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Autore: Flajeypi    02/04/2014    3 recensioni
Il finale di Mockingjay mi ha lasciato l'amaro in bocca.
Come hanno fatto Peeta e Katniss a ritrovarsi? Che ne è stato di Gale? E degli altri?
L'ho immaginato così.
[Dal primo capitolo]
Vorrei dirgli che se se andasse per me sarebbe la fine: smetterei di alzarmi dal letto, di lavarmi, di mangiare, di vivere. Sopravvivrei, certo, perché incapace di uccidermi per via del debito che sento nei confronti di tutte le persone che hanno perso la propria vita per salvare la mia, ma questa non sarebbe una vita degna di essere vissuta. Vorrei dirgli che quando ha piantato le primule avevo creduto che fosse tornato da me, che avevo pensato che forse le cose sarebbero potute andare, se non bene, almeno meglio di come andavano prima. Ma non so farlo. Io non so parlare, non so esprimere i miei sentimenti, era lui che smuoveva le folle con le sue parole. Così rimango lì, a fissarlo, mentre lo vedo scrutarmi l’anima attraverso gli occhi.
“Ho capito”, dice. Ed io non ho idea di cosa abbia capito, ma dopo averlo detto mi stringe a sé e a me basta questo: è una promessa, significa “resterò, nonostante tutto”.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Gale Hawthorne, Haymitch Abernathy, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Mentre cadevo mi hai preso la mano
A Hunger Games Fanfiction


5. Cadere e rialzarsi, spezzarsi

I contorni della stazione di Capitol City cominciano a delinearsi e mi rendo conto che è rimasta esattamente come la ricordavo: caotica e piena di curiosi e giornalisti. Quando finalmente si ferma, scendiamo dal treno coprendoci gli occhi dai mille flash che scattano nella nostra direzione e in un movimento istintivo afferro la mano di Peeta; non so bene se per difendere lui o me stessa dalla curiosità morbosa di questa gente frivola. Non si preoccupano neanche ora che sono i loro figli ad avere la possibilità di essere estratti alla mietitura e rischiare la morte: a quanto pare gli Innamorati Sventurati del Distretto 12 meritano più attenzione dell’ennesima strage di ragazzini. Mi chiedo se a quest’ora avranno capito che la storia tra me e Peeta fosse una finzione ma, a giudicare dalla calca, credo proprio di no. Molti giornalisti cercano di parlarmi e di farmi domande, ma a quel punto Peeta mi ha già cinto le spalle con un braccio e mi protegge dall’insistenza dei capitolini distribuendo “no comment” a tutti quelli che cercano di rivolgermi qualche domanda. Gli sussurro un grazie e lui mi stringe più forte mentre tenta di sorridere ma c’è qualcosa che non va, lo vedo: i suoi occhi si stanno scurendo. Dobbiamo andare via da qui, penso, ora!
Un’auto scura ci aspetta all’uscita della stazione, la raggiungiamo in fretta e ci stipiamo sul sedile posteriore mentre un inserviente prende le nostre borse. Mi concentro su Peeta: ha il respiro pesante e le nocche bianche per la forza che sta mettendo nello stringere i pugni.
“Peeta”, lo chiamo cercando di assumere il tono dolce che mia madre usava con mio padre. Sento la frequenza dei suoi respiri accelerare e poi vedo due oceani azzurri che si girano a guardarmi. E’ ancora qui.
“Resta con me”, dico ancora, accarezzandogli il viso con una mano.
“Sempre”, risponde abbozzando un sorriso mentre sento il suo respiro regolarizzarsi.
“Oh, per favore! Non voglio vomitare”, dice Haymitch all’improvviso. Effetto domino: Haymitch parla, io arrossisco e ritiro la mano dal viso di Peeta.
“Haymitch, zitto per favore”, dico irritata.
“Dolcezza, sai che stare zitto non è il mio forte”, dice con un sorriso a 32 denti.
“Beh, non credi sia ora di migliorare? Fammi un piacere: inizia ad allenarti e chiudi quella boccaccia”, sbotto.
“Nervosetta, eh? E io che pensavo che stanotte aveste scaricato la tensione!”, ora sta ridendo a crepapelle tanto da spingermi a tirargli una gomitata nello stomaco. Sento le risate mozzarsi per via del colpo, ma riprendere quasi subito. Almeno ha smesso di fare commenti.
Intanto Peeta, che preferisce non intromettersi ogni volta che io e Haymitch abbiamo questi scambi di battute, ha preso tra le sue la mano che ho ritirato dal suo viso e sta disegnando cerchi immaginari col pollice sul palmo. Questo gesto mi distrae dalle risate di Haymitch e porta i miei occhi sul suo viso: ha uno sguardo tormentato che mi fa accartocciare il cuore. Odio vederlo in questo stato, così avvicino anche l’altra mano alle sue e gliele stringo forte. Mi guarda negli occhi e vedo passare nei suoi almeno una decina di emozioni: rabbia, paura, preoccupazione, gratitudine, affetto, tormento e troppe altre che non riesco a distinguere. Amore? Non ne sono sicura ma, stranamente, una parte dentro di me spera di sì e, per una volta, decido di non soffocarla.
Siamo ancora in questa posizione quando l’auto si ferma e ci fanno scendere. Io e Peeta ci teniamo la mano anche una volta scesi dalla macchina e, quando capiamo dove ci hanno portati, entrambi stringiamo forte la presa sulla mano dell’altro: siamo alla residenza di Snow. L’immagine di Prim in fiamme mi si para davanti e mi toglie il fiato, mi accascio cadendo in ginocchio mentre continuo a stringere forte la mano di Peeta. Diventa tutto confuso e lo sento svicolare dalla mia presa. Perché? Perché mi abbandona? Ma quando sento le sue braccia avvolgermi e sollevarmi, capisco che mi aveva lasciato la mano solo per avere libertà di movimenti. Mi fischiano le orecchie e sto tremando: qualcosa dentro di me è caduto con un tonfo che ho sentito solo io.
“Non andare via, non lasciarmi”, no, il tonfo l’ha sentito anche lui. La voce di Peeta mi ridesta dai demoni che mi attanagliavano il cervello. Mi asciuga una lacrima con la punta di un dito. Non mi ero neanche accorta di star piangendo.
“Stavo per dirlo io a te …”, sussurro stringendomi di più a lui. Sta per rispondere ma un colpo di tosse lo interrompe prima che possa emettere un solo fiato. Ci giriamo e li vediamo lì, in piedi sulle scale, in ordine da sinistra verso destra ci sono Plutarch, la Paylor e Gale. Gale. Non appena i miei occhi mettono a fuoco la sua figura, sposto lo sguardo evitando in tutti i modi di guardarlo. So che mi sta fissando con uno sguardo truce, ma non posso lasciare la mano di Peeta, né posso allontanarmi da lui. Io … ho bisogno di Peeta. Non so se più a livello fisico o mentale, fatto sta che non lascerò il mio posto affianco a lui. Gale non capisce, lo so. Lui vede solo un pericolo per me in Peeta e avrebbe ragione, se solo Peeta non fosse la persona migliore che io abbia mai incontrato quando non è preda dei suoi episodi che – mi rammarico pensandoci – sono sempre e solo colpa mia. Sto pensando a tutto questo quando la Paylor interrompe il filo dei miei pensieri.
“Bentornati a Capitol City”, dice in tono formale. Nessuno risponde.
“Bene, suppongo che sarete stanchi per il viaggio, perciò un soldato vi accompagnerà alle vostre stanze, ma prima devo informarvi che questa sera si terrà la mietitura”, continua fredda.
“Vuole dire che dormiremo qui?”, chiede Peeta deglutendo e abbattendo il muro di silenzio tra noi tre e loro tre.
“Voglio dire che dormirete qui”, dice lei senza scomporsi. Sento Peeta irrigidirsi sotto la mia stretta. Cerco di accarezzargli una mano e ho la sensazione che a poco a poco si calmi, anche se continua ad avere una strana luce negli occhi.
“Dobbiamo essere degli ospiti proprio speciali, allora. So che gli altri mentori alloggiano al vecchio centro d’addestramento”, dice Haymitch improvvisamente con un tono tagliente.
“E’ per la vostra incolumità”, replica lei. O per la vostra, penso io. Ancora, nessuno risponde.
“Bene, possiamo congedarci. Vi aspetto questa sera alle 8 nel giardino della villa”, dice e si allontana con Plutarch e Gale al seguito. Con la coda dell’occhio, lo vedo girarsi verso di me un’ultima volta, ma resto impassibile. Fa parte del piano, no? Finge di stare dietro alla Paylor solo per aiutarci, vero? Vero.  Ma non riesco a soffocare il dubbio che si sta facendo strada dentro di me.
Ancora una volta vengo distratta dai miei pensieri da un soldato che mi sta mostrando la porta della mia camera: di fronte a quella di Peeta, affianco a quella di Haymitch. Nemmeno mi ero accorta che avevamo iniziato a camminare, sentivo solo la stretta salda della mano di Peeta.
Il soldato si congeda e Haymitch sguscia nella sua stanza:  probabilmente non vedeva l’ora di rimanere solo con la sua fiaschetta. Restiamo solo io e Peeta nel corridoio, a fissarci senza sapere bene cosa fare. Colgo un movimento fulmineo degli occhi di Peeta verso la porta di Haymitch, come se volesse entrare nella sua stanza e dirgli qualcosa. Perché sono tutti così strani? Ora che ci penso, Haymitch che non replica e non commenta le affermazioni della Paylor è davvero qualcosa di strano, molto più degli sguardi sfuggenti di Peeta e Gale. Sono sempre più confusa.
“Stai bene?”, mi chiede improvvisamente Peeta, stranamente titubante. Noto che le nostre mani sono ancora intrecciate.
“Sì”, rispondo secca cercando di abbozzare un sorriso che, tuttavia, mi riesce tirato. Peeta mi imita ma, se possibile, il suo sorriso esce fuori peggio del mio. Si comporta improvvisamente in modo strano e qualcosa mi dice che l’episodio che stava per scatenarsi nella sua testa meno di mezz’ora fa, non c’entra molto. La mia mente si mette al lavoro e in un lampo realizzo che Peeta ha assunto questo strano atteggiamento da quando Gale è entrato nel nostro campo visivo. Perché? Che ci sia altro che non mi abbia raccontato? Non mi dà modo di saperlo, perché lascia di botto la mia mano e dice nervoso: “Vado a farmi una doccia, ho bisogno di rilassarmi”. E’ una frase in codice per dire ‘lasciami da solo’, lo so, ma faccio la finta tonta.
“Ora?”, dico in tono innocente.
“Ora”, mi fa eco lui e dal tono capisco che non solo non lo convincerò a rimanere un po’ con me, ma non riuscirò nemmeno a scucirgli alcuna informazione su Gale.
“Ok”, dico senza aver bisogno di fingere la delusione che già mi aleggia sul viso. Lo vedo fare una strana espressione, come se si fosse improvvisamente intristito per qualcosa e poi capisco: ha letto la delusione sul mio viso.
“Non ti preoccupare per me, sto bene”, aggiungo sentendomi in colpa per avergli fatto pesare il suo bisogno di stare da solo. In fondo è normale che voglia prendersi del tempo per sé, ogni tanto. Anche se è strano che voglia farlo ora, visto dove siamo e visto cosa è successo in questo posto l’ultima volta che ci siamo stati, visto che ho bisogno di lui e che pensavo che avremmo affrontato insieme questa prova, penso rimproverandomi per il mio egoismo. Gli sorrido, cercando di rassicurarlo, ma non vedo sparire quell’espressione preoccupata dal suo viso.
“Se hai bisogno …”, non termina la frase e indica la porta dietro di sé. “Chiamami”, ricevuto.
“Anche tu”, gli dico ripetendo il suo gesto verso la porta della mia stanza. Invece di rispondere, alza un angolo della bocca in una specie di sorriso triste e poi sparisce nella sua stanza. Resto solo io, confusa e incerta sul da farsi, nel corridoio. Una spiacevole sensazione inizia a farsi strada dentro di me: mi sento in trappola, come quando ero un tributo. Mi manca il respiro. Per un attimo sono tentata di bussare alla porta di Peeta per farmi avvolgere dalle sue braccia e calmarmi, ma poi cambio idea.
Gale. Forse lui può dare una risposta a un paio dei miei interrogativi, forse può ancora essere l’amico che credevo di aver perduto. Ma come trovarlo in questo posto immenso?
Non ho nemmeno il tempo di formulare la domanda nella mia testa, che lo vedo spuntare da dietro l’angolo, la faccia sorpresa perché non si aspettava di trovarmi nel corridoio.
“Ti stavo cercando”, esordisce superando l’attimo di sorpresa.
“Curioso, anche io”, rispondo in tono neutro. Lo vedo abbozzare un sorriso.
“Beh, pare che tu mi abbia trovato”, dice mentre il suo sorriso si allarga.
“Perché non me l’hai detto?”, dico. Il sorriso si spegne.
“Cosa?”, dice. Leggo la preoccupazione nei suoi occhi. Cosa non so?
“La proposta di Haymitch”, dico acida.
“Non l’ho accettata, non mi sembrava utile parlartene. Ah sì, poi il tuo bravo mentore mi ha gentilmente chiesto di non fartene parola. Sai che porta sempre un coltello nella tasca?”, dice dopo aver indugiato un attimo. Non ha accettato. Il mio cervello impiega un paio di secondi per elaborare l’informazione: gli Hunger Games della Pace si faranno. Un’altra consapevolezza mi colpisce: Peeta non mi ha detto niente.  Ecco perché mi ha detto di non far capire ad Haymitch che mi avesse detto la verità. Forse sperava di poter fare qualcosa una volta arrivati qui? Ma perché non mi ha detto tutto?
“Come hai potuto? Dopo tutto quello che è successo, dopo lei! Come hai potuto rifiutare?!”, dico in preda alla rabbia e all’ansia portata dalla consapevolezza del mio destino imminente da mentore.
“Cosa stai dicendo? Tu eri d’accordo, hai votato sì! Per lei! Furono queste le tue parole! Io pensavo …”, non termina la frase e vedo il terrore e il dolore farsi strada sul suo viso. Oh, no.
“Hai rifiutato perché pensavi che io volessi questi Giochi?”, dico mentre lo stupore si mescola alla rabbia.
“Sì”, ammette in un sussurro fissandomi negli occhi.
“Oh, Gale …”, mormoro.
“Non avrebbe cambiato le cose, lo so. Ma valeva la pena provare … pensavo che questa vendetta  ti avrebbe aiutata a mettere il risentimento da parte”, dice distogliendo lo sguardo da me. Mi sento colpita da queste parole, dalla situazione, da Gale. La mia mente aveva sostituito l’immagine del mio compagno di caccia e amico con quella di un assassino calcolatore, ora me ne pento. Ma i Giochi si faranno, mi ricorda la mia testa. Anche se Gale ha provato a mettere da parte il suo orgoglio e i suoi desideri per quello che credeva mi avrebbe fatto piacere, non conta perché i Giochi si faranno.
“Ho capito”, dico. Lo sento tirare un impercettibile sospiro di sollievo. “Ma ora devi sistemare le cose”, continuo.
“Sistemare le cose? E come? Ormai il capo stratega è stato nominato, sarà Plutarch!”, esclama con rammarico.
“Non mi interessa come! Dobbiamo fare qualcosa per quei bambini innocenti!”, sbotto all’improvviso.
“Non possiamo. Voi siete qui sotto stretta sorveglianza perché la Paylor temeva un atto di ribellione da parte tua o di Haymitch dopo … dopo che le ho raccontato delle intenzioni del tuo mentore”, confessa. Non può essere.
“TU HAI FATTO COSA? SEI IMPAZZITO?”, ormai la mia rabbia ha superato i limiti, come il tono della mia voce.
“Sssh, abbassa la voce”, dice lui tirandomi dentro la mia stanza. Nel mentre, credo di sentire la serratura della porta di Peeta scattare, ma non riesco a vedere se il Ragazzo del pane sta uscendo dalla sua stanza perché la figura di Gale mi sovrasta e subito dopo lui richiude alle sue spalle la porta della mia camera.
“Non ci credo”, gli dico più arrabbiata che mai.
“Ho dovuto”, tenta di giustificarsi lui prendendomi una mano tra le sue. Le scaccio via, non voglio che mi tocchi, né lui né nessun altro. Nemmeno Peeta, mi suggerisce la rabbia che mi ribolle nello stomaco.
“Hai dovuto? Non mi azzardo nemmeno a chiederti perché, ma sappi che dovrai trovare una soluzione. Non mi importa come farai, ma farai in modo di distrarre la Paylor. Tireremo fuori quei bambini dal centro di addestramento prima che arrivino all’arena. Promettilo”, dico tra i denti. Non risponde. “Promettilo!”, incalzo.
“Non posso prometterti niente, Catnip. Ma ci proverò”, dice con un’espressione addolorata. E’ un attimo, d’istinto cedo a quell’espressione e lo stringo in un abbraccio. Dopo un attimo di sorpresa, Gale ricambia con vigore. Fuoco contro il fuoco: ora che sono arrabbiata l’abbraccio di Gale mi dà sicurezza e determinazione; mi ero dimenticata come fosse sentirsi le spalle coperte tutto il tempo. Anche se ha fatto la spia, è sempre il mio migliore amico.
“Cosa speravi di ottenere facendo la spia?”, dico all’improvviso mentre siamo ancora stretti l’un l’altro. E improvvisamente so già la risposta.
“La certezza che i Giochi si sarebbero fatti. Sai … te l’ho spiegato prima: pensavo che fossi favorevole ed ero convinto che Haymitch sarebbe riuscito a trovare un altro modo per boicottarli senza un’adeguata sorveglianza. Quale posto migliore per sorvegliarlo costantemente se non la sede del nuovo governo che brulica di soldati e che io stesso avrei controllato?”, dice stringendomi a sé con più forza. Non rispondo, ma ricambio l’abbraccio. Per me, lo ha fatto per me. Mi sento come se fossi caduta e subito dopo fossi riuscita ad alzarmi, con la testa che gira e le ginocchia sbucciate, ma fiera di essere piedi.
Siamo ancora così, aggrappati l’una all’altro come se ne andasse della nostra vita, quando la porta si spalanca improvvisamente andando a sbattere violentemente contro la parete. Peeta. Sto per urlargli in faccia che non avrebbe dovuto omettere il resto della storia, che mi fidavo di lui, quando lo guardo in viso e noto il colore dei suoi occhi: nero come la pece. Ci fissa con uno sguardo pieno d’odio e muove un passo verso di noi. Mi stacco meccanicamente da Gale e lo guardo senza sapere cosa fare. Il panico mi assale: Peeta era già preda dell’episodio prima di arrivare qui ed ha ceduto ugualmente al suo istinto omicida. Non riesco a muovermi e intanto Peeta fa un altro passo verso di me.
“Eri con lui, per questo mi hai abbandonato. Era il tuo piano dall’inizio dei Giochi. Mi hai ingannato!”, dice all’improvviso. La voce carica di odio.
“Peeta”, sussurro, incapace di replicare.
“Mi hai abbandonato.  Nell’arena mi hai abbandonato!  Sapevi tutto, ma non ti importava di me. Gli hai detto di non salvarmi. IBRIDO ASSASSINO!”, urla lui di rimando. Succede tutto troppo in fretta: Peeta allunga una mano verso il mio viso e ci piazza uno schiaffo mentre, in contemporanea, parte un pugno di Gale diretto allo stomaco di Peeta che lo fa piegare in due dal dolore.
“NO!”, urlo io spingendo via Gale da Peeta. Ho promesso a me stessa che avrei aiutato Peeta stavolta, mi arrabbierò poi.
“Peeta”, lo chiamo chinandomi su di lui, che intanto si è accasciato sul pavimento.
“Katniss”, dice lui col fiatone mentre si tiene lo stomaco con le mani.
“Peeta, guardami”, lo imploro.
“Hai tentato di uccidermi!”, dice e invece di guardarmi mi spintona via. Gli afferro il volto tra le mani e lo costringo a guardare nella mia direzione.
“Resta con me”, sussurro. Come a Capitol City, durante la guerra, le sue pupille si contraggono e poi si espandono più volte, finché non lasciano spazio all’azzurro delle sue iridi.
“Sempre”, dice alla fine assumendo un’espressione addolorata. Posa lo sguardo sulla mia guancia contusa, che sfiora con la punta delle dita, poi entrambi ci ricordiamo di non essere soli. Gale sta spostando lo sguardo da me a Peeta e da Peeta a me in intervalli regolari di tempo. All’improvviso smette di guardaci, ci supera con un balzo e scompare. Vorrei chiamarlo, vorrei spiegargli della promessa che ho fatto a me stessa per stare accanto a Peeta, ma sarebbe inutile, così sto zitta e immobile.
Intanto Peeta mi fissa addolorato e ha allontanato la mano dalla mia guancia. Si sente in colpa, lo so. E so anche che ha capito che Gale mi ha raccontato la verità e che si aspetta di vedermi arrabbiata. Tenta di scusarsi, mormora parole confuse e prova ad allontanarsi da me, impaurito di poter cedere di nuovo ad uno dei suoi episodi.
“Perché?”, gli chiedo costringendolo a fermarsi a un passo da me.
“Ti ho sentita urlare prima, nel corridoio. Qualcosa nella mia testa malata deve essere saltata ed è iniziato. Mi dispiace, non volevo farti del male”, dice lui triste lanciando un’altra occhiata alla mia guancia.
“Non mi riferivo a questo. Perché non mi hai detto tutta la verità?”, incalzo.
“Ah”, dice.
“Ah?!”, gli faccio eco alzando il tono di voce.
“Speravo di poter parlare con Gale una volta arrivato qui. Speravo di convincerlo: sapevo che aveva rifiutato perché pensava che tu fossi ancora favorevole, perché lo pensavo anche io prima di ieri sera. Ma quando ho visto dove ci hanno portati … beh, ho immaginato che fosse troppo tardi e ho capito di aver sbagliato a non dirti tutto. Ma cosa potevo fare ormai? Sapevo che Gale te l’avrebbe detto e sapevo anche che ti saresti arrabbiata comunque anche se lo avessi fatto io. Volevo che gli dessi una possibilità di spiegarsi da solo, di difendersi. Magari avresti anche potuto perdonarlo …”, dice lasciando a metà l’ultima frase. Lo ha fatto per me. Anche lui. Voleva  che perdonassi Gale: ancora una volta ha messo me davanti a sé stesso. Cosa dovrebbe significare questo? Dio, che confusione. Ritorna la sensazione di prima, solo che stavolta sono caduta e non mi rialzo. Mi sono spezzata. E ripenso alla guerra, agli Hunger Games, a tutto quello che è successo negli ultimi due anni. Non ho mai voluto che nessuno di voi si sacrificasse per me. La rabbia si trasforma in tristezza, poi in panico e infine in dolore; sia fisico che mentale.
Lo dico ad alta voce: “Non ho mai voluto che nessuno di voi si sacrificasse per me”.  Lo vedo perplesso, poi capisce. Non dice niente, poi finalmente si avvicina e mi stringe in un abbraccio. Niente più fuoco, solo calma. E’ Peeta, è così bello che potrei restare così per sempre. Neanche mi rendo conto che mi ha sollevata e mi sta portando verso il letto, fino a quando non sento il materasso sotto di me. Mi accorgo solo delle lacrime calde che mi bagnano il viso. Lo guardo con aria interrogativa.
“Riposa fino alla mietitura. Troveremo una soluzione. Nessuno si dovrà più sacrificare. Te lo prometto”, dice bisbigliando al mio orecchio. Me lo promette. Chiudo gli occhi e mi lascio prendere dal sonno che mi ha assalita all’improvviso.
“Resta con me”, dico nuovamente prima di addormentarmi definitivamente. Gli prendo una mano e la stringo forte, come per sottolineare il bisogno di lui che sento.
“Sempre”, risponde ancora una volta e sento le sue labbra posarsi delicate sulla mia fronte. Continuo a stringere la sua mano finché non vengo rapita da Morfeo.



Angolo dell'autrice
Ciao ragazzi! Sono un po' in ritardo con il nuovo capitolo e per questo mi scuso, ma con i corsi all'università e i dannati treni sempre in ritardo non sono praticamente mai a casa!

Mi rendo conto che questo capitolo sia un po' noioso e lento ma, a mio parere, è fondamentale. Sto cercando di rendere al meglio tutto il percorso psicologico di Katniss (and of course la sua confusione), perciò non vogliatemi male D: ci sarà molta azione, spero, nei prossimi!

Come al solito ringrazio la mia Cccch che mi sopporta sempre <3 (al solito, vi lascio il link alla sua fanfic che è asdjfgkdjfskngdgsg *_* http://www.efpfanfic.net/viewstoryv.php?sid=2462888 )

Ringrazio anche tutti quelli che hanno recensito le scorse volte *_* siete aumentati e sono felicissima per questo!

Che altro dire? Continuate a seguirmi, se vi va, e recensite, recensite, recensite!

Alla prossima e ricordate: #moreshirtlessPeetaforeveryone!


 
  
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