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Autore: irwinsgreeneyes    17/04/2014    7 recensioni
"Michael avrebbe superato i suoi problemi con il giusto impegno.
Lei e Calum avevano cicatrici che non avrebbero mai potuto cancellare, che sarebbero rimaste incise sulla loro pelle per ricordargli chi erano stati, ma che avrebbero potuto ignorare col passare del tempo.
Ma Ashton non sarebbe mai guarito dal suo male, Ashton era un morto che camminava."
* * * * * * *
-Ciao, sono Ashton Irwin, ho 17 anni e ho la leucemia. Vorrei poter dire che la supererò.-
* * * * * * *
-Mi ripeto sempre che sono forte, sono invulnerabile e non mi manca niente. Solo a volte tu.-
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TRAILER FANFICTION: https://www.youtube.com/watch?v=kL8RNEhr0Ac&feature=youtu.be&hd=1
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Everything and Nothing.

 

“Non voglio che questo momento finisca, quando tutto diventa niente senza di te.”


 

 

Capitolo uno.
-Ci vediamo domani!-esclamò Rebecca, salutandola dal finestrino della sua Range Rover laccata nera. Rebecca era la tipica figlia di papà, una di quelle che Avril proprio non sopportava ma che era costretta a frequentare per le conoscenze di sua madre.
Avril non era felice. Avril fingeva con tutti, persino con sua madre Evelyn. Non che non avesse pensato che, probabilmente, la bella e ricca Evelyn sapesse delle sue bugie e le andasse bene così. Ma era troppo crudele pensare a sua madre in questo modo, crederla talmente egocentrica da evitare i problemi della figlia, così continuava ad anadare avanti in una vita che Evelyn aveva scelto per lei.
Suo padre invece era tutta un'altra storia. Era un uomo sulla cinquantina, che riempiva fogli bianchi di sogni e speranze e che poi teneva per se stesso. Era un autore squattrinato, che sorrideva per le cose belle.Anche lui era triste, lo aveva sempre pensato Avril. Anche lui, come lei, era un succube della madre.
Suo padre era una brava persona. Ma le brave persone,si sa, hanno vita breve.
Quando quel pomeriggio Avril tornò a casa, le sembrò che qualcosa non fosse al posto giusto.Ma sua madre era ancora a lavoro, come qualsiasi altro pomeriggio del resto dell'anno.E suo padre era nel suo studio a lavorare a qualche romanzo che non avrebbe mai pubblicato.
Ma la casa era silenziosa, troppo silenziosa.
-Papà?-chiamò ad alta voce non appena entrò. A risponderle fu lo scroscio dell'acqua al piano di sopra. Salì i gradini che la conducevano al secondo piano e scivolò, sbattendo con la faccia sul legno umido. Il pavimento era completamente ricoperto da un velo d'acqua che adesso cominciava a scendere le scale formando tanti piccoli torrenti.
Si alzò immediatamente in piedi, ignorando il sangue che le colava sul mento, e corse verso la porta del bagno. Bussò, ma non le rispose nessuno.
-Papà?Stai bene?-chiese ancora. Il cuore le prese a bettere più forte quando comprese che suo padre non le avrebbe mai risposto.
Prese un respiro profondo e spalancò la porta.
L'acqua cadeva dalla vasca piena ed Avril notò che all'interno il liquido era di un tenue color rosa. Corse verso la vasca col groppo in gola.
Un urlo squarciò il silenzio dell'abitazione quando Avril vide che, all'interno della vasca, galleggiava il corpo senza vita del padre.


 

 

 

*

 

 


Le si attaccava sui polmoni come catrame. Che poi, alla fine, si trattava di quello. Un giorno un tumore ai polmoni l'avrebbe fatta secca, glielo aveva sempre detto sua madre, ma Avril continuava a fumare come se non ci fosse un domani. Aveva cominciato circa un anno prima, poco dopo il suicidio del padre.
-Avril, se vuoi fumare fallo, ormai ho perso la speranza con te. Ma almeno fallo fuori dalla mia macchina.-sbuffò Evelyn facendosi aria con la mano e abbassando il finestrino dal lato della figlia. Avril fece un ultimo tirò e poi gettò la cicca fuori dall'auto.
La morte del padre non l'aveva superata e, ne era convinta, mai l'avrebbe fatto. Era successo tutto troppo velocemente, senza che potesse far niente per aiutare.
In seguito sua madre aveva deciso che loro due non avrebbero più abitato in quella città, con tutti quei ricordi dolorosi, testuali parole. Come se fosse stata Evelyn a trovare suo marito morto, con i polsi aperti fino al gomito. Come se Evelyn lo avesse mai amato.
Era tutta una scusa, questa del trasferimento a Sydney. Lei voleva cambiare aria e ricostruirsi una vita e il suicidio di suo marito era capitato a pennello. Inoltre aveva iscritto Avril ad un gruppo di supporto per ragazzi con storie difficili. Lo aveva fatto per il suo bene, da quello che le aveva detto.
Ma non si era preoccupata di chiederle se continuare la sua vita a Melbourne le fosse venuto più semplice.
-Per quanto dovrò andarci?-mormorò Avril quando la macchina di Evelyn si fermò davanti ad un palazzo di sei piani.
-Te l'ho già detto. Fin quando non sarà più necessario.-le disse, sistemandosi i capelli davanti allo specchietto. Avril sbuffò e poi scese dalla macchina.
Il gruppo era situato in una stanza al terzo piano. Picchiettò con un pugno sulla porta, ma nessuno le rispose, così passò al campanello. Attaccò il dito e non lo staccò fin quando un ragazzo dai capelli biondi non le aprì la porta.
-Abbiamo qualcuno che è di cattivo umore, qui.-mormorò lasciandola entrare.-Tu saresti?-le chiese con gli occhi verdi socchiusi per la curiosità.
-Non ti interessa chi sono.-rispose, cacciandosi le sigarette in tasca. Il biondo alzò le braccia, in segno di scuse.
-Ma magari a te interessa chi sono io. In tal caso, sono Ashton.-si presentò sorridendole. Non le interessava nemmeno questo, ma decise di restare in silenzio.Ashton, però, sembrava fin troppo felice per essere lì dentro. Ma ,Avril lo aveva sperimentato, magari quella era solo una maschera, così non proferì parola al riguardo.
Poi il biondo continuò-Tu sei quella nuova, giusto?-le chiese accompagnandola lungo il corridoio.
-Esatto.-
-E non sei di molte parole.-asserì Ashton. Avril annuì. Il biondo allora si passò una mano tra i capelli, già scompigliati.-Quì sono tutti antipatici, tranne me e due miei
amici. Te li presento.
-
Ashton aveva praticamente organizzato tutto da solo, senza chiederle se volesse conoscerli, ma le andava bene così. Un po di compagnia non le avrebbe fatto male.
Si avvicinarono a due ragazzi: un moro dai tratti asiatici e un ragazzo dalla pelle candida, con i capelli rosa.
Dove l'aveva portata sua madre?
-Calum, lei è quella nuova.-il moretto la salutò col braccio destro. La pelle era martoriata, segnata da migliaia minuscole cicatrici bianche. Avril rabbrividì, ma non lo fece
notare.-
Lui è Michael.-indicò a questo punto il ragazzo tinto che la guardava in un modo strano. Aveva gli occhi azzurri, ma non limpidi. Sembrava un azzurro sfumato,
spento.

-E tu sei?-chiese Calum.
Avril stava per rispondere che non interessava neanche a lui il suo nome, che nemmeno li avrebbe voluti conoscere, che lei era lì dentro per un semplice capriccio di sua
madre. Ma nella stanza entrò un uomo sulla quarantina.

La bionda rimase paralizzata per qualche secondo:quell'uomo assomigliava incredibilmente a suo padre.
Tutti gli altri componenti del gruppo, una quindicina di ragazzi della sua età all'incirca, si andarono a sedere nelle sedie sistemate circolarmente intorno all'uomo. Solo lei rimase in piedi.
-Avril, giusto?-chiese lui ad alta voce. La ragazza annuì nuovamente e lui continuò-Io sono il dottor Grammit e in questo gruppo ti aiuteremo a superare qualsiasi
problema. Ragazzi?
- si rivolse a tutti gli altri.
-Benvenuta, Avril.-mormorarono in coro. Il tono usato, però, lo si sarebbe associato a quello di un funerale.
-Accomodati pure.-le disse il dottor Grammit, indicandole le sedie poste attorno a lui. Lo sguardo le cadde su Ashton, che battè forte la mano sulla sedia in plastica nera accanto a lui, per invitarla a sedersi accanto a lui.
Non essendoci altre sedie libere, seguì il consiglio del biondo.
Quando anche lei si fu seduta il dottore cominciò a fare un discorso molto lungo e complicato, che Avril scelse liberamente di non ascoltare.
-Così ti chiami Avril, eh?-le mormorò a bassa voce Ashton. Nel frattempo una ragazza dai capelli rossi ed evidentemente in sovrappeso cominciò a raccontare la sua storia e in che modo il gruppo la stesse aiutando.
-Già.-rispose Avril.-Ma anche se conosci il mio nome, resta il fatto che non ti deve interessare chi sono.-mormorò.
-Capisco. Ma ormai è troppo tardi.-concluse senza guardarla. Non era una domanda, era un'affermazione. E ad Avril non andava bene che qualcuno le desse degli ordini e stava per ribattere ma, Michael si alzò e cominciò a parlare.
-Ciao, sono Michael Clifford, ho 17 anni e ho problemi con l'alcohol. Sto provando a smettere.-disse smplicemente e poi riprese il suo posto.
Forse adesso Avril riusciva a comprendere il motivo del colore dei suoi occhi, magari aveva bevuto poco prima di entrare. O magari erano complicemente di quel colorem il che sarebbe stato più strano.
Adesso era il turno di Calum.-Ciao, sono Calum Hood, ho 17 anni e sono autolesionista. Mi autolesiono da circa due anni, non ho ancora smesso, ma ci sto provando.-mormorò
Eppure, pensò Avril, tutti quei ragazzi lì dentro avevano problemi gravi, che venivano sminuiti con una semplice frase. Come se a dire il tuo problema potessi guarire. C'era un motivo dietro l'ubriachezza di Michael, c'era un motivo dietro l'autolesionismo di Calum, ma questo non importava a nessuno.
Quando toccò a lei, Avril esitò un attimo, ma poi si alzò, e imitando tutti gli altri, disse:-Ciao, sono Avril Stonem, ho 16 anni e l'anno scorso ho trovato mio padre che galleggiava nella vasca di casa con i polsi aperti.-disse con semplicità e tornò a sedersi.
Ashton, al suo fianco, si alzò subito dopo di lei.-Ciao, sono Ashton Irwin, ho 17 anni e ho la leucemia. Vorrei poter dire che la supererò.-decretò don un sorriso sul volto.
Avril rimase stupita da quel ragazzo che le era sembrato pieno di vita. Aveva appena proclamato che presto sarebbe morto, come se fosse una cosa semplice da sentire,
come se fosse una cosa di cui essere fieri.
Michael avrebbe superato i suoi problemi con il giusto impegno.
Lei e Calum avevano cicatrici che non avrebbero mai potuto cancellare, che sarebbero rimaste incise sulla loro pelle per ricordargli chi erano stati, ma che avrebbero potuto
ignorare col passare del tempo.

Ma Ashton non sarebbe mai guarito dal suo male, Ashton era un morto che camminava.

  
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