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Autore: Melanto    29/06/2008    5 recensioni
Fuggire. Reazione immediata dinanzi ad un dolore troppo grande per essere affrontato a viso aperto. Camuffare la sofferenza in voglia di lavorare. Poi partire. Cambiare persino continente per ricostruire precari equilibri su cui camminare in punta di piedi. Dimenticarsi di tutto: amici, famiglia... assopire i ricordi e cullarli come bambini, perché non facciano troppo male, per ricaricare le certezze. E poi... e poi tornare, per affrontare il passato ed i sensi di colpa.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Yoshiko Yamaoka
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Huzi - the saga' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Huzi

- Capitolo 18 -

“A un passo dal possibile,
a un passo da te.
Paura di decidere,
paura di me.
Di tutto quello che non so,
di tutto quello che non ho…”

"Traditori. Traditori tutti e due. E bugiardi." Yoshiko continuava a ripetere quella frase come fosse una cantilena da quando aveva lasciato la casa di Taro.
Con passo svelto e collerico, camminava per le strade di Nankatsu, affrontando con noncuranza il vento gelido che si era alzato e sferzava sul suo viso con altrettanta rabbia. Come un fiume di aghi ghiacciati, le pungeva gli occhi arrossati e brucianti per il pianto che non era più riuscita a controllare una volta fuori dall'abitazione del fratello.
Era arrabbiata.
No, di più, era furente. Ira pura le stava cavalcando le vene ed infiammando il cuore come un tizzone rovente.
Saya aveva avuto ragione, mentre lei l’aveva anche ammonita, dicendo che Taro non avrebbe mai potuto intromettersi nella sua vita, perché era una persona corretta, perché aveva fiducia in lei e rispetto delle sue scelte…
Che illusa!
Altro che rispetto e fiducia! Per suo fratello era ‘matura’ solo in determinate situazioni e Yuzo non rientrava tra queste.
Si era dimostrato peggio di sua madre, mille volte peggio.
Un altro singhiozzo le sfuggì, mentre percorreva la strada, tremolante ed acquosa ai suoi occhi. Con un gesto irato tentò di asciugarli in qualche modo, ma come le toglieva, altre lacrime andavano a sostituire le precedenti, rendendo nuovamente sfocate le immagini.
Ed i passanti la osservavano per qualche attimo, con curiosità, per poi tornare ad occuparsi dei propri affari, ma non se ne curava Yoshiko, non vedeva nemmeno le loro occhiate, continuando a masticare le sue invettive.
"Traditori e bugiardi. Bugiardi!".
Quando associò il viso di Yuzo a quella frase, la sua espressione si intristì ancora di più.
Proprio lui… che l’aveva sempre rassicurata e trattata come una persona adulta, che le diceva di avere pazienza perché presto anche gli altri avrebbero avuto fiducia nelle sue capacità di giudizio…
Era solo un maledetto bugiardo!
Le sue parole erano state niente più che una pura cortesia perché, in fondo, era la sorella di Misaki. E nient’altro.
Oddio! Che stupida era stata a credere che lui potesse davvero considerarla come una donna e guardarla con occhi diversi.

"Se davvero pensi di aver frainteso tutto, allora dimmi: erano finte le volte che il tuo Prof è corso perché eri in difficoltà? Erano finte le sue parole di conforto quando gli hai parlato delle discussioni con tua madre? Ed era finto l’abbraccio che ti ha dato quando ti ha parlato della moglie? Il suo ‘Grazie’… era finto anche quello?"

Con forza si strinse la testa tra le mani, mentre le parole di Saya erano tornate a riecheggiare nelle sue orecchie, costringendola ad ammettere che nelle azioni di Yuzo c’era un inspiegabile controsenso che lei non riusciva a comprendere e la mandava nel panico.
"Non lo so! Non lo so!" continuò a piangere ed era esasperante vedere come ogni suo ragionamento non portasse che ad un maledetto vicolo cieco, ma Yoshiko non era più disposta a farsi trattare come una ragazzina, da nessuno.
Con decisione riaprì gli occhi, attingendo adrenalina dal rancore che le stava divorando il cuore ed accelerò i passi, puntando con decisione la sede dell’FVO: se davvero Yuzo non aveva fatto altro che prenderla in giro, allora avrebbe dovuto dirglielo in faccia, occhi negli occhi, a costo di sentirsi totalmente a pezzi dopo, ma voleva la verità.

Con le mani nelle tasche del giaccone, rimase svariati minuti fuori dall’FVO ad inspirare la fredda aria di Febbraio come fosse una benedizione dal Cielo, nonostante spirasse insidiosa e per nulla benevola.
Non ce l’aveva davvero fatta a restare confinato nel suo ufficio a combattere con sé stesso tra il concentrarsi sul lavoro e pensare a Yoshiko, aveva dovuto prendersi quella pausa. Anche perché era rimasto senza Santa Nicotina nel momento meno opportuno.
Finalmente si impose di muoversi, cominciando ad avviarsi al tabacchi più vicino ed era fortunato: ce n'era uno proprio ad un centinaio di metri. Susseguendo passi con una lentezza paurosa, sospirò pesantemente fingendo di osservare la strada senza però vederla davvero.
A fine giornata avrebbe dovuto riunire la sua squadra per cercare di mettere i primi capisaldi alla situazione della Prefettura: che diamine! In tre giorni dovevano pur aver raccolto abbastanza informazioni, no?!
"Bah, parlo proprio io..." mormorò, passandosi stancamente una mano sul viso ed avvertendo il pizzicare della barba che stava ricrescendo indisturbata. Avrebbe dovuto darsi una sistemata per non sembrare un avanzo di galera, ma era altrettanto consapevole del fatto che avrebbe automaticamente dimenticato quel proposito con la stessa rapidità con cui l'aveva formulato. Nei brevi rientri a casa, non riusciva ad estraniarsi dai suoi tremila pensieri nemmeno per i dieci minuti che si concedeva sotto la doccia.
Yoshiko, terremoti.
Terremoti, Yoshiko.
E quegli argomenti riuscivano a prendere strane correlazioni nella sua testa: Yoshiko era il suo terremoto personale, segnale di stravolgimenti catastrofici, ma anche di cambiamento; battito vitale del suo cuore che fungeva da nucleo in quello strano microcosmo.
D'altra parte: i terremoti della Prefettura avrebbero potuto mettere in serio periocolo la popolazione, compresa Yoshiko, e lui avrebbe dovuto darsi una mossa per venire a capo dell'enigma.
Però, sembrava che la capacità di fuggire ai problemi per lasciarsi sommergere dal lavoro, l'avesse abbandonato da quando aveva affrontato il ricordo di Aiko e del Ruiz. L'aveva fatto per anni, eppure, ora sembrava non essere più in grado di ignorare i suoi sentimenti ed era snervante.
Entrò nel tabacchi, dirigendosi subito al bancone. "Tre pacchetti di Marlboro Rosse.". Santa Nicotina avrebbe vegliato su di lui per le prossime trentasei ore. Pagò, eclissando meccanicamente due confezioni nelle prime tasche che trovò; rigirò la terza tra le mani, aprendola e cavando un rotolino di tabacco prima di riporre anche quel pacchetto. Il vento, all'esterno del negozio, lo avvolse di nuovo come un gelido abbraccio dal quale si lasciò cullare per nulla allettato all'idea di ritornare a combattere cone le parole scritte sul monitor del suo computer che non riuscivano ad entrargli in testa, ed era terribile, per lui, non riuscire a trovare requie nemmeno nel suo lavoro. Con la sigaretta pendente tra le labbra, si adoperò per scovare dove diamine avesse messo l'accendino, ma, quando alzò lo sguardo, interruppe all'istante tutte le sue ricerche. I passi si arrestarono di colpo, fermando la sua figura alta di fronte quella più minuta di una ragazza avvolta da una sciarpa multicolore; i capelli le serpeggiavano come impazziti tra i sospiri del vento, ma anche se scivolavano spesso davanti al viso, non riuscivano a nascondere gli occhi di brace con cui lo stava guardando. A Yuzo sembrò di non vederla da secoli e si rese conto di aver trattenuto il fiato per un attimo, nei pochi momenti in cui aveva realizzato di avere proprio Yoshiko davanti. E gli era mancata molto di più di quanto avesse creduto. In quell'istante, gli sembrò tutto improvvisamente distante: la promessa fatta a Taro, quella fatta con sé stesso, i problemi che le loro differenti realtà inevitabilmente avrebbero comportato. Tutto divenne come un'eco confusa, mentre desiderò solo che lei gli sorridesse in quel modo solare che sapeva farlo stare bene; che lo prendesse sotto braccio per andare in qualche caffè a fare due chiacchiere. Cosa avrebbe dato per quell'attimo di serenità, ma sul viso di Yoshiko non c'erano sorrisi ad illuminarle gli occhi, solo una malcelata espressione di rabbia, le labbra tese e dritte e la mascella contratta, le iridi lucide ed arrossate. Un'immagine, quella, che lo catapultò nuovamente al presente con la violenza di una doccia gelata e l'eco lo assordò, tornando ad essere un concitato frastuono nella sua testa.
Dal canto suo, Yoshiko si era sentita mancare la terra sotto i piedi nell'attimo in cui aveva raggiunto l'FVO e lo aveva visto allontanarsi lentamente dall'edificio senza accorgersi della sua presenza. Il cuore le si era bloccato di colpo, scandendo nettamente il suo ultimo e rumoroso battito, poi, lei non era più stata in grado di sentirlo agitarsi dentro di sé, restando a fissare la schiena di Yuzo come imbambolata. L'indecisione e la forte emozione nel rivederlo dopo giorni di silenzi l'avevano come stordita per degli istanti lunghissimi, facendola quasi cedere alla tentazione improvvisa di scappare via senza dirgli una parola.
Ma proprio mentre stava per fare un passo indietro, le parole di Taro, le contraddizioni di Yuzo, la sensazione di sentirsi presa immensamente in giro dalle persone di cui si fidava di più, avevano gonfiato di rancore le sue certezze, disegnandole quella ferma espressione sul viso con la quale stava fissando il Prof. Lo aveva seguito senza palesare la sua presenza, fino a che non l'aveva visto entrare nel tabacchi, solo allora si era fermata, decidendo di prendersi tutte le spiegazioni appena avesse lasciato il negozio. Quella strada, trafficata da passanti che si muovevano immersi nelle proprie preoccupazioni e spazzata da raffiche di vento gelido, avrebbe fatto da sfondo. Ed ora che lo aveva davanti, che i loro occhi si erano nuovamente incontrati, la rabbia aveva preso il sopravvento, impedendole di scorgere quell'espressione affranta che, per alcuni attimi, aveva preso possesso del viso di Yuzo, prima che lui cercasse di nasconderla dietro un falso sorriso che riuscì a piegare solo leggermente le sue labbra.
"Yoko...".
Udire la sua voce le fece male.
Pronunciare il suo nome gli fece male.
"...cosa fai qui?" Yuzo tolse lentamente la sigaretta "Perdonami se non ho risposto alle tue chiamate, ma in questi giorni il lavoro non mi ha dato il tempo di respirare.".
Mentirle gli fece male.
Le sue menzogne le fecero male.
"Bravi." lo freddò Yoshiko, facendo scomparire l'accenno di sorriso dal volto. "Tu e Taro. Bravi tutti e due.".
Yuzo avvertì nettamente il sangue gelarsi nelle vene a quella frase e al tono tagliente che aveva usato: distaccato, controllato, ma pronto a traboccare d'ira. Abbassò per un attimo lo sguardo, abbandonando tutti i suoi propositi di inventare una qualsivoglia giustificazione, mentre lei riprese, impietosa.
"Mio fratello mi ha detto tutto. Avete fatto una piacevole conversazione alle mie spalle?" marcata e velenosa ironia elargirono le sue parole, cui lui cercò di opporsi senza però la necessaria convinzione.
"Taro era preoccupato per te ed anche io, abbiamo... cercato di fare solo il tuo bene..." le spiegò, tentando di mantenere un tono calmo, ma il lampo d'ira che attraverò le iridi di Yoshiko a quella frase riuscì ad abbagliarlo.
"Il mio bene?!" fece eco lei, serrando i pugni in una morsa e gli occhi che si ridussero a sottili fessure, mentre si lasciava guidare totalmente dalla collera. "E perché non l'avete chiesto a me quale fosse il mio bene?! Ho ventidue anni, maledizione! Non sono più una bambina e voi non siete i miei genitori! E tu..." intimò puntandogli contro l'indice, tremante di rabbia, con fare accusatorio "...tu lo sapevi cosa significasse per me avere la vostra considerazione non solo per sentirmi dire 'la piccola Yoshiko', 'La sorellina di Misaki', 'Devi chiedere il permesso a tuo fratello', ma come l'adulta che sono! E sapevi... sapevi quanto mi pesasse il ferreo controllo di mia madre! Lo sapevi!". Senza che riuscisse ad impedirlo, un groppo alla gola le incrinò la voce, mentre scaricava tutta la sua amarezza contro Yuzo che, immobile, si lasciò travolgere dalle sue parole senza replicare, osservando i suoi occhi farsi lucidi ad ogni frase. "Ero così contenta di essere venuta a Nankatsu! Di stare vicino a mio fratello! 'Almeno lui mi capisce', dicevo, 'Almeno lui riesce ad arginare la mamma'... ed invece... poi sei arrivato tu ed io... ero felice di aver trovato una persona che mi considerasse come un suo pari... che non vedesse in me solo la maledetta sorella minore dell'amico!". Lentamente Yoko abbassò la mano, serrandola nuovamente in pugno. L'immagine del Prof davanti a lei era già da un po' divenuta sfocata dalle lacrime che avevano ripreso a scendere, per quanto si fosse sforzata fino all'ultimo di trattenerle, ma in quel momento, mentre lui continuava a guardarla senza fiatare, non le importò più niente di cosa avesse potuto pensare di lei: tanto la considerava già una ragazzina, cosa aveva da perdere? Niente, Yuzo lo aveva già perso in partenza. Eppure, una parte di sé, quella che faceva capo al suo cuore e che lo amava da morire, continuava strenuamente a non arrendersi all'evidenza e continuava a sperare che ogni sua parola, ogni sua attenzione, ogni suo abbraccio o carezza, l'affetto che aveva letto nei suoi occhi, non fossero solo un atteggiamento di pura cortesia, un inganno.
"Perché..." riprese; la smorfia furiosa che le aveva inasprito i tratti si tramutò in un'espressione affranta, ultimo disperato tentativo del suo 'io' innamorato. "...perché, quando Taro ti ha detto di lasciarmi stare, non ti sei rifiutato? Perché hai obbedito alle sue richieste, scomparendo in quel modo? La nostra amicizia non era importante per te?" ma lui continuò a non rispondere, osservandola dritto negli occhi in cui Yoko non riuscì a leggervi nulla, forse a causa del pianto che le appannava la vista o perché, semplicemente, al Prof non importava niente di lei e questo pensiero le diede il colpo di grazia. Serrò gli occhi con forza. "Io non sono importante per te?!" gli urlò contro con tutta la sua disperazione.
- Sì che lo sei! - fu la sola risposta che rimbombò nella testa di Yuzo, ma che non riuscì a tramutarsi in suono anche se avrebbe voluto. L'insieme di tutte le sue paure gli strozzò in gola ciò che realmente avrebbe voluto dirle, facendolo restare in un assordante silenzio. E rabbia prese a ribollirgli nelle vene. Rabbia verso sé stesso e consapevolezza di ciò che non avrebbe mai potuto darle, della stabilità e la presenza che il suo lavoro le avrebbe fatto mancare e lui non voleva rischiare di renderla infelice, ma... non le stava ugualmente facendo del male in quel momento? Yoshiko piangeva a causa sua ed era fuori di sé per quello, ma, per quanto avesse voluto dirle di non aver mai finto con lei, le labbra rimasero serrate e le braccia immobili, come blocchi di marmo, abbandonate lungo i fianchi.
La sua guerra interiore era finita, decretando la schiacciante supremazia di una sola fazione. E, per quanto Erasmo da Rotterdam dicesse che 'Il Cuore ha sempre Ragione', il suo senso di responsabilità era molto più forte di qualsiasi sentimento. Con voce severa continuava a giustificare la sua vittoria dietro un austero: "Sarà solo un dolore momentaneo. Poi le passerà e dimenticherà.", e lui si ritrovò come prigioniero nel suo stesso corpo; puro e semplice spettatore.
Al suo prolungato silenzio, Yoshiko non riuscì più a trattenere un singhiozzo, trovando finalmente il coraggio di levare per un'ultima volta lo sguardo su di lui. Dolore e disprezzo avvelenarono le sue iridi nocciola, prima che le labbra assumessero una piega aspra. "Bugiardo." ringhiò tra i denti, volgendosi di scatto e pronta ad allontanarsi il più velocemente possibile da quel luogo.
E per Yuzo fu come uno svegliarsi all'improvviso nel leggere un tale odio nei suoi occhi, nel sentire quella singola parola che lo aveva colpito a morte. La ragione si frantumò in mille pezzi, lasciandolo finalmente libero di riprendere il controllo sul proprio corpo che si mosse repentinamente a fermare la sua fuga.
- Non lasciarla andare! Fermala! - gridò il suo cuore nell'attimo in cui afferrò saldamente il suo polso.
"Yoshiko, io...".
Ma una volta che ci si lasciava affogare nel rancore, tornare indietro era impossibile. Una scheggia nocciola lo inquadrò per un istante, carica d'ira.
"Non mi toccare!".
E lo schiaffo arrivò come un fulmine, colpendolo in pieno viso e lasciandolo di sale. Il silenzio cadde di schianto, rotto solo dal brusio perplesso di chi aveva assistito alla scena.
Solo in quel momento, osservando lo sguardo incredulo di Yuzo, Yoshiko realizzò cosa avesse fatto in quella frazione di secondo in cui si era lasciata guidare dalla rabbia. Gli occhi le si allargarono lentamente, tradendo un'espressione di puro smarrimento, mentre sembrò non esservi più traccia dell'ira provata fino a qualche attimo prima. Con orrore, mosse lo sguardo alla sua mano, come se la vedesse per la prima volta.
Oddio.
Lo aveva schiaffeggiato davvero e in mezzo alla strada per giunta.
Guardò i passanti incuriositi, con espressione confusa e spaventata, prima di tornare ad osservare il Prof, totalmente spiazzato dalla sua reazione.
Non poteva averlo fatto sul serio...
Gli occhi le si riempirono nuovamente di lacrime.
...come aveva potuto esser stata così impulsiva?
"Io..." e fece un passo indietro, sgusciando con facilità dalla presa di Yuzo che aveva perso tutta la sua forza all'improvviso "...io vi odio! Vi odio tutti e due!" furono le sue ultime parole prima di correre finalmente via con il vento di Febbraio che continuava a scivolarle attorno con strafottenza. Non sapeva dove i suoi piedi l'avrebbero condotta, né le importava più di tanto, in quel momento desiderò solo allontanarsi da lui per non leggere nei suoi occhi il disprezzo per la stupida ragazzina che era.
Ma mentre osservava la sua figura farsi sempre più piccola e scomparire tra i passanti, Yuzo non pensò affatto che fosse una ragazzina, né lo aveva mai pensato da quando l'aveva conosciuta, ma le sue paure lo avevano bloccato nell'indecisione ed ora era troppo tardi.

"...io vi odio..."

Spostò lo sguardo al suolo, avvertendo un intenso calore dove Yoshiko lo aveva colpito, ma il dolore che stava provando non era affatto fisico.
Con forza, strinse i pugni, piegando le labbra in una smorfia amara.
Non era la guancia a fargli male, quando si rese conto di aver perduto ciò che aveva disperatamente cercato di difendere.
Non era il suo orgoglio ad essere ferito.
Il cuore rallentò la sua corsa, ma ogni battito sembrava avesse voluto spaccarlo in due.
Si era promesso di proteggere il suo sorriso a tutti i costi ed invece aveva fallito di nuovo.
Lentamente, si mosse per ritornare all'FVO.

Quando smise di correre, il tabacchi alle sue spalle non era più visibile da un pezzo e Yuzo con lui, ma Yoshiko si sforzò comunque di non voltarsi, rallentando il passo fino a fermarsi al centro del marciapiede. Lo sguardo piantato al suolo ed i singhiozzi che non accennavano a diminuire.
Doveva essere impazzita per aver fatto una cosa del genere ed anche in quel momento le sembrò impossibile che gli avesse tirato uno schiaffo, urlandogli contro in quel modo, e pianto... oddio, aveva finito per comportatsi proprio come la bambina che millantava di non essere.
E Yuzo? Di sicuro non avrebbe più voluto avere niente a che fare con una stupida come lei, ma, in fondo, perché se ne preoccupava? Tanto non era mai stata importante per il Prof, tanto le aveva sempre mentito... e allora perché continuava a tormentarsi su cosa lui avrebbe potuto pensare?
Piano si portò le mani al viso, tentando di asciugarsi gli occhi.
"Che impiastro che sei, Yoshiko Yamaoka." si disse, alzando lo sguardo e scorgendo il cancello del Parco Hikarigaoka proprio davanti a lei. Stringendo di più la sciarpa attorno al collo per proteggersi dal freddo, riprese a camminare lentamente, decidendo di trovare un piccolo rifugio proprio in quel luogo che offriva una panoramica vista della città e la giusta quiete per pensare con calma e raccogliere le idee. Anche se non c'era molto su cui rimuginare, ormai.
Le fronde spoglie degli alberi e quelle di alcuni sempreverde frusciarono al vento, innalzando un malinconico brusio che si perse nel cielo carico di nubi. Con quel tempo inclemente, non c'era praticamente nessuno a passeggiare per gli ampi viali del parco, ma lei nemmeno ci fece caso ed occupò la panchina più vicina appena giunse sul belvedere. In maniera poco composta si tirò le ginocchia al petto, un po' per raccogliersi su sé stessa ed un po' per proteggersi dal freddo che, su quello spiazzo spazzato dalla brezza, sembrava essere più insidioso e tagliente.
"E adesso?" si disse "Che faccio?" non aveva alcuna voglia di tornasene a casa e parlare con Saya dell'accaduto; conoscendola, le avrebbe piazzato un odioso 'te l'avevo detto!'. Voleva solo che il tempo prendesse a scorrere al contrario per correggere l'errore che aveva commesso, innamorandosi di Yuzo, e mantenendo, invece, quello che era stato il suo proposito iniziale: restare con i piedi per terra. Ma subito scosse il capo con forza a quel pensiero, nascondendo il viso nelle ginocchia.
Si stava illudendo di nuovo credendo che, tornando indietro, le cose avrebbero potuto prendere una piega differente. Le sarebbe bastato incrociare per un attimo il suo sorriso per tornare nuovamente ad innamorarsi di lui altre cento volte. E per altre cento volte ancora avrebbe sofferto come in quel momento, perché per tutte e cento le volte lei non sarebbe mai stata importante per Yuzo. Avrebbe dovuto capirlo subito che nessuna, dopo Aiko, sarebbe mai riuscita a lasciare un segno nel suo cuore. Quando gli aveva visto metter via le fedi, aveva davvero creduto che forse... invece era stata solo la sua ennesima illusione. Doveva smetterla di essere così maledettamente ingenua e cominciare ad essere più realista.
Una nuova lacrima, calda e amara, scivolò lungo la guancia, mentre si rendeva conto che Taro non aveva tutti i torti a trattarla ancora come una bambina. Una persona matura non si sarebbe arrabbiata in quel modo, non avrebbe preso a schiaffi la persona di cui era innamorata per poi scappare via, sputandole contro la rabbia ed il disprezzo che la delusione le aveva fatto provare. Avrebbe, invece, mantenuto un temperamento più controllato e, soprattutto, non avrebbe pianto.
"Adesso... adesso smetto...".
Una persona matura se ne sarebbe fatta una ragione.
"...in fondo... è meglio così...".
E avrebbe dimenticato.
"Ma io non posso..." - ...non voglio... - "...dimenticarmi di te, Yuzo.".

Quando il rumoroso vociare dell'FVO lo avvolse, provò un enorme senso di fastidio.
Il tic-tac delle tastiere, il tintinnare degli oggetti, i telefoni, il parlottare confuso dei suoi colleghi gli fecero disegnare una smorfia di disgusto sulle labbra già tese.
Era nervoso.
E sarebbe stato meglio se nessuno gli si fosse avvicinato, permettendogli di rintanarsi nel suo ufficio per pensare esclusivamente al lavoro. Non voleva né vedere né sentire nessuno. Era come un cavo elettrico lasciato scoperto e in procinto di andare in corto.
Per quanto si sforzasse, le immagini degli ultimi istanti con Yoshiko continuavano a riproporsi ai suoi occhi come un nastro incantato e lui strinse le palplebre per mettere a fuoco dove stesse andando. Con passo svelto puntò dritto al suo studio senza distogliere lo sguardo.
Ma non aveva fatto i conti con Ricardo.
Come l'aveva visto ricomparire, l'ingegnere era balzato in piedi stringendo un paio di fogli e quasi non facendo caso all'espressione scura che gli induriva i tratti e che sembrava dire 'statemi alla larga'. Non che quando fosse uscito avesse avuto un'aria più tranquilla, ma Rick aveva ipotizzato che fosse solo preoccupato a causa dell'emergenza.
"Yuzo, ci sono delle cose cui dovresti dare un'occhiata." esordì, facendoglisi contro e sfogliando distrattamente i diagrammi che aveva in mano. "Prima è arrivato Hideki. Aveva le palle girate, sembra che il Vice Prefetto stia facendo pressioni per avere qualcosa di definitivo sui terremoti." e scosse il capo con stizza, mantenendo il passo sostenuto del vulcanologo. "Quello continua ad avere solo il suo stramaledetto comizio per la testa e-" ma si zittì quando si accorse di star parlando a vuoto. L'ingegnere inarcò un sopracciglio con perplessità, osservando il suo profilo impassibile. "Yuzo, ma mi stai ascoltando? Sto parlando con te." ed ancora silenzio ottenne da parte sua, come se non esistesse. "Yuzo?!". Con decisione lo afferrò per una spalla, costringendolo a voltarsi "Yuzo!", ma la reazione che ottenne lo bloccò in mezzo alla stanza.
"¿Que diablo quieres?[1]" gli urlò contro il vulcanologo divincolandosi dalla sua presa con uno strattone.
Un improvviso silenzio si creò attorno a loro che si attirarono gli sguardi confusi dei presenti.
Hisui abbassò la perenne mascherina.
Toshi mosse lo sguardo prima a Rick e poi a Yuzo, senza riuscire a capire che diavolo stesse succedendo.
Dal canto suo, l’ingegnere non disse una parola, fissando la rabbia che leggeva negli occhi del Vice Direttore dell’FVO e cercando di comprendere cosa l’avesse generata. L’ultima volta che lo aveva visto così era stato poco dopo la morte di Aiko, quando Yuzo aveva attraversato un periodo di forte irascibilità dovuto all’odio che covava verso sé stesso per ciò che era avvenuto sul Ruiz ed il senso di colpa. Ma erano passati anni, da allora, e non pensava che un giorno avrebbe nuovamente letto un simile sentimento di ira ed impotenza nelle sue iridi, soprattutto ora che era comparsa Occhi Belli e gli era sembrato estremamente rilassato e tranquillo. Forse aveva parlato troppo presto.
Sentendosi osservato, Yuzo mosse rapidamente lo sguardo intorno a sé dove i colleghi continuavano a restare immobili fissandolo con incredulità. E le loro espressioni lo mandarono in collera.
“E allora?!” sbottò allargando le braccia “Non avete niente da fare?! Al lavoro, per Dio! Abbiamo dei problemi da risolvere!” e volse loro le spalle, chiudendo la porta del suo ufficio con uno schianto.
Gli uomini dell’FVO rimasero fermi ancora per qualche secondo, prima di ricominciare ad occuparsi delle proprie faccende, parlottando dello strano comportamento del Vice Direttore.
“Incazzato nero, eh?” esordì Toshi, portandosi alle spalle di Rick e rimanendo ad osservare la porta chiusa con un sopracciglio inarcato.
“Già.” accordò l’ispanico, senza aggiungere nient’altro.
Ma v’a’ stati cuntemplann?[2]” Rita comparve dietro di loro reggendo un voluminoso mazzo di sismogrammi.
“Ohi! Ti sei persa una scena da manuale!” esclamò Hisui, raggiungendo il gruppo “Yuzo ha azzittito Ricardo! È un evento storico! Dovrò segnarmelo sul calendario.”
“Piantala, Meteo-man, non c’è niente da ridere.” lo ammonì Toshi, spostando poi lo sguardo sulla sismologa “Yuzo ha dato di matto senza apparente motivo, prendendosela anche con tutti i presenti.”.
Ma veramente fai?![3]” e lanciò un’occhiata torva all’ingegnere “Che gli hai detto, Riccà?!”.
L’interpellato rispose un asettico “Niente.” tornando alla sua scrivania e smanettando di nuovo al computer sotto lo sguardo perplesso di Rita che lo raggiunse.
“Rick?”.
“Deve essere successo qualcosa perché era fuori dalla Grazia di Dio.” spiegò il giovane, intrecciando le mani all’altezza del naso e rivolgendo alla sismologa un’occhiata seria. “Ad ogni modo, se stavi andando da lui, non so quanto ti convenga farlo in questo momento.”
“Lo sai che amo il rischio.” tentò di sdrammatizzare Rita e, chissà perché, aveva già una mezza idea riguardo al motivo di tale comportamento. Con passo deciso si mosse per raggiungere lo studio di Yuzo, intenzionata a verificare la sua ipotesi, ma, su questo genere di cose, raramente si sbagliava.
“In bocca al lupo.” le augurò Toshi, mentre Hisui ci tenne a sottolineare: “Sappi che se sentiremo volare delle urla, non verremo a salvarti!”.
Tsk! Veri Maschi DOC![4]” li prese in giro la sismologa “Non vi smentite mai!” e si fermò davanti la porta chiusa, tirando un profondo sospiro prima di bussare con un paio di colpi secchi. Come aveva immaginato, non ottenne una risposta carica di cortesia.
“Che cavolo c’è?! Sto lavorando, maledizione!”.
Arricciò il naso con stizza prima di fare capolino nell’ufficio esclamando un “C’hamm scetat stuort stammatina?[5]”.
Come la vide comparire sull’uscio, Yuzo sospirò, lanciando la penna sul tavolo e togliendosi gli occhiali. Lentamente prese a massaggiare gli occhi, rilassandosi contro lo schienale della poltrona.
“Scusa.” disse ed era mortificato davvero.
“Non credo di essere l’unica a cui devi delle scuse.” la sismologa avanzò nella stanza, chiudendo la porta alle sue spalle ed avvicinandosi alla scrivania.
“Lo so.” avrebbe dovuto scusarsi anche con Ricardo, che aveva solo avuto la sfortuna di avvicinarlo nel momento meno opportuno.
“Allora?” continuò l’altra, accomodandosi in una delle sedie opposte alla sua. “Che succede?”.
“Niente di importante...” tentò di minimizzare.
“A giudicare dalle cinque dita che fanno bella mostra sulla tua guancia, direi proprio il contrario.”.
Lui accennò un sorriso. “Si notano tanto?”.
“Un po’, ma sono segni che vanno via in un attimo, a differenza di quelli che lascia dentro chi il ceffone te l’ha mollato.” ed appoggiò il gomito sulla liscia superficie del tavolo, sporgendosi un po’. “E visto che gli uomini tra loro si scambiano pugni, deduco che c’entri qualcosa Occhi Belli.”.
Yuzo sorrise ancora “Deduzione esatta, Watson.”. L'intuito di Rita non faceva mai cilecca.
“Problemi?”.
“A parte che mi odia? No, nessuno.”.
Lei si strinse nelle spalle. “Un ‘ti odio’, detto dopo uno schiaffo, spesso nasconde un ‘ti amo’.”.
L’altro scosse il capo. “Non credo sia questo il caso.” e fece vagare lo sguardo per la stanza senza trovare nulla su cui farlo arenare. “Ho sbagliato.” ammise in tutta sincerità “Volevo solo il suo bene ed ho ottenuto l’esatto contrario.”. Poi sospirò, reclinando il capo all’indietro “Forse è meglio così...” e lasciò che il silenzio li separasse per alcuni istanti in cui Rita attese pazientemente che lui le spiegasse cosa fosse realmente accaduto.
“Alcuni giorni fa, il fratello di Yoshiko mi ha detto di starle alla larga, di scomparire dalla sua vita perché non ero la persona adatta a lei, perché non voleva che soffrisse...”.
“Ma tu non l’avresti mai fatta soffrire.”.
Yuzo abbassò di nuovo lo sguardo sull’amica e collega con espressione seria. “E chi può dirlo? Nemmeno Aiko avrebbe voluto che io soffrissi, eppure... l’ho persa.”. Con un movimento lento si sporse, intrecciando le dita sulla scrivania. “A mie spese ho imparato che la vita è troppo imprevedibile per avere determinate certezze, ed io... non volevo rischiare...”.
“Così hai acconsentito a metterti da parte.” concluse l’altra.
Lui annuì, continuando a fissarsi le mani. “Per giorni non mi sono fatto sentire, né ho risposto alle sue telefonate, ma Yoko ha scoperto cosa è successo...”.
“Ed è venuta a cercarti.”.
Annuì ancora.
La sismologa sospirò. “Anche se capisco la sua preoccupazione, il fratello di Yoshiko non avrebbe dovuto intromettersi in questo modo. In fondo, la vita è la vostra e l’onere di decidere cosa sia più giusto per voi spetta solo a te e lei.” sorrise con malizia, tirandosi su gli occhiali rotondi “E credo che Occhi Belli abbia già fatto la sua scelta: anche uno schiaffo può essere una manifestazione d’amore. C’è chi lo dimostra tramite frecciatine e punzecchiate...”.
“Povero Rick.” rise Yuzo.
“Ma ‘povero’ un cazzo! Quell’ispanico scassaballe è più tardo di un mulo! Non ci arriverebbe nemmeno se glielo scrivessi! Lasciami divertire un po’, almeno!” agitando enfaticamente una mano prima di aggiungere “Ad ogni modo, il problema non è Yoshiko, lei sa quello che vuole, ma devi capire che cosa vuoi tu.”.
E, a quella affermazione, Yuzo rimase in silenzio.
Già, che cosa voleva?
Era una gran bella domanda alla quale, però, non era in grado di dare una risposta. O meglio, ogni risposta che tentava di dare entrava in contrasto con tutti i suoi dubbi e le sue paure, lasciandolo sempre confuso sulla scelta da prendere: ricominciare o rallentare i suoi passi che, forse, si stavano susseguendo in maniera troppo affrettata?
Affondò le dita nei corti capelli scuri, spettinandoli con un gesto stanco. “Io... non lo so.”.
Rita sorrise con affetto. “Allora ti faccio un’altra domanda, ma dovrai essere sincero, soprattutto con te stesso. Che cosa provi quando sei con lei?”.
Ma nemmeno quello era un facile quesito perché provava talmente tante emozioni contemporaneamente che far trovar loro un senso a parole sembrava quasi impossibile.
Per un attimo, si rivide sul divano in compagnia di Yoshiko e, focalizzandosi su quella immagine, parlò.
“Io mi sento a casa. La stessa sensazione di tranquillità che provavo quando ero con Aiko. Non ho niente da cercare o chiedere, niente a cui pensare. Sto bene.”.
E nei suoi occhi, Rita lesse sincerità. Continuando a sorridere, la sismologa si alzò lentamente “E dopo quanto hai appena detto, sei ancora sicuro di non sapere quello che vuoi davvero, Yuzo?” senza attendere una sua replica si mosse in direzione della porta “Pensaci ed una volta che l’avrai ammesso a te stesso, saprai cosa fare.”. Uscì dal suo ufficio, lasciando che meditasse su quelle parole.

Nonostante le ore intere che aveva tascorso rannicchiata su quella panchina, nemmeno la quiete del parco era riuscita a portarle consiglio. Il tempo le era scivolato addosso come il freddo e quando aveva deciso di andarsene, nella sua testa regnava ancora la stessa confusione di quando era arrivata.
Tutto ciò che era stata in grado di fare era stato fissare il cellulare per degli inquantificabili minuti, prima di spegnerlo e lasciarlo a marcire sul fondo della borsa. Per un attimo, aveva addirittura provato l’assurdo desiderio di telefonargli, ma aveva subito accantonato quel pensiero: che avrebbe mai potuto dirgli? Scusami per lo schiaffo, ti amo, addio? E poi... non era nemmeno detto che lui avrebbe risposto.
Anzi, sicuramente non l’avrebbe fatto.
Sospirò, camminando a passo lento per le strade deserte di Nankatsu. Solo qualche macchina sfrecciava accanto a lei, diretta a casa, mentre lungo i marciapiedi non c’era quasi nessuno, giusto qualche ritardatario che si affrettava a raggiungere luoghi più caldi e qualche temerario che, invece, preferiva sfidare il freddo in compagnia di qualcuno altrettanto pazzo, scambiandosi battute e ridendo. Ma Yoshiko non avrebbe nemmeno saputo dire che facce avessero; il suo sguardo restava incollato alla strada e alle punte delle scarpe che susseguivano meccanici passi.
Quando aveva abbandonato la folle idea di telefonare a Yuzo aveva provato a prendere una decisione sul da farsi, ricercando un’ombra di determinazione nell’odio che provava nei suoi confronti, ma era stata solo una stupida a credere di poterlo odiare davvero. Le parole e l’ira che gli aveva riversato addosso non erano state altro che frutto della delusione del momento, ma dopo lo sfogo, non era rimasto nulla di quei sentimenti e a stento ricordava cosa avesse davvero provato in quei momenti. Il tutto si era svolto così in fretta, che le erano rimasti solo frammenti di immagini e sensazioni che non avevano fatto altro che aumentare la sua confusione.
Una folata di vento le smosse i capelli, facendoli oscillare davanti agli occhi e lei si strinse ancora di più nel cappotto, perfettamente abbottonato, e la sciarpa ben stretta attorno al collo; eppure, il freddo pungente riuscì ad insinuarsi sotto gli abiti pesanti, facendola rabbrividire. Restarsene immobile nel parco non era stata proprio l’idea più brillante del secolo, ma davvero non avrebbe saputo dove andarsi a rintanare per starsene un po’ da sola. Se solo quel vento fosse riuscito a farle schiarire un pochino le idee, avrebbe passato fuori anche l’intera nottata, ma, dopo ore, era rimasta ancora allo stesso punto.
Non le restava, quindi, che aspettare.
Aspettare che il tempo facesse il suo dovere, ma quanto ci sarebbe voluto affinché il suo cuore avesse smesso di torturarla mormorando il suo nome ad ogni battito? E quanto ancora ci sarebbe voluto perché quello stesso nome si fosse cancellato e, con lui, fossero scomparsi tutti i ricordi ad esso collegati?
Quanto, quanto tempo?
Forse era da sciocchi stare così male per una persona che si conosceva relativamente da pochissimo, ma l’intensità di tutto ciò che avevano condiviso le dava l’idea che fossero passati anni dalla famosa serata di gala e non un paio di settimane.
Yuzo le aveva sempre dato la sensazione di familiarità, di casa, e non era mai riuscita a spiegarsi come questo fosse possibile. Aveva provato verso di lui una fiducia quasi istantanea e forse era per questo motivo che la delusione l’aveva accecata a tal punto da reagire in quel modo.
Sospirò, fermando il meccanico girovagare.
I rumori delle macchine avevano smesso da tempo di intervallare i suoi pensieri, ma lei non se n’era nemmeno accorta, presa com’era dalla sua affannata ricerca di una via d’uscita da quel vicolo cieco in cui si era ritrovata. Adesso, c’era solo un irreale silenzio, attorno a lei, rotto solo dal mormorante fruscio delle fronde degli alberi. Doveva essere decisamente tardi e forse sarebbe stato meglio prendere la via del ritorno che l’avrebbe condotta allo Studentato; aveva bisogno di una doccia calda per togliersi il gelo dell’intera giornata passata a vagabondare.
Finalmente, Yoshiko si decise ad alzare la testa per cercare di individuare la sua attuale posizione ed imboccare la via più breve per arrivare a casa. Ma, ad una prima occhiata, sembrò non riconoscere la zona: una strada silenziosa e macchine ordinatamente posteggiate, lampioni ad intervalli regolari e svariate finestre illuminate dei palazzi che costeggiavano entrambi i lati della via.
Yoko continuò a guardarsi attorno con espressione spaesata, poi, un flash improvviso: lei e Yuzo che correvano sotto la pioggia, con il suo giaccone a ripararli; l’odore del cibo preso al take-away.
“Oddio...” mormorò girandosi di scatto alla sua destra: l’edificio giallo ocra apparve nitido nella sua interezza, come si fosse materializzato direttamente dai suoi ricordi.
Era sotto casa di Yuzo.
Lentamente si portò una mano al viso, gli occhi si sgranarono mentre uno strano senso d’ansia accelerò i battiti del suo cuore. “Oddio...” ripeté “...come ho fatto ad arrivare qui?”.

Erano le 22:30 quando decise che restare in ufficio a fingere di lavorare fosse perfettamente inutile. Non aveva nemmeno fatto lo sforzo di aprire i file che aveva nel computer: era rimasto tutto il tempo a pensare alle parole di Rita senza però riuscire ad effettuare una scelta, e detestava sentirsi così maledettamente indeciso ed insicuro sulla via da seguire. Era convinto di aver abbandonato le sue esitazioni quando aveva superato il test di ammissione all’Università. Per una facoltà come quella che aveva scelto, avere dei dubbi si sarebbe potuto dimostrare pericoloso per coloro che avrebbero fatto affidamento sulle sue capacità di giudizio e valutazione.
Invece, le incertezze sembravano essere ancora una parte di lui. Per colpa loro aveva già perso Aiko, ed ora stava per perdere anche Yoshiko. Eppure, nonostante fosse consapevole di tutto questo, continuava a restare intrappolato tra ciò che temeva e ciò che desiderava; era l'ago della sua stessa bilancia.
Immerso nella sue elucubrazioni, era stato addirittura fortemente tentato di telefonarle. Per scusarsi, almeno, di non essere riuscito ad essere chiaro su nulla, per non aver risposto alle sue domande, per aver mentito ed averle fatto credere di non essere importante per lui. Aveva fissato il cellulare fermo sul tavolo per dei minuti lunghissimi, poi aveva sorriso, abbandonado l'idea: di sicuro, Yoshiko non avrebbe voluto stare a sentire le sue inutili giustificazioni. Come darle torto. Così, aveva finito per arrendersi all'evidenza: quella giornata era da considerarsi conclusa sotto tutti i punti di vista.
Lentamente, spense il computer afferrando il telefono e ficcandolo in tasca. Con la stessa calma prese il giaccone che aveva malamente abbandonato sul divano del suo studio e si mosse per lasciare l'edificio. L'indomani, qualsiasi consiglio gli avrebbe portato quella notte, avrebbe dovuto concentrarsi esclusivamente sulla condizione della Prefettura, a qualsiasi costo, e dare delle maledette risposte a Kishu. Ma, prima, c'era ancora una cosa che doveva fare.
Con le mani nelle tasche e la giacca ripiegata su un braccio, si avvicinò alla scrivania dove Ricardo stava ancora lavorando. Avrebbe dovuto prendere esempio dai membri della sua squadra, piuttosto che fare l'idiota. Al terzo piano, ormai, non era rimasto quasi più nessuno a parte loro e Yuzo era sicuro che anche Rita fosse ancora nella stanza dei sismografi, insieme al suo povero tirocinante schiavizzato.
Quando si fermò al tavolo, l'ingegnere alzò lo sguardo nella sua direzione senza dire nulla. Rimasero qualche secondo a fissarsi, poi, il vulcanologo sospirò pesantemente. "Mi dispiace." disse "Non volevo prendermela con te.". Rick sorrise, appoggiando il viso sul dorso della mano.
"Ya he olvidado[6]. Non preoccuparti. Piuttosto, vattene a casa e riposati, tre giorni rinchiuso qua dentro non ti hanno fatto molto bene.".
Yuzo si infilò la pesante giacca a vento "Era quello che stavo per fare." disse, quando Hisui cominciò a sbraitare.
"Ma no!" sbottò, attirandosi la loro attenzione "Non dovevi scusarti! Hai distrutto il mito!".
"Rassegnati, Meteo-man." sghignazzò Toshi seguito a ruota dall'ispanico, mentre il vulcanologo sorrise, inforcando l'uscita.
"Buona notte, ragazzi." salutò infine, cavando una sigaretta dal pacchetto e scendendo le scale.
Di guardia all'FVO sarebbe rimasto Myuri, un ragazzo a cavallo dei venticinque che si alternava con Shiguro. Il giovane alzò leggermente il capello quando lo vide scendere diretto ai garage, e lui rispose con un cenno della mano. Dante, dalla carrozzeria macchiata dalla pioggia di quei giorni, aspettava silenzioso e lui ne fece scattare l'antifurto, salutandolo, prima di mettere in moto ed allontanarsi senza fretta dall'edificio dell'osservatorio.
Mentre fumava lentamente, Nankatsu scivolava attorno a lui in procinto di addormentarsi. Aveva abbassato tutte le serrande, rannicchiandosi sotto le coltri opalescenti delle alte nubi che il vento non era riuscito a spazzare via. Ed il Fuji appariva come un bianco fantasma alla fine della città.
Ciccando fuori dal finestrino, Yuzo si chiese dove fosse Yoshiko in quel momento. Magari a casa, a sfogarsi con la sua amica Saya, oppure si era già messa a letto, decisa a dimenticare tutto al più presto, a dimenticarsi anche di lui.
E lui? Che cosa voleva?
Qual era la scelta più giusta da prendere?
Ma era anche la più sincera?
Lanciò la cicca con stizza. Sarebbe stata una notte di Inferno. Con manovre nervose, imboccò la sua strada, parcheggiando il Pick-up rapidamente. Quando scese, il vento lo investì tagliente, facendogli stringere gli occhi per contrastarne la forza, ma quando riuscì ad inquadrare il suo palazzo, scorse anche chi non si sarebbe mai aspettato di incontrare. Quella figura minuta, avvolta nello sciarpone multicolore, era divenuta talmente inconfondibile per lui che rimase a fissarla immobile per degli istanti lunghissimi, quasi con il timore che, se si fosse avvicinato, lei sarebbe scomparsa, come i miraggi nel deserto.
Ma non era più il momento di esitare.
Con il sangue che sembrava lava rovente nelle sue vene, tirò un profondo respiro, cominciando a muoversi per accorciare la loro distanza.
Quella giornata era ben lungi dall'essere terminata.

"Che cosa fai ancora in giro a quest'ora? Con questo freddo, poi, e da sola?".
Il suono di quella voce, che riconobbe all'istante, ebbe il potere di cristallizzare il tempo e la realtà attorno a lei, mentre l'ansia, mista alla sorpresa, accelerò al massimo i battiti del suo cuore. Lentamente si volse, riempiendosi gli occhi della sua figura che si era fermata a pochi passi.
Non pensava che l'avrebbe rivisto così presto, anzi, non pensava che l'avrebbe rivisto e basta. Ed anche lui sembrava incredulo di trovarla lì, per quanto cercasse di nasconderlo dietro un'espressione seria e preoccupata al contempo.
"I-io..." tentò di dire, per cercare di uscire dal fortissimo imbarazzo. Stringendo con forza il manico della borsa, abbassò lo sguardo prendendo a camminare per dileguarsi il più in fretta possibile. "...stavo giusto tornando a casa." mormorò rapidamente e fece per superarlo, quando una mano si serrò attorno al suo braccio.
Quel contatto fu una scossa elettrica per entrambi.
"Ti accompagno." le comunicò Yuzo che, anche a rischio di beccarsi un altro schiaffio, aveva deciso di fermarla.
Le guance di Yoko andarono in fiamme mentre masticava un "No... non ce n'è bisogno... io...".
"Ho detto che ti accompagno." ed il suo tono non ammetteva repliche, come quel frammento di sguardo che le rivolse con la coda dell'occhio e che lei incrociò per un attimo prima di abbassare nuovamente il proprio, limitandosi ad annuire.
Per quanto non l'avesse stretta con forza, nel momento in cui il Prof lasciò la presa, Yoshiko sentì il sangue rifluire bollente dove l'aveva toccata. Poi, Yuzo si mosse, ma, stranamente, non si avvicinò a Dante, ma si diresse al portone del suo edificio. Yoko osservò la sua schiena con perplessità, prima di seguirlo, lanciandogli di tanto in tanto delle rapide occhiate. Pensò che dovesse essere quantomeno infastidito di averla trovata lì, quasi come se lo stesse aspettando mentre vi era arrivata davvero per puro caso. Non aveva nemmeno guardato la sua direzione, aveva camminato in maniera meccanica per tutto il tempo, ma... di sicuro Yuzo non le avrebbe creduto.
Il Prof aprì rapidamente il portone, facendosi da parte per farla entrare e richiudendo poi l'uscio di vetro e metallo alle loro spalle. Mentre restavano fermi in attesa dell'ascensore, non si rivolsero mezza parola e così pure quando furono all'interno del mezzo metallico. Yuzo fissava, senza realmente vederli, i numeri sulle porte che si illuminavano a mano a mano che superavano i vari piani, fino a fermarsi al suo con un sonoro 'plin'. Yoko, invece, aveva continuato a lanciargli fugaci occhiate per poi abbassare repentinamente lo sguardo al suolo.
Il Prof armeggiò con la porta di ingresso, aprendola ed accendendo la luce.
Certo che... le era mancata quella casa. La sorella di Misaki dovette ammetterlo; le mancavano quei tranquilli momenti domestici vissuti insieme e, come un nuovo flash, si rivide seduta sul divano a provare il catastrofico simulatore di terremoti di Yuzo. Quando vide l'oggetto d'arredo vuoto, avvertì una forte sensazione di disagio che le fece nuovamente abbassare lo sguardo.
"Tè o caffè?" la voce del vulcanologo si attirò la sua attenzione.
"Cosa?".
"Preferisci un tè o un caffè?" le domandò ancora, liberandosi del giaccone. "Sei rimasta fuori tutto il tempo, no? Sarebbe meglio se tu prendessi qualcosa di caldo.".
"Ah, sì..." ed abbozzò un leggero sorriso di cortesia "...un tè va benissimo.".
Yuzo annuì, avviandosi in cucina. "Siedi pure, te lo preparo subito.".
Lentamente, Yoko svolse la pesante sciarpa con la quale aveva cercato di proteggersi durante il suo girovagare e la appoggiò sull'appendiabiti assieme al cappotto. Con movimenti lenti ed incerti, occupò una delle due poltrone poste ai lati del divano; le mani compostamente appoggiate sulle ginocchia strette e lo sguardo fermo sulle proprie dita.
Era agitata e a disagio. Non sapeva nemmeno cosa avrebbe dovuto dirgli. Forse scusarsi per quello che era accaduto nel pomeriggio, di sicuro, ma poi? Magari lui avrebbe potuto chiarirle quei suoi comportamenti che ancora la confondevano, avrebbero potuto parlare con calma dell'intera situazione. Ma a cosa sarebbe servito? Tanto le cose tra loro non sarebbero cambiate comunque. Chissà, magari proprio in virtù di questo, era giunto il momento di smettere di nascondersi.
Con rassegnazione e cercando di dar fondo a tutto il coraggio che ancora aveva, Yoko tirò un profondo sospiro.
"Temo che questo sia il peggior tè della storia." esordì Yuzo, facendola sussultare; troppo presa dai suoi mille pensieri, nemmeno si era accorta che fosse tornato in salotto. Con un leggero sorriso dispiaciuto, il vulcanologo appoggiò la tazza fumante davanti a lei. "Scaldare l'acqua nel microonde non è il massimo, ma di sicuro è il metodo più veloce.".
Lei si affrettò a scuotere il capo, gesticolando animatamente. "Ah! Ma no! Ma no! Non preoccuparti!" per poi assumere subito una postura più composta.
Yuzo si accomodò nel divano, restando ad osservarla con una malinconica espressione d'affetto, nonostante gli dispiacesse vederla in difficoltà in sua presenza.
Sentendosi osservata, Yoshiko arrossì, afferrando la tazza col tè fumante e cercando di intavolare una discussione prima di affrontare il vero problema. "E... e come procedono le vostre ricerche?" anche se, in quel momento, non gliene fregava un emerito accidente.
"A rilento." sospirò il Prof "Colpa mia, non sono stato di grande aiuto negli ultimi giorni.".
Lei annuì, bagnandosi appena le labbra con la bevanda bollente: non sarebbe riuscita a buttare giù nulla con l'agitazione che aveva in corpo e non ebbe nemmeno il coraggio di chiedere maggiori spiegazioni a Yuzo, forse per paura della risposta. Ma sapeva anche che era perfettamente inutile continuare a girare attorno al nocciolo della questione.
"Senti, io..." cominciò, appoggiando la tazza "...volevo scusarmi per... per lo schiaffo. So-solitamente non sono un tipo manesco, lo giuro!" e riuscì finalmente a levare lo sguardo su di lui che le stava sorridendo.
"Non hai motivo di scusarti. Come mi ha detto qualcuno: 'Non sono questi i segni che restano'." parafrasando le parole di Rita "E, ad ogni modo, me lo sono meritato.". Mentre le parlava, la decisione da prendere cominciò ad apparirgli più nitida in lontananza, nel fondo del suo cuore. "Avrei dovuto essere sincero con te e dirti di aver parlato con tuo fratello, ma non volevo che litigassi con Taro a causa mia: so quanto tieni a lui e, se ha agito in quel modo, è stato solo perché anche lui tiene moltissimo a te.".
Yoshiko abbassò lo sguardo, mormorando un "Lo so." per quanto il suo comportamento l'avesse profondamente ferita.
"Eravamo entrambi convinti che quella fosse l'unica strada. In fondo, io sono solo di passaggio qui a Nankatsu e una volta risolta l'emergenza, ripartirò." anche se, da quando aveva conosciuto Yoshiko, aveva cominciato a riscoprire il piacere dell'avere una casa cui tornare dopo un lungo viaggio, cosa che aveva perduto da quando sua moglie era morta perché, in quel caso, tornare equivaleva ad un doloroso immergersi nei ricordi. Ma ora che quest'ultimi erano stati finalmente lasciati alle spalle, l'idea di 'casa' era tornata a coincidere con quella di 'porto sicuro' che aveva avuto un tempo, di rifugio, di stabilità e appartenenza.
Yoko si morse un labbro, continuando a mantenere basso il suo sguardo. Non aveva bisogno di ricordarle che sarebbe andato via, lo sapeva già benissimo, purtroppo, ma non lo interruppe.
"Però... voglio che tu sappia che non ti ho mai considerata solo come la 'sorella di Misaki'...".
"Ma nemmeno come una donna da amare." sospirò lei, non riuscendosi più a trattenere; non aveva alcun senso farlo: se doveva perderlo, che almeno sapesse dei suoi sentimenti. Non voleva dirgli 'addio', lasciando cose non dette che avrebbe finito col rimpiangere. Non era più una questione di 'avere il coraggio di farlo', ormai, ma andava fatto e basta. Come diceva Saya: almeno avrebbe sofferto una sola volta.
Alzò lo sguardo per incrociare quello indecifrabile di Yuzo e sorrise. Una smorfietta dolce che sciolse il cuore del vulcanologo.
"Sai... quando ti ho conosciuto, la sera del gala, ho pensato subito che fossi una persona interessante. Accidenti! Un amico di Taro che non parlava di calcio?! 'Al miracolo!', mi sono detta. Mi eri sembrato una specie di àncora: eravamo due pesci fuor d'acqua in quel covo di ultrà." e le sfuggì una risatina leggera, mentre tornava a fissarsi le mani che tradivano tutto il suo nervosismo: le strofinava, intracciando le dita, non riuscendo a far trovare loro un po' di pace. "Ma la vera sorpresa è stata quando mi sono accorta che più ti parlavo, più desideravo che quella nostra conversazione non si esaurisse mai. Sarei stata capace di restare tutta la notte con te su quel balcone. 'Colpo di fulmine' decretò Saya, ed anche se io mi ostinavo a negare, a dire che fosse assolutamente impossibile, dentro di me sapevo che aveva ragione.". Con il cuore che viaggiava più veloce dei suoi pensieri, tornò a guardarlo per qualche istante, ma poi mosse altrove le sue iridi non riuscendo a sostenere quelle del suo interlocutore. "So che puoi capirmi: Aiko è stata il tuo colpo di fulmine, quindi, non mi prenderai per matta, vero?". Sforzandosi, cercò di ignorare lo strano groppo che cominciava a formarsi in gola; arrivata a quel punto, non poteva tirarsi indietro, anche se non sapeva se sarebbe riuscita ad arrivare fino in fondo. "Sapevo che non dovevo illudermi, che c'erano troppe differenze tra noi, ma... quando stavo in tua compagnia... non esisteva più niente; i mondi sui quali viviamo coincidevano ed io mi sentivo così bene che finivo col perdere di vista il fatto di dover camminare con i piedi per terra, lo ricordavo solo quando ormai era troppo tardi e mi ero già legata a te un po' di più.". Il sorriso che le aveva disteso le labbra era andato a poco a poco affievolendosi fino a scomparire, venendo sostituito da un'improvvisa voglia di piangere, ma si impose fermamente di non cedere. Per nessuna ragione. Da persona adulta, doveva anche imparare a dire 'addio'. "Eppure, per quanti ostacoli avessi potuto superare, ce ne sarebbe sempre stato uno insormontabile, per chiunque, ed io lo sapevo... l'avevo sempre saputo... da quando mi avevi parlato di lei. Il ricordo di Aiko ed il tuo amore per lei non sono destinati ad essere sostituiti da nessuno." ma tra il 'dire' ed il 'fare' il passo non era così breve come aveva sperato. Si alzò di slancio, consapevole che non sarebbe riuscita a restare in quella casa un minuto di più, anche perché sentiva di stare raggiungendo il limite, mentre gli occhi le pungevano con insistenza. "Sono stata davvero una stupida a credere che una ragazzina come me avrebbe potuto... e... quando tu hai tolto le fedi, io... che stupida! Nonostante tutto, tu apparterrai per sempre ad Aiko e nessuna potrà mai prendere il suo posto nel tuo cuore." afferrò la borsa alla rinfusa, desiderosa solo di fuggire da lui. Con passo svelto si diresse all'ingresso senza avere nemmeno il coraggio di guardarlo in volto un'ultima volta. Recuperò con foga il cappotto e la sciarpa "Perdonami per tutti i problemi che ti ho creato... perdonami. Addio...".
Ma Yuzo non era disposto a lasciarla andare via, non di nuovo. Già quando l'aveva trovata sotto casa sua aveva capito che quella sarebbe stata l'ultima possibilità che aveva per capire cosa volesse davvero, e se anche adesso le avesse permesso di andarsene, era consapevole che non l'avrebbe più rivista. Ma muoversi, fermarla, trattenerla lì, in quella casa, insieme a lui, equivaleva anche a compiere la famosa scelta, quella che aveva sempre sentito di desiderare, ma che la paura delle conseguenze aveva bloccato fino alla fine; però, in quel momento, le conseguenze persero tutte la loro importanza e la scelta divenne solo una.
Chiara, decisa e senza paure.
Con rapidità la raggiunse, afferrandola per un braccio e sbattendo quello spiraglio di porta, che era riuscita ad aprire, con uno schianto.
"Aspetta!" le disse con foga, costringendola a guardarlo negli occhi e per Yoshiko fu uno sforzo sovrumano incrociare le sue iridi scure, quasi col timore di leggervi qualche sentimento negativo: disprezzo, rabbia, qualsiasi cosa, ma gli occhi di Yuzo le restituirono solo un'espressione affranta. In quelli di lei, invece, il Prof vi scorse dolore reso lucido e brillante dalle lacrime che silenziosamente le scivolarono sul viso.
"Aspetta..." ripeté, addolcendo il tono ed allentando la stretta. "Aiko è stata la donna più importante della mia vita, questo non posso negarlo e ne conserverò per sempre il ricordo, dentro di me. Ma io... io non voglio che tu prenda il suo posto. Vorrei che ne creassi uno solo tuo e, credimi, lo hai già fatto. Grazie a te ho ritrovato tutto ciò che avevo perduto. Ho ritrovato il piacere dello stare in compagnia senza pensare al lavoro, il piacere di ridere di gusto, di sentirmi sereno... di svegliarmi al mattino e sentirmi bene... di avere qualcuno da proteggere. Ma le parole di tuo fratello mi avevano aperto gli occhi su quanto i nostri mondi fossero distanti e ti giuro che, tra tutte le cose che avrei voluto fare, 'farti soffrire' non rientrava nell'elenco. Pensavo solo... che la decsione di Taro fosse la più giusta per te, ma mi sbagliavo, come sbagliavo credendo che fosse la più giusta anche per me. Io... non so cosa in futuro si rivelerà davvero giusto, ma tra tutto ciò che ignoro, c'è solo una cosa di cui sono sicuro: io voglio ricominciare e voglio farlo con te.". Dolcemente, una mano si mosse a carezzarle la guancia dalla pelle morbida e quel viso, dall'espressione incredula, gli sembrò così piccolo e delicato tra le sue dita e per loro così perfetto.
"Ti amo, Yoshiko.".
Un sussurro caldo che le fece esplodere il cuore con un dolore così piacevole, che lei lasciò che si diffondesse in ogni parte del suo corpo, come un'onda. Forse aveva solo sognato di sentirgli pronunciare quelle parole, ma il contatto delle sue mani era troppo reale, il respiro... così vicino...
Socchiuse gli occhi, avvertendo il leggero sfiorarsi delle loro labbra e quel frammento di attimo le fece vibrare l'anima prima che quel contatto divenisse qualcosa di più di una fugace carezza.
Lentamente, Yoshiko perse la presa sul cappotto e la borsa che aveva tenuto saldamente stretti fino ad allora, lasciando che toccassero terra con un leggero tonfo che nemmeno udì. Nelle sue orecchie, rimbombava solo il pulsare del sangue. Mentre il senso del tatto era concentrato sulla delicatezza delle sue labbra e quelle mani meravigliose che le tenevano il viso, scivolando sulla pelle. Mani grandi, che lei aveva sempre considerato accoglienti e protettive, adesso le stavano rivolgendo tutte le loro attenzioni. In quel momento, scoprì che si poteva tremare anche senza esser spaventati e che i brividi potevano correre lungo la schiena anche senza avere freddo. E che si poteva provare l'ebbrezza di una vertigine anche restando immobili, con i piedi ben ancorati al suolo, l'importante era lasciar libero il cuore.
Trascinata via da quella mutevole corrente di indefinite emozioni, Yoshiko riuscì solo a sollevare le braccia, appoggiando piano le mani sul suo petto.
Oddio! Come gli batteva il cuore.
Correva veloce come il suo, scandendo quasi lo stesso, irrefrenabile ritmo.
E i loro respiri si fusero e scissero innumerevoli volte in quel muto parlare; mentre il sapore salato delle lacrime assunse un dolce retrogusto; mentre si cercavano; mentre le mani di Yuzo le carezzarono la schiena, avvolgendola in un abbraccio dal quale non l'avrebbe più lasciata andare; mentre le mani di Yoko gli corsero al viso, avvertendo il ruvido della barba ed affondando poi nei suoi corti capelli scuri.
Le ultime parole furono sussurrate dal suo sorriso.
"Ti amo, Yuzo...".

"...Eppure sentire
nei fiori, tra l'asfalto,
nei cieli di cobalto c'è...
Eppure sentire
nei sogni in fondo a un pianto,
nei giorni di silenzio c'è...
...un senso di te."

Elisa - Eppure Sentire


[1]"QUE... QUIERES?": "Che diavolo vuoi?" - si ringrazia la mia pucciosa coinquilina Maria per la traduzione.

[2]"MA... CUNTEMPLANN?": "Ma ve la state contemplando?"

[3]"MA... FAI?!": "Ma dici sul serio?!"

[4]"VERI MASCHI DOC!": piccolo riferimento alla intelligentissima opera scritta e ideata dalle menti geniali di Maki e me. XD "Turni", perché NON potete perdervela!

[5]"C'HAMM... STAMMATINA?!": "Ci siamo svegliati storti questa mattina?!"

[6]"YA... OLVIDADO": "Ho già dimenticato." - si ringrazia la mia pucciosa coinquilina Maria per la traduzione.


...E poi Bla, bla, bla...

*Blink* Noto con piacere che avete messo via i coltellacci che certosinamente stavate affilando fino ad ora! XD
Chissà come mai! XD
Devo dire che questo è stato un capitolo difficilissimo da scrivere, perché nato durante un periodo di forte stress e non è che ne sia proprio soddisfatta. Ma tant'è... spero che abbia almeno la vostra approvazione.
Col prossimo capitolo si entrerà in quella che sarà la fase finale della fanfiction e che porterà alla sua conclusione.
Come detto più volte, cercherò di ridurre il numero di capitoli, ma non aspettatevi miracoli! XD Sono prolissa e lo sapete, ma finalmente potrò lasciare tutta la scena a quel tipo di azione che una fic di questo genere richiede.
Godetevi, quindi, questo piacevole attimo di calma, perché non durerà tanto a lungo.
Ehi! Che fate?!
Rimettete giù i coltellacci!


Angolino del "Grazie, lettori, grazie! XD":

- Eos: *blink* (XD voglio la faccina!! La scritta non rende a dovere!) Beh, penso che non ci sia molto da dire, no?! XDDD E quando in chattina mi hai detto: "Oh! Che colpaccio hai in mente?! Di sicuro niente 'ingropp' perché hai messo un rating troppo basso!" a me veniva da ridere in maniera subdola e perfida! Chi dice che non si possa fare *mapinmapon* anche con un rating basso?! *blink* Certo, ci si adatta con le parole, ma fin dall'inizio questa scena non sarebbe stata descritta passo-passo. *blink* (ma quanto sono infame?!). Va beh, ora non mi resta che aspettare la pubblicazione del 'colpaccio-tris' e poi... dovrò solo emigrare alle Cayman! XD

- Hikarisan: XD Addirittura le notti insonni?! *hihihi* vedrai che, dopo questo, anche col capitolo 19 riuscirai a fare sonni tranquilli... ma non posso assicurarti nulla per il futuro!
Come sempre ti ringrazio davvero per la costanza, i tuoi commenti sempre puntuali a questa storia e tutti i complimenti di cui mi ricopri ogni volta! ^///^ ne sono davvero contenta.


- Meichan: Mei-caraaaaaaaaaa! Ma che sorpresona graditissima ritrovarti come lettrice! *__*
Sorry se ti ho fatto aprire i rubinetti! XD Passo scatola di kleenex per fare ammenda! E se all'Uni ti vedono... XD dici che è sudore!! Col caldo che fa! XDD


E per questo capitolo è tutto, per il prossimo dovrete aspettare un po' dato che comincerò prima quello di Elementia (T_T non posso trascurarla oltre).
Un "Grazie" ed un inchino a voi tutti! ^__^

   
 
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