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Autore: hikaru83    11/04/2014    3 recensioni
Cosa sarebbe successo se Hana e Kaede si fossero conosciuti da bambini? E se poi si fossero dovuti separare? E se si ritrovassero al liceo? Se volete sapere quello che sarebbe potuto succedere entrate in questo mio mondo. Una nuova storia con i personaggi che tanto amiamo, vi aspetta!
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Akira Sendoh, Hanamichi Sakuragi, Hisashi Mitsui, Kaede Rukawa, Un po' tutti
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Eccomi ancora con una long-fic che come al solito è nata per gli affaracci suoi, ma tanto voi ci siete abituate. Come avete notato è una AU, o almeno credo che sia una AU, ma presto (se davvero ve la sentite di essere catapultate un’altra volta nella mia testolina) ve ne accorgerete e mi direte. E i personaggi sono OOC, sta volta l’ho ammesso candidamente nelle note. Tengo a precisare che non voglio snaturare troppo i personaggi, io li amo così come sono, ma sicuramente qualche modifica per la trama capiterà per questo ho scelto di inserire la nota. Questa volta non ho segnalato l’inizio di un punto di vista in particolare, spero che si capirà tutto, nel caso fatemi sapere ma siate clementi vi prego. La prima parte, quella in corsivo, è narrata da una terza voce esterna (il cosiddetto narratore esterno, che poi sono io) ed è situata una decina di anni prima del liceo. Giusto per rendervi le cose un po’ più semplici e farvi capire qualcosa dall’inizio vi do’ un indizio, ho schiaffato un sacco di personaggi in più nello Shohoku le coppie, a parte Hana e Ru (non ve li aspettavate da me, lo so), sono state “gentilmente” richieste da qualcuno (Slanif ne sai qualcosa?) spero comunque che saranno amate da tutte. E ora, come al solito, non posso far altro che augurarvi una buona lettura, a dopo per note e ringraziamenti.
 

Foglie rosse e fiori di ciliegio
 

Cap 1
 

Kanagawa. Settembre. Scuola elementare Kisetsu, classe prima, sezione F. La voce di una maestra sale sicura nell’aula piena di bambini seduti composti ai loro banchi.

“Allora bambini avete capito? Quando fa caldo l’acqua diventa vapore e sale in cielo, quando il vapore si ammassa in grandi quantità si formano le nuvole, che poi si ritrasformano in gocce d’acqua che ricadono sulla Terra.”


“E la neve?” Chiede una vocetta curiosa al primo banco. La risposta sicura dell’insegnante.

“Quando fa freddo l’acqua prima di raggiungere la Terra si ghiaccia e diventa neve. Quindi bambini, quando la neve si scioglie diventa...”

“Primavera.” Risponde una terza voce, quella di un bambino seduto in disparte per essere stato messo in punizione.

“Signorino devi smetterla di prendermi in giro, vai fuori dalla classe.” Gli dice la maestra stizzita.

“Ma perché maestra? Se la neve si scioglie vuol dire che arriva la primavera!” Risponde allora la voce del bimbo, che non capisce perché la maestra si arrabbia sempre con lui,  non la sta prendendo in giro.

“Non me lo fare ripetere, subito fuori o ti metto anche una nota.” Il bimbo allora si alza, e fa come detto, anche se ancora una volta è finito in punizione senza sapere il perché. Lui i grandi non li capisce e a volte neanche i bambini della sua età. Insomma sembra quasi che tutti devono pensare allo stesso modo, nessuno può dire niente di diverso. Come questa volta. Lo sanno tutti che la neve quando si scioglie diventa acqua, ma è anche vero che se si scioglie vuol dire che fa più caldo e  quindi la primavera sta arrivando, no? Ma oramai non dovrebbe stupirsi molto, tutte le volte che prova a dire qualcosa finisce in punizione. Eppure gli dispiace non riuscire a essere come gli altri bambini, si sente sempre così solo.

Dopo qualche minuto la campanella dell’intervallo suona e i bambini escono dall’aula. Uno di loro, un bimbo bellissimo, che generalmente non permette a nessuno di avvicinarglisi, e che è stranamente, l’unico che parli con lui senza prenderlo in giro, si avvicina.

“Secondo me la maestra non doveva metterti in punizione, hai ragione tu, la neve quando si scioglie diventa primavera.” Il bimbo dai bei capelli rossi allora guarda l’amico e gli fa un bel sorriso, sdentato perché ha perso uno degli incisivi da poco, ma non per questo meno bello e sincero.

“Grazie Ede!”

“Non chiamarmi così, già il mio è un nome da femmina, così peggiori le cose.” Cerca di rispondere burbero. Difficile però esserlo per lui, soprattutto con quel suo unico amico e con le guance leggermente rosate.

“D’accordo, vorrà dire che da oggi ti chiamo... kitsune.”

“Scimmia rossa non provarci!”

“Ah si? E perché?” Il sorriso furbo su un musetto pestifero.

“Se tu mi chiami kitsune io... io ti chiamo... do’aho! Ecco, sì ti chiamo do’aho.” Improvvisamente gli occhi nocciola si fanno tristi.

“Mi dispiace.” Dice con una vocina flebile, è la prima volta che il bimbo dai capelli neri lo vede così.

“Ehi stavo scherzando.” Cerca di reagire il bimbo dagli occhi blu, non sopporta di vedere quell’espressione sul viso sempre allegro di quel bimbo che non si è mai spaventato dal suo modo un po’ brusco.

“Non per quello, è che non potremmo usare i nostri nuovi soprannomi, oggi è l’ultimo giorno che frequenterò questa scuola.”

“Perché?”

“Papà deve andare via, per lavoro, e ci porta con lui.”

“E dove andate?”

“In un posto che si chiama Los Angeles.”

“È tanto lontano?”

“Sì, devo imparare un’altra lingua.”

“Quindi mi lasci solo?” Tristezza, nella voce di quel bimbo, sa già infatti che appena il suo amico con quegli assurdi capelli rossi se ne andrà lui tornerà a rinchiudersi nel suo bozzolo di ghiaccio, non può esistere nessun’altro capace di stargli vicino come quel terremoto.

“Io non vorrei, davvero, ma noi bambini non abbiamo molta voce in capitolo.”

“Lo so.” Lo sa veramente, gli occhi nocciola non sanno mentire, e lui lo sa, quella è una delle cose che ama di più nel suo amico, la totale incapacità di mentire.

“Senti nel posto dove vado a stare giocano tutti a uno sport, il basket, e da quello che so tutti i giocatori migliori del mondo vanno lì per giocare.” Il suo sguardo si rallegra mentre gli parla.

“E allora?” Il piccolo con i capelli neri non capisce, dove vuole andare a parare.

“Se tu diventassi il miglior giocatore del Giappone potresti venire da me.” Dice sicuro. Diventare il migliore, ne sarei capace? Pensa il bimbo dai capelli scuri.

“Tu dici?” Non sembra molto sicuro, ma gli occhi pieni di fiducia del suo amico riescono a fargli tornare il sorriso.

“Sì!” Lui ci crede, è sicuro che il suo amico  possa diventare il migliore, e se ci crede lui...

“D’accordo, ma solo se tu diventi il miglior giocatore di quel posto, così potremmo giocare insieme.” Ribatte, chiedendosi il perché non riesce a non accettare nessuna sfida che gli propone, per quale maledetto motivo non riesce a dirgli mai di no?

“Affare fatto kitsune!” Gli sorride ancora tendendogli la mano.

“Patto fatto do’aho.” Gli stringe la mano. Quella mano calda che gli è sempre stata vicina.

“Ede?”

“Hn?”

“Non mi farò chiamare da nessun’altro do’aho!”

“E io non permetterò a nessuno di chiamarmi kitsune.”

“Andiamo a giocare?”

“Sì.”

“Ede?” Lo chiama un’altra volta, le guance scarlatte e gli occhi lucidi ma comunque con lo sguardo dritto in quello blu dell’amico

“Hn?”

“Ti voglio bene.” Solo un sussurro. Che riesce a far colorare di rosso anche le guance del bimbo dalla pelle candida.

“...ch’io!” Gli risponde, sa già che non lo dirà più per tanto tempo, nessuno potrà mai sostituire il suo amico dalla pelle dorata.
 

Kanagawa, dieci anni dopo. Aprile. Liceo Shohoku. Primo anno sezione settima.
 

“Ma guarda un po’ la nostra cara matricola...”

“Akira smettila.”

“E dai, siamo tornati a frequentare la stessa scuola non sei contento?”

“No!”

“Dovresti portare rispetto a un tuo senpai, e poi scusa sono o no il tuo migliore amico?”

“No!”

“Come no? Ci conosciamo da una vita, viviamo anche vicini, abbiamo imparato a giocare a basket insieme, come puoi non considerarmi il tuo migliore amico?”

“Quello che mi chiedo io è come fa a sopportarti il tuo ragazzo.”

“Kosh? Mi ama che domande. Ahia tesoruccio perché mi hai colpito?”

“Perché te lo meriti, e non chiamarmi tesoruccio. Sbrigati, non vorrai arrivare in ritardo alla lezione di matematica vero?”

“Vorrei evitarla completamente, ma non me lo permetterai.”

“Ovviamente no, non puoi permetterti una nota di demerito, sei nel quintetto base quest’anno, te la senti di far infuriare da subito il capitano e il vice?”

“Quei due colossi? No, forse hai ragione, ciao Kaede.”

“Hn”

“Scusalo Rukawa, lo sai com’è fatto.”

“Hn.” Finalmente solo. Posso lasciarmi cadere sul banco per il pisolino mattutino. Akira non lo sopporto più, simpatico va bene, ottimo giocatore, ok, ma decisamente troppo ciarliero per me. Adesso chiudo gli occhi e... no, non è possibile, non ho considerato...

“Kaede!” Trilla allegra una voce conosciuta.

“Non è possibile se ne va uno arriva l’altra.” Borbotta infastidito.

“Stai dicendo qualcosa contro di me?”

“No Ayako figurati.”

“Bene, perché sai che sono la manager della squadra e potrei far diventare la tua vita un vero inferno...”

“Come se mi spaventasse un po’ di allenamento in più.”

“Anche se ti affido alle amorevoli cure della dolce Haruko?” Puro sgomento nelle iridi blu.

“Ayako? Stai scherzando vero? Quella...quella...quella cosa è dalle medie che mi da il tormento.”

“Lo so, c’ero anch’io alle medie, tutto dipende da come ti comporti signorino.”

“Ricattatrice!”

“Stavi dicendo?”

“Niente niente...” Appena anche lei se ne va Kaede appoggia finalmente la testa sul banco e si mette a dormire, delle lezioni non gli interessa nulla, a parte a quella d’inglese, gli basta mantenere una media sufficiente per poter giocare a basket. Deve diventare il  migliore, è l’unico modo che ha per riuscire a rivedere la sua scimmia rossa, lui è sicuro che anche quel terremoto si sta impegnando, anche se il suo compito è un po’ più complicato. Perché ora Kaede sa che dove si è trasferito l’unico a cui abbia mai detto di voler bene non è altro che la patria del basket, ma è certo che il suo uragano rosso non si fermerà davanti a niente, se c’è qualcuno che può farcela è lui.

“Preparati do’aho, verrò a prenderti.” L’ultimo pensiero prima di raggiungerlo nel mondo dei sogni.
 

In quello stesso momento in un'altra parte di Kanagawa un ragazzo alto e con una capigliatura rosso fuoco si stava sistemando nella sua nuova e contemporaneamente vecchia, stanza. Nuova, perché avevano da poco traslocato, vecchia, perché il padre non aveva venduto la graziosa villetta a due piani quando anni prima si erano trasferiti, ma aveva deciso di affittarla probabilmente in cuor suo avrebbe sempre voluto tornare in Giappone, e quindi Hanamichi si era ritrovato nella stessa stanza che usava fino a quando aveva sei anni.

Erano tornati da qualche settimana, ma lui faceva ancora fatica a riabituarsi al modo di fare giapponese, tutti sempre così gentili, educati, tutti quegli inchini, per non parlare di quella usanza assurda di togliersi le scarpe prima di entrare in casa, o quella di chiamarsi per cognome anche tra compagni di scuola. Persino il cibo era strano, troppi aromi, troppe spezie, eppure aveva dei ricordi di meravigliose scorpacciate, com’era possibile che i suoi gusti fossero tanto cambiati? Una cosa non era cambiata però, costatò amaramente. Fin da piccolo era sempre stato messo da parte per il suo aspetto, troppo occidentale, con quei capelli rossi di cui andava tanto fiero e che erano dovuti a una nonna europea che adorava. E anche adesso, mentre oramai era ora di pranzo e gli operai della ditta di traslochi stavano finendo di portare gli ultimi scatoloni, rivedeva quello sguardo di disapprovazione nei loro. Era ironico, decisamente ironico, in USA aveva avuto gli stessi problemi, per il motivo opposto però, troppo orientale con quegli occhi a mandorla, per non diventare presto il ragazzino da tormentare, però aveva anche conosciuto persone che gli avevano insegnato a difendersi, e dopo aver messo ko uno dei bulli più temuti della scuola davanti a tutti si era beccato una nota di demerito, vero, ma nessuno aveva più provato a fare il bullo con lui, non apertamente almeno. Lo chiamavano tutti almond eyes, occhi a mandorla appunto, tanto che dubitava persino che conoscessero il suo nome, ma non era importante, dopo quella rissa prima e dopo essere entrato nel quintetto base come titolare dopo, nessuno aveva più provato a metterselo contro.

“Hanamichi, hai finito di sistemare le tue cose?”

“Più o meno mamma.”

“Oggi pomeriggio vai allo Shohoku?”

“Sì ho sentito l’allenatore prima, mi ha detto che oggi iniziano gli allenamenti e vorrebbe presentarmi al resto della squadra.”

“Spero che ti troverai bene con i tuoi nuovi compagni.”

“Spero anch’io. Ma infondo perché non dovrebbe essere così, I’m genius!”

“Tensai Hanamichi, ricordati qui sei un tensai.”

“Giusto mamma!”

“Che ne dici se ci facciamo un bel pranzetto americano?”

“Hamburger, hot dog una marea di patatine fritte inondato tutto dal ketchup?”

“Beh, tanto dopo giochi no?”

“Mamma tu sei una tensai!”

“Dammi una mano a sbucciare le patate.”

“Bene, mi sembra un idea perfetta, ho una fame...” la voce del padre, si intromette tra i due.

“No caro, tu niente hamburger, niente hot dog e niente patate fritte, lo sai che devi seguire una dieta precisa, petto di pollo e insalata per te.” Decreta la madre.

“Ma non è giusto!” ribatte l’uomo, senza nessuna convinzione tanto sa già come andrà a finire.

“Non discutere!”

“Hanamichi non sposarti mai, vedi cosa succede? Un momento stai con un essere angelico, l’istante successivo sei legato a vita al tuo carceriere...” Una risata cristallina, riempie la casa mentre in tre si dirigono in cucina.
 

Palestra del liceo Shohoku ore 16.00
 

“Quest’anno lo Shohoku ha una squadra imbattibile, non trovi Uozumi?”

“Sì Akagi, l’unica cosa che non capisco ancora è perché tu sei diventato capitano al posto mio.”

“Semplice mio caro, io sono più bravo.”

“Figurati, siamo costretti a sopportare due scimmioni, non ero meglio io?”

“Tu teppista? Ma se non sei in grado di occuparti di te stesso, figurati se potresti essere un capitano.”

“Fatti gli affari tuoi nanerottolo.” Il pugno già pronto, bloccato dall’arrivo di Anzai.

“Ragazzi, adesso basta, venite qui. Ho delle cose importati da dirvi.” La voce dell’allenatore Anzai, l’unico in grado di controllare la sua squadra di teste calde, grazie anche all’aiuto insostituibile della bella manager Ayako.

“Scusate il ritardo!” Arriva di corsa Akira, con la maglietta non del tutto indossata, probabilmente l’ha infilata mentre saliva le scale per raggiungere la palestra di corsa, come sempre.

“Sendoh non è possibile anche al primo allenamento?” Lo sgrida Akagi.

“Succede...” Dice, con un sorrisino insopportabile di chi sa che tanto gli verrà perdonato sempre tutto. Quando finalmente la calma torna,  il signor Anzai sorridendo placidamente, come sempre, continua da dove è stato interrotto.

“Innanzitutto voglio dare il benvenuto alle matricole, anche grazie a voi il nostro liceo volerà alto, ne sono sicuro.” Le matricole ricevono tutte uno sguardo sorridente dal vecchio allenatore. “La seconda cosa è ricordarvi che non solo dobbiamo difendere il primo posto, ma quest’anno voglio che sconfiggiate il Kainan, non voglio superare le selezioni al secondo posto come l’anno scorso, anche se alla fine abbiamo vinto.” Un brusio di assenso da parte di tutti, forte è la voglia di riscatto. “E l’ultima cosa...” L’allenatore fa cenno a qualcuno fuori dalla palestra. “Lui è Sakuragi Hanamichi, è tornato da poco dagli Stati Uniti dove si era trasferito da bambino e frequenterà lo Shohoku. Gioca a basket da quando si è trasferito a Los Angeles? Giusto?” Un cenno dal bel ragazzo entrato in palestra. “Bene, come stavo dicendo gioca da quando si è trasferito a Los Angeles e ha deciso di continuare qui, voglio che lo facciate sentire tra amici sono stato chiaro.”

“Sì mister!” La voce chiara di tutta la squadra, incuriosita da quel gigante rosso. Solo uno tra loro è rimasto immobile e lo osserva stupito. È tornato? È proprio lui?

“Do’aho?” Solo un sussurro dalle sue labbra perfette che però non sfugge al nuovo arrivato.

“Kitsune?” Un altro sussurro in risposta da parte del ragazzo dai magnifici capelli rossi, dopo aver riconosciuto nel bel ragazzo di fronte a lui gli occhi del suo unico vero amico.

L’allenamento riprende Akagi si avvicina al nuovo venuto spezzando, senza accorgersi, lo sguardo che aveva incatenato tra loro i due ragazzi. L’unico a essersi accorto di qualcosa è Akira, conosce bene il suo amico, la persona più inaccessibile del pianeta, eppure, il nuovo arrivato ha acceso una luce nei suoi occhi, una luce che non aveva mai visto prima di allora. Sorride Akira, sorride perché finalmente Kaede ha dimostrato di provare qualcosa, deve capire, assolutamente chi è il nuovo arrivato, deve sapere cos’ha di così speciale da essere riuscito a frantumare la maschera perfetta che Kaede ha cucito addosso da sempre. Comunque non c’è che dire, pensa tra se e se, Rukawa ha dei gusti difficili, ma cavoli, assolutamente condivisibili.

“Cosa stai guardando Akira?” La voce, decisamente arrabbiata, del suo ragazzo.

“Niente, figurati, cos’hai da guardarmi così? Non sarai geloso vero?”

“Tzè geloso, ma per chi mi prendi? E ora sbrigati a metterti a correre.” Sorride Akira al burbero compagno, sa quanto sia geloso, e sa quanto odi che lui glielo faccia notare, motivo per cui non può fare a meno di farlo ogni volta che gliene dà l’occasione. Adora il broncio che mette su ogni volta che è con le spalle al muro, oddio, metaforicamente, perché le volte che ce l’ha sbattuto lui al muro l’espressione del suo ragazzo era tutto tranne che imbronciata.

“Sendoh muoviti!” La voce di Uozumi lo risveglia, meglio correre, il vice non sembra di ottimo umore a quanto pare non gli è ancora andata giù non essere diventato capitano...

Intanto Hanamichi prova a districarsi tra il vero e proprio interrogatorio a cui lo sta sottoponendo il capitano della squadra, e ciò che sta succedendo nel suo cuore. Non può crederci, l’ha ritrovato, dopo tutti questi anni, e non si è scordato di lui, gioca a basket e non si è scordato di lui. Gli sembra impossibile che sia potuto accadere, ha davvero cominciato a giocare quando lui è partito? L’ha davvero fatto per lui? Non dovrebbe stupirsene, in fondo non ha forse iniziato lui stesso per quel motivo, per rispettare una promessa fatta a sei anni al suo unico amico? E non è lo stesso motivo che lo ha spinto a voler saltare sempre più in alto, a voler abbattere tutti i muri che aveva trovato essendo orientale in un mondo dove in seconda media era uno dei più bassi della squadra? Non aveva forse dovuto dimostrare il suo valore, allenandosi il doppio degli altri per far si che la resistenza fisica, sua alleata naturale, diventasse un punto fermo, indispensabile per la squadra? Non erano forse gli occhi blu del suo amico che cercava sempre nei suoi ricordi e nei suoi sogni ogni volta che aveva dovuto abbassare la testa e rimanere in panchina perché non era abbastanza per la squadra? Anche se poi nessuno conosceva il suo vero valore visto che tutti si fermavano al suo aspetto, al fatto di essere giapponese, da quand’è che i giapponesi potevano dire la loro nel mondo del basket? Negli USA poi? Nella vera patria del basket. E così Hanamichi aveva continuato ad allenarsi, più degli altri, ogni giorno con costanza fino a quando, troppo stanco delle continue angherie da parte di quegli imbecilli che purtroppo aveva come compagni di squadra, aveva sfidato apertamente il capitano, e l’aveva battuto, sotto gli sguardi increduli di tutti, allenatore compreso, diventando da quel momento un titolare del quintetto base, giocando e abbattendo uno dopo l’altro tutti gli avversari che trovava sulla sua strada. Ma alla fine, non erano stati gli occhi di Kaede ad avergli dato la forza di riuscirci? Lui non sperava tanto, non voleva sperare che fosse lo stesso per Kaede, però, però era lì, nella squadra di basket del liceo che Hanamichi aveva scelto per caso, controllando solamente che la squadra di basket ci fosse, non aveva guardato altro, neanche se fosse una squadra forte, o se avesse vinto qualcosa, bastava solo che ci fosse, ci avrebbe pensato lui a farla diventare la migliore. E mentre Akagi, il capitano, continuava a parlargli, lui non riusciva a far altro che osservare Kaede, che a sua volta non lo perdeva mai di vista.

“Sono proprio imperdonabile Sakuragi, ti sto subissando di domande ma non son neanche come te la cavi con il giapponese.”

“Nessun problema, basta che, almeno all’inizio, parliate lentamente, mi devo solo riabituare tutto qui. Avrò un po’ di problemi in più con i kanji, ma credo che basterà solo un po’ di esercizio. È da quando ho sei anni che parlo e scrivo in inglese, però con i miei genitori, a parte i primi tempi per abituarmi alla nuova lingua, ho sempre parlato giapponese e scrivevo spesso ai miei parenti di Kyoto quindi dovrei cavarmela.”

“Perfetto, ti va di allenarti un po’ con noi? Giusto per vedere come te la cavi. A proposito in che ruolo giochi?”

“Quello che serve, centro, guardia, ala grande o piccola, playmaker, nessun problema, dipende dal tipo di squadra di cui faccio parte o dal tipo che dobbiamo affrontare. Comunque quello che preferisco è il ruolo sotto canestro. Non vedo l’ora di giocare un po’, dovrei cambiarmi però.”

“L’accompagno io.” Interviene Rukawa. La palestra intera si immobilizza per un secondo, la matricola più corteggiata del liceo parla? Da quando? Una risata allegra di Sendoh riporta l’attenzione su di sé e tutto ritorna alla normalità.

“Perfetto, allora vai a cambiarti, sono proprio curioso di vedere come se la cava uno che ha imparato a giocare in America.”

Kaede voleva stare solo con lui, per questo non si era fatto sfuggire l’occasione, ma ora che c’era non sapeva cosa dire, troppe emozioni insieme, così tante domande da fare che non riusciva a decidere cosa chiedere per prima. Perché era tornato, ad esempio, o se si ricordava davvero di lui e della loro promessa, oppure se non aveva permesso a nessuno veramente di chiamarlo do’aho, o il corrispettivo inglese, o ancora cosa provava a essere ancora insieme a lui, se anche lui sentiva il cuore battere così veloce e forte da credere che si potesse sentire anche a distanza.

“Sai kitsune mi ricordavo che non amavi parlare, ma mi sembrava che con me ci riuscivi, non tantissimo ma qualcosa riuscivo a fartela dire, a meno che... kit, non è stai dormendo in piedi?”

“Do’aho, io non dormo in piedi, è successa una volta sola e non stavo dormendo neanche, stavo solo riposando gli occhi.”

“Certo, appoggiato alla teca di protezione di quel vaso millenario nel museo, neanche quando è scattato l’allarme hai mosso un muscolo, alla maestra stava venendo un colpo.” Un sorriso sboccia su quel viso che tanto era mancato al rossino, un sorriso che il proprietario di quel volto tenta di nascondere ma che Hanamichi ha visto benissimo. “Mi sei mancato Ede, mi sei mancato tanto.” Il cuore di Rukawa perde un battito, specchia il suo sguardo in quello nocciola di Hanamichi e riconosce lo stesso sguardo sincero che aveva da piccolo e a cui non può far altro che dire la verità.

“Anche tu.”  Gli dice davanti alla porta dello spogliatoio, rimandando tutte le domande che voleva fargli a dopo, tanto la cosa più importante l’ha saputa.

“Kit, abiti ancora nella stessa casa?”

“Sì.”

“Ti va se dopo torniamo insieme?”

“Sei tornato nello stesso quartiere?”

“Stessa casa.”

“Ok. Sbrigati ora, sono curioso di vedere come te la cavi scimmia rossa.”

“Sicuramente meglio di te volpe narcolettica. Cos’hai da guadarmi così?”

“Mi stavo solo chiedendo se posso lasciarti tutto solo, non vorrei che un do’aho come te non riesca più a trovare la strada per raggiungere la palestra.”

“Oh che gentile, ma non devi preoccuparti, tanto scommetto che ti troverò addormentato da qualche parte...”

“Do’aho!”

“Baka kitsune!”
 

Quando Rukawa sbucò dalla porta degli spogliatoi, i ragazzi in palestra si stavano dividendo per una partitella.

“Ehi Rukawa, giusto in tempo, facciamo un quattro contro quattro, ti va di essere sconfitto da me?” La voce allegra di Sendoh.

“Tsè, sconfiggermi? Tu?” Akira sorride allo sguardo scettico di Rukawa, quel maledetto sopracciglio alzato, l’espressione di uno che non ha la minima intenzione di accettare la sconfitta. È bravo, Sendoh lo sa bene, ma non abbastanza per superarlo, probabilmente prima o poi lo raggiungerà, ma non ancora. E così gli otto migliori giocatori dello Shohoku si affrontano. Uozumi, Sendoh, Koshino e Hasegawa nella squadra blu, Akagi, Miyagi, Rukawa e Mitsui in quella rossa.

La partita ha inizio, azione dopo azione, la bravura dei giocatori si vede, ma non c’è molta differenza tra le due squadre, Akagi e Uozumi in quanto a forza si uguagliano, Sendoh è perfetto, non sbaglia mai, ma Miyagi piccolo e veloce non è da meno, Hasegawa è un ottimo tiratore da tre, ma Mitsui non ha problemi a eguagliarlo, infine Koshino e Rukawa, la bravura di quest’ultimo lo rende quasi imbattibile nell’uno contro uno, ma il basket si sa, non è uno sport individuale ma di squadra, e Koshino lo sa bene, conosce i suoi compagni e sa come servire loro palloni eccezionali. Per questo alla fine del primo tempo il risultato è quasi in parità. Nessuno sembra essersi accorto del ragazzo dalla folta capigliatura scarlatta appoggiato alla porta che conduce agli spogliatoi, lo sguardo fisso sul campo, soddisfatto, credeva peggio, davvero peggio, eppure i ragazzi dello Shohoku giocano bene, non quanto i suoi ex compagni ma hanno superato le sue aspettative, soprattutto Kaede, è veloce, preciso, solo piccole sbavature, ma assolutamente recuperabili con un allenamento mirato, come la poca resistenza e la convinzione di poter fare sempre tutto da solo. La voglia di entrare in campo è assurda, ne ha la stessa necessità di quella che i suoi polmoni hanno dell’ossigeno, sente i muscoli pronti a scattare, i tendini tesi, vuole giocare, ne ha bisogno, dopo aver passato ogni istante libero della sua vita a correre dietro a un pallone, non riesce a contenere la voglia che lo sta assalendo, vuole entrare in campo, prendere quella maledetta e contemporaneamente adorata palla arancione, e cominciare lo spettacolo.

“Ragazzo, ti va di entrare?” La voce dell’allenatore, lui si volta, negli occhi un muto ringraziamento.

“Sì signore.”

“Koshino esci, entra Sakuragi.” E la partita ricomincia, tutti convinti che più o meno il risultato rimarrà invariato, nessuno pronto a quello che sta per accadere.  Il rossino è inafferrabile, veloce, preciso, sempre pronto, sempre nella posizione giusta, i punti di vantaggio per i blu raddoppiano, triplicano, quadruplicano con una velocità imbarazzante, ha guardato giocare quei ragazzi per venti minuti, e ha già capito il loro gioco, smontando una a una le loro convinzioni, distruggendo tutte le loro certezze. È sempre la voce di Anzai a fermare la partita, che si sta trasformando in un martirio per la squadra rossa. “Miyagi fuori, Koshino rientra, e tu Sakuragi cambia squadra vai in quella dei rossi.” Pochi minuti per rinfrescarsi e lo spettacolo ricomincia, uguale anzi speculare a prima, ora sono i rossi che riducono lo svantaggio prima, e aumentano il vantaggio dopo. I canestri di Sakuragi sono belli, da manuale ma certo non azioni dell’NBA, che sa fare ovviamente, si è sempre divertito a copiare i suoi modelli, ma ora non serve questo alla squadra, non è lì per prenderli in giro o dimostrare la sua superiorità, è lì per far capire loro che è un buon elemento, e che può fare tanto per la squadra, che può aiutarli a diventare imbattibili. Ma non sono solo i suoi canestri a far lievitare i punti dei rossi, no, sarebbe troppo facile, saper fare canestri non è certo l’unica cosa che serve a un giocatore di basket, sono i suoi passaggi, le palle rubate o recuperate, le azioni che riesce a far compiere ai propri compagni, senza che neanche loro si rendano conto di come facciano a farle, gioca con loro come se non avesse mai fatto altro, come se fosse nella squadra da sempre, riempie le loro lacune, eleva le loro qualità. Alla fine della partita i rossi vincono per una manciata di punti, ma che equivalgono in realtà a diverse decine se si contano anche tutti quelli che hanno recuperato in poco meno di dieci minuti. I giocatori sono esausti, i loro corpi fradici di sudore, tutti meno Sakuragi, che se ne sta in mezzo al campo, palleggiando tranquillamente, senza neanche un po’ d’affanno, come se non avesse corso per venti minuti ma fosse appena arrivato dagli spogliatoi. Gli sguardi della squadra sono increduli, persino Anzai non si aspettava una cosa del genere, era sicuro che sarebbe stato un buon acquisto ma non così tanto. Quel ragazzo non era solo un giocatore eccezionale che evitava tra l’altro di atteggiarsi a prima donna, ma voleva far parte del gruppo, voleva aiutare la squadra e i suoi giocatori, ed era pronto a insegnare loro tutto quello che aveva imparato nei lunghi anni negli USA. Per questo Anzai non poté trattenersi, la sua risata si alzò alta, mentre immaginava gli sguardi che avrebbero fatto Taoka e Takato appena avrebbero visto in azione Sakuragi, a Taoka sarebbe venuto un colpo, riusciva persino a immaginare la vena sulla sua tempia pulsare dalla rabbia, e Takato ci avrebbe messo una vita a riprendersi. Oh sì si sarebbe davvero proprio divertito quest’anno...

“Assurdo, Sakuragi come hai fatto?”

“A fare cosa?”

“Cosa? Tutto direi, quei canestri, quelle azioni, tutto.”

“La maggior parte delle azioni le avete fatte voi, io vi ho solo servito la palla giusta. E i canestri, niente che voi non abbiate fatto nel primo tempo.”

“Dobbiamo sembrarti dei principianti eh?”

“Statemi bene a sentire, quando ho saputo di dover tornare in Giappone ero preoccupato, inutile negarlo. Il basket non è propriamente lo sport per cui i giapponesi sono più conosciuti. Voi non avete idea della fatica che ho fatto a farmi accettare negli USA e tornare qui temevo non mi avrebbe aiutato certo al mio futuro di giocatore, poi vi ho visto giocare e mi sono sentito subito più tranquillo. È vero non siete al livello dei miei ex compagni, non ancora almeno, ma avete talento e passione, e vi assicuro con l’allenamento giusto diventerete imbattibili. Io fra tre anni tornerò negli Stati Uniti, ed entrerò nei Lakers, e voi mi aiuterete a farlo.”

Nessuno seppe se fosse stato per quello che aveva detto o per il tono di voce che aveva usato, ma tutti in quella palestra furono assolutamente certi che ciò che quel ragazzo aveva appena detto non fosse solo un sogno impossibile di un ragazzino di sedici anni con un’ottima e del tutto invidiabile dose di autostima, ma la pura e semplice verità. Nessuno poteva conoscere il futuro, questo è ovvio, però dopo quella dichiarazione così sicura nessuno dubitava che il futuro di quel ragazzo fosse esattamente quello. Giocare nei Lakers, non era una sparata da megalomane, ma l’unica cosa possibile. E tutti in quella palestra avrebbero fatto in modo di aiutarlo in modo che quando, e non se, avesse indossato la maglia della prestigiosa squadra dell’NBA sarebbe stato come se anche loro l’indossassero con lui.
 

Continua
 

Note:  Ammetto che ho fatto un furto, quando si fa bisogna dirlo, e l’ho fatto da Fruits Basket, un manga di un po’ di anni fa. Il furto è nell’associare il fatto che la neve si sciolga alla primavera, nel manga in questione si legge in un dialogo tra i personaggi: “Secondo te cosa diventa la neve quando si scioglie? Ah... Ecco... Secondo me diventa primavera!”. Non trovate che sia bellissimo? E a chi potevo far dire una cosa del genere se non ad Hana? A nessuno, siete d’accordo? Sì? Benissimo. Per ultimo voglio ringraziare Slanif, Arcadia_SPH, mattmary15 e Pandora86 per le belle recensioni a Non è possibile, e tutte voi che siete arrivate indenni (spero) fino a qui. A venerdì prossimo con il secondo capitolo.
  
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