May there always
be angels to watch over you
To
guide you each step of the way
To
guard you and keep you safe from all harm
Loo-li,
loo-li, lai-lay
La
porta dei nani era chiusa, sigillata
dalle sue antiche scritture e imponente nella sua grandezza. Gli occhi
di Tauriel
la fissarono a lungo prima di capire che sarebbe rimasta
così sino all’indomani
– o sino a quando Thorin ScudodiQuercia l’avesse
ritenuto opportuno. Era
esattamente come se l’era aspettata: un confine netto tra i
figli della
montagna e quelli del cielo stellato. Nonostante tutto, aveva sentito
il
bisogno di recarsi lì, forse per comprendere quanto le sue
sensazioni potessero
essere errate ed incomprensibili. Dopo averla contemplata a lungo, in
silenzio,
si allontanò, giungendo in uno spiazzo abbastanza ampio,
circondato da alcuni
alberi che erano scampati alla furia del drago. Qui si sedette,
circondata da
rocce e fili d’erba secca, ripensando al verde dei suoi
boschi ormai lontani.
Quella stessa terra sulla quale aveva posato i suoi passi era
però ricca di
memoria: non poteva non provare una certa riverenza
nell’essere circondata da
quelle che erano le rovine di un grande popolo, che aveva affrontato
una grande
battaglia. Nella loro desolazione, quei resti erano la prova di quanto
coraggio
fosse nascosto in quei piccoli uomini.
Il
coraggio.
Era
stato probabilmente quello ad
averla colpita, la prima volta che aveva incontrato i nani di Erebor.
Caparbietà, testardaggine ed orgoglio. Eppure
c’era stata una luce, accecante
come il sole, che aveva veduto quando uno di loro l’aveva
osservata. La sua
curiosità era sempre stata malvista dagli altri elfi
silvani: loro erano
creature immortali e lontane, che mai si sarebbero curate della
sopravvivenza
degli altri popoli della terra di mezzo. Lei invece si era sempre
sentita
diversa, più vicina al mondo di quanto alle alte
creature fosse concesso. Lo sguardo di quel nano aveva
risvegliato la parte
più profonda del suo essere. Avrebbe dovuto considerarlo
irriverente e pieno di
sé, ma in realtà lo aveva sentito vicino come
nessun altro in seicento anni di
vita. Avevano trascorso
poco tempo insieme, ma quello scorcio di mondo che aveva immaginato
accanto a
lui le era bastato per desiderare giorni nuovi, colmi di vita e di
speranza.
Gli aveva salvato la vita due volte, e quello aveva creato un legame
ancora più
forte, privo di ogni logica o spiegazione. Così come
irrazionale quanto forte
era il suo desiderio di poterlo rivedere in quell’istante.
Non sapeva cosa
avrebbe potuto dirgli, ma avrebbe voluto rivedere il suo volto, ancora
una
volta.
Ricordò
improvvisamente come aveva
fronteggiato Smaug, venuto a Pontelagolungo per distruggere gli
abitanti della
città. L’aveva medicato da poco, la magia degli
Eldar non aveva ancora ultimato
il suo percorso, che già si era alzato in piedi brandendo il
suo arco. Ricordò
la rabbia che montò in lei e la preoccupazione che il nano
potesse morire sul
serio, oltre alla paura per le fiamme ardenti che avvolsero la
città. Dopo
avergli sussurrato una marea di insulti nella sua lingua –
che Kili
difficilmente avrebbe compreso – aveva concluso esasperata
“sei una testa dura”. Aveva
fatto poco
caso alla faccia contrariata del nano e alla sua battuta di spirito
legata alla
sua robustezza totale. Smaug
sorvolava le abitazioni, uccidendo chiunque capitasse a tiro, e
mancò poco che
non incenerì anche loro. Fortunatamente, ora giaceva sul
fondo del lago, preda
di un sonno dal quale non si sarebbe più svegliato.
Se
ciò che hai visto accadesse, cosa faresti?
Le
parole di Legolas le risuonarono
chiare nella mente, costringendola a tornare al presente.
Alzò gli occhi, ed
incontrò la sua amata volta stellata. Quei punti di luce si
rifletterono nei
suoi occhi, pieni della loro bellezza ed eternità. Elbereth aveva deciso di illuminare
quella notte più di ogni altra,
chissà poi perché. I nani erano chiusi nella
montagna, e il loro re non voleva
saperne nulla di aiutare gli uomini o di parlamentare con gli elfi. Non
c’era
brillantezza in quel posto, se non quella legata alle monete
d’oro e d’argento
di Thror. Ma per Tauriel, quei punti celesti che la dama delle stelle
aveva
preparato per Manwe, erano molto
più
luminosi di qualsiasi tesoro dei nani. La vastità di
emozioni che provava non
poteva essere definita in alcuna parola delle antiche lingue del mondo.
Così
iniziò a cantare.
Era una melodia antica, quella che fuoriuscì dalle sue
labbra. Le ricordava
tempi mai vissuti, la magia di un popolo al quale nonostante tutto
sarebbe
sempre appartenuta. L’immagine legata a quel canto era
l’unica che le
ricordasse in qualche modo sua madre. Non era una vera e propria
immagine,
chiara e definita: era un calore antico ed avvolgente, che sapeva
rassicurarla
anche nei momenti più bui.
Mentre intonava le ultime parole di quella canzone senza tempo,
avvertì in
maniera impercettibile il rumore di un passo. Si voltò di
scatto fuoriuscendo
il suo pugnale. I suoi occhi, divenuti d’un tratto rigidi e
affilati, si
sciolsero in un attimo impercettibile. Un piccolo uomo la fissava
incantato,
come aveva già fatto molte volte prima d’allora.
Tauriel rimise nella fodera il
pugnale, lentamente, senza saper bene cosa fare, ora che lo aveva
lì davanti a
lei. Kili era ancora immobile al suo posto, sbatteva a tratti le
palpebre,
attraversato da sensazioni inspiegabili a parole.
-
Scusami. Ti ho spaventata.
Riuscì
a dire, mettendo una mano dietro
la testa.
-
Non sei il primo, stanotte. Forse
sono io ad essere un po’ tesa.
Rispose
lei, sedendosi nuovamente. Non
sopportava di doverlo guardare dall’alto, non in quegli
istanti, non dopo tutto
quello che avevano passato insieme. Preferiva guardare i suoi occhi da
pari a
pari, dimenticando cosa li dividesse più di ogni altra cosa
al mondo.
-
Cosa ti preoccupa?
Chiese
lui avvicinandosi. Prese posto
accanto a lei.
-
Il domani.
Sospirò
Tauriel. Abbassò lo sguardo,
sperando che lui non riuscisse a leggerle quella tristezza ed angoscia
che la
sua visione le aveva procurato.
-
Roba da poco, insomma.
Scherzò
Kili, riuscendo a strapparle un
sorriso. Il sorriso. Il suo e
quello
che riusciva a destare in lei. Era stata quella un’altra cosa
ad averla
colpita, nell’immensità del palazzo del Reame
Boscoso. In mezzo a tutta quella
luce straniera, Kili non era riuscito a trattenerlo, e anche in quegli
istanti,
nel bel mezzo dell’oscurità, riusciva a sorridere.
Nella vastità del regno
elfico nel quale era cresciuta, Tauriel aveva visto così
poche volte la luce di
un sorriso, dall’esserne attratta come da una stella.
-
Era molto bella, comunque.
Disse
a un tratto lui, ridestandola dai
suoi pensieri. Probabilmente lesse la confusione negli occhi di lei,
perché si
affrettò ad aggiungere:
-
La canzone. Credo di essermi
incantato ad ascoltarti.
Pronunciò
l’ultima frase quasi come se
fosse naturale aprire i suoi sentimenti a lei. Abbassò
impacciato lo sguardo,
quando si rese conto della forza della sua confessione. Tauriel lo
fissò, senza
proferir parola, sentendo però qualcosa muoversi in lei,
all’altezza del petto.
-
Era una ninnananna, antica come tutte
le nostre canzoni. È l’unico ricordo che mi resta
di mia madre. In realtà non
so se fosse davvero lei a cantarmela, perché non ho
un’immagine chiara a cui
fare appello. Ma nel mio cuore sento che era lei. È una
delle cose più care che
ho.
Spiegò
con affetto. Kili la fissò
intensamente.
-
Lo so. L’ho sentito nella tua voce,
mentre la cantavi. La ami come ami le tue stelle.
Disse,
perché davvero l’aveva sentito.
Davvero aveva compreso. Tauriel alzò lo sguardo verso la
volta celeste, in
parte per le parole di Kili, in parte per nascondere le forti emozioni
che le
coloravano il volto. D’un tratto un pensiero la
sfiorò. Il ricordo di una
conversazione, avvenuta molto tempo prima.
-
Le stelle che tu senti lontane.
Disse,
cercando gli occhi di lui. Kili
fece finta di rimuginarci su, poi alzò lo sguardo.
-
Non sono più così distanti, adesso. Elbereth ti ha mandata da me per questo.
Rispose.
Tauriel si voltò di scatto,
non appena sentì nominare Elbereth.
La dama delle stelle era nota come Varda per la maggior parte della
Terra di
Mezzo, ma Kili aveva usato il nome che solo gli elfi le davano. Stava
per
chiedergli come avesse fatto ad apprenderlo, quando lui la
fissò intensamente.
Accennò un sorriso.
-
Melda heri Tauriel.
La
luce di Ilùvatar ancora ti splende in volto.
L’elfo
spalancò gli occhi, non
riuscendo a celare la sua sorpresa. Un nano
aveva recitato per lei una frase delle antiche leggende, legata alla
dama delle
stelle. Kili sembrò compiaciuto dell’effetto che
la sua frase ebbe su Tauriel,
e cercando di nascondere un ampio sorriso, volse gli occhi nuovamente
al cielo.
Una volta interrotto quel contatto d’iridi, l’elfo
sembrò risvegliarsi. La
figura accanto a lei aveva davvero inteso cosa le aveva detto? Melda heri. La cosa certa era che o
aveva imparato l’elfico in sogno, per volere dei Valar,
oppure si era impegnato
a studiarlo dopo averla incontrata. In entrambi i casi, un sorriso
spontaneo riuscì
comunque a colorarle il volto. Tauriel seguì l’
esempio del giovane e osservò
quelle costellazioni che tante altre volte aveva veduto; in
quell’istante le
sembrarono brillare di una nuova luce. All’improvviso
sentì un calore familiare
sfiorarle il dorso della mano. Era un tocco esitante, delicato, di dita
ruvide
che cercavano le sue. Aprì appena le sue dita, quel poco che
permettesse loro
di intrecciarsi, e subito sentì il tocco di lui farsi
più sicuro, e stringerla
nel suo calore. Quelle mani, che si erano cercate altre volte, ed una
volta
sola si erano trovate, erano di nuovo insieme, come se solo in
quell’istante
avessero trovato pace.
Rimasero in silenzio per un po’, il tempo di farsi inondare
da quel calore che
si trasmettevano tramite le loro mani unite. La miriade di sensazioni
che li
travolse non potrebbe comunque essere spiegata in nessuna delle lingue
correnti. Poco dopo Tauriel alzò la mano destra indicando il
cielo.
-
Telumehtar.
Credo sia la tua costellazione. Non l’ho mai vista
così brillante come questa
notte.
Osservò,
destando la curiosità di lui.
-
Cosa vuol dire?
Chiese
Kili, con un ampio sorriso. Era
animato da una curiosità che la rassomigliava molto.
-
Che non hai armi molto potenti.
Rispose
Tauriel, con una smorfia. Lui
la fissò di scatto, talmente sincero nella sua delusione da
strapparle un
risolino soffocato, che rivelò lo scherzo
dell’elfo silvano.
-
Sto scherzando. Credevo avessi
imparato l’elfico, per la grazia dei Valar. È il
soldato del cielo. La sua arma
è una spada, corta e larga. Tu sei un’arciere, ma
credo che il vostro spirito
vi accomuni.
Spiegò.
Tuttavia lui non era disposto a
perdonarle il piccolo scherzo.
-
Brava, prendimi in giro. Per la
cronaca, non ho le orecchie a punta, io. Avevo imparato appositamente
quella
frase e ci ho messo così tanto per memorizzarla.. pensa che
ho provato più
volte a recitarla a mio fratello, ma sono sempre stato mandato da
Ilùvatar. Non
è molto romantico.
Disse
risentito, senza riuscire a celare
un sorriso. Tauriel nascose un risolino con la mano, immaginando Kili
mentre
recitava al fratello più grande i versi di Elbereth.
-
Guarda come si diverte. Non
lamentarti quando ti farò visitare le sale di Erebor e ti
lascerò nel cuore
della montagna, tra indicazioni che non sai interpretare per trovare
l’uscita. Allora
sì che ti sembrerò un’arma potente. Allora
riderò io.
Disse
il nano, con superiorità. Aveva
una naturalezza così travolgente che Tauriel
spalancò gli occhi, immaginandosi
già lì.
-
Non oseresti.
Rispose
lei. Non riusciva a celare il
suo sorriso nemmeno per sbeffeggiarlo.
-
Hai visitato il palazzo reale elfico
ed è questa la tua riconoscenza?
Chiese,
fingendosi altezzosa.
-
Oh certo, grazie per avermi catturato
come un coniglio ed avermi permesso così di visitare le
celle e le cantine
elfiche. Bei barili, a proposito. Da collezione.
Tauriel
boccheggiò, tra l’indignazione
e il divertimento.
-
Dì quello che vuoi, ma ti sono stata
accanto. Perciò non oserai lasciarmi da sola nel cuore della
montagna!
Esclamò,
avvicinando il suo volto a
quello di lui. I suoi occhi grandi sembravano realmente offesi, persi
nel gioco
dove insieme si erano avventurati. Kili invece si ridestò da
quel sogno proprio
in quell’istante.
-
Non ti lascerei.
Disse,
facendole mancare un battito. Anche
Tauriel si ridestò dall’illusione di essere
già nelle sale di Erebor, e si
ritrovò improvvisamente accanto a lui, più vicina
di quanto lo fosse mai stata.
I suoi occhi presero a brillare. Kili alzò la mano libera
per sfiorarle la
guancia, esplorando delicatamente i suoi tratti, come se lei potesse
svanire da
un momento all’altro.
-
Non ti lascio.
Sussurrò,
avvicinandosi. L’emozione del
momento fu palpabile. I respiri dei due erano ormai così
vicini da unirsi, i
loro occhi indugiavano sul viso dell’altro. Fu allora che
accadde: le loro
labbra si sfiorarono. Fu un tocco delicato, atteso ed incerto, come lo
erano
state le loro mani la prima volta che si erano trovate. Dopo il primo
tocco, entrambi
persero il senso della situazione, del mondo che li circondava. Il loro
bacio
diventava sempre più forte, passionale e disperato,
perché nel suo silenzio
erano sospese tutte le paure e le incertezze che in realtà
li dividevano. Ma in
quel momento non c’era nulla a dividerli: lei si
aggrappò alle sue spalle possenti,
lui esplorò la morbidezza dei suoi capelli infuocati.
Cercarono così di
comprendere quella scintilla che li aveva uniti sin dal primo istante,
quella
intensità di un contatto desiderato a lungo, celato a tutti,
tranne che a loro
stessi. Perché lontano dal reame boscoso, fuori dalla
montagna solitaria, non
erano più un nano ed un elfo troppo diversi perfino per
comprendersi: erano un
uomo ed una donna che si erano sentiti legati sin dal primo sguardo,
che si
erano desiderati profondamente, in un modo che solo Ilùvatar
poteva immaginare.
Quel bacio suggellò un sentimento diverso quanto profondo.
Qualcosa che solo
loro, nel loro essere uguali, compresero.
A poco a poco l’irruenza del loro gesto si
acquietò. Si ritrovarono uno davanti
all’altra, in ginocchio, fronte contro fronte, mentre si
osservavano, rossi in
volto e col respiro irregolare.
-
Credi che avrebbe potuto amarmi?
Chiese
Kili, lasciando Tauriel senza
parole. Quella era stata una domanda fatta in un delirio febbrile, e
l’elfo mai
avrebbe creduto di poterla udire ancora. Indugiò a lungo sui
suoi occhi, poi
sulle sue labbra, chiudendo appena le palpebre. Poi lo
guardò, intensamente.
-
Li
melin, hir vuin.
Rispose.
Erano le parole più vicine al
suo cuore che potesse pronunciare, nonostante sapesse che lui non
poteva
comprenderle. Kili la fissò, e le carezzò
nuovamente il volto.
-
Anch’io.
Rispose.
Perché nonostante non
conoscesse le parole, aveva compreso il sentimento della sua voce.
-
Anche se non ho le orecchie a punta.
Aggiunse
poi, strappandole un
meraviglioso sorriso.
Note:
Melda heri Tauriel: mia amata Tauriel
L’altra frase si scoprirà a tempo
debito. Se avete letto il Silmarillion,
saprete che Elbereth/Varda è la dama delle Stelle, sposa di
Manwe, signore dei
Valar. Ho unito a questo capitolo un po’ delle mie ultime
letture, assieme alla
costellazione di Telumehtar.
“La luce di Ilùvatar
ancora ti splende in
volto” ovviamente è una citazione del
maestro Tolkien, sempre dal
Silmarillion.