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Autore: ValHerm    26/04/2014    2 recensioni
La terra era la culla di coloro che avrebbero riposato in eterno, il cielo era denso di nuvole cupe, prossime al pianto. La montagna si ergeva più maestosa di tutto il resto, e osservava. Osservava la fine dei suoi figli, che combattevano per i propri fratelli, e per lei. Lei che era il simbolo di una casa ormai perduta. In quegli attimi così pieni di urla e terrore, in quello spiazzo regnava il silenzio. Sembrava quasi che una cupola avesse abbracciato i due che giacevano l'uno accanto all’altra, per permettere loro di poter salutare il mondo e tornare a casa.
[KilixTauriel, post Desolazione di Smaug]
Genere: Malinconico, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kili, Legolas, Tauriel, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: Spoiler!
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May there always be angels to watch over you
To guide you each step of the way
To guard you and keep you safe from all harm
Loo-li, loo-li, lai-lay


La porta dei nani era chiusa, sigillata dalle sue antiche scritture e imponente nella sua grandezza. Gli occhi di Tauriel la fissarono a lungo prima di capire che sarebbe rimasta così sino all’indomani – o sino a quando Thorin ScudodiQuercia l’avesse ritenuto opportuno. Era esattamente come se l’era aspettata: un confine netto tra i figli della montagna e quelli del cielo stellato. Nonostante tutto, aveva sentito il bisogno di recarsi lì, forse per comprendere quanto le sue sensazioni potessero essere errate ed incomprensibili. Dopo averla contemplata a lungo, in silenzio, si allontanò, giungendo in uno spiazzo abbastanza ampio, circondato da alcuni alberi che erano scampati alla furia del drago. Qui si sedette, circondata da rocce e fili d’erba secca, ripensando al verde dei suoi boschi ormai lontani. Quella stessa terra sulla quale aveva posato i suoi passi era però ricca di memoria: non poteva non provare una certa riverenza nell’essere circondata da quelle che erano le rovine di un grande popolo, che aveva affrontato una grande battaglia. Nella loro desolazione, quei resti erano la prova di quanto coraggio fosse nascosto in quei piccoli uomini.

Il coraggio.

Era stato probabilmente quello ad averla colpita, la prima volta che aveva incontrato i nani di Erebor. Caparbietà, testardaggine ed orgoglio. Eppure c’era stata una luce, accecante come il sole, che aveva veduto quando uno di loro l’aveva osservata. La sua curiosità era sempre stata malvista dagli altri elfi silvani: loro erano creature immortali e lontane, che mai si sarebbero curate della sopravvivenza degli altri popoli della terra di mezzo. Lei invece si era sempre sentita diversa, più vicina al mondo di quanto alle alte creature fosse concesso. Lo sguardo di quel nano aveva risvegliato la parte più profonda del suo essere. Avrebbe dovuto considerarlo irriverente e pieno di sé, ma in realtà lo aveva sentito vicino come nessun altro in seicento anni di vita. Avevano trascorso poco tempo insieme, ma quello scorcio di mondo che aveva immaginato accanto a lui le era bastato per desiderare giorni nuovi, colmi di vita e di speranza. Gli aveva salvato la vita due volte, e quello aveva creato un legame ancora più forte, privo di ogni logica o spiegazione. Così come irrazionale quanto forte era il suo desiderio di poterlo rivedere in quell’istante. Non sapeva cosa avrebbe potuto dirgli, ma avrebbe voluto rivedere il suo volto, ancora una volta.

Ricordò improvvisamente come aveva fronteggiato Smaug, venuto a Pontelagolungo per distruggere gli abitanti della città. L’aveva medicato da poco, la magia degli Eldar non aveva ancora ultimato il suo percorso, che già si era alzato in piedi brandendo il suo arco. Ricordò la rabbia che montò in lei e la preoccupazione che il nano potesse morire sul serio, oltre alla paura per le fiamme ardenti che avvolsero la città. Dopo avergli sussurrato una marea di insulti nella sua lingua – che Kili difficilmente avrebbe compreso – aveva concluso esasperata “sei una testa dura”. Aveva fatto poco caso alla faccia contrariata del nano e alla sua battuta di spirito legata alla sua robustezza totale. Smaug sorvolava le abitazioni, uccidendo chiunque capitasse a tiro, e mancò poco che non incenerì anche loro. Fortunatamente, ora giaceva sul fondo del lago, preda di un sonno dal quale non si sarebbe più svegliato.

Se ciò che hai visto accadesse, cosa faresti?

Le parole di Legolas le risuonarono chiare nella mente, costringendola a tornare al presente. Alzò gli occhi, ed incontrò la sua amata volta stellata. Quei punti di luce si rifletterono nei suoi occhi, pieni della loro bellezza ed eternità. Elbereth aveva deciso di illuminare quella notte più di ogni altra, chissà poi perché. I nani erano chiusi nella montagna, e il loro re non voleva saperne nulla di aiutare gli uomini o di parlamentare con gli elfi. Non c’era brillantezza in quel posto, se non quella legata alle monete d’oro e d’argento di Thror. Ma per Tauriel, quei punti celesti che la dama delle stelle aveva preparato per Manwe, erano molto più luminosi di qualsiasi tesoro dei nani. La vastità di emozioni che provava non poteva essere definita in alcuna parola delle antiche lingue del mondo. Così iniziò a cantare.


Era una melodia antica, quella che fuoriuscì dalle sue labbra. Le ricordava tempi mai vissuti, la magia di un popolo al quale nonostante tutto sarebbe sempre appartenuta. L’immagine legata a quel canto era l’unica che le ricordasse in qualche modo sua madre. Non era una vera e propria immagine, chiara e definita: era un calore antico ed avvolgente, che sapeva rassicurarla anche nei momenti più bui.
Mentre intonava le ultime parole di quella canzone senza tempo, avvertì in maniera impercettibile il rumore di un passo. Si voltò di scatto fuoriuscendo il suo pugnale. I suoi occhi, divenuti d’un tratto rigidi e affilati, si sciolsero in un attimo impercettibile. Un piccolo uomo la fissava incantato, come aveva già fatto molte volte prima d’allora. Tauriel rimise nella fodera il pugnale, lentamente, senza saper bene cosa fare, ora che lo aveva lì davanti a lei. Kili era ancora immobile al suo posto, sbatteva a tratti le palpebre, attraversato da sensazioni inspiegabili a parole.

- Scusami. Ti ho spaventata.

Riuscì a dire, mettendo una mano dietro la testa.

- Non sei il primo, stanotte. Forse sono io ad essere un po’ tesa.

Rispose lei, sedendosi nuovamente. Non sopportava di doverlo guardare dall’alto, non in quegli istanti, non dopo tutto quello che avevano passato insieme. Preferiva guardare i suoi occhi da pari a pari, dimenticando cosa li dividesse più di ogni altra cosa al mondo.

- Cosa ti preoccupa?

Chiese lui avvicinandosi. Prese posto accanto a lei.

- Il domani.

Sospirò Tauriel. Abbassò lo sguardo, sperando che lui non riuscisse a leggerle quella tristezza ed angoscia che la sua visione le aveva procurato.

- Roba da poco, insomma.

Scherzò Kili, riuscendo a strapparle un sorriso. Il sorriso. Il suo e quello che riusciva a destare in lei. Era stata quella un’altra cosa ad averla colpita, nell’immensità del palazzo del Reame Boscoso. In mezzo a tutta quella luce straniera, Kili non era riuscito a trattenerlo, e anche in quegli istanti, nel bel mezzo dell’oscurità, riusciva a sorridere. Nella vastità del regno elfico nel quale era cresciuta, Tauriel aveva visto così poche volte la luce di un sorriso, dall’esserne attratta come da una stella.

- Era molto bella, comunque.

Disse a un tratto lui, ridestandola dai suoi pensieri. Probabilmente lesse la confusione negli occhi di lei, perché si affrettò ad aggiungere:

- La canzone. Credo di essermi incantato ad ascoltarti.

Pronunciò l’ultima frase quasi come se fosse naturale aprire i suoi sentimenti a lei. Abbassò impacciato lo sguardo, quando si rese conto della forza della sua confessione. Tauriel lo fissò, senza proferir parola, sentendo però qualcosa muoversi in lei, all’altezza del petto.

- Era una ninnananna, antica come tutte le nostre canzoni. È l’unico ricordo che mi resta di mia madre. In realtà non so se fosse davvero lei a cantarmela, perché non ho un’immagine chiara a cui fare appello. Ma nel mio cuore sento che era lei. È una delle cose più care che ho.

Spiegò con affetto. Kili la fissò intensamente.

- Lo so. L’ho sentito nella tua voce, mentre la cantavi. La ami come ami le tue stelle.

Disse, perché davvero l’aveva sentito. Davvero aveva compreso. Tauriel alzò lo sguardo verso la volta celeste, in parte per le parole di Kili, in parte per nascondere le forti emozioni che le coloravano il volto. D’un tratto un pensiero la sfiorò. Il ricordo di una conversazione, avvenuta molto tempo prima.

- Le stelle che tu senti lontane.

Disse, cercando gli occhi di lui. Kili fece finta di rimuginarci su, poi alzò lo sguardo.

- Non sono più così distanti, adesso. Elbereth ti ha mandata da me per questo.

Rispose. Tauriel si voltò di scatto, non appena sentì nominare Elbereth. La dama delle stelle era nota come Varda per la maggior parte della Terra di Mezzo, ma Kili aveva usato il nome che solo gli elfi le davano. Stava per chiedergli come avesse fatto ad apprenderlo, quando lui la fissò intensamente. Accennò un sorriso.

- Melda heri Tauriel. La luce di Ilùvatar ancora ti splende in volto.

L’elfo spalancò gli occhi, non riuscendo a celare la sua sorpresa. Un nano aveva recitato per lei una frase delle antiche leggende, legata alla dama delle stelle. Kili sembrò compiaciuto dell’effetto che la sua frase ebbe su Tauriel, e cercando di nascondere un ampio sorriso, volse gli occhi nuovamente al cielo. Una volta interrotto quel contatto d’iridi, l’elfo sembrò risvegliarsi. La figura accanto a lei aveva davvero inteso cosa le aveva detto? Melda heri. La cosa certa era che o aveva imparato l’elfico in sogno, per volere dei Valar, oppure si era impegnato a studiarlo dopo averla incontrata. In entrambi i casi, un sorriso spontaneo riuscì comunque a colorarle il volto. Tauriel seguì l’ esempio del giovane e osservò quelle costellazioni che tante altre volte aveva veduto; in quell’istante le sembrarono brillare di una nuova luce. All’improvviso sentì un calore familiare sfiorarle il dorso della mano. Era un tocco esitante, delicato, di dita ruvide che cercavano le sue. Aprì appena le sue dita, quel poco che permettesse loro di intrecciarsi, e subito sentì il tocco di lui farsi più sicuro, e stringerla nel suo calore. Quelle mani, che si erano cercate altre volte, ed una volta sola si erano trovate, erano di nuovo insieme, come se solo in quell’istante avessero trovato pace.
Rimasero in silenzio per un po’, il tempo di farsi inondare da quel calore che si trasmettevano tramite le loro mani unite. La miriade di sensazioni che li travolse non potrebbe comunque essere spiegata in nessuna delle lingue correnti. Poco dopo Tauriel alzò la mano destra indicando il cielo.

- Telumehtar. Credo sia la tua costellazione. Non l’ho mai vista così brillante come questa notte.

Osservò, destando la curiosità di lui.

- Cosa vuol dire?

Chiese Kili, con un ampio sorriso. Era animato da una curiosità che la rassomigliava molto.

- Che non hai armi molto potenti.

Rispose Tauriel, con una smorfia. Lui la fissò di scatto, talmente sincero nella sua delusione da strapparle un risolino soffocato, che rivelò lo scherzo dell’elfo silvano.

- Sto scherzando. Credevo avessi imparato l’elfico, per la grazia dei Valar. È il soldato del cielo. La sua arma è una spada, corta e larga. Tu sei un’arciere, ma credo che il vostro spirito vi accomuni.

Spiegò. Tuttavia lui non era disposto a perdonarle il piccolo scherzo.

- Brava, prendimi in giro. Per la cronaca, non ho le orecchie a punta, io. Avevo imparato appositamente quella frase e ci ho messo così tanto per memorizzarla.. pensa che ho provato più volte a recitarla a mio fratello, ma sono sempre stato mandato da Ilùvatar. Non è molto romantico.

Disse risentito, senza riuscire a celare un sorriso. Tauriel nascose un risolino con la mano, immaginando Kili mentre recitava al fratello più grande i versi di Elbereth.

- Guarda come si diverte. Non lamentarti quando ti farò visitare le sale di Erebor e ti lascerò nel cuore della montagna, tra indicazioni che non sai interpretare per trovare l’uscita. Allora sì che ti sembrerò un’arma potente. Allora riderò io.

Disse il nano, con superiorità. Aveva una naturalezza così travolgente che Tauriel spalancò gli occhi, immaginandosi già lì.

- Non oseresti.

Rispose lei. Non riusciva a celare il suo sorriso nemmeno per sbeffeggiarlo.

- Hai visitato il palazzo reale elfico ed è questa la tua riconoscenza?

Chiese, fingendosi altezzosa.

- Oh certo, grazie per avermi catturato come un coniglio ed avermi permesso così di visitare le celle e le cantine elfiche. Bei barili, a proposito. Da collezione.

Tauriel boccheggiò, tra l’indignazione e il divertimento.

- Dì quello che vuoi, ma ti sono stata accanto. Perciò non oserai lasciarmi da sola nel cuore della montagna!

Esclamò, avvicinando il suo volto a quello di lui. I suoi occhi grandi sembravano realmente offesi, persi nel gioco dove insieme si erano avventurati. Kili invece si ridestò da quel sogno proprio in quell’istante.

- Non ti lascerei.

Disse, facendole mancare un battito. Anche Tauriel si ridestò dall’illusione di essere già nelle sale di Erebor, e si ritrovò improvvisamente accanto a lui, più vicina di quanto lo fosse mai stata. I suoi occhi presero a brillare. Kili alzò la mano libera per sfiorarle la guancia, esplorando delicatamente i suoi tratti, come se lei potesse svanire da un momento all’altro.

- Non ti lascio.

Sussurrò, avvicinandosi. L’emozione del momento fu palpabile. I respiri dei due erano ormai così vicini da unirsi, i loro occhi indugiavano sul viso dell’altro. Fu allora che accadde: le loro labbra si sfiorarono. Fu un tocco delicato, atteso ed incerto, come lo erano state le loro mani la prima volta che si erano trovate. Dopo il primo tocco, entrambi persero il senso della situazione, del mondo che li circondava. Il loro bacio diventava sempre più forte, passionale e disperato, perché nel suo silenzio erano sospese tutte le paure e le incertezze che in realtà li dividevano. Ma in quel momento non c’era nulla a dividerli: lei si aggrappò alle sue spalle possenti, lui esplorò la morbidezza dei suoi capelli infuocati. Cercarono così di comprendere quella scintilla che li aveva uniti sin dal primo istante, quella intensità di un contatto desiderato a lungo, celato a tutti, tranne che a loro stessi. Perché lontano dal reame boscoso, fuori dalla montagna solitaria, non erano più un nano ed un elfo troppo diversi perfino per comprendersi: erano un uomo ed una donna che si erano sentiti legati sin dal primo sguardo, che si erano desiderati profondamente, in un modo che solo Ilùvatar poteva immaginare. Quel bacio suggellò un sentimento diverso quanto profondo. Qualcosa che solo loro, nel loro essere uguali, compresero.


A poco a poco l’irruenza del loro gesto si acquietò. Si ritrovarono uno davanti all’altra, in ginocchio, fronte contro fronte, mentre si osservavano, rossi in volto e col respiro irregolare.

- Credi che avrebbe potuto amarmi?

Chiese Kili, lasciando Tauriel senza parole. Quella era stata una domanda fatta in un delirio febbrile, e l’elfo mai avrebbe creduto di poterla udire ancora. Indugiò a lungo sui suoi occhi, poi sulle sue labbra, chiudendo appena le palpebre. Poi lo guardò, intensamente.

- Li melin, hir vuin.

Rispose. Erano le parole più vicine al suo cuore che potesse pronunciare, nonostante sapesse che lui non poteva comprenderle. Kili la fissò, e le carezzò nuovamente il volto.

- Anch’io.

Rispose. Perché nonostante non conoscesse le parole, aveva compreso il sentimento della sua voce.

- Anche se non ho le orecchie a punta.

Aggiunse poi, strappandole un meraviglioso sorriso.

 

Note:
Melda heri Tauriel: mia amata Tauriel
L’altra frase si scoprirà a tempo debito. Se avete letto il Silmarillion, saprete che Elbereth/Varda è la dama delle Stelle, sposa di Manwe, signore dei Valar. Ho unito a questo capitolo un po’ delle mie ultime letture, assieme alla costellazione di Telumehtar.
La luce di Ilùvatar ancora ti splende in volto” ovviamente è una citazione del maestro Tolkien, sempre dal Silmarillion.

  
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