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Autore: micRobs    14/04/2014    3 recensioni
Nick/Jeff | Long Fic | AU, Fluff, Angst lieve, Lime | Romantico
"Rescue me è la storia di un salvataggio. È la storia di un viaggio inaspettato e di due vite che si intrecciano.
Rescue me è la storia di due storie ma, soprattutto, Rescue me è la storia di chi ha compreso che esistono molteplici modi per trarre in salvo qualcuno e che, spesso, la meta prefissata non è così lontana come sembrava alla partenza."
Dal capitolo 1: "Per essere giugno inoltrato, la temperatura non era esattamente delle più estive. L’aria di quella sera era fresca e frizzante e il cielo minacciava pioggia da un momento all’altro. Nick premette il piede sull’acceleratore, desideroso di mettere quante più miglia possibili tra se stesso e quella strada desolata. Era partito da circa sei ore e quel viaggio, già di per sé infinito, stava prendendo una piega ancora peggiore a causa di quella deviazione che lo aveva costretto ad abbandonare la sicurezza della statale in favore di quel tratto sterrato e ignoto. Il suo navigatore sembrava conoscere la direzione, però, quindi Nick si era ciecamente affidato a lui nella speranza che lo avesse condotto sano e salvo a Chicago."
Genere: Fluff, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeff Sterling, Nick Duval | Coppie: Nick/Jeff
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Pairing: Nick/Jeff
Genere: Sentimentale / Romantico / Commedia / Fluff / Angst accennato.
Avvertimenti: Slash, AU, Lime.
Rating: Arancione.
Capitoli: 10/15 ~
Introduzione: Rescue Me è la storia di un salvataggio. È la storia di un viaggio inaspettato e di due vite che si intrecciano.
Rescue Me è la storia di due storie ma, soprattutto, Rescue Me è la storia di chi ha compreso che esistono molteplici modi per trarre in salvo qualcuno e che, spesso, la meta prefissata non è così lontana come sembrava alla partenza.
Note d’autore: As usual, tante e alla fine.
Note di Betaggio: Un nome, una garanzia. Un milione di volte, grazie. Vals.

 
 Rescue Me
10. From my fears.
 
 

 

Riprese lentamente il contatto con la realtà. Un senso alla volta. Prima con il rimbombargli sordo del silenzio nelle orecchie, poi con gli arti che riacquistavano piano la consueta sensibilità. Braccia, gambe, dita, si presero il loro tempo per abbandonare il torpore in cui erano caduti e tornarono ad essere operativi.

Jeff non aveva alcuna fretta. Lasciò che il suo corpo si svegliasse, che il suo cervello carburasse quel tanto che bastava da permettergli di contestualizzarsi, di ricordare chi fosse, dove fosse e cosa stesse facendo; solo dopo essersi ricordato tutto, proprio tutto, si concesse di aprire gli occhi.

La luce filtrava tenue attraverso le tende tirate e lui rimase qualche attimo a studiare le forme astratte che si ricorrevano sulle lenzuola che ancora lo coprivano per metà. Giochi di luce e ombre che definivano e davano ulteriore spessore alle sagome celate al di sotto del tessuto bianco; decise di concentrarsi su di esse, in modo tale da consentire alle sue sinapsi di connettersi correttamente e dare un senso a quella matassa di pensieri e sensazioni che sentiva premergli sulle tempie e stordirlo. Ripercorse mentalmente gli avvenimenti della sera precedente e neanche ci provò ad impedire al suo stomaco di annodarsi perché, nonostante avessero un fastidioso retrogusto dolceamaro che sottolineava l’inutilità di riporvi troppe speranze, il ricordo delle mani di Nick che lo toccavano con delicatezza era ancora troppo vivido, sulla sua pelle e nella sua mente.

Con una decisione che non credeva di possedere, fece forza sul gomito e si voltò completamente sul fianco, incontrando il profilo ancora addormentato di Nick. Sembrava sereno, constatò, la sua fronte era distesa e dalle sue labbra schiuse fluiva il respiro leggero e regolare; stupidamente, Jeff si ritrovò ad invidiare la sua pace dei sensi e quel velo di beata inconsapevolezza che ancora gli copriva i pensieri. Sorrise malinconico, scivolando con lo sguardo lungo il suo collo scoperto, la linea delle spalle, la clavicola esposta e il torace nudo che spariva oltre il lenzuolo, mentre nella sua mente si accavallavano immagini definite e concrete di loro due insieme, appena poche ore prima. Dio, quand’è che avere una cotta per qualcuno era diventato così complicato?

Sebastian ha ragione, si ritrovò a considerare, non solo i sentimenti rendono tutto più difficile, ma inquinano anche quel po’ di serenità che uno si guadagna faticosamente.

Si odiò per aver ceduto a quell’unico pensiero prima ancora di averne terminato la formulazione. La verità era che di prima mattina, e con il ragazzo per cui aveva potenzialmente perso la testa steso al suo fianco, era del tutto impossibile giungere a conclusioni logiche o ragionare con cognizione di causa.

Per questo esatto motivo, l’idea che gli soggiunse alla mente non lo sorprese più di tanto, ma addirittura gli sembrò l’unica soluzione sensata ai suoi problemi. Domandandosi perché non ci avesse pensato prima e facendo attenzione a non compiere movimenti troppo bruschi, scostò le lenzuola e si tirò in piedi. Cedette alla tentazione di gettare un unico sguardo alle sue spalle e si morse un labbro a quella vista, perché Nick era davvero bellissimo, anche con i capelli spettinati e il viso sfatto e arrossato. Come avrebbe fatto a lasciarlo andare, una volta arrivati a Los Angeles? Si era addormentato con quel quesito e, di nuovo, se lo ritrovava affacciato alla mente.

Non ci avrebbe pensato, però, non ancora. Non avrebbe permesso a quell’unica macchia di compromettere il viaggio dei suoi sogni, né di rovinare il rapporto tra lui e Nick, né di cancellargli il buonumore: avrebbe fatto buon viso a cattivo gioco e avrebbe fatto tesoro di qualsiasi briciola Nick o chi per lui fosse stato disposto a concedergli. Poi, solo poi, avrebbe pensato al suo cuore spezzato, alla delusione di un epilogo dolceamaro e ad eventuali rimpianti inutili.

Forte di questa convinzione, recuperò velocemente il cellulare e la T-shirt che giaceva abbandonata ai piedi del letto, poi si diresse verso il piccolo balconcino della camera, uscendovi senza far rumore.

L’aria era tiepida e piacevole e le strade di Las Vegas erano ancora pressoché deserte, quindi lui immaginò che non dovesse essere molto tardi; ebbe la conferma ai suoi sospetti quando sbloccò il display del telefono e quello lo informò che mancavano solo pochi minuti alle otto. Fece un breve calcolo mentale: aveva dormito poco più di sei ore, considerando che il sonno aveva tardato a raggiungerlo, forse per questo si sentiva tutto intontito e scombussolato.

A quel punto, gli venne anche il dubbio che fosse addirittura troppo presto per telefonare a qualcuno, ma non ebbe comunque voglia di ragionarci più di tanto, così compose quel numero che ormai conosceva a memoria e pregò che nessuna furia divina si abbattesse su di lui.

Sebastian rispose dopo appena quattro squilli. La sua voce non era infastidita o assonnata, quindi Jeff dedusse di non averlo svegliato. A scanso di equivoci, comunque, pensò bene di domandarglielo.

«Ti ricordo che qui è quasi ora di pranzo» sbuffò quello e Jeff sorrise automaticamente. «Tu in quale parte del mondo sei volata, fatina?»

«Sono… sono a Las Vegas» lo informò cautamente e poi tacque, lasciandosi scivolare con la schiena contro il muro, fino a toccare terra. 


«Las Vegas» ripeté l’altro, come assaporando il suono di quelle parole, ma ignorando del tutto la sua domanda. «Ascolta, se ti sei svegliato e hai scoperto di esserti sposato il mendicante che ti sei caricato dietro, non ho problemi a procurarti un avvocato, ma sappi che nessuno mi impedirà comunque di a) pretendere una foto del matrimonio da rendere pubblica quanto prima e b) invitare a casa ogni tuo futuro spasimante e raccontare questa storiella fino a che smetterà di essere divertente, cosa che dubito fortemente accadrà. Intesi?»

Jeff schiuse la bocca all’ammontare ignobile di sciocchezze che Sebastian aveva detto, ma il “Che diavolo vai blaterando?” che voleva rifilargli gli rimase impigliato sulle labbra, soffocato sul nascere da una risata spontanea e rigenerante. Sarebbe stato ipocrita se avesse detto di non sentire la mancanza del suo coinquilino.

«Ma che stronzo che sei. E non ho sposato nessuno, se la cosa può rassicurarti» scosse lievemente la testa, ancora sorridendo, poi aggiunse: «E non ho intenzione di farlo, quindi puoi anche evitare di scomodare l’olimpo delle tue conoscenze.»

Sebastian sbuffò annoiato, prima di rispondere: «Mh, peccato. Speravo quasi fossi diventato una persona interessante.»

«Non si tratta di non essere interessante, Bas» commentò e si passò stancamente una mano sugli occhi, perché tutto quel parlare di matrimoni gli aveva di nuovo stretto lo stomaco. «Si tratta solo di conservare un minimo di buon senso.»

«Quello lo hai perso quando hai deciso di caricarti in macchina il- a proposto, almeno ce l’ha un nome?»

Jeff annuì, per poi ricordarsi che Sebastian non poteva vederlo. «Sì, si chiama Nick e ti ho già detto che la situazione è molto più complessa di così.»

E il suo tono di voce doveva sembrare davvero abbattuto e spossato, perché quello di Sebastian si regolò di conseguenza, diventando più serio e accorto. Nonostante lo conoscesse da diversi anni e nonostante fosse abituato a dividere i propri spazi con lui, vi era sempre qualcosa che lo coglieva di sorpresa e lo stordiva, quando Sebastian si mostrava più maturo e partecipe. Sapeva che il ragazzo fosse capace di innata premura e senso di protezione, ma il modo in cui capiva sempre quando fosse il momento di smettere di giocare e iniziare a parlare seriamente riusciva sempre a spiazzarlo. Dubitava si sarebbe mai abituato a questo lato del suo carattere, anche perché Sebastian si impegnava strenuamente per tenerlo ben nascosto.

«In realtà mi hai raccontato solo la versione censurata. Sto aspettando quella integrale, Barbie

Come ogni volta, la variopinta selezione dei soprannomi che gli riservava Sebastian gli fece storcere la bocca, ma non per questo si tirò indietro, anzi: prese un respiro profondo e poi iniziò a raccontargli tutto, dal principio.

Raccontò dell’incontro con Nick, della sua macchina in panne e del temporale. Raccontò della sorpresa di scoprire che abitavano vicini e dell’improvvisa voglia di trascorrere la giornata con lui. Raccontò della sua piccola bugia e del giro per Chicago, la proposta di viaggiare insieme e la nottata trascorsa in hotel, tra risate e piccole scoperte. E gli raccontò di come Nick lo aveva toccato, la sera in motel, lasciando che Sebastian gli desse doppiamente dell’idiota: una volta per il modo in cui si era imbarazzato alle sue carezze e un’altra per il suo patetico tentativo di allontanarsi da lui. E poi gli raccontò del Grand Canyon, della cena sul cofano della macchina, del bacio e di tutto ciò che ad esso era seguito. Lo mise al corrente di ogni cosa e solo in quel momento si rese conto di quanto bisogno avesse di fare un po’ di ordine mentale e catalogare con tranquillità tutti gli avvenimenti che si erano susseguiti da quando si era messo in auto a New York. Arrivò fino a Las Vegas, fino alla sua confessione e a quella di Nick, fino al momento in cui, Jeff ne era sicuro, avevano fatto l’amore.

Poi si fermò, si fermò e attese che fosse Sebastian a parlare e, quando poi lo fece, quello disse un’unica frase: «Quindi avete scopato?»

Jeff posò la testa al muro e sospirò; davvero, cosa si aspettava da lui? «Bas, io ho parlato per mezz’ora, possibile che hai capito solo questo?»

«No, scusa, mi spieghi perché hai deciso di diventare una persona vagamente interessante, proprio quando io ho trovato un ragazzo fisso?»

«Cos- è… tipo una proposta indecente?» Volle accertarsi l’altro, poi, come colto da improvvisa folgorazione, aggiunse: «E hai appena ammesso di esserti impegnato seriamente?»

Sebastian sbuffò una risata, prima di schiarirsi la voce e rimproverarlo. «Non cambiare discorso. Stiamo ancora parlando di te» poi, prima che Jeff potesse anche solo aprire bocca per ribattere, continuò. «E comunque non sono certo di aver capito quale sia il problema.»

«Mi prendi in giro?» Domandò quello, retoricamente. «Che ho parlato a fare?»

«Sterling, seriamente, posso capire tutta la storia della sintonia, l’anima gemella e cazzi vari, ma non ti pare un tantino esagerato deprimerti perché non potrai sposare questo tipo? Lo conosci da quanto? Una settimana o due?»

Ed era vero, aveva ragione. Jeff non aveva niente da ribattere a quel proposito, perché sapeva che, ad un occhio esterno, poteva sembrare affrettato il modo in cui le cose tra lui e Nick si erano evolute, così come poteva apparire falsato il corso che avevano fatto i suoi sentimenti. Dopotutto, aveva vissuto con lui giorno e notte per quasi due settimane: era altamente probabile che ciò che provava fosse stato influenzato dalla perenne vicinanza di Nick. Si mordicchiò un labbro, non sapendo come difendersi da quell’obiezione.

«Non mi sto deprimendo perché non posso sposarlo» decise di rispondere infine. «Sto solo considerando le scarse possibilità di poter anche solo prendere in considerazione l’ipotesi, se lui rimane a Los Angeles ed io torno a New York e- ma, seriamente, perché diavolo ho deciso di parlarne con te?»

L’altro ghignò, nello stesso momento in cui Jeff sospirava afflitto. «Ottima domanda. Se avessi saputo che ti portavi dietro tutti questi drammi, non ti avrei chiesto la versione integrale della storia.»

«La tua empatia è veramente toccante, Sebastian» fece una smorfia e abbracciò con lo sguardo l’orizzonte, mentre la città si svegliava pian piano, parecchi piani più sotto. «Tu pensi che sia stupido?» Domandò, dopo qualche attimo di silenzio.

Il ragazzo all’altro lato del telefono sospirò e Jeff immaginò che neanche per lui fosse semplice affrontare un discorso così delicato e complesso. «No» rispose comunque. «Penso che sia inutile e penso anche che se continui a masturbarti il cervello in questo modo, prima o poi, diventerai cieco davvero.»

«Non puoi farmene una colpa. Non tutti sono sconsiderati e irrazionali come te, Smythe.»

«Ma intanto io vivo la mia vita senza crisi esistenziali, mentre tu ti ritrovi a disperarti perché il tuo Romeo è destinato a sposare un’altra. Mi pare di ricordare che la loro storia sia finita piuttosto male, sai?»

«Non ho intenzione di suicidarmi» assicurò Jeff, mal celando un sorrisino divertito. «Vorrei solo capire come comportarmi adesso, sai, fino a che non arriveremo a Los Angeles.»

Senza che nessuno lo chiedesse, e fraintendendo alla grande, Sebastian tradusse immediatamente. «Sì, Jeff, potete scopare ancora, basta che poi non ti fiondi in chiesa urlando “Io mi oppongo”.»

D’accordo, fine della conversazione seria con Sebastian. Jeff scosse la testa e sbuffò una risata sarcastica. «Okay, ho capito. Vai a mangiare, Smythe, io me la caverò» detto ciò, si alzò in piedi e fece schioccare il collo, mentre il suo interlocutore ribatteva.

«Cretino, stai solo attento a non farti coinvolgere troppo da questa cosa. Io ti conosco» lo ammonì, ma la sua voce nascondeva una morbida nota di preoccupazione che fece sorridere Jeff.

«Ci provo» promise, sebbene fosse consapevole che fosse ormai tardi per quello. «Ma cercherò comunque di non lasciarmi influenzare e rovinare il viaggio. Grazie, Smythe, sei stato stranamente utile.»

«Vuol dire che mi devi un favore, buono a sapersi» ghignò l’altro. «Ciao, ciao, fatina, ricordati di usare il preservativo!»

La telefonata si interruppe prima che Jeff potesse dar completamente voce all’”idiota” aveva tra le labbra.

 
Quando rientrò in camera, chiudendosi il balcone alle spalle, notò immediatamente due cose: la prima fu il letto vuoto, ma solo perché il suo sguardo si era diretto subito lì; la seconda fu Nick che, gloriosamente a torso nudo, usciva dal bagno. Nel momento in cui anche il ragazzo si accorse di lui, si immobilizzarono entrambi, stupidamente uno di fronte all’altro, ai due lati del letto: Jeff con la salivazione azzerata e Nick impegnato a reggersi l’asciugamano intorno ai fianchi.

«Ho dimenticato i vestiti» esordì quello, piegando le labbra in un sorriso storto. «E- ho visto che eri al telefono, quindi ho usato il bagno per primo. Spero non ti dispiaccia.»

Jeff scosse la testa e distolse lo sguardo da lui per posare il cellulare sul comodino. «No, figurati. Hai fatto bene ad… ottimizzare i tempi, sì» Che diavolo stai blaterando, imbecille? «Comunque adesso vado io, senza problemi.»

Nick annuì, un attimo prima di spostarsi verso la sua valigia per recuperare un cambio d’abiti. «Dammi solo due minuti per vestirmi e poi-» lasciò che la frase cadesse nel vuoto, probabilmente, considerò Jeff, per non prolungare ancora quella fiera delle banalità.

«Certo tutto il tempo che ti serve» concesse e rimase immobile ad osservare Nick che prendeva ciò di cui aveva bisogno, per poi ritornare svelto in bagno.

Prima di sparire oltre la porta, il ragazzo si voltò verso di lui e piegò le labbra all’interno, esitando solo un momento, prima di domandare: «Tu stai bene?»

L’altro annuì, colto alla sprovvista. «Assolutamente» rispose, accompagnando quell’unica parola con un sorriso che sperava fosse convincente; Nick parve farselo bastare e, sorridendo a sua volta, si congedò definitivamente.

Il lamento frustrato in cui si produsse Jeff venne soffocato dal materasso su cui lui si era pesantemente lasciato cadere.
 

*°*°*°
 

I viaggi in macchina lo rilassavano più di quanto avesse mai immaginato. Essendo una persona perennemente attiva e in movimento, Jeff aveva sempre ritenuto noioso e alienante rimanere tante ore fermo in un posto, specialmente in uno spazio così stretto e limitato: lo annoiava, lo innervosiva e, soprattutto, era scomodo, quindi gli intorpidiva anche tutti i muscoli e lo stancava come neanche correre una maratona avrebbe fatto. Eppure, durante quel viaggio si era dovuto ricredere, con sua enorme sorpresa. Non era tanto la presenza di Nick a rendere piacevole il tempo trascorso in auto, quanto l’atmosfera di libertà e spensieratezza che lo accompagnava da quando era partito da New York. L’abitacolo della vettura, con i finestrini abbassati e l’aria fresca che lo attraversava, non era più una scatola di metallo opprimente e asfissiante, ma un piacevole intermezzo tra le città dei suoi sogni. Ed era perfetto.

Alla sua sinistra, Nick guidava a velocità sostenuta, gli occhiali da sole a schermargli gli occhi e un sorriso spensierato sulle labbra. Jeff aveva provato a mettersi al volante, ma il ragazzo era stato irremovibile e, complice uno di quei sorrisi da capogiro a cui Jeff aveva venduto l’anima, era riuscito a convincerlo a sedersi al posto del passeggero.

“Avevi detto che avremmo fatto a turno” aveva convenientemente ricordato e Jeff non aveva potuto ribattere alcunché, così si era limitato a godersi il viaggio che, a discapito di ogni previsione, era stato anche piuttosto piacevole. Certo, lui e Nick avevano parlato poco, ma non avevano comunque perso la confidenza maturata in quei giorni: era capitato spesso che Nick spostasse la mano sulla sua gamba o che si voltasse a sorridergli e Jeff si era più volte dato dell’idiota, per aver anche solo pensato di poter compromettere e inquinare quell’equilibrio che sembravano aver raggiunto.
«Dovrebbe mancare poco, ormai» considerò il ragazzo, a un tratto, mentre la città si avvicinava all’orizzonte. «Hai già qualche idea precisa per la notte? O facciamo come a Chicago?»

Jeff arricciò le labbra, riflettendo seriamente sul problema esposto da Nick. Ci avevano messo poco meno di sei ore per arrivare a San Diego e il sole era ancora piuttosto lontano dal tramontare, quindi non sarebbe stato un problema cercare un hotel presso cui fermarsi, visto che non avevano particolare fretta.

«In realtà, no» rispose quindi, con una leggera scrollata di spalle. «Se avessi avuto idee precise, non sarebbe stato un viaggio all’avventura, ti pare?»

L’altro annuì concorde, mentre svoltava allo svincolo per entrare in città. «Giusta osservazione. Direi che sia giunto il momento di tirare fuori la tua infallibile guida e vedere cosa ci consiglia lei.»

Jeff non se lo fece ripetere due volte, anche perché, in una città così grande, quella era la cosa più ovvia da fare: una manciata di minuti dopo, stava già sfogliando febbrilmente il libriccino alla ricerca di un posto in cui pernottare. «Dunque, siccome la metà dei posti che voglio visitare sono al Balboa Park, direi di cercare qualcosa da quelle parti, mh?»

«Mi fido di te» fu l’unico commento di Nick, al che Jeff annuì e, facendo scorrere un’ultima volta lo sguardo sulle pagine, fece schioccare la lingua.

«Okay, trovato» esclamò, alternando un paio di volte lo sguardo dalla carta ai cartelli stradali. «Prendi la prima a sinistra, ti guido io.»
 

*°*°*°
 

Il Balboa Park Inn era un Bed & Breakfast dall’aspetto molto singolare, che aveva incuriosito Jeff nel momento esatto in cui ne aveva visto la facciata stampata sulla carta plastificata della sua guida. Tralasciando la posizione centralissima e i vari confort che la struttura metteva a disposizione, l’edificio era completamente costruito in stile coloniale spagnolo e, siccome lui aveva in programma una visita all’Old Town, ovvero il luogo del primo insediamento europeo in California, era stato impossibile concentrarsi su un’altra opzione. Non si era neanche preoccupato di verificare l’accessibilità del prezzo, visto che era ben intenzionato a pagare lui il pernottamento, ma vi aveva subito indirizzato Nick, che aveva schiuso le labbra in un ammirato “Wow”, quando se lo era trovato davanti.

Solo nel momento in cui, sorridendo caramellosa, la receptionist aveva domandato loro che suite desideravano, Jeff si era reso conto di aver forse commesso qualche errore di calcolo. Forse, perché, da che erano partiti, Nick gli aveva permesso talmente poco di pagare, che lui si ritrovava quasi alla fine del viaggio con la possibilità concreta di trascorrere le ultime notti con Nick in un posto davvero degno di lui.

Per questo motivo, con tutta la sicurezza che possedeva, posò un gomito sul bancone e dichiarò: «La tua preferita. Cioè, sempre che sia disponibile» aggiunse, un attimo dopo.

Avvertì subito la mano di Nick cercare la sua e non si fece alcun problema a stringerla, mentre la signorina si alzava per accompagnarli verso la “Courtyard Suite”, perché «È davvero molto sobria e trovo sia assolutamente perfetta per voi.» 

Jeff non aveva idea di cosa volesse dire: si limitò a seguirla, senza lasciare andare la mano di Nick e guardandosi intorno affascinato, il cuore che batteva forte sia per la prospettiva di passare la notte in quel posto e sia per la consapevolezza di aver finalmente dato a Nick ciò che meritava.

Fu solo quando la ragazza aprì la porta e si fece da parte, che capì fino a che punto fossero concreti quei pensieri, solo quando oltrepassò l’uscio e si ritrovò catapultato in un altro mondo. Uno celeste, dorato e maledettamente elegante ed intimo.

«Porca miseria» esalò, allentando la presa sul borsone, fino a che quello non cadde a terra. Avvertì vagamente la voce di Nick che faceva da eco alla sua, perché tutti i suoi sensi erano proiettati ad immagazzinare ogni dettaglio di quell’ambiente, partendo dall’angolo cucina e arrivando ai divani, i quadri, la moquette color cobalto, le piante e la vasca idromassaggio contornata da spesse tende di velluto rosso.

Oh, cazzo.
 

*°*°*°
 

«Sei sicuro che ti faccia bene continuare a nutrirti di insalata?»

Lo scampanellio della porta della tavola calda, a cui Nick e Jeff si erano recati per cenare, accompagnò quella domanda e la loro uscita dal locale, mentre la sera californiana riversava su di loro uno sbuffo di aria calda piuttosto spiacevole, se paragonato all’interno climatizzato della locanda.

«La dieta vegana non prevede solo insalata, Jeff» rispose Nick, la voce morbida e serena e le mani infilate nelle tasche posteriori del jeans. «Ma, lontano da casa, sono la cosa più sicura e facile da mangiare.»

L’altro ragazzo annuì e continuò a passeggiare al suo fianco, in direzione della macchina parcheggiata poco lontano. «Lo sei da sempre?» Chiese dopo qualche attimo. «Vegano, voglio dire.»

Nick scosse lievemente la testa. «Cinque o sei anni, credo. Mia madre è sempre stata vegetariana» spiegò, «e, sebbene non ci abbia mai imposto la sua dieta, io non ho mai avuto problemi a seguirla. Quando mi sono trasferito a New York, ho conosciuto una ragazza vegana e da lì il passo è stato breve.»

«Io non riuscirei mai a rinunciare ai cheeseburger» commentò Jeff, prendendo posto al volante, visto che intanto avevano raggiunto l’auto. «Ma ammiro tanto la tua forza di volontà.»

Una leggera risata colorò la voce di Nick, quando rispose: «Nessuno ti obbliga a rinunciare al tuo cheeseburger, Jeff. Se io e te dovessimo uscire insieme, non avrei alcun problema a vederti mangiare carne.»

Jeff avvertì il cuore tremare a quelle parole, alla prospettiva concreta di poterlo frequentare e vivere nella sua interezza, ma aveva giurato a se stesso che non avrebbe permesso a quello che provava di rovinargli il viaggio, così prese un respiro profondo e poi replicò: «Se io e te dovessimo uscire insieme, non ti porterei mai in una tavola calda a mangiare panini e patatine fritte.»

Si rese conto solo in quell’attimo di aver parlato senza pensare, senza considerare che magari Nick non si riferiva per forza al risvolto romantico di un’eventualità del genere, di aver lasciato che le parole prendessero vita così come le aveva pensate, così voltò il viso verso il suo compagno, per accertarsi della sua reazione e, non senza un iniziale momento di sorpresa, lo scoprì ad osservarlo. Rimasero a guardarsi per quelle che parvero ore, con la consapevolezza che tra di loro ci fossero talmente tante parole non dette e sottili e prematuri rimpianti, da rendere l’aria densa e vibrante.

Poi, con voce bassa e leggermente arrochita, Nick domandò: «E dove mi porteresti, allora?»

In capo al mondo, fu il primo pensiero che attraversò la mente di Jeff, per poi rendersi conto di starlo già facendo. Almeno in parte. Non ebbe motivo di riflettere sulla risposta da dargli, perché aveva recentemente intuito che con Nick non aveva bisogno di essere razionale e studiato, ma doveva semplicemente essere se stesso.

«Non lo so» rispose quindi. «Cercherei di trovare qualcosa di originale e memorabile. E probabilmente finirei per portarti al cinema.»

Osservò le labbra di Nick piegarsi in un sorriso dolce e malinconico e lo stomaco gli si strinse, nel realizzare improvvisamente che anche lui aveva già nostalgia di quelle emozioni mai provate e di quelle esperienze, purtroppo, mai vissute.

«Il cinema sarebbe perfetto» mormorò infine, allungando una mano per stringere quella di Jeff, ancora posata sul volante.

Qualsiasi posto sarebbe perfetto, con te.

Non disse niente, però: si limitò ad annuire e, ricambiata brevemente la stretta alla sua mano, a mettere in moto l’auto. Percepì il sospiro lieve di Nick e non poté impedirsi di stringere le dita intorno al volante, perché stava facendo esattamente ciò che si era promesso di non fare e non aveva idea di come fare per impedirlo. Perché la vita era così ingiusta e complicata? Non trovò risposta a quella domanda, perché d’un tratto accaddero più cose contemporaneamente e lui fu costretto ad interrompere il corso dei propri pensieri.

«Svolta qui!» Esclamò Nick e l’auto per poco non sbandò, quando lui sterzò per eseguire quel comando. Senza manco sapere cosa Nick avesse in mente.

«Cosa…?» Domandò, riprendendo il controllo del mezzo e guardandosi intorno per capire dove si stessero dirigendo. «Perché mi hai fatto girare?»

Nick non rispose subito, perché era troppo impegnato a scrutare fuori dal finestrino, come se anche lui stesse cercando di orientarsi. «Ho visto un manifesto alla tavola calda e- c’era scritto che era a meno di un chilometro, quindi- dovrebbe essere da queste parti.»

Jeff inarcò un sopracciglio, confuso. «Okay… ma cosa?»

«Praticamente, è un» iniziò il ragazzo, ma poi dovette essere distratto da altro, perché sporse un braccio fuori dal finestrino ed indicò. «Eccone un altro! Duecento metri sulla destra, vai!»

Stavolta, Jeff ebbe modo di prendere la curva per tempo, così da poterla imboccare dolcemente e senza mandare l’auto fuori strada. Quella situazione lo fece sorridere e vedere Nick così preso ed entusiasta gli scaldò il cuore, così quasi si ritrovò a boccheggiare senza fiato, quando si rese conto di dove erano diretti. Lo striscione appeso al cancello del parcheggio era piuttosto indicativo a riguardo, dopotutto.

«È un drive-in?» Volle accertarsi, seppur inutilmente.

Nick annuì. «Improvvisato, credo» tacque per qualche attimo e poi aggiunse: «Così abbiamo il nostro appuntamento al cinema. Anche se forse non è proprio il massimo.»

Non è proprio il massimo? Sei completamente impazzito?

«È perfetto, Nick.»

 
Scoprirono che l’evento era stato organizzato da un’associazione culturale di giovani di San Diego e che si sarebbe protratto tutta l’estate, tre sere a settimana. Ovviamente, si resero conto di essere stati anche piuttosto fortunati a beccare la sera giusta e, sebbene lo spettacolo fosse già iniziato da una ventina di minuti, l’auto di Jeff trovò comunque un posticino in cui sistemarsi. Poco importava che fosse l’ultima fila, la visibilità era comunque ottima e il film – “50 volte il primo bacio” – lo avevano già visto entrambi.

«Beh, magari non ti porterei a vedere un film romantico» commentò Jeff, mentre Adam Sandler si inventava nuovi modi per conoscere Drew Barrymore. «Forse sceglierei qualcosa di un po’ più… veloce, dal punto di vista della trama, ecco.»

Nick emise una bassa risata a labbra strette e si voltò a guardarlo. «Azione, spionaggio e supereroi?» Domandò e Jeff annuì, con una leggera scrollata di spalle.

«Qualcosa più nel mio stile, sì. Certo, se poi a te piacciono i film romantici, non ti sto criticando, eh! Possiamo andare anche a vedere uno di quelli, cioè, tanto alla fine-» e tacque, perché Nick gli prese la mano e tutta la sua foga evaporò all’istante.

«Tanto alla fine ciò che conta è la compagnia, no?» Completò per lui e poi si spostò un po’ di lato sul sediolino, senza però lasciarlo andare. «Vieni qui, dai.»

Jeff inarcò un sopracciglio, studiando la sua postura. «Lì dove, esattamente?»

Il “” in questione, scoprì qualche minuto dopo, corrispondeva ad un intricato intreccio di gambe e braccia per far sì che entrambi entrassero sullo stesso sedile. Quando Jeff chiese se non sarebbe stato più comodo spostarsi dietro, Nick rispose che non sarebbe stato altrettanto divertente e lui non poté non concordare con lui. Si ritrovò quindi premuto contro il suo petto, seduto in mezzo alle sue gambe e tenendo le proprie oltre la leva del cambio, per l’impossibilità di farle entrare altrove. Non era esattamente una posizione scomoda, specialmente perché le mani di Nick intrecciate sul suo torace e il suo mento posato alla sua spalla cancellavano qualsiasi intorpidimento o muscolo addormentato.

«Stai comodo?» Gli sussurrò il ragazzo all’orecchio, facendolo rabbrividire. Jeff annuì e portò entrambe le mani sopra quelle di Nick; il ragazzo le prese immediatamente tra le sue, intrecciando le loro dita con una naturalezza ed una confidenza che stordivano ancora Jeff.

«Tu sei comodo?» Domandò quest’ultimo, perché lui era incastrato tra il sedile e il finestrino e aveva una gamba stesa sul sedile del guidatore e Jeff non era sicuro che la sua posizione fosse più confortevole della propria.

Il ragazzo però annuì e rafforzò la presa su di lui, posando la guancia ai suoi capelli. «Chiedimelo domani, magari» sorrise.

«Posso ritornare di là, se preferisci. Non è un problema.»

«Lo è per me. Voglio approfittare di ogni momento» sussurrò, la sua voce che si abbassava ad ogni parola, e lo stomaco di Jeff si contrasse dolorosamente.

«Hai detto a me di non pensarci» tentò di confortalo, quindi, perché se anche Nick iniziava a farsi problemi era la fine. «Prova a non pensarci neanche tu.»

Nick non rispose subito e, per qualche attimo, gli unici rumori a riempire l’ambiente furono le voci che provenivano dalle casse dell’impianto stereo del cinema improvvisato. Quando poi lo fece, quando finalmente diede voce ai suoi pensieri, non prima di essersi spostato quel tanto che gli bastava per poterlo guardare negli occhi, disse le parole più giuste e insieme più sbagliate che potesse scegliere.

«Jeff, sono a tanto così dall’innamorarmi di te. Come faccio a non pensarci?»

E per Jeff fu come se qualcuno avesse rotto una diga, permettendo a tutti i pensieri e ai sentimenti, che lui tanto disperatamente stava cercando di arginare, di prendere il largo e aggredirlo da ogni direzione. Ingoiò a vuoto, mentre la fronte di Nick si posava sulla sua e il suo respiro caldo e un po’ veloce gli solleticava le labbra.

«Anche io» rispose quindi, perché era la verità inequivocabile, per quanto schifo facesse la realtà dei fatti.

Quando Nick lo baciò, con la forza e la disperazione di chi sa di avere le ore contate, Jeff seppe che ormai era troppo tardi anche per quello.

 





 
 
Fingiamo che io non sia in ritardo di sei mesi, per favore? Lo so, lo so, lo so, sono pessima e mi scuso profondamente, ma tra esami, problemi di salute e un maledetto blocco dello scrittore, sono stata costretta a rimandare la scrittura per diversi mesi. Proverò a non tardare con il prossimo aggiornamento, parola mia.

Il capitolo in questione non doveva essere così lungo, assolutamente. La scena finale, quella al drive-in, doveva essere tagliata, ma la mia beta mi ha categoricamente impedito di farlo, quindi prendetevela con lei se vi siete trovati a leggere quest’enorme ammontare di parole xD

Un grazie speciale a chi è ancora qui a leggermi dopo tutto questo tempo e a chi eventualmente si prenderà i soliti due minuti per lasciarmi un parere: vorrei meritarmi dei lettori come voi, giuro che non vi farò aspettare più così tanto ç___ç ♥

E, per inciso, questo è il Balboa Park Inn e questa è la Courtyard Suite 

 
Robs, che litiga con gli inutili aggiornamenti di Mark Zucchina qui.
   
 
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