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Autore: ki_ra    07/03/2014    3 recensioni
Due ragazzi, un milione di sogni e di interessi in comune,
un amore incosciente delle difficoltà e noncurante dei conflitti,
una fuga per trovare la propria strada, altrove da lei,
e gli occhi sempre puntati gli uni nell’anima dell’altro.
Anni di distacco, di lavoro, per arrivare ciascuno ai propri desideri,
e di dolore per i sogni spezzati.
E poi un uomo ed una donna,
gli stessi occhi e le stesse anime …
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jess Mariano, Lorelai Gilmore, Luke Danes, Rory Gilmore
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Eccoci giunti all’ultimo capitolo.
Questo è stato soltanto un piccolo racconto, solo il percorso di un amore.
Spero che vi abbia lasciato un sapore dolce nella bocca, proprio come un pezzetto di cioccolato fondente; spero che abbiate potuto considerarla la giusta, necessaria conclusione di una storia che meritava di finire esattamente così!
Come le altre volte, più delle altre volte, ringrazio coloro che hanno seguito, preferito o soltanto letto ogni capitolo di questa storia.
Lascio un bacio grande a coloro che hanno recensito, dandomi lo sprone per continuare; a coloro che hanno usato parte del proprio tempo per “leggermi”; a coloro che sono riusciti a sognare con le mie parole e a tutti gli altri che ho perso per strada, ed infine a Baby77: grazie per la tua presenza costante.
Vi lascio alla lettura e spero di incontrarvi ancora.
Ki_ra

Image and video hosting by TinyPic *Le immagini sono tratte dalla rete .
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20 - Forever and always

 

Il vialetto di mattoni bianchi serpeggiava fluido, dividendo in due perfette rive il parco del Dragon Fly.
Sull’erba, che ondeggiava mossa da impercettibili maree, erano sistemate due ali di panche di legno bianco, dal vago sapore coloniale.
Il cielo era terso, di un perfetto azzurro, fino al punto in cui si fondeva nei toni aranciati e rosa del tramonto imminente.
Sotto il piccolo gazebo, ornato da ghirlande di fiori bianchi, se ne stava Luke, con un sorriso stampato sulla faccia ed il bel completo scuro che Lorelai aveva scelto con cura maniacale. Accanto a lui, Jess era in piedi, immobile, con gli occhi fissi sulle scarpe e le mani nascoste dietro la schiena.
Richard ed Emily sedevano, emozionati, sulla panca in prima fila  e Lorelai, accanto a loro, giocherellava nervosamente con le perline del suo abito di shantung blu, gli occhi fissi e frementi ora su Luke, ora su Jess, la schiena dritta  e il petto affannato, unico segno che tradiva l’ansia dell’attesa.
- Non parli più, adesso! – sogghignò Luke, beffardo. – Quando è toccato a me, non hai fatto altro che punzecchiarmi … - continuò, con un risolino divertito.
- Sta’ zitto! – gli intimò Jess, serrando la mascella nervosamente, senza guardarlo.
- Scherzi? – sorrise lo zio, dondolandosi da un piede all’altro e portando le braccia conserte al petto. – Ora che finalmente posso prendermi la mia rivincita? – insistette, pregustando l’opportunità che aveva di mettere in imbarazzo il nipote.
- Sta’ zitto, ho detto! – ripeté stizzito, tra i denti.
Luke sorrise ancora sommessamente: da quando Jess era arrivato a stravolgere, come un uragano, la sua vita, aveva sempre dimostrato di saper gestire sentimenti ed emozioni con distacco e compassato autocontrollo. Vederlo sulle spine, emozionato, ardente e coinvolto, lo inteneriva al pari di un padre premuroso davanti al proprio bambino, ed al tempo stesso lo divertiva, mettendogli addosso un prurito, un desiderio di restituirgli tutto l’imbarazzo che lui era riuscito a fargli provare con battute sarcastiche e sorrisini pungenti.
Jess, dal canto suo, si mordeva nervosamente il labbro inferiore e, cercando disperatamente di arginare quella sensazione di terrore che gli attanagliava lo stomaco e gli metteva addosso una scalpitante voglia di fuggire, sfogava ansia e attesa tormentandosi le mani.
I minuti, che precedevano la cerimonia, sembravano non scorrere, come le lancette  ferme e crudeli di un orologio inesorabilmente rotto.
- Comunque sei ancora in tempo … - lo punzecchiò ancora, in quel gioco perverso che aveva appena scoperto. – O forse no! – si corresse, assestandogli una gomitata nel fianco, quando le note di un violino si diffusero delicate, come portate dal vento.
L’attenzione degli invitati fu catturata dalla musica e tutti all’unisono si voltarono verso il fondo del giardino. Solo Lorelai puntò gli occhi su Jess.
Fu allora che il ragazzo si decise ad alzare i suoi, quasi uno strano richiamo lo avesse riscosso; guardò la donna, i suoi occhi blu intensi e seri che lo scrutavano in un’ultima muta domanda e le rispose con i propri, senza parole, con un sospiro appena accennato che fu, per entrambi, una promessa solenne.
Poi, con un altro sospiro, percorse a ritroso e con lo sguardo impaziente, il vialetto di mattoni bianchi, fino al punto in cui cinque gradini congiungevano il portico al giardino.
L’aria profumava di menta e dell’odore dolciastro delle peonie, raccolte in piccoli fasci e disposte elegantemente in corrispondenza di ciascuna panca.
Lane avanzava con un bel sorriso dolce, i capelli corvini sciolti sulle spalle, ed il bouquet  stretto al petto; la piccola Gigì, il vestito vaporoso di tulle bianco, i lunghi boccoli biondi e gli occhi da bambola, la seguiva con passo incerto.
Dietro di loro, Rory era immobile, piccola e dolcissima, come una visione eterea e candida di un vecchio dipinto.
Si aggrappava al braccio di Cristopher, che amorevolmente le stringeva, con la destra, la mano sottile e tremante.
Rory avanzò lenta trascinando dietro di sé, come acqua corrente, il lungo e prezioso velo. Un vestito avorio le fasciava il corpo minuto, regalandole un’armoniosa e sensuale figura di donna, in contrasto con il viso candido e gli occhi sperduti da bambina. Nella mano sinistra reggeva un piccolo bouquet di edera ricadente, tra le foglie della quale, facevano capolino boccioli di tulipani azzurri.
Erano diventati i suoi fiori preferiti da quando Jess, raggomitolati sul divano, in un piovoso pomeriggio d’autunno, le aveva raccontato di una favola orientale che li voleva nati dalle lacrime di un innamorato.
Nell’istante in cui furono l’uno di fronte all’altra, gli occhi di Jess annegarono nel mare placido e rassicurante di quelli di Rory e di nuovo la vide, corpo e anima, nella loro interezza, come la prima volta. Davanti a lui, improvvisamente, non c’era più la donna vestita da sposa, ma la ragazzina di provincia, seduta alla scrivania della sua piccola camera piena di libri. Davanti a lui c’era la ragazzina che una sera di nove anni prima, gli aveva chiesto di fidarsi.
Neanche la conosceva, aveva smesso da tempo di fidarsi degli altri, eppure, alla sua richiesta aveva ceduto. Inconsapevolmente, senza coscienza, né remore o paure, si era fidato: aveva messo la propria esistenza, fatta di briciole e pezzi confusi, nelle sue mani. Aveva lasciato che lei l’accudisse, un pezzo alla volta, trovando per ognuno la giusta collocazione, come le tessere disordinate e sbiadite di un vecchio mosaico. Di lei, di quella sua dolcezza profonda, della cura e dell’attenzione che usava nei confronti degli altri, si era innamorato, senza sapere neanche cosa fosse l’amore, come un bambino alla scoperta del mondo, del potere dei sentimenti ed alla ricerca di sé stesso.
Poi quella stessa vita, che sembrava ricomporsi e sanarsi ad ogni bacio, ad ogni aspro confronto, ad ogni consapevolezza della necessità di lei, era esplosa, una supernova in un universo sconosciuto, mandando in frantumi ogni certezza conquistata. Immaturità, paura, inadeguatezza, ribellione alle regole e rabbia l’avevano messo in fuga, con l’anima di nuovo piena di cocci aguzzi.
Tutto il tempo venuto dopo, Jess aveva vissuto in una sorta di animazione sospesa, in attesa del risveglio e di quelle stesse mani che ancora una volta sembravano essere l’unica cura.
Rory, immobile, dall’altra parte dello specchio, si sentiva alla stessa maniera: riscoperta, rinata dentro la pienezza di quegli occhi puri e ribelli; la stessa ragazzina che vedeva lui, quella che aveva imparato l’amore nel respiro di uno sconosciuto, dissacrante e ironico, profondissimo e sincero dietro la scorza, dolce, pungente ed innamorato.
Sorrise impercettibilmente a quello sguardo conosciuto, eppure ancora da scoprire che gli riempiva le vene di promesse nuove e la sua mente corse indietro nel tempo all’ultimo giorno nel suo alloggio a Yale. Ricordò le parole di sua madre, allora vaghe come quelle di un oracolo, mentre, con le braccia impegnate dagli scatoloni, si interrogava sulla scelta dell’uomo giusto.
 “Un giorno incontrerai qualcuno …” le aveva promesso, “ … e saprai che è quello giusto. Non avrai esitazioni.”
Ma Rory “quello giusto” l’aveva già incontrato e perso; incontrato ancora e perso di nuovo, soffocandone ogni volta la piena coscienza, per la stessa immaturità di lui, la sua stessa rabbia mista a delusione; la stessa paura che inevitabilmente i grandi sentimenti portano.
La vita li aveva fatti avvicinare quando erano solo due ragazzini e li aveva separati quando l’affanno dell’adolescenza si era placato. Avevano ruotato l’uno intorno all’altra, come un satellite intorno al proprio pianeta, vittime di un orbita crudele. Ma adesso, che la  consapevolezza li aveva resi adulti, la rivoluzione dei loro universi aveva ceduto ad una gravità più potente ed implacabile e le distanze si erano annullate.
Il pastore aveva cominciato ad officiare, ma né Rory né Jess riuscivano a prestare la dovuta attenzione alle parole di rito.
Le loro promesse se le erano già scambiate, inconsapevolmente, mille e mille volte: gridandosi in faccia, disperatamente, l’amore che non sapevano imbrigliare, ma che li scuoteva, anima e corpo, senza requie; baciandosi per strada tra i cumuli di neve intorno al gazebo; nascondendosi nell’orgoglio ferito dell’abbandono. Esse si erano rifugiate nei loro pensieri, dormienti ed in attesa, come animali in letargo, per esplodere improvvise nei baci rubati in riva ad un laghetto silenzioso o in una stanza vuota, odorosa di libri e del successo conquistato di entrambi. Erano rimaste accoccolate negli occhi che si cercavano, nel sostegno reciproco, ferme negli anni, attaccate all’anima di entrambi.
Le loro promesse erano custodite nelle loro diversità complementari, nella necessità di donarsi l’uno all’altra, senza privarsi ciascuno della propria essenza.
- Puoi baciare la sposa! – lo esortò il pastore, catturando l’attenzione vagabonda di entrambi.
Jess lo aveva desiderato, disperatamente, dall’istante in cui l’aveva vista avanzare.
Così appena ne ebbe l’autorizzazione, compì solo un piccolo passo verso sua moglie.
Le prese le mani, lasciando che le dita si intrecciassero lente, sfiorandosi con assoluta devozione, in un gesto che da sempre distingueva il loro contatto. Rafforzò la stretta quando i palmi combaciarono, per poi allentarla di nuovo, quasi impercettibilmente, affinché potesse sfiorare, con la punta del pollice, la fede nuova e scintillante all’anulare di Rory.
Sorrisero insieme a quel gesto nuovo che consolidava la promessa assoluta che si erano scambiati, e all’unisono compirono ancora un altro passo per doppiare la fatidica distanza dei trenta centimetri.
Tutt’intorno l’aria si riempiva di silenzio, animato soltanto da lontano da una musica placida e serena; il profumo dei fiori si mescolava a quello fragrante delle candele alla cannella.
Erano così vicini che i respiri si confondevano, come le mani ancora strette le une alle altre.
- Allora? – mormorò, con un sorriso furbo e intimidito insieme, come in procinto del primo bacio.
- Allora? - ripeté lei, con le labbra tremanti e gli occhi fissi su quelle di lui.
- Eccoci qua … - continuò, come quella quasi prima volta al distributore di Gipsy.
- Sì, eccoci qua … - gli fece eco, esattamente come allora, recitando il copione scritto quella sera.
Era passato tanto tempo, attimi di vita consumati l’uno lontano dall’altra, dolorosi e solitari, eppure così necessari a diventare ciò che erano.
Forse proprio quel tempo, come in un cerchio perfetto, li aveva portati lì di nuovo, al punto di partenza, consapevoli, maturi, un uomo ed una donna.
Jess le prese il viso tra le mani, lasciò che i palmi aderissero completamente alle guance accaldate, avvicinò il proprio, fino a che il respiro lambì le labbra di lei.
- Vieni qui … - la invitò con un sussurro caldo, baciandola ancora ed ancora.
Tutto ricominciava, esattamente da quel punto, il punto di partenza.
In fondo solo questo è la vita: ricominciare ogni volta, dal punto di partenza.
E se dolore, distanza e fatica saranno soltanto la scoperta di ciò che siamo riusciti a diventare, figli di come eravamo, allora la gioia di trovarsi ancora potremo chiamarla amore “e non sarà stato vano aspettarsi tanto.”*

 


* La frase è una citazione dell’ultimo verso della poesia di Neruda: Se saprai starmi vicino.

  
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