Secondo te chi può essere questo… “ricercato” di cui parlava? » Chiese poco dopo Spike, enfatizzando le virgolette con gli artigli.

«Hmm, forse… » Twilight si perse per qualche secondo sulle ipotesi, compilando una lista mentale dei potenziali nomi che sapeva fossero ricercati dalla legge, ma su due zoccoli non seppe che risposta dargli «mah, immagino che lo scopriremo quando saremo lì. Intanto faccio venire qui le ragazze, poi vedremo.»

Si avviò verso una cupola in vetro, collocata sopra un sostegno in una stanza adiacente della biblioteca, dove risiedeva il suo cristallo.

«E io a preparare le valige!»

«Tu non verrai, Spike.» Gli comunicò dall’altra stanza.

«Cosa? Ma… h-hai detto che noi… »

«”Quando saremo lì” intendevo me e le ragazze. Non sappiamo con chi avremo a che fare. La situazione potrebbe mettersi molto male questa volta.»

«M-ma… ma se vi ho aiutato a recuperare il Cuore di Cristallo dalle grinfie di Re Sombra!»

«E a momenti finivi fatto a pezzi!»

«Questo lo so ma… uff!» Accanto a sé, per terra, c’era un libro. Arrabbiato, Spike lo calciò tanto forte da abbattere il trespolo su cui Gufolisio era pacificamente tornato a riposare. Il gufetto si erse in volo e trovò riparo sul davanzale della finestra, ammonendolo con uno sguardo di rimprovero. «Comunque la mia acqua la voglio ancora!» Urlò Spike, dimenando le braccia per protesta. L’alicorno non badò a lui, concentrata quant’era sul suo compito. Sollevò la campana nella quale era contenuto un piccolo quarzo grezzo, di forma irregolare e dai riflessi magenta della stessa tonalità dell’Elemento della Magia, collocato sull’insenatura imbottita di un piedistallo in velluto rosa scuro, uguale a quello su cui erano riposti gli Elementi dell’Armonia. Per attivarlo avrebbe dovuto ricorrere a un incantesimo molto particolare, ideato apposta per interagire con esso: la Magia del Richiamo.

Un bagliore luminoso e violaceo scintillò dal corno della pony, aumentando d’intensità man mano che l’incantesimo interagiva con la pietra. Da dentro il cristallo un luccichio del suo stesso colore risplendette di risposta, e per un momento non successe nient’altro. Ma poi il cristallo cominciò a vibrare  e saltellare rumorosamente su se stesso, diffondendo un acuto e fastidioso trillo simile al rumore di una vecchia sveglia, tanto intenso che persino un vecchio pony di terra sordo come una campana sarebbe stato in grado di sentirlo. Twilight si affrettò a toccarlo con un delicato colpetto di zoccolo, che lo disattivò facendolo tornare nel suo stato di quiete apparente (esso reagiva solo e unicamente al tocco della Custode al quale era stato assegnato). E così, la prima parte della convocazione fu portata a termine. Ora spettava a Pinkie Pie e alle loro amiche rispondere alla chiamata dei Cristalli.


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Al piano superiore dell’Angolo Zuccherino dei Signori Cake, qualcuno stava facendo un gran baccano con quello che sembrava un rintronante scampanellio di sveglia, attirando l’attenzione degli avventori del locale, che si lanciavano tra di loro occhiate imbarazzate.

Mrs. Cup Cake e suo marito Carrot Cake fecero altrettanto, e anche di più.

«Ehm… cara… che ne dici di… andare a controllare?» Propose lui, sentendosi addosso gli occhi inquisitori della clientela.

«Oh… sì… ma certo caro!» La moglie esibì un sorriso sornione a trentadue denti che ostentava falso controllo, e si diresse nell’area privata della pasticceria, verso la scalinata. «Pinkiee?» Cantilenò.

La pony rosa dai boccoli cotonati comparve da dietro la parete in cima alla rampa, tendendole solo il collo. «Sì, Mrs. Cake. Mi ha chiamato?» Chiese lei, atteggiandosi in una gioia troppo teatrale perfino per Pinkie Pie.

«Va tutto bene lassù?»

«Oh… ahm… sì! Ma certo che sì! Io e i gemelli ci stiamo divertendo un mondo quassù!»

La pasticcera non parve soddisfatta della risposta. «Non per essere impicciona, maaa… che cos’è quell’insopportabile suono che stiamo sentendo tutti qui sotto?»

«Ah, questo… beh ecco è…» pensò in fretta a una risposta da dare «è il nuovo gioco che abbiamo inventato! Si chiama “indovina chi spegne la sveglina”! E’ super-iper divertente, sa? Uno dei partecipanti chiude gli occhi e conta fino a cinque tenendo con sé la sveglia, gli altri partecipanti la spengono e lui deve indovinare chi di loro è stato!»

«Dici davvero? Eppure avrei giurato che fosse il richiamo di quel cristallo che la tua amica Twilight ti ha regalato per quando dovete mettervi in contatto…»

«Ma nooo, assolutamente! Come le viene in mente?»

«Lo sai che non voglio che i piccoli ci giochino, vero? E’ pericoloso armeggiare con la magia se non la si sa controllare!»

«Certo che lo so! Difatti è tenuta chiusa a chiave al sicuro dentro la mia stanza!»

«Me lo garantisci?»

«Giuro senza tema di fallire che un confetto mi possa colpire!»

«Beh… in questo caso… che ne dite di fare un altro gioco? La pasticceria è piena di clienti per la Festa del Focolare, e sai com’è… qui sotto si sente tutto!»

«Oh… ma certo! Ho già in mente un nuovo gioco, lo chiamerò “Attacca la coda al mulo!”. No, aspetta, per farlo ho bisogno di un mulo. Non si può attaccare la coda al mulo senza il mulo! Non le pare, Signora Cake? Devo andare a cercare la Signorina Matilda, forse lei vorrà partecipare, oppure… »

La Signora Cake sospirò. «Io torno a lavoro, Pinkie. Il dovere mi chiama.»

«Oh, già! Arci-super d’accordo!» Spalancò la bocca in un immenso sorriso, che si accompagnò a uno «Squee» sonoro.

Le due si congedarono; la Signora Cake con il dubbio che la pony non gliel’avesse raccontata giusta, e Pinkie tornando subito seria nel momento in cui la proprietaria della pasticceria svanì dal suo campo visivo.

Si voltò. «Pumpkin, Pound… » percorse il corridoio del piano superiore e tornò nella stanza dei gemelli. «RIDATEMI SUBITO IL MIO CRISTALLO!!!!» Urlò una volta dentro, con le fiamme negli occhi e soffi di vapore che le fischiavano dalle orecchie.

I piccoli Cake volteggiavano per la stanza ridendo per tutto il tempo. Pound teneva tra le zampette la sorellina, che a sua volta tratteneva con la magia il Cristallo del Richiamo azzurro.

Tra le risate dei piccoli e lo scampanellio insistente del minerale, il baccano nella stanza era impressionante.

«Oh andiamo, ridatemelo! Le mie amiche hanno bisogno di me!» Piagnucolò inutilmente, totalmente ignorata dai due piccoli puledrini, che si comportavano come se lei non esistesse.

Pinkie Pie decise di passare alle maniere forti. «E va bene» disse con fare di sfida «volete la guerra? Io porto la guerra!»

Pound e Pumpkin si fermarono in quota e la guardarono incuriositi. La pony in rosa esibì un’inquietante sorriso formato da due lunghe file di denti aguzzi, mentre la sua criniera era diventata improvvisamente floscia e cadente. Dalla sua bocca cominciò a uscire una risata maligna, e il suo sguardo si fissò su quello dei cuccioli. Le sue pupille si restrinsero come quelle di un predatore che metteva a fuoco le sue prede, in attesa dell’agguato. Poi, d’improvviso, successe qualcosa. Fece un movimento con la testa e la sua criniera si rigonfiò in un ciuffo di ricci vivaci che tenevano stretti – come fossero un tentacolo prensile – un biberon ricolmo di latte appena scaldato. «Guardate cos’ho qui!» Mosse anche la coda, e un secondo dopo, un altro biberon fece la sua comparsa, avvolto nei peli rosa.

I piccoli occhietti scuri dei gemellini si allargarono incantati. Pound e Pumpkin emisero dei gemiti di fame.

«Li volete? Ecco, venite a prenderli dalla Zia Pinkie!»

Li gettò per aria, e i due, scordatisi per incanto del cristallo, lo lasciarono cadere a terra per acchiapparli al volo.

Approfittando della distrazione, Pinkie si lanciò in avanti per recuperarlo. Il quarzo tremava e si scuoteva sulle assi del pavimento, fondendo il suo trillo al suono della vibrazione del legno. Pinkie lo toccò, e immediatamente l’oggetto cesso il suo richiamo insistente.

I piccoli Cake si estraniarono dalla scena, troppo presi dalla poppata per badare a lei, così la pony li sollevò da terra per condurli nel loro lettino. Li chiuse dentro e restò affacciata a osservarli per un po’, mentre si godevano il loro latte, commossa malgrado tutto. «Pinkie deve fare una cosa, piccoli.» Disse teneramente, come un amorevole Zia che parlava ai nipotini. «Fate i bravi con mamma e papà mentre io non ci sono.» Si chinò, quindi, sulla culla per dare a entrambi un delicato bacetto sulla guancia.

Poco dopo stava schizzando ad ampi balzi fuori dall’Angolo Zuccherino.

«Dove stai andando, Pinkie?» La arrestò nel corridoio Mrs. Cake.

«Ecco, vede… mi sono appena ricordata che devo fare una cosa importante per Rarity. Non starò via molto, promesso!» Prima di rispondere stava già saltellando fuori dal locale.

«E i cuccioli?» Gridò Cup Cake, seguendola fino alla porta.

«Sono nel lettino. Stanno mangiando!» Tagliò corto, ormai lontana, sparendo lungo i vicoli di Ponyville.

Finalmente libera, Pinkie Pie smise di salticchiare e cominciò a galoppare a trotto veloce verso la casa di Twilight.


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Nello stesso momento, alla Carousel Boutique di Rarity.

«Ahi! Le dispiace fare più attenzione?!» Si lamentò la corpulenta pony sulla pedana.

«Sono veramente mortificata, signora Turnip, vedrà che rimedierò in un momento!» Si scusò Rarity a denti stretti.

«Sono signorina. Se non le spiace!»

«Già, ha ragione… “signorina”.»

La signorina della situazione era una voluminosa pony di terra di nome Silly Turnip, con un manto fucsia chiaro e una lunga e mal-pettinata criniera verde lasciata cadente lungo le spalle e il collo, il cui cutie mark era una… rapa. Aveva evidenti problemi di sovrappeso e un caratteraccio che l’avrebbe resa detestabile persino a Fluttershy durante le sue giornate migliori.

Era stata bandita dalle sartorie di tutto il regno, dalle più rinomate di Canterlot, alla “Stracci e strofinacci per minatori” di Dodge City, per finire poi a mettere i suoi grassi e flaccidi zoccoli alla boutique di Rarity, dove le aveva commissionato un vestito da Gran Galà di due taglie più piccolo di quello che avrebbe fisicamente e moralmente potuto indossare, e che ora si ostinava a voler provare ad ogni costo.

«Allora, si vuole sbrigare con quei lacci, Miss?! Tra tre giorni devo prendere parte a un’importante rinfresco a Canterlot! E’ il primo che organizzano dalla fine dello stato di emergenza, e devo essere PERFETTA per l’occasione! Non ho tutta la giornata da perdere!»

Rarity si sforzò di unire le due estremità del corsetto servendosi di tutta la magia e del sangue freddo che aveva in corpo, ma i continui nitriti isterici dell’odiosa cliente le impedivano di portare a termine il compito.

«Lei mi delude altamente, ragazza! Sarebbe lei la famosa stilista di cui Fancy Pants parla un gran bene ai suoi ricevimenti? A giudicare dalle sue discutibili doti, non la ritengo  nemmeno degna di servire il tè a una VERA stilista!»

«Senta!» Si spazientì, e dentro di sé covò il grande desiderio di sbatterla fuori con due poderosi calci nel posteriore. «Non è colpa mia se lei mi ha commissionato un abito di due taglie più piccole della sua! Io l’avevo avvisata che non sarebbe riuscita a entrarci!»

La faccia di Turnip si colorò di un rosso sanguigno. «Sta forse insinuando che io sia GRASSA?!?»

«Oh sì, decisamente ha visto giusto! Lei è proprio una… » sentì un rumore provenire dall’altra stanza, e ammutolì di colpo. Era il Cristallo del Richiamo. «Una deliziosa e adorabile cliente che sarò ben felice di soddisfare!» Si corresse immediatamente, in virtù della circostanza.

«Oh… ? Dice sul serio?» Silly Turnip sembrò abboccare in pieno.

«Ma certo che sì! Non per niente sono la migliore stilista di Ponyville!» Si lodò con gesti e movenze da attrice teatrale.

«Quindi non pensa che io sia grassa?»

«Oh, tesoro, ma certo che no! Guardi qui.» Tocco un punto a caso del corsetto, giocandosela con l’inesperienza dell’avventrice. «Questo tessuto. Così vecchio e così poco… elastico… io avevo detto al fattorino di consegnarmi della merce migliore, ma sa com’è di questi tempi. Con la crisi economica e tutto il resto!»

Silly Turnip la guardò smarrita. «Immagino di sì.»

«Perfetto! Quindi siamo d’accordo! Torni domani e rimedieremo insieme!»

«Ma veramente… »

«Sì, lo so, sono stata sgarbata. E mi dispiace immensamente. Ma quando verrà domani, farò di lei la pony più meravigliosamente bella di tutta Equestria, glielo assicuro! Ho già in mente come fare, sa?» Con il corno, le sfilò rapidamente l’abito di dosso e lo mise su un appendiabiti. Era orribilmente dilatato, oltre ogni limite esteticamente tollerabile, e scivolò subito dalla gruccia non appena la magia dell’unicorno smise di avvolgerlo.

«Dice sul serio? La pony più bella di Equestria?» Silly Turnip alzò lo sguardo in aria, e si perse in un sogno ad occhi aperti in cui era l’anima della festa e tutti gli invitati la guardavano ammaliati, mentre sfilava come una diva sul red carpet, con indosso l’abito cucito su “misura” da Rarity. «Devo dire che l’idea mi alletta!» Commentò appagata.

«Vedrà, le confezionerò l’abito più bello del mondo! Sarà qualcosa di mai visto prima!» L’unicorno si affrettò ad accompagnarla all’uscita, ansiosa di levarsela dagli zoccoli il prima possibile.

«Sa, stavo pensando» cominciò l’obesa pony «forse l’abito diverrebbe ancora più divino se ci aggiungessimo qualche baguette di cristallo, o anche meglio, degli strass di diamanti! Cosa ne pensa?»

“Strass di diamanti su… ? Oh Celestia perdonala!”. «Signora, ma lei è veramente una stilista nata! Dovrebbe aprirla LEI una boutique tutta sua!» La lusingò, dando fondo a tutte le sue abilità da attrice per nascondere il disgusto che a stento tratteneva.

«Signorina.» Insistette a precisare lei.

«Sì, “signorina”… ha ragione, oggi sono proprio sbadata!»

Parlando e riparlando, alla fine riuscì a metterla alla porta.

«Beh. Modestamente sono di nobili origini. Per metà sangue blu, con lontane discendenze tra i Reali. La nostra famiglia se ne intende di alta moda, sa?» si vantò Silly Turnip, in preda a un delirio da ego sfrenato.

«Oh, mi creda: le sue nobili discendenze le dimostra da un miglio di distanza! Ora però mi scusi, ma ho un ordine importante da terminare per le quattro, devo subito rimettermi a lavoro!»

La cliente aprì bocca, come per rispondere qualcos’altro, ma Rarity fu più svelta di lei. «Ripassi domani. Arrivederci e grazie!» E le chiuse la porta in faccia.

Si nascose dietro le tende che decoravano la finestra, immaginando che da un momento all’altro Silly Turnip si sarebbe affacciata al vetro per spiare l’interno, e restò lì per una trentina di secondi col solo trillo del cristallo a spezzare la monotonia del vuoto nella boutique. Si sporse appena appena, cercando di capire se l’antipatica grassona fosse ancora nei paraggi, ma non vide anima viva da nessuna parte. Si rasserenò, ma non volle correre rischi, e invece di lanciarsi al trotto verso l’altra stanza, col rischio di tradirsi e farsi scoprire, decise di strisciare quatta quatta a contatto col pavimento fino alla soglia.

Raggiunse una stanza con un grande specchio ovale, sotto il quale vi era un elegante banchetto in legno con un portagioie in oro a forma di scrigno, dal cui interno proveniva l’assillante richiamo del cristallo. Aprì il coperchio col corno, rivelandone il contenuto avvolto da una fodera di seta rossa. Il minerale, come eccitato dalla vista della luce che si rifletteva sulla sua superficie viola, saltellò sul posto con maggior foga. Il rumore che emetteva esplose con fervore, propagandosi per tutta la stanza e rimbalzando su tutte le pareti, assordando l’unicorno. Rarity si tappò d’istinto le orecchie, ma si rese subito conto che l’unica cosa sensata da fare era disattivare l’incantesimo.

Muovendosi più in fretta che poté, allontanò gli zoccoli da sé ed estese la zampa verso esso. Un tocco deciso e il silenzio tornò a regnare.

Soffermandosi dinanzi al cristallo, Rarity capì che doveva essere successo qualcosa di grave a Equestria. Quel richiamo era usato da Twilight per convocarle in caso di attacco Kaiju, ma era passato ancora troppo poco tempo dall’ultima manifestazione, perciò era mai possibile che fosse successo qualcos’altro?

Twilight non l’avrebbe mai usato a sproposito, questo era sicuro, ma allora perché attivarlo?

C’era un solo modo per scoprirlo.


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Contemporaneamente a Rarity, un altro genere di discussione stava scombussolano la tranquillità di una pacifica pony al limitare della Everfree Forest.

Era arrivato il momento, per molti animaletti, di rintanarsi nei loro nidi per dare il via al lungo sonno del letargo invernale.

Come sempre, la dolce e gentile Fluttershy aveva assistito le piccole creature nella costruzione delle tane e nell’allestimento di ogni rifugio, augurando buon letargo a ciascuno di loro prima che si avviassero al grande sonno.

La minaccia costante dei Kaiju e dei sismi, che lambivano le terre di Equestria con il loro carico di terrore e devastazione, avevano reso le vite delle innocenti creature del bosco difficili e irte di pericoli. Negli ultimi mesi, per la pegaso dal manto giallo era diventato un compito davvero complesso assicurarsi l’incolumità di ciascuno di loro, e durante l’anno precedente riuscire a convincerli ad andare a dormire durante l’inverno si era rivelato un’impresa quasi fuori portata perfino per lei. Come i pony, anche loro erano terrorizzati dalla prospettiva del ritorno dei giganti, ma proprio come i pony, anche per loro la schiacciante vittoria del terzo attacco aveva restituito ai piccoli cuoricini inquieti la speranza di un ritorno dell’armonia.

L’anno corrente il compito si era rivelato ben più semplice di quanto Fluttershy potesse sperare, e ora la maggior parte degli abitanti della foresta stavano già ronfando, protetti nel rassicurante torpore dei loro rifugi sotterranei. Solo uno di loro aveva contravvenuto alle regole e si rifiutava di andare in letargo. Era un porcospino di nome Stingy.

Fluttershy gli parlava con la sua vocina affabile e delicata, cercando di convincerlo a entrare nella sua buca. «Andiamo, Signor Stingy, lo sa che non può restare qui fuori durante l’inverno. Le prometto che quando si risveglierà, la sua collezione di foglie sarà ancora lì ad attenderla.» Accanto a loro, ricoperta da uno sottile patina di umidità gelata, una piramide alta un metro di foglie secche dai colori autunnali, che sembrava il risultato della pulizia di un giardino, rappresentava il motivo della discussione tra il pony e il testardo istrice.

L’ursone protestò con degli stridii, agitandosi sul posto e facendo chiaramente intendere che non era intenzionato ad abbandonare la sua pila di foglie al freddo dell’inverno e alle intemperie della neve.

«Ma deve andare a dormire. Altrimenti quando i suoi amici si sveglieranno in primavera, lei sarà troppo stanco per giocare con loro.»

Nella lingua dei porcospini, Stingy disse che non gli importava né del letargo né degli altri animali, e che voleva solamente restare sveglio a badare alle sue foglie. Niente e nessun altro.

«Nemmeno il Signor Dentino Castorino?» Chiese Fluttershy «Pensavo che voi due foste amici… »

Stingy, col suo linguaggio bestiale, rispose con un’imprecazione intraducibile, che scandalizzò la timida pony.

«Che modi sono questi?! Allora è stato lei ad insegnare a Dentino Castorino a dire quelle brutte parole?»

Imperterrito, Stingy continuò asserendo che non gli importava nemmeno di questo, e che non sarebbe andato in letargo per nessuna ragione al mondo, non senza le sue adorate foglie. Aggiunse poi un’offesa rivolta ai capelli di Fluttershy, e sul fatto che sarebbe dovuta andare in un certo posto, che la pony non fu sicura di capire, colpa dell’accento “messicano” dell’istrice.

«Ehi ma… » la soave pony si trovò di punto in bianco in bilico tra l’imbarazzo e l’indignazione «io cerco di essere gentile con te, e tu… »

Ancora, Stingy le rivolse una rumorosa pernacchia con la bocca, e iniziò a improvvisare un balletto denigratorio tappandosi le orecchie con le zampette anteriori, e dando segno di non avere alcuna intenzione di ascoltarla.

A quel punto la timida Fluttershy perse la pazienza. «Io… non voglio farlo, ma… non mi lasci altra scelta… » spalancò più che poté gli occhi e gli puntò contro il suo Sguardo accusatorio, l’arma definitiva contro ogni creatura, grande e piccola. Per quanto fosse sprizzante di ferrea determinazione, il porcospino non poté nulla contro quegli occhi di ghiaccio, e finì per ammansirsi all’istante, come pietrificato dallo sguardo gorgonico della pony. Si rannicchiò a terra, sottomesso.

«Molte bene. Vede che possiamo andare d’accordo, Signor Stingy?» Disse lei, tornata a impersonare il ruolo della dolce e amorevole amica degli animali. L’istrice, invece, si limitò ad annuire spaventato e sconfitto, accettando di entrare nella tana senza il suo tesoro.

«Su, non sia triste. Quando si sveglierà vedrà che troverà tante altre belle foglioline che potrà aggiungere alla sua collezione.» Aggiunse, in un goffo tentativo di consolarlo, ma finì per ottenere l’effetto contrario: resosi forse conto di cosa stava lasciando fuori dal nido, l’ursone schizzò subito all’esterno tuffandosi disperatamente nel cumulo del fogliame. Piagnucolò come un cucciolo e supplicò Fluttershy di lasciargliele portare almeno un po’ con sé nel nido.

«Oh santo cielo, no» scosse la testa «la sua tana è troppo piccola per entrambi, non ci entrerete mai insieme!»

Stingy si lamentò tra sé e sé con dei versi che Fluttershy non fu in grado di interpretare.

«Beh, io gliel’avevo detto di non esagerare con le scorte per l’inverno. Quest’anno ha messo su troppa pancia.»

Un commento che non sortì alcun genere di effetto.

La pony si rese conto di essere tornata al punto di partenza. Urgeva una soluzione drastica, e se l’istrice non era intenzionato ad abbandonare la sua bizzarra collezione fuori dal nido, occorreva un piano B con effetto immediato. «Se vuole posso…  portarle in casa con me.» Suggerì a bruciapelo, senza neanche curarsi di riflettere sulla ragionevolezza di una tale proposta. Ma contro ogni pronostico, si rivelò vincente.

Dieci minuti dopo, stava trascinando in casa il cumulo di foglie servendosi di un lenzuolo.

Il coniglietto Angel, unico tra i suoi animaletti a non essere andato in letargo, la guardò a bocca spalancata dall’alto del suo divano preferito, scuotendo la testa, incredulo.

«Non avevo scelta, Angel. Stingy il porcospino non voleva lasciare le sue foglie fuori dal nido, e per convincerlo gli ho promesso che me ne sarei presa cura io durante l’inverno.»

Angel, che indossava un buffo berrettino invernale di lana a forma di carota (arancione con una pallina verde scura sulla punta), manifestò la sua vergogna per la padroncina sfilandoselo di dosso e affondandovi la testa fino a sprofondarci dentro. Fluttershy non si curò della sua reazione e continuò a trascinare con la bocca il lenzuolo.

Decise di lasciare il cumulo di foglie in un angolo della stanza, vicino a una credenza in legno verde, ai piedi di una scaletta per piccoli roditori che s’innalzava lungo la parete e culminava in una piccola porticina sul muro.

«Ecco fatto!» Disse soddisfatta «così, quando l’inverno passerà e il Signor Stingy si sarà svegliato, troverà le sue foglie esattamente come le ha lasciate.»

Angel, che già di suo non parlava, decise di chiudersi in un silenzio sconcertato.

Un trillo improvviso proveniente dalla credenza colse entrambi di sorpresa.    «Ihh!» Fluttershy, presa dal panico, si tuffò d’istinto nel fogliame, finendo per sparpagliarlo per tutta la stanza e su ogni pezzo del mobilio.

Le ci vollero alcuni secondi per rendersi conto della vera natura del suono.

La testolina imbronciata di Angel spuntò da un mucchietto di foglie che avevano ricoperto il divano.

«Hehe, ops… » Fluttershy si scusò con una risatina nervosa, e aprì il cassetto dove sapeva di aver riposto il Cristallo del Richiamo rosa che Twilight le aveva donato.

Allungò la zampa con l’intenzione di disattivarlo, ma questi decise di farle un altro scherzetto; con un vigoroso balzo, saltò in su, atterrandole sugli zoccoli, come un piccolo animale che atterra in picchiata su una creatura dieci volte più grande di lui. La sorpresa fu troppo inaspettata per la delicata psiche della pony, che finì per urlare terrorizzata e lanciarlo all’indietro, impattandolo al suolo. Una piccola scheggia del cristallo si stacco dal resto del blocco, ma per lo meno si spense, calando una coltre di silenzio asfissiante nella stanza della Custode della Gentilezza.

Fu un momento di assoluto disorientamento, che Fluttershy cercò di scansare prendendola sul ridere, anche se non mancò di farle sorgere dei timori. La prima direzione verso cui andò il suo pensiero fu ai piccoli animali della foresta, che potevano essersi risvegliati sentendo il richiamo, ma la sua coscienza le ricordò che c’era una questione ben più importante da affrontare: quel cristallo non si era comportato in quel modo per caso. Se Twilight Sparkle aveva scelto di utilizzarlo, significava che un’altra emergenza, ben più grave, era attualmente in corso da qualche parte.

Deglutì nervosamente e si sentì le esili zampette tremare di fronte al pensiero che un nuovo attacco kaiju stesse per abbattersi sulle loro vite. Vite che con tanta forza di spirito stavano imparando a ricostruire.

Provò paura, non quella fulminante e a breve termine che coglie in un sussulto e svapora insieme all’adrenalina, ma l’incubo interiore che avanza a piccoli passi e prende possesso del corpo, agguanta il cuore e offusca la vista.  

Benché consapevole di dover rispondere all’appello, Fluttershy assaporò una dolcezza corrotta nella prospettiva di nascondersi nel suo personale rifugio invernale e attendere la fine della tempesta. Poi si prese del tempo per rifletterci, e sebbene lo desiderasse con tutto il suo cuore, dovette ammettere di non poterlo fare. Alle ragazze serviva il suo aiuto per garantire agli Elementi dell’Armonia sufficiente carica per abbattere il nemico, e per quanto il desiderio di farsi da parte la stesse tentando col suo invito vizioso, era consapevole di non potersi tirare indietro.

«Sono veramente dispiaciuta, Angel, ma le mie amiche hanno bisogno di me» cominciò «se hai fame, in cucina ci sono delle mele. Io torno presto.» Galoppò fuori casa incespicando nell’incertezza.

Accortosi che la sua padrona stava per abbandonarlo al disordine, il coniglietto le corse in contro, e cercò di trattenerla afferrandola per una zampa.

Fluttershy trovò quell’insistenza quasi invitante, pensando che se l’avesse usata come scusa, sarebbe stata sufficiente per giustificare la sua assenza all’alicorno. Ma no, decisamente non era una buona idea. «L-lo so… nemmeno io vorrei, ma… scusami.» Si scrollò delicatamente dalla sua presa e spiccò il volo. Qualunque cosa Angel le avrebbe detto al suo ritorno, se ne sarebbe occupata poi. Ora doveva andare. Twilight la stava aspettando.


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Non molto lontano da lì, al Giardino Dolcimele, la famiglia Apple era affaccendata con i doveri in vista della chiusura d’inverno.

I compiti se li erano suddivisi i due membri adulti della famiglia, con Big Macintosh che si era offerto di trainare i carri e le macchine agricole al fienile della fattoria, mentre la sorella Applejack puliva i recinti del bestiame e sistemava i nidi delle gallinelle al pollaio.

A lavoro finito, avendo guadagnato del tempo, decisero di sfruttare il vantaggio accumulato per riparare le ante in legno dalle finestre nella stalla dei maiali, le quali erano state danneggiate durante l’ultimo temporale.

«Hoo-wee!» Esultò Applejack al termine del lavoro, appoggiandosi sulla parete della stalla per riprendere fiato. «E anche questa è fatta! Non avrei mai creduto che finissimo così presto. Un nuovo record per gli Apple, eh Big Mac?»

Lo stallone dal manto rosso, col suo tipico atteggiamento da mezzadro bonario, confermò le sue parole: «Ehh-già!»

«Bene! Io vado a vedere cosa combinano Granny Smith e le ragazze» si avviò lungo il cortile «l’ultima volta che le ho lasciate stava ancora ripetendo loro la storia delle Zap Apples. Qualcosa mi dice che deve ancora finire!» Rise alla battuta.

«Ehm, Applejack… »

«Sì?» Voltandosi verso il fratello, si accorse che stava manifestando un’insolita aria spaesata.

«Ehh-io che faccio?» Le chiese lui, con un timbro disagiato nella voce.

La domanda, in effetti, era lecita. Era più unico che raro che si ritrovassero zoccoli in zoccolo con tutti gli impegni aziendali completati per tempo, senza che si fossero verificati ritardi o imprevisti di alcun genere, e la giornata era ancora giovane all’orizzonte. Un venticello fresco scosse i rami del frutteto e soffiò sul manto di Applejack, provocandole un brivido di freddo sulla criniera e giù lungo il garrese, suggerendole la risposta da dargli. «Beh, potresti andare in casa e riposarti.»

Big Mac la guardò con occhi spalancati, come se avesse appena udito parole formulate in una lingua sconosciuta. «”Riposarmi”?»

«Ma certo!» Sorrise lei «ti sdrai davanti al camino, chiedi a Granny Smith di prepararti uno di quelle sue deliziose tisane ai frutti di bosco e ti godi la giornata. Fidati è quello che ti ci vuole!» Se ne andò senza ascoltare la sua risposta, fiduciosa del fatto che avrebbe seguito il suo consiglio, ma si sbagliava. Completamente.

Big Mac non si mosse da lì. Era congelato nel tempo, inebetito e paralizzato da quella parola che la sua mente non era in grado di elaborare. “Riposare”. Non era nemmeno sicuro di conoscerne il significato, e non sarebbe stato in grado di muoversi fintanto che qualcuno non gli avesse dato uno zoccolo a sbloccarsi. Il vento soffiò dei granelli di polvere sul suo muso, poco dopo una foglia condotta dalla brezza si schiantò sul suo bulbo oculare sinistro, e lì sarebbe rimasta fino al ritorno di Applejack.

«Ehilà, Granny Smith?» La chiamò la pony una volta entrata in casa. Si aspettò di vederla seduta sulla sua sedia a dondolo preferita, con Apple Bloom e Babs Seed distese a terra, intente ad ascoltare con trasportato interesse l’emozionante storia della sua famiglia e della nascita di Ponyville. Quello che invece sentì alla soglia era un russare convinto e per nulla discreto. L’anziana pony, in effetti, si fece trovare al suo posto, con la testa piegata in avanti e un filo di bava che pendeva come gocce di miele schiumoso da un angolo della bocca. Stava dormendo della grossa e delle ragazze nessuna traccia.

«Granny, ehi? Svegliati!» La scosse sulla spalla, ma quella continuava a ronfare, fregandosene beatamente della nipote. «Dove sono finite Babs e Apple Bloom?»

Era inutile insistere, Granny Smith non si sarebbe mai svegliata dal suo sonnellino pomeridiano… non quando ce ne fosse stato veramente bisogno. Se voleva trovarle, avrebbe dovuto cercarle da sé.

Salì le scale fino alla stanza della sorellina, ma la trovò vuota, allora – pensò – l’unica alternativa era cercarle al club delle Cutie Mark Crusaders. Era l’unico altro posto in cui si sarebbero potuto rintanare col freddo di quella giornata.

Molto probabilmente erano state raggiunte anche da Scootaloo e Sweetie Belle, e tutte insieme si stavano cimentando in qualcuno dei loro bislacchi esperimenti per la conquista del simbolo di bellezza (quindi nulla di particolarmente preoccupante). Poiché per quella giornata aveva svolto tutti i suoi doveri al Giardino Dolcimele, decise di fare un salto da loro per vedere cosa stessero combinando.

Scese al pianterreno e notò ciò che non avrebbe mai voluto vedere: la dentiera di Granny Smith era a terra. Caduta probabilmente a causa delle sue percosse.

Per quanto l’idea la ripugnava, non poteva lasciarla lì, e mentre la raccoglieva con disgusto con la bocca e la appoggiava sul tavolino accanto, rimpianse come non mai di non avere una magia della levitazione da sfruttare per occasioni del genere.

Uscì di casa salutando la nonna, sebbene l’anziana continuasse imperturbata a oziare, e trottò lungo il cortile della fattoria fintanto che non s’imbatté nuovamente in Big Mac, vicino alla stalla dei maiali. A giudicare dalla posizione, sembrava non si fosse mosso di un solo millimetro dal punto in cui lo aveva lasciato poco prima. Una foglia secca gli danzava allegramente sul viso, mentre lui sembrava pietrificato in una posa statuaria.

Applejack gliela soffiò via dalla faccia e gli agitò lo zoccolo di fronte agli occhi per farlo reagire. Quando vide che fu tutto inutile, fece spallucce e proseguì lungo la sua strada. Se ne sarebbe occupata al ritorno, si disse.

Il club delle Cutie Mark Crusaders si trovava nel bel mezzo del meleto, ben visibile, nella stagione invernale degli alberi spogli, anche da una certa distanza.

Avvicinandosi sempre di più alla destinazione della sua meta, Applejack poteva udire distintamente il vociare allegro della sorellina e della cuginetta mentre discutevano con veemenza della prossima stramberia da sperimentare. E, a meno che le sue orecchie non la stessero traendo in inganno, anche la delicata e soave vocina della loro amica Sweetie Belle. Quindi era andata come se l’era immaginato: Granny Smith – come ogni anziano che si rispetti, molto chiacchierona – era caduta nel suo letargo comatoso mentre era impegnata a narrare delle vicende della sua gioventù, e le ragazze, rassegnate di non poter fare nulla per smuoverla, avevano deciso di trascorrere il resto del pomeriggio lì, nella loro club-house.

Giunta nei pressi della casetta sull’albero si trovò ad assistere a una scena che la lasciò senza fiato, e che poteva essere accostata, se proprio si voleva fare un paragone, a un rodeo selvaggio tra Apple Bloom e Babs Seed; la prima cercava di dominare la seconda con il suo esile corpicino, e la seconda dava prova della sua netta superiorità fisica cercando di scalciar via la prima da sopra la sua groppa. Sweetie Belle, invece, era ferma in un angolo dell’improvvisato ring e gridava frasi d’incitamento un po’ a una e un po’ all’altra combattente, a seconda di quale delle due si trovava in vantaggio sull’altra. Babs si liberò facilmente della presa della cuginetta, e la spinse via colpendola con tutti e quattro gli zoccoli contemporaneamente, facendola atterrare con un tonfo nelle vicinanze della sorella maggiore.

«Ehm… ciao Applejack.» Farfugliò la piccola puledrina, esibendo un sorriso innocente e angelico.

«Per tutti gli strudel di mele, si può sapere che cosa state combinando qui?!»

La piccola Sweetie Belle, calatasi un po’ nella parte dell’incitatrice, un po’ in quella dell’arbitro e un po’ della commentatrice, si prese l’incarico di rispondere per il gruppo. «Volevamo scoprire chi di noi era la più brava con il wrestling galoppante!»

«Wrestling galoppante?»

Apple Bloom si alzò da terra. «Già, e fino ad ora la più forte di noi si è rivelata Babs!»

Babs Seed sogghignò e si mise in posa trionfale, a occhi socchiusi ed esibendo i muscoli delle zampe anteriori.

«Non trovate che sia un po’… pericoloso, come metodo per trovare il vostro cutie mark?»

«Oh, ma noi non cerchiamo di ottenere il cutie mark del wrestling, Applejack!» Precisò Babs.

«Ah no? E per cosa allora?»

Le tre Cutie Mark Crusaders si scambiarono degli sguardi d’intesa, e in coro pronunciarono: «IL CUTIE MARK DELLE CACCIATRICI DI MOSTRI!»

Applejack non credette alle sue orecchie.

«Il “cutie mark delle cacciatrici di mostri” avete detto?!»

«Già, abbiamo pensato che, siccome siete soltanto in sei a combattere contro i Kaiju, forse… ecco, sì… forse possiamo aiutarvi anche noi!» Spiegò la sorellina di Rarity.

Le tre puledrine guardarono Applejack con sorrisi ottimisti e fiduciosi, come se pensassero sul serio di poter dare zoccolo forte alla resistenza contro i mostri.

La pony sospirò. «Apple Bloom, zuccherini. Apprezzo molto il vostro entusiasmo, ma… io spero che non diciate sul serio… insomma… combattere i Kaiju?»

«Certo che sì!» Prese parola Babs. «Hanno distrutto la mia città. Devono pagare!»

«Il fatto è che… » cercò d’indorar loro la pillola «voi non avete la minima idea di cosa significhi affrontare una di quelle creature. Non è un gioco, tantomeno per puledrine come voi!»

«Lo so questo, ma vedi… noi pensavamo che… »

«Niente “ma”, Apple Bloom. Non stiamo parlando solo della mia vita o di quella delle mie amiche, ma di tutti i pony che vivono nelle grandi città. Non posso aiutare Princess Celestia a ostacolare i Kaiju se nel frattempo devo badare anche a te e alle Cutie Mark Crusaders» si rivolse poi alla cuginetta «tu in particolare, Babs, dovresti sapere cosa significa avere a che fare con quei mostri. La tua famiglia è scampata al disastro per il rotto della cuffia.»

La puledra annuì dispiaciuta. «Sì, è vero…». Quando il primo attacco investì Manehattan, gli Apple avevano schivato per un soffio la carica del Kaiju, che attraversò la città non molto lontano dal loro quartiere. Malgrado fossero usciti tutti incolumi dall’attacco, non poterono fare a meno di assistere con i loro occhi alla devastazione che la creatura si era lasciata dietro.

Tra le vittime della catastrofe si erano registrati anche alcuni compagni di scuola della piccola. Puledrini che lei, per fortuna, non conosceva, sebbene questo non mitigasse la gravità dell’accaduto.

Subito dopo la sconfitta del Kaiju, gli Apple decisero di seguire l’esodo cittadino trovando rifugio a Ponyville, dove scelsero di rimanere anche quando, in tempi più recenti, molte famiglie decisero di far ritorno alle loro case.

Per la piccola, che si era ritrovata scossa e provata per gli avvenimenti, la vicinanza dell’adorata cugina Apple Bloom era stata una manna dal cielo che l’aiutò ad affrontare serenamente il trauma. Ma anche in lei i ricordi, come a tutti quelli che si erano trovati direttamente coinvolti nel primo attacco, erano ancora vividi e palpabili nella sua testa.

Applejack vide la delusione nei volti cupi delle puledrine, e si chiese se non fosse stata troppo dura con loro. «Comunque… quella mossa non era niente male.» Si complimentò con Babs, e il sorriso risorse nella piccola.

«Lo pensi davvero?»

«Puoi scommetterci la criniera!» Confermò facendole anche un occhiolino. Babs ricominciò a pavoneggiarsi gonfiando i muscoli delle zampe anteriori. Anche Apple Bloom e Sweetie Belle sembravano essersi dimenticate della strigliata. D’altronde – pensò Applejack – erano così abituate a incassare delusioni nella loro maldestra ricerca del rispettivo cutie mark, da aver sviluppato una forza d’animo davvero invidiabile rispetto ai loro giovani coetanei.

Stavano già organizzando la prossima sfida, quando solo allora Applejack si rese conto che qualcosa mancava. O per meglio dire… qualcuno.

«Ragazze, dov’è Scootaloo?»

Fu ancora Sweetie Belle a rispondere. «Oh. L’abbiamo mandata in missione di spionaggio!»

«Sì, da Rainbow Dash!» S’inserì Apple Bloom.

Applejack preferì non indagare oltre. «Ok… io me ne torno al Giardino Dolcimele. Voi però promettetemi che starete alla larga dai Kaiju!»

«Sì, d’accordo sorellona. Te lo promettiamo.» Giurò con poca convinzione e senza guardarla negli occhi.

«Apple Bloom… »

«Ti ho detto di sì! Non fare la noiosa!»

Applejack ansimò. Fece buon viso a cattivo gioco e si sforzò di darle il beneficio del dubbio. Si avviò lungo la strada di ritorno, quando un fragoroso richiamo – a lei familiare – proveniente dall’interno del club delle Cutie Mark Crusaders, la riportò sui suoi passi. «Che mi prenda un colpo! Ma questo è il suono del cristallo che mi ha dato Twilight! Che ci fa nella vostra casetta sull’albero?!»

«Ecco… noi pensavamo che potesse essere… insomma…»

Applejack non attese che la sorellina terminasse di spiegare. Galoppò lungo la rampa di gradini in legno della club-house e si affrettò a entrare per recuperarlo. Era stato collocato su un vecchio comodino accanto a una finestra, dalla quale la discreta scia luminosa del sole pomeridiano rispendeva illuminandone la limata superficie arancione. A forza di vibrare, il cristallo si era spostato lungo il piano d’appoggio, ed era quasi sul punto di cadere sul pavimento, quando la pony si tuffò nella sua direzione per toccarlo e sospenderne il trillo.

Le orecchie si erano messe a fischiarle per il troppo rumore, e di conseguenza non riuscì a sentire la sorellina mentre saliva la rampa per andare da lei. Apple Bloom la trovò immobile e pensierosa, intenta a fissare il quarzo arancio scuro, e si convinse, nella sua testa, di essere colpevole di un qualcosa che non aveva ben compreso. «Applejack?» La chiamò, ma non ottenne risposta. «Noi n-non pensavo che fosse importante… ho visto il cristallo e… e ho pensato potesse essere bello per il club, ecco… scusami Applejack.»

La udì sospirare, e questo la inquietò ancora di più.

«Non fa niente» la rassicurò, invece, la sorella maggiore «ma riportatelo a casa quando avrete finito.» Non era preoccupata del prestito senza permesso di Apple Bloom, ma delle ragioni che avessero spinto l’amica Twilight a contattarla tramite esso.

La puledrina si accigliò. «E tu dove andrai?»

«Scendo a Ponyville. Voglio vedere che sta succedendo laggiù.» Uscì ad ampi galoppi, mentre la sorellina e le sue amiche la guardavano senza comprendere, ma prima di andare si ricordò di una cosa. «Big Mac ha qualcosa che non va, non mi preoccuperei molto, ma dategli un’occhiata prima di rientrare. È vicino alle stalle dei maiali.»

Apple Bloom annuì, sebbene le si leggessero bene in faccia i dubbi che la annebbiavano.

«E mi raccomando, tornate a casa prima che faccia buio!» aggiunse premurosa Applejack.

Guardò la piccola fare un altro cenno silenzioso col capo e poi, con un atletico balzo, scese giù dalla passerella della club-house scattando impetuosa in direzione di Ponyville.


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Dall’altra parte del paese, da sopra il ceppo amputato di un grosso abete, che si ergeva dal terreno come un palco, e col sostegno di una folla multicolore di cuccioli in esaltazione, Rainbow Dash stava abbuffando il suo ego mai troppo sazio con i resoconti della loro ultima battaglia contro il terzo Kaiju, all’insegna dell’esagerazione e dell’autocompiacimento. «E infine eccolo lì, di fronte ai nostri occhi: grande, grosso. Aveva quattro braccia e un’immensa cresta da drago. Dalla sua bocca spruzzava bava acida, e il suo tanfo puzzolente si era propagato per tutta Las Pegasus… »

Dal gruppo dei puledrini si levò un ambiguo coro di lamenti disgustati ed esaltazioni compiaciute.

Dash continuò il racconto inscenando un teatrino d’imitazioni: «”Per tutti i fienili, che cosa facciamo?” chiese la mia amica Applejack…  “Iihh ho paura! Mettiamoci in salvo!” strillava Fluttershy… »

«E tu cos’hai fatto?» Chiese uno dei piccoli. Un pony di terra maschio dal manto giallo e la criniera dalle striature rosso-verdastre, il cui cutie mark erano due iniziali – AM – dal significato ignoto.

«Pff. Sono pronta a scommettere che lei era quella con più fifa di tutte!» A rispondere fu Diamond Tiara, imbucatasi con l’amica Silver Spoon al solo scopo di dar fede ai suoi doveri quotidiani di piantagrane.

Dash era pronta a respingere con convinzione le accuse della puledra, se non fosse che ad un tratto emerse dalla folla un’altra puledrina, Scootaloo. «Ritira subito quello che hai detto!» Urlò adirata la piccola, con una voglia matta di stampare un timbro a forma di ferro di cavallo sul volto dell’arcinemica.

Diamond Tiara, dal canto suo, non sembrò minimamente turbata dalla nuova comparsa, e anzi, pregustava già i suoi quindici minuti di gloria. «Oh, ma guarda chi c’è, “Schiaanta-loo”, cos’è, ti nascondevi per paura di esibire il tuo fianco-bianco?»

Dalla folla si levò uno strepitare di risate sprezzanti, ma Scootaloo non si fece schiacciare. Era in gioco il buon nome della sua idola, e nessuno – tanto meno quella smorfiosa di Tiara – poteva permettersi di metterlo in dubbio in sua presenza.  «Sarò anche un fianco-bianco, ma Rainbow dash è la pony più mitica di tutta Equestria, e tu non hai il diritto di prenderti gioco di lei in questo modo!»

«Ah no? Altrimenti che cosa mi farai, Schiaanta-loo?»

Dash decise d’intervenire, dopotutto era il suo show, non il loro. «Ehi, buone voi due, non c’è bisogno di scaldarsi. Se avete pazienza ora vi racconterò com’è andata!»

«Già, diglielo Dash!» Esultò la piccola fianco-bianco. «Dimostrale chi è la migliore!».

«Oh, Scootaloo cara, così mi farai arrossire!» Commentò finto-lusingata la pegaso arcobaleno.

Scootaloo si rivolse alla rivale. «Capito Tiara? Io la faccio arrossire!» Terminando con una linguaccia.

«Umph, come se me ne importasse qualcosa.» Ribatté, recitando molto malamente la parte della menefreghista.

Dash riprese a raccontare la sua versione della storia (in verità molto romanzata, e con un focus accentuato sulle sue EROICHE gesta, minimizzando, se non addirittura obliterando, i meriti delle amiche): in pratica, cominciò:


“Dopo aver ascoltato i piagnistei di Fluttershy, e avendo capito che nessuna delle sue amiche – nemmeno Twilight – sarebbe stata in grado di elaborare una strategia d’attacco efficace contro il Kaiju, Rainbow Dash si fece avanti con un suggerimento: sarebbe andata all’attacco del mostro al comando di una formazione di Guardie pegaso.

Insieme, lo avrebbero distratto dalle altre, mentre preparavano l’attacco con gli Elementi dell’Armonia.

«Era una follia, troppo rischioso!» Avrebbe detto Applejack. «Non funzionerà, ci serve il tuo Elemento!» Insisteva Twilight. Rarity e Fluttershy, poi, erano troppo concentrate una ad urlare e l’altra a paralizzarsi dalla paura, per dire la loro sul piano. E Pinkie Pie pensava solo a come fare una festa in onore del Kaiju, ignorante del pericolo che correva. «Invece no!» Avrebbe risposto Rainbow Dash. «Ho fiducia in voi. Ve la caverete!». Così, trovatesi con le spalle al muro e gli zoccoli che ticchettavano dal panico sul terreno, si decise di optare per la soluzione della pegaso arcobaleno.”


A quel punto del racconto, Rainbow Dash aveva completamente riconquistato l’attenzione di tutti i presenti, ma non contenta delle balle che aveva già propinato, decise di esasperare ancora di più la narrazione.


“Non fu difficile convincere Princess Celestia e le truppe militari a collaborare con lei, forte della sua fama e tostaggine”, disse.“E in men che non si dica si trovò al comando di un agguerrito esercito di pegasi bardati di metallo, che insieme a lei presero a calci il Kaiju mentre le altre Custodi preparavano l’attacco da terra.

Il primo colpo centrò il titano in pieno, ma incredibile a dirsi, Twilight aveva avuto ragione: la creatura era troppo forte per loro, e solo il grande potere dell’Elemento della Lealtà avrebbe conferito la forza per atterrarlo.”


Mentre parlava, i puledrini, prima fra tutti Scootaloo, pendevano dalle sue labbra come frutti maturi dai loro rami, bevendosi come verità assoluta ogni incoerenza che usciva dalla sua bocca.

Continuando il racconto, spiegò che:


Per vendetta, il mostro tirò una zampata al plotone degli aviatori, stendendoli tutti tranne lei. Dash, dunque, capì di dover far fronte a tutto il suo coraggio per affrontare di petto l’insidia all’orizzonte. Aveva schivato i successivi attacchi del Kaiju, per poi proiettarsi con un epico calcio volante contro il muso della creatura. Secondo il suo resoconto, l’impatto fece rimbalzare all’indietro la testa dell’essere, schizzando per aria una nuvola di vapori e fluidi corrosivi, che Dash evitò con delle abili piroette. Infine, gli si lanciò nuovamente addosso con una dirompente testata, che lo atterrò intontendolo per svariati secondi. Giusto il tempo per dare alla pegaso la possibilità di tornare dal suo gruppo “d’impotenti amiche”, per dargli tutte insieme il colpo di grazia.

«Oh Rainbow Dash, meno male che sei tornata! Abbiamo bisogno di te! Sei fondamentale per tutte noi!» Imitò la voce di Twilight.

«Lo so, lo so. La grande e potente Rainbow Dash è qui per salvare la giornata ancora una volta!»

E fu così che, con lei nel team, attivarono nuovamente gli Elementi dell’Armonia, riuscendo a salvare Equestria “ancora una volta”.”


“A.K. Yearling sarebbe fiera di me” pensò tra sé e sé al termine del racconto.

I piccoli cominciarono a esultare in massa, gareggiando a chi batteva più intensamente gli zoccoli a terra, in un tripudio di strilli e sbraiti come in un raduno di fan impazziti alla convention della loro eroina preferita. Qualcuno si dileguò nella fantasia, esprimendo frasi di circostanza come «da grande voglio fare anch’io come Rainbow Dash!», altri invece si cimentarono in un’improvvisazione della scena del combattimento tra lei e il Kaiju, fingendo di tirarsi testate a vicenda.

Scootaloo si alzò in volo, ronzando sulle sue piccole e fragili alucce, e si esibì con un’ovazione che ebbe il potere di prevaricare su tutte quelle dei piccoli scalmanati che la circondavano. «YUHUU! È STATO VERAMENTE… FANTASTICO! IO LO DICO SEMPRE CHE SEI LA NUMERO UNO, RAINBOW DASH!!»

«Lo so, lo so. Sono la più fica di tutto il regno, non posso farci niente.»

La pony si era eretta sulle zampe posteriori e aveva incrociato le braccia in una postura tronfia e maestosa. Sapersi accerchiata da tanti piccoli adulatori la fece sentire la giumenta più invincibile del globo. Se in quel momento un Kaiju avesse deciso di attaccare per davvero Ponyville, lo avrebbe affrontato senza battere ciglio, e avrebbe vinto, era convinta. Ma quando spalancò le palpebre socchiuse per gustarsi ancora una volta quell’assembramento di fan scalpitanti, notando più in alto tra la folla il candido rosa di una chioma a lei familiare, quasi perse l’equilibrio rendendosi conto di essere osservata (chissà da quanto, poi) dall’amica Fluttershy, corrugata in un’espressione che non capì se fosse triste, o preoccupata… o entrambe le cose.

«Fluttershy?!» Non si accorse nemmeno del gesto che compì, ma si passò uno zoccolo sulla policromata criniera. «C-che ci fai qui?» Balbettò imbarazzata.

Intorno a loro solo pochi puledri si erano tranquillizzati e avevano fatto caso alla nuova arrivata, i più invece seguitavano ancora nelle loro ovazioni esagitate.

La pegaso della gentilezza stava per dire qualcosa, ma qualcun altro pensò bene di cogliere quel momento per rimpossessarsi delle luci del palcoscenico. «Ehi, un momento!» Diamond Tiara aveva preso prepotentemente la parola. «Quello che hai detto non ha alcun senso, non è andata davvero così! Non c’è stato nessuno scontro diretto con il Kaiju; il mostro non si è nemmeno avvicinato alla città!»

I cuccioli si azzittirono all’istante, come se qualcuno avesse pigiato un pulsante magico per spegnerli tutti.

«Allora, come la metti adesso?» La sfidò Tiara, convinta di avere in zoccolo la situazione.

«C-come?» La lingua della povera pegaso multicolore inciampò su se stessa, e tutto quello che riuscì ad aggiungere, oltre a quella biascicata domanda, fu solo una catena continua di suoni incomprensibili. Sentirsi lo sguardo di tutti addosso, questa volta non le piacque. Ognuno di quegli occhietti, compresi quelli dell’amica, erano come aghi arrugginiti che le bucavano la pelle sotto il manto.

«Ehi!» Esclamò una voce nella folla. «Stai di nuovo dando della bugiarda a Rainbow Dash?!» Era Scootaloo.

«Mi sembra più che evidente che si sia inventata tutto solo per mettersi in bella mostra davanti a tutti!»

«Oh, certo! Perché tu quel giorno eri lì, eh?!»

«Io no» fece una pausa ad effetto «ma mio padre sì! Era in viaggio d’affari a Las Pegasus quando la città è stata attaccata, e ha visto tutta la scena con i suoi occhi! Poi, naturalmente, mi ha raccontato tutto quanto quando è tornato a casa. Quindi io SO che Rainbow Dash ha mentito!»

Un coro di “Ohh” sorpresi seguì la confessione. Scootaloo stessa non seppe come reagire di fronte a quella rivelazione, ma il suo cuore ricolmo di fiducia le sussurrò di non dar retta a quelle mistificazioni. Dash era il simbolo della Lealtà ad Equestria, non poteva aver mentito in un modo tanto meschino!

«Sai che c’è?» Tornò alla carica la piccola pegaso. «Credo che tu sia solo invidiosa.»

Tiara aggrottò un sopraciglio. «Io? Invidiosa di una contaballe bugiarda?»

«Sì!» Ruggì Scootaloo, mai così sicura di sé. «E posso dimostrarlo!» Puntò la zampetta verso Fluttershy, come un avvocato che annuncia l’entrata in scena di un testimone a sorpresa durante l’arringa finale del processo. «Lei può dirci com’è andata per davvero!»

Gli spettatori della disputa voltarono in perfetta sincronia il capo verso la nuova protagonista.

«I-io… ?»

Gli aghi appuntiti che bucherellavano il manto di Rainbow Dash si spostarono sulla timida pony chiamata a deporre. Mille occhi che la fissavano aspettandosi una reazione, come anni prima alla scuola di volo di Cloudsdale.

Il suo sguardo incontrò quello della pegaso arcobaleno. Vide le gocce di sudore gelido che le ungevano la fronte e le guance azzurre, le ali che fremevano, sovraeccitate dal panico.  

«Forza Fluttershy, dicci com’è andata.» La incoraggiò la sbruffoncella, con un ghigno oscuro che le imbruttiva l’apparenza della gioventù.

Dentro di lei si combatté una vera e propria guerra civile per decidere se darsela semplicemente a zampe levate o improvvisare una risposta fulminea per levarsi dai guai. Una sola cosa era sicura: non avrebbe mai tradito l’amica in quel modo, tantomeno in pubblico.

Inspirò una profonda boccata d’aria, che le infuse risolutezza, e rispose: «Rainbow Dash è stata sincera.»

«COOSAA?!?» Nitrì la puledra col diadema, tanto forte da strozzarsi. «No, non è vero!!»

«Oh, invece sì» sorrise «il Kaiju aveva quasi raggiunto la città quando noi eravamo arrivate. Se non fosse stato per il piano di Rainbow Dash, non saremo mai riuscite a tenerlo lontano abbastanza a lungo da sconfiggerlo.»

Che Princess Celestia ti benedica con la sua luce, Fluttershy”. «Già, ehm… certo! Che vi dicevo?» Mugugnò Dash, cercando di riprendere il controllo della situazione. L’enorme peso che sentiva sulla groppa, svanì nell’aria come il cadavere di un Kaiju sconfitto. Fluttershy le aveva retto il gioco con così tanta, incredibile naturalezza, da non tradire neppure la pur minima sfaccettatura di menzogna.

Chi non era soddisfatta della risposta era naturalmente la puledrina con la quale si stavano confrontando.

«Allora? Come la mettiamo adesso, Mrs.“Papà-ha-visto-tutto”?» La schernì Scootaloo.

Diamond Tiara si guardò intorno freneticamente, cercando qualcuno tra la folla, e vide che Silver Spoon si era allontanata da lei per unirsi agli altri puledrini. Capì in quel momento di essere rimasta da sola. «No, no, no, e poi no, non è andata così! Non datele retta, sta soltanto difendendo gli interessi della sua amica! Mio papà mi ha raccontato che… »

«Oh ma cambia disco, basta!» La interruppe Scootaloo, dandole il colpo di grazia. Nel gruppo si levò una risata generale, alla quale solo le due giumente (e Silver Spoon) non presero parte.

Con un tempismo perfetto, qualcuno cominciò a cantilenare «Invidiosa, invidiosa, invidiosa… », e come un incendio che divampa in una steppa di piante essiccate, in pochi secondi si trasformò  in un coro di voci al quale si unirono tutti.

Diamon Tiara, umiliata e sconfitta, si diede alla fuga senza mai voltarsi indietro. Silver Spoon, sentendosi forse in colpa, la seguì, supplicandola di aspettare.

I piccoli pony decisero di rompere l’assembramento e di avviarsi verso le loro rispettive abitazioni. L’ultima ad andarsene era stata, ovviamente, Scootaloo, che prima di prendere il largo aveva elargito a Rainbow Dash tutto il suo campionario di complimenti e lusinghe. La pegaso arcobaleno le aveva accolte con gioia, ma non senza rimorso per le menzogne raccontate. Per non parlare dell’umiliazione fatta subire alla piccola puledra che rispondeva al nome di Diamond Tiara (non che non se lo meritasse, a dire il vero).

Rimaste sole, Dash dovette fare i conti anche con lo sguardo dell’amica, che era rimasta con lei. «Fluttershy… io… » mormorò, tentando di spiegare.

«Oh non ti scusare.» Disse lei, mostrandosi comprensiva «So benissimo che ai tuoi piccoli ammiratori piace tanto ascoltare i racconti delle tue avventure… alla fine li ha soltanto fatti felici… non devi spiegarmi niente.» Terminò donandole il più raggiante dei suoi sorrisi.

«Già… eheh… » ridacchiò, ma nonostante le parole di conforto, era ancora combattuta con se stessa. Si guardò intorno, cercando una ragione per cambiare argomento. «V-volevi dirmi qualcosa?»

Fluttershy, come se si fosse appena ricordata di qualcosa d’importante, sobbalzò. «Oh santo cielo, il cristallo!»

Dash inarcò le sopracciglia. «Eh?»

«Devo scappare, scusami!» Distese le ali e spiccò il volo, lasciandola da sola e con un pugno di mosche nello zoccolo.

«Ma che… Fluttershy!» Rainbow Dash si lanciò all’inseguimento dell’amica. Stava volando verso Ponyville, ma qualunque fosse la sua meta finale, sembrava avesse una fretta del diavolo. Non fu affatto facile raggiungerla; quando ci si metteva per davvero, la dolce e timida pegaso della gentilezza sapeva dar sfoggio di una prestanza fisica impressionante.

«Rallenta un po’, vuoi spiegarmi che ti prende?»

«Io… » Fluttershy rallentò il volo e cominciò a risponderle parlando di fretta «stavo portando in casa le foglie del Signor Stingy per tenergliele d’occhio durante l’inverno. Perché sai, non voleva che qualcuno gliele rubasse. E ho ricevuto la chiamata dal Cristallo del Richiamo di Twilight!»

Rainbow Dash era più confusa di prima, e l’aria gelida che soffiava contro di loro a quella velocità non facilitava di certo la concentrazione. «Il Signor… Stingy?»

«Certo, Stingy il porcospino. Te ne avevo parlato, ricordi?»

Dash non se lo ricordava affatto,  ma non era quello il punto del discorso che voleva approfondire, e allora finse di annuire. «Ma aspetta, stavi parlando del cristallo… ?»

«Oh… sì. Ecco… stavo andando a Ponyville a controllare cosa stesse succedendo.  Poi sulla strada ho incontrato te che parlavi coi puledrini e mi sono distratta.»

Rainbow Dash provò ancora quella sensazione di colpevolezza che si propaga dal cuore e ti stringe allo stomaco, e non sentì la domanda che l’amica le stava rivolgendo qualche centinaio di metri dopo.

«Ehi… ehm… Dash?»

La pegaso arcobaleno scosse leggermente la testa e tornò a concentrarsi su di lei. «Sì, che c’è?»

«Oh, scusami… i-io non volevo distrarti…»

«No, no. Non fa niente. Dimmi.»

Stavano volando a una velocità più equilibrata, ma potevano già vedere, sotto di loro, i tetti di paglia delle prime casette. La loro meta era ormai vicina.

«Credi che i Kaiju… ehm… s-siano già tornati?» Chiese con voce tremolante.

«I Kaiju? Adesso?» Ruotò la testa.

«Sì… beh… Twilight dice sempre che stanno diventando più forti. È possibile c-che… abbiano deciso di attaccare prima?»

Dash non seppe come affrontarla. Era ancora troppo prematuro attendersi un loro ritorno dopo appena quattro mesi dal terzo attacco, ma di contro, tutte e due sapevano che Twilight non si sarebbe mai servita dei cristalli per delle inezie di poco conto.

Non sapendo come risponderle, si limitò a fare spallucce.

«Sai… stavo pensando che… è strano.»

Rainbow Dash la guardò, non capendo. «Cosa?»

«Che non abbia chiamato anche te. Cioè… voglio dire… il tuo cristallo non ha suonato?»

La pegaso arcobaleno volse lo sguardo altrove, cercando di evitare i suoi occhi interrogatori. «Eh-emh. Ad essere onesta… non lo so. Non lo porto mai con me quando vado in giro a fare, sai… pulizia del cielo… trasporto di nuvole… cose così.»

«Ah, sì… capisco.»

Ponyville si protendeva sotto di loro in un dedalo di stradine e viuzze. Non lontano da lì, sull’ampio piazzale di fronte all’albero cavo della biblioteca del paese, un piccolo gruppo di pony si era radunato in attesa del loro arrivo. Potevano già distinguere il rosa vivace di Pinkie Pie e il violetto magico di Twilight, oltre che l’elegante criniera della terza giumenta dal manto bianco, Rarity. Mancava all’appello Applejack, ma il fatto che le loro amiche fossero tutte lì, significava che il raduno era stato inoltrato a tutto il sestetto.

«Spero non sia successo nulla di grave… » disse Fluttershy, sempre più agitata man mano che la distanza dall’arrivo si riduceva sempre di più. Lo scoprire che Ponyville era ancora al suo posto non la aiutava di certo a stare meglio. Anzi, alimentava la suspense legata alla convocazione.

«Vorrà dire che lo scopriremo presto.» Dichiarò Dash, virando d’improvviso verso la direzione opposta.

«Ehi, aspetta… dove stai andando?»

«Faccio un salto a casa a controllare il mio cristallo. Vi raggiungerò subito!»

La timida pegaso emise un nitrito di sorpresa, ma tanto represso da sembrare più lo squittio di un piccolo roditore. Congedandosi da lei, Rainbow Dash volò più veloce che poté verso la sua casa sulle nuvole.

La raggiunse in meno di un minuto e subito dopo essere atterrata sul soffice pavimento di vapor acqueo, ancora prima di varcare la soglia, poté già udire distintamente l’acuto rumore del quarzo che oltrepassava facilmente le tenere pareti della casa e raggiungeva le sue orecchie col suo trillo insistente e risoluto.

Twilight aveva contattato anche lei, quindi.

Senza indugiare oltre sulla soglia, salì nella camera da letto, da dove il cristallo la stava reclamando.

La sua vetusta testuggine Tank era a terra, chiusa in se stessa dentro il carapace, probabilmente frastornata dal rimbombare del suono.

Il cristallo, cadendo sul pavimento di nuvole della stanza, aveva scavato una profonda infossatura nella quale stava sprofondando sempre di più man mano che vibrava.

Dash si domandò da quanto tempo stesse risonando, ma a giudicare dalla profondità del buco, calcolò che probabilmente dovevano essere trascorsi tra i trenta e i quaranta minuti dall’attivazione.

Lo pestò con una zoccolata dall’alto, e il quarzo rosso rubino smise di trasmettere la sua fastidiosa lagnanza, dopo di che le sue attenzioni furono tutte per Tank. «Tutto bene, piccoletto?» Gli chiese con voce tenera e rassicurante. La testolina della testuggine emerse dal guscio, scossa da goffi e lenti tremolii di paura, che ricordavano più il gesto dell’annuire mandato in loop, piuttosto che i brividi di un animale spaventato, ma si tranquillizzò subito una volta riconosciuti voce e volto della padroncina.

Dash strusciò teneramente la sua guancia contro quella del carapaceo rettile  (atto che di solito cercava di nascondere agli occhi delle amiche, col timore di essere presa in giro), dicendogli qualche frase di conforto per scusarsi dell’averlo lasciato da solo a patire quel trambusto. Prese poi da terra il cristallo, servendosi delle ali a mo di mano per raccoglierlo, e lo ripose sulla mensola dalla quale era caduto. Con le zampe anteriori, infine, scostò parte delle nuvole che costituivano il pavimento e ci tappò il buco che era stato scavato nel bel mezzo della stanza.

Ora che tutto era a posto, era arrivato il momento di tornare di corsa dalle sue amiche. Applejack avrebbe già dovuto trovarsi lì, ormai. Quindi mancava solo lei all’appello.

Si scusò ancora con Tank per l’increscioso incidente, promettendogli che non sarebbe più successo, e lo salutò con un bacio sulla fronte che lo fece arrossire.

Volò, quindi, fuori casa, in rotta per Ponyville.

Per qualche ragione, si sentì strana, mentre fendeva con le ali le correnti aeree del cielo. Come se una sensazione che non comprendeva appieno la stesse allertando di un avvenimento prossimo venturo, che stava per abbattersi sulle loro vite. I timori di Fluttershy erano forse fondati? I Kaiju stavano davvero per tornare?

Lo avrebbe scoperto una volta incontratasi con le altre Custodi alla biblioteca di Ponyville.
   
 
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