"Ishvar is where I met you," Roy
replies, very serious, more than usual. "Ishvar is where I first began
to
love you. I will never want to lose that name."
Zauberer sirin
Taboo
La sabbia è ancora calda sotto la sua mano, nonostante l’aria della sera si insinui già a tradimento tra le asole e i bottoni della divisa slacciata.
Confida nella stanchezza dell’intero plotone: nessuno verrà a cercarli nel mezzo del deserto, riparati da una roccia che spunta in mezzo al nulla come la vela di una barchetta nell’oceano.
L’ombra del loro unico punto di riferimento si è già spostata di qualche centimetro – un modo rimisurare il tempo arcaico, misterioso, senza il ticchettio dei secondi a scandirlo, libero di fluttuare tra i miraggi e le visioni del deserto, di stiracchiarsi al sole e abbeverarsi alle fonti sotterranee, viaggiatore esausto e senza meta.
Non ha sonno eppure si raggomitola ancora un po’ contro il petto di Roy, chiudendo gli occhi e baciando il sottile lembo di pelle nuda tra la clavicola e il collo.
Lo sente ridere sommessamente, la bocca affondata tra i suoi capelli biondi, la sua mano sfacciata che le scivola lungo un fianco.
“Riza” la chiama delicatamente, visto che la sua mossa non sembra aver provocato alcuna reazione.
“Mhn?”
Si scoglie dall’abbraccio caldo in cui si è lasciato pigramente intrappolare, indicandole un punto indefinito sulla sabbia.
Davanti ai suoi occhi interrogativi, traccia segni leggeri con l’indice, lentamente, meticolosamente, come se stesse disegnando un cerchio alchemico particolarmente complicato.
Man mano che la punta del suo dito interrompe l’esasperante vuoto di quella piccola porzione di deserto, lei si rende conto che quei segni non sono altro che lettere, due parole che prendono forma, concatenate tra loro, una frase semplice –complemento e verbo – ma così complicata da pronunciare, così pericolosa se sentita da altri, così tremendamente sincera e innocente e infantile e sua, solo sua, da lasciarle gli occhi umidi per un singolo, breve momento, aggrovigliarle qualcosa nello stomaco, agitarle il sangue nelle vene.
Accetta il sorriso di lui che si deposita sul suo, in un bacio prima incerto, poi sicuro, mentre accoglie le sue labbra – le stesse che non hanno osato pronunciare quelle parole ad alta voce, che ora le sussurrano lo stesso messaggio, glielo lasciano assaggiare, assaporare senza fretta – nella morsa gentile della sua bocca.
Non c’è alcun bisogno di dire, nessun motivo di parlare, nessuna ragione per cercare di tradurre ciò che è intraducibile, impronunciabile per natura, storpiare il suono e il significato di quel verso.
Il deserto lo custodirà: il deserto immutabile, la sabbia che non vedrà mai le onde del mare, la quiete austera di un tempio inviolabile.
Il deserto con la sua lingua così simile a quella dell’amore, fatta di silenzi e tempeste improvvise e luce accecante e distanze infinite in cui perdersi senza possibilità di ritorno.
“Ishvar
è dove ti ho
conosciuta” replica Roy, molto serio, più del
solito.
“Ishvar è dove ho
iniziato ad amarti. Non potrei mai voler dimenticare quel
nome.”
Ok, questo
è IL brano,
quello che ha fatto da scintilla per questa raccolta.
E questo
è IL
capitolo, non il primo che ho scritto ma di sicuro quella nebulosa di
pensieri
che mi si è formata in testa ancora prima che quelle quattro
idee confuse
diventassero un progetto chiamato SABBIA.
Questa
è LA
dichiarazione, anche se di detto non c’è nulla
– solo il nome di lei: non so
perchè ma quando immagino Roy pronunciarlo, è il
suono più musicale e dolce che
esista.
Ma questo
NON è il finale
- purtroppo o per fortuna? – anche se vorrei che la parola
fine cristallizzasse
così la loro storia.
Ma
c’è un manga che
prosegue, c’è l’Arakawa che continua a
dipanare le vicende di tanti altri
personaggi, forse senza sapere, nemmeno lei, come andrà
davvero a finire…
Penso non ci
sia molto
da aggiungere: come è stato un capitolo senza parole, anche
il commento si
ritira verso il silenzio per non rovinare l’atmosfera.
Solo
un’altra cosa:
ieri mi sono riletta “After the Rain” per cercare
la citazione – pianti,
commozione, un senso di impotenza davanti a tanta bravura (sigh).
Già che ero
in vena, mi è capitata tra le mani anche “A
commentary on the theory of the
blue goddess” – pianti, commozione e replica del
repertorio.
Insomma,
quest’estate
mi porterò dietro un dizionario di inglese e mi
metterò all’opera: in effetti sono
fic che non possono rimanere non lette, pazienza se la traduzione non
farà loro
onore…
Pensavo di
metterle
sia sul mio blog sia sul forum da settembre in poi, un po’
per volta.
In attesa
che mi venga
qualche altra idea Royai. Sì, perché ormai mi
sono resa conto che senza la mia
fanfic quotidiana non so stare. Dottore dottore, sarà
grave?;P
Bacione a
tutte