Mi lasciarono andare. Avevo caldo. Molto caldo. Ero calda
e palpitante. La mia gola era in fiamme. Più che in fiamme. Il mio stomaco si
contorceva incessantemente.
Mi alzai e mi diressi di corsa verso il vecchio
lavatoio. Vomitai l’anima, a scatti violenti e laceranti. Una di loro corse
verso di me e mi sollevò con forza i capelli. Continuai a gettare conati
bollenti nel lavello per qualche minuto, finché nuove lacrime salirono ai miei
occhi ed il naso cominciò a gocciolare copiosamente.
Uno strozzato gemito mi avvertì della fine. Rimasi a
testa in giù ancora per un attimo, fissando ciò che fino ad ora aveva vagato
nelle mie piccole interiora.
Acqua.
Acqua.
C’era l’acqua.
La
corrente ci separa, ultimo ostacolo da superare, ultima prova da affrontare per
ricevere il premio finale. Non sento urla. Siamo tranquilli. Sono tranquilla. L’acqua
era deliziosamente gelida.
Mi
trascinò per un po’, poi cacciai la testa sotto. Tutto di me era acqua. Io ero
acqua. Io ero corrente. Io ero risacca, ero onda. Fino a quando persi il
respiro, la determinazione non mi abbandonò. Ma poi, eccolo, inevitabile. L’istinto
di sopravvivenza fatica ad abbandonarci.
-Voglio
vivere.-
-No,
non lo vuoi, non puoi più.-
-io
voglio vivere. Voglio respirare. Voglio amare. L’aldilà non esiste. Vivere
ora.-
-No,
zitta, la vita è tormento e dannazione. Là, è meglio di qua. –
-Ma
io…-
Cercare
di raggiungere la luce, la luce, la luce, la luce buona, la luce vitale, non
gli abissi oscuri… il tempo è scaduto, la carezza vitale mi abbandona… ho
davvero amato e vissuto… ed ho scelto il dubbio…. Ho scelto… il mio castigo….
Acqua. Acqua. Avevo vomitato la morte. Se davvero
avevo sconfitto la morte, cosa ero? Stavo vivendo una pallida imitazione della
vita, o davvero ero scesa nell’ade, buttando la posta in gioco? Acqua. Acqua.
-Va meglio?- mi chiese la piccola.
-Mmm.. mm..-
passai la manica logora sulla bocca.
-è normale, dopo tutto questo… ci sentiamo tutte un po’…-
-Un po’, Cat? Un po’? Io vorrei uccidermi di nuovo,
qui, ADESSO, vorrei essere in pace, vorrei il nero ed il buio, ma, che cazzo,
non posso riposare!!! Perché DIO MI VUOLE QUI?- ululò la biondina.
-Dio non esiste, idiota- sussurrò Carolina. –Dio non
esiste. Noi siamo sole. Noi siamo sole. Nessuno ci aiuterà mai. Questa è la
morte. Questo è l’inferno. Tutto ciò è fine. Siamo scese qua per vivere un’eternità
di dolore, dietro ogni porta c’è dolore, c’è l’infinità di sofferenza. Dio è
solo qui- le afferrò la testolina-tu odi il tuo dio per non averti presa con sé.
Tu odi te stessa per non avere trovato la forza di continuare. Ma, vedi, mia
piccola amica, il tuo dio non esiste. Il tuo dio è sempre stato solo una figura
obbediente alle tue risorse, ed ora che ha mancato la sua ultima promessa, il
tuo odio ti sta trascinando qui. Con noi. Sei morta, amore mio, ti sei uccisa,
e questo è ciò che hai trovato sotto la botola in cantina. - scaraventò il corpicino a terra, dura e
bellissima. Carol era morta dentro prima di esserlo fuori.
Maria riprese a piagnucolare, devastata e vuota.
-Sei perfida. Sei peggiore di quanto immaginassi. –
la accusò Vera, in un tono di rimprovero da vecchia signora.
-Oh, davvero? E cosa pensi di fare, lurida vecchia,
uccidermi forse? IO SONO MORTA! Tu sei morta! Perciò riponi quello sguardo con
me, anima in pena, perché questo è soltanto l’assaggio di ciò che stiamo per
patire!- ghignò Carol, deliziosamente folle.
-Cosa te lo fa pensare? – chiese Costanza, che finora
era rimasta muta ad osservare.
-Come?-
-Cosa ti fa pensare che stiamo per soffrire?- ripetè
timidamente.
Carol sorrise di nuovo, sicura e ferma.
-Bambolina, bella bambolina, non dirmi che non hai
sentito chi sussurra dietro le tende quando hai aperto quei bei occhietti
azzurri e hai scoperto che, oh oh, non eri tra le nuvole con ali e aureola a
suonare la tua arpa, ma eri finita in un blutto,
blutto sogno cattivo!!!-
Tutte noi ci guardammo. Vidi il panico serpeggiare di
volto in volto, i piccoli occhi spalancarsi per l’orrore, e un comune senso di
rinnovata paura.
-Volete dire che…-
-Sentite anche voi…-
-Quello che…-
-Le finestre! Le finestre! Non sono riuscita ad
avvicinarmi…-
Ci voltammo tutte quasi istantaneamente verso la
grande tenda. Corremmo con tutta la forza che le gambe ci permettevano, ed io
mi aggrappai alla tenda, provando di nuovo un disagio fisico, uno sgradevole
rimestio nelle interiora, finché non sgusciai aldilà di essa, annegando
nuovamente nel mare di panno. E vidi.
-Cosa vedi, Flora?-
-Dove siamo? In collina, su una roccia… dove ci
troviamo?-
-Flora?-
-Cosa vedi?-
E vidi. Vidi. Non credevo. Tutti i miei insegnamenti
si rifiutavano di credervi. Ma fu così che accettai ciò che vi era aldilà della
finestra. Ho sempre rinnegato gli insegnamenti che ho ricevuto.
Deglutii.
-Nulla.-
Di nuovo polvere. Polvere bianca. Ma niente nuvole. Niente
ali e niente arpe, niente tonache svolazzanti. Eravamo sedute sul davanzale, a
fissare il nostro presente.
Un vuoto.
Nessuna ebbe il coraggio di dire nulla. Non c’era
bisogno di parole. Tutto quello che c’era da dire aleggiava nell’atmosfera di
eternità davanti a noi. Era bella. Tiepida, accogliente. Era il coma. Era il
punto di non ritorno. Era il tunnel. Non era buio.
Il tunnel era bianco.
Soprattutto. Non c’era alcuna luce. La luce sembrava
non esistere. Forse non esisteva davvero. Il castello costituiva una bolla a
parte. In viaggio. In arrivo. O in partenza. Oppure, per sempre ferme. Per sempre
timide boe galleggianti nel mare dell’oblio.
Tenendoci tutte per mano, cominciammo a cantare.
La nota aria salì alle nostre gole prima che avessimo
il tempo di realizzare ciò che stavamo motivando. La canzone si chiamava Greensleeves.
Alas my love you do me wrong
To cast me off discourteously;
And I have loved you oh so long
Delighting in your company.
Greensleeves was my delight,
Greensleeves my heart of gold
Greensleeves was my heart of joy
And who but my lady Greensleeves.
Greensleeves, Greensleeves significava La Vita.