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Autore: NorwegianWinds    13/03/2014    1 recensioni
Alex è un giovane musicista allo sbando: è appena stato cacciato dalla sua band, i We Love Thighs, e non sa cosa fare del proprio futuro. Tra tostapani molesti, amici fedeli, pornobimbe silenziose, vecchie guide ed ex mogli alla ribalta, riuscirà Alex a ritrovare la propria strada e la propria musica?
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Insomma, in fondo qualcosina sono riuscito a combinarla. Certo, ci sono stati degli effetti collaterali. Legati alla droga, più che altro. Non ho mai preso così tanta roba come in questo mese. L’ho già detto che sono uno sfigato, le droghe mi terrorizzano, non sarò mai una vera rockstar. Ma stavolta sono alla frutta, perciò non ci ho pensato troppo su.

E intanto ho le pupille dilatate e i riflessi rallentati da non so quanti giorni. E ogni tanto mi capita qualche allucinazione qua e là, ovviamente.

Ecco perché, quando arriva la notizia bomba, penso che sia tutto frutto della mia immaginazione.

Stasera c'è il concerto e a malapena me ne rendo conto. Sto preparando un miserissimo pranzo: pan carré con formaggio fuso sopra. Sbatto tutto nel tostapane e, per la prima volta dopo un mese, accendo il televisore. Non avrei dovuto farlo.

C’è il telegiornale. Ascolto distrattamente mentre aspetto che il tostapane sputi fuori il mio pranzo. Muoio di fame, fame chimica. Tento di afferrare una fetta di pane prima che scatti il timer.

Ed è lì che arriva lo scoop.

“L’Inghilterra è ancora in lutto per il tragico suicidio di gruppo dei We Love Thighs, che nel corso della notte sono stati pianti durante numerose veglie in tutto il paese. Dopo che il frontman della band, Alex Caviezel, se n’era andato un mese fa, il successo dei We Love Thighs aveva subito un brusco declino: i tre membri restanti hanno deciso di chiudere in grande stile per evitare una lenta decadenza e, dopo aver assunto un letale cocktail di psicofarmaci, alcolici e droghe, si sono lanciati in auto in un’ultima corsa mortale, terminata nel fiume Irwell.

A casa di Eddie Palmer, chitarrista della band, dove sono stati trovati i farmaci assunti prima della morte, è stato rinvenuto anche un biglietto firmato da tutti e tre, che diceva “Senza Alex tutto questo non ha più senso”. Ancora nessuna dichiarazione da parte dell’ex frontman Alex Caviezel, che sembra essere irreperibile.

Per stasera è stato organizzato un concerto in loro memoria a Londra, a cui presenzieranno Pearl Jam, U2, Arcade Fire e molti altri.“

Appena sento nominare i We Love Thighs mi immobilizzo. Ascolto il servizio in uno stato di coscienza alterata. Osservo le riprese dall’elicottero fatte a quei tre coglioni che sono andati ad affogarsi nell’Irwell e mi dico che sto sognando. Spalanco la bocca quando vedo le riprese del biglietto e riconosco la scrittura di Eddie.

Loro sì che hanno avuto il coraggio di chiudere con stile. E adesso sono nell’Olimpo del Rock. Sono martiri. Sono Dei. E soprattutto, sono innocenti. Sono io lo stronzo che ha mollato la band, non sono mica stato cacciato da loro. Io li ho lasciati nella merda. Io sono il carnefice, sono la causa della loro morte.

Maledetti stronzi bastardi, un tempo eravamo amici. Posso capire il suicidio, ma perché tirare in mezzo me? Era così difficile per voi riconoscere di aver fatto una cazzata e chiedermi di ritornare nel gruppo?

Penso tutte queste cose in un secondo. Poi vengo trafitto da un dolore lancinante alla mano destra. Caccio un urlo e mi rendo conto che è ancora nel tostapane. Sento la carne bruciarsi, attaccarsi alla griglia metallica insieme al formaggio fuso. Con la mano libera afferro la spina e la stacco violentemente. Il tostapane inizia a raffreddarsi, ma la mano resta dentro, con la pelle attaccata ovunque. Qualunque movimento io faccia mi provoca un dolore atroce.

Fottute droghe, fottuti riflessi rallentati che non mi hanno fatto accorgere che mi stava andando a puttane una mano.

Fottuti We Love Thighs che non solo mi hanno distrutto la vita, ma anche la reputazione. E la mano destra.

 

E la possibilità di suonare.

 

Mi rendo conto anche che il telefono sta squillando ininterrottamente da ieri sera. Il mio cervello ha isolato il suono e l’ha rimosso. Fra poco verranno a cercarmi direttamente a casa. Tutti. Giornalisti, fotografi, amici, parenti, fan, haters.

E io non voglio farmi trovare.

Esco di corsa, col tostapane ancora attaccato alla mano. Stranamente non sento più dolore. Potrei quasi abituarmi a questa insolita protesi. Cammino a viso basso, in modo che i capelli mi coprano la faccia, e continuo a sbattere addosso alle persone. Vengo insultato ripetutamente. Una proprio la travolgo, la sento cadere a terra con un gemito. Alzo lo sguardo e vedo lei.

La pornobimba. Che mi fissa furiosa dal marciapiede, collant stracciati, vestitino minimale, gambe aperte (per colpa della caduta, ahimè, e non per la mia presenza) che lasciano intravedere le mutandine bianche.

Le porgo la mano per aiutarla a rialzarsi e mi accorgo che le ho teso quella col tostapane attaccato. La sua espressione passa da incazzata a perplessa. Probabilmente mi prende per pazzo. Come darle torto, d'altronde.

Si rialza da sola e fa per andarsene. Io la seguo e la afferro per un braccio, con la mano giusta stavolta.

- Aspetta! - le dico - Tu eri qualche tempo fa a suonare il basso da Henry, vero? Ti ho sentita. Sei davvero brava -. Immagino che non sia un gran complimento per lei, visto che è detto da un tossico con gli occhi da pesce e una mano fusa nel tostapane. Tant'è che si divincola come un gatto e se ne va quasi di corsa, temendo probabilmente che la agguanti di nuovo. E' quello che vorrei fare, infatti.

Invece rimango immobile.

Inizia a scendere la consueta pioggia sottile. Quasi in uno stato di trance, mi dirigo verso la stazione.

 

Cinque ore dopo, quando il buio è già calato, sono a Londra. I treni stanno vomitando sui binari migliaia di fans dei We Love Thighs in lutto, si dirigono tutti verso Piccadilly Circus. Forse è ancora colpa delle droghe, ma mi sento osservato con disapprovazione da ogni parte. Voglio che la finiscano di guardarmi in faccia.

Non mi viene in mente che probabilmente mi fissano per colpa del tostapane.

Trovo per terra un sacchetto di carta, di quelli che si mettono intorno alle bottiglie, e dopo averci fatto buchi per occhi e bocca me lo metto in testa.

Ah, ora va molto meglio. La gente continua a guardarmi, ma io non la vedo. Questo è l'importante.

A Piccadilly Circus il concerto è già iniziato; su uno schermo gigante scorrono fotografie dei We Love Thighs (tutte rigorosamente senza Alex Caviezel, quel bastardo) alternate a riprese dei gruppi che suonano.

Sento un sapore amaro in bocca e respiro a fatica. Erano la band che avevo sempre sognato, fin da quando ero piccolo. Erano i miei amici. Fino a quando Eddie, sovreccitato per il successo e la cocaina, si era montato la testa.

Voleva tutto. Lui, così affascinante, energico, accattivante, voleva tutto e se lo prendeva, anche quando non poteva averlo. Più assoli ai concerti. Più riprese nei videoclip. Più spazio per parlare durante le interviste. Più donne nel camerino. O almeno più di quelle che avevo io.

Ero io il suo grande problema, infatti.

Quello che compone le canzoni e che canta, in un gruppo, finisce col diventare il frontman. Anche se è un loser come me. A Eddie andava bene finché eravamo un gruppo che nessuno conosceva. E quando il nostro primo disco si è classificato al primo posto nei più venduti d'Inghilterra era troppo meravigliato e felice del successo per poter dire che qualcosa non andava. Ma lui è sempre stato quello ambizioso di noi quattro. E ha trascinato tutti nel baratro.

I miei pensieri cupi vengono interrotti da una ragazza che, completamente ubriaca, mi rovina addosso senza accorgersi né del sacchetto di carta, né del tostapane. Piange. Per i We Love Thighs. Biascica che erano tutta la sua vita e che amava Eddie dio quanto l'amava.

E poi fa quello che non avrebbe mai dovuto fare.

Si aggrappa con tutte le sue forze alla mia faccia, ovvero al sacchetto, e lo straccia completamente. Per un attimo guarda la mia faccia con uno sguardo vacuo, da pesce morto. Poi la pericolosissima scintilla del riconoscimento si accende nei suoi occhi.

- Ohmiodio -, sussurra tutta d'un fiato. Poi la sua voce inizia a crescere a livelli esponenziali, fino ad acuti che non credevo possibili - Non posso crederci. Sei tu. Sei Alex. OH-MIO-DIO, SEI ALEX CAVIEZEL! -

Le persone più vicine a noi si voltano di scatto; poi, con la rapidità di una bomba atomica, un brusio sempre più forte scuote tutta la folla, si propaga come un'onda.

Improvvisamente pochissime persone sono voltate verso il palco, e troppe verso di me. Io resto immobile, paralizzato. Gli sguardi di quelli che fino a un mese fa erano i miei fans sfegatati sono carichi di odio e stupore. Qualche anima pia è semplicemente indifferente. Nessuno, in ogni caso, ha un'aria amichevole.

Capisco che sono nella merda. Tutti aspettano solo che qualcuno lanci una specie di segnale. La piccola fedifraga sbronza è ancora aggrappata a me, con gli occhi sgranati.

Gli ubriachi sono la rovina dell'Inghilterra. Sono ovunque. In particolare ai concerti in memoria di musicisti morti tragicamente.

Tanto più che è un ragazzone troppo cresciuto, calvo e massiccio, ad agitare la mano che stringe la ventesima lattina di birra e a urlare - E' un bastardo! Se i We Love Thighs sono morti è solo colpa sua! -

Non mi soffermo ad osservare le reazioni. Mi scrollo di dosso l'ubriacona e inizio a correre più che posso, facendomi largo tra la folla che si vuole chiudere addosso a me, pronta ad inghiottirmi.

Riesco ad uscire da Piccadilly Circus, corro verso Soho, a caso, e sento il terrificante rumore di migliaia di piedi che mi inseguono, e voci furibonde che mi insultano e mi minacciano di morte. Eddie, vecchio mio, se volevi vendicarti di qualcosa che non ho fatto ci sei riuscito perfettamente, quindi per quanto mi riguarda ti auguro di bruciare all'inferno.

Mi manca il fiato, il tostapane sbatte ritmicamente contro la mia coscia e le urla si fanno sempre più vicine. Mi prenderanno, ci sono centinaia di migliaia di fans dei We Love Thighs a Londra stasera, e mi linceranno, non ne uscirò vivo, e poi perché cazzo mi è venuto in mente di venire a questo fottutissimo concerto, non lo so più nemmeno io. Giro all'ennesimo angolo, faccio un ultimo scatto. Per un felicissimo attimo mi illudo di averli distanziati, solo perché devono ancora inondare la via in cui ho appena svoltato.

Accade all'improvviso.

Una mano afferra decisa la manica della mia felpa e mi trascina con forza di lato. Finisco per terra, su un mucchio maleodorante di rifiuti, e qualcosa di nero e morbido mi piomba addosso, un altro sacco della spazzatura. Non respiro per la puzza e la stanchezza, cerco di rialzarmi ma qualcuno mi tiene pigiato contro quella merda con uno stivale contro le mie palle. Ad un tratto mi manca il fiato per ben altri motivi.

Sento l'orda barbarica avvicinarsi.

E' finita, penso, adesso saranno tutti qui, su di me, sono in trappola; il rumore si fa sempre più forte, sono già arrivati...

Ma non succede niente.

Mi stanno passando vicinissimi, ma non si stanno fermando.

Si chiedono dove sono finito. Sbraitano. E lentamente, molto lentamente, si allontanano. Dovevano essere più di quanto pensassi.

Quando anche l'eco dell'ultima voce si è spenta, il sacco nero sopra di me viene sollevato e prendo aria. Il piede è ancora lì dov'era e con lo sguardo percorro il tragitto dell'anfibio che lo intrappola, delle lunghe gambe con le calze stracciate, le mutandine maledette che vorrei strappare via già da stamattina, capelli neri e arruffati e occhi blu che mi guardano, pieni di ironia. Oh, mia pornobimba, mia salvatrice, angioletto suburbano.

Finalmente sposta il piede e mi libera dal mio immenso disagio. Sospiro di sollievo e mi alzo faticosamente. Siamo in un vicolo chiuso, completamente buio. Ho del pomodoro marcio tra i capelli e un preservativo usato appiccicato alla scarpa. Ottimo.

- Se ne sono andati? - le chiedo esitante. Con un cenno della testa lei indica la strada da cui sono venuto. Deserta.

Grazie, riesco a mormorare, pieno di gratitudine. Si stringe nelle spalle. E' abbastanza vicina. Abbastanza è già qualcosa. La mia mente ancora un poco annebbiata dalle droghe e in astinenza erotica da mesi mi suggerisce che un vicolo buio e pieno di spazzatura è l'ideale per tentare un approccio, quindi faccio un passo verso di lei e senza pensarci troppo mi butto.

Si scansa con una velocità impressionante.

- Tu sei fuori di testa. Puzzi da fare schifo - sibila.

- Allora non è vero che non parli! -

- Parlo solo quando ne ho voglia. Cioè, molto raramente -

Si incammina senza dirmi dove andiamo, ma la seguo. In questo momento con lei mi sento più al sicuro che in un bunker blindato.

- A me avevano detto che non parlavi perché avevi avuto un trauma... Qualcosa a che fare con tua nonna e un camioncino dei gelati -. Lei sbuffa e fa un sorriso sprezzante, scuotendo la testa.

- Come ti chiami? - le chiedo.

- Nereide - risponde svogliatamente.

Scoppio a ridere e dico - Che razza di nome è? -. Pessima idea. Mi fulmina con un'occhiata micidiale. Non parla tanto, ma col linguaggio non verbale se la cava alla grande. Tento di recuperare al volo - Le Nereidi erano qualche tipo di ninfa, vero? -

- Sì - taglia corto la ninfetta dei vicoli inglesi, poi svolta a sinistra - Di qua -.

- Dove stiamo andando? -

-... Ti riporto a casa. -

  
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