Anime & Manga > Naruto
Ricorda la storia  |       
Autore: SkyEventide    30/07/2008    3 recensioni
Nell'ospedale di Konoha molte donne vanno a partorire. Ma poche ci vanno sapendo che il loro figlio non sarà amato, non è desiderato, poche ci vanno sapendo quanto sarà difficile crescere la creatura che daranno alla luce. Specie se quella creatura è figlia del disprezzo più profondo. Però, alcune volte, il destino riserva una sorte ben più atroce di quanto chiunque possa immaginare. Terza classificata al concorso "Maternità" di SweetAudy. Buona lettura!
Genere: Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kabuto Yakushi, Shizune, Tsunade
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

-1-
Makoto - Verità



I corridoi le erano sembrati più lunghi, quella volta. Le porte delle stanze private erano scorse una dopo l’altra, tutte uguali, sotto i suoi occhi neri, gonfi, arrossati. Quei corridoi le erano parsi interminabili, eppure erano finiti troppo presto.
Era stata decine, centinaia di altre volte in quell’ospedale, e sempre era rimasta nell’edificio con entusiasmo a curare l’ennesimo paziente. Mai aveva desiderato come in quel momento di trovarsi da tutt’altra parte.
Aveva preso quella decisione con sofferenza, secondo l’etica di un medico, quella che ogni vita va salvata. E Tsunade, per la prima volta, non era stata d’accordo con lei. Lei, lei che aveva sempre cercato di far ragionare la sua maestra quando giocava troppo, quando beveva, quando si trovava fra due fuochi e doveva capire da che parte stare, adesso si comportava in modo così irrazionale, così immaturo.
«Non pensare che sarà questo a liberarti dal peso che senti!» l’aveva rimproverata, con le sopracciglia aggrottate e quell’espressione così risoluta, così autoritaria. «Stai sbagliando. Non avrai mai nessuna serenità, scegliendo questa strada».
Cos’era stato a farle intraprendere quella via, a fare quella scelta?
Le immagini di ciò che le era accaduto le erano rimaste marchiate a fuoco nella retina. Aveva perso un combattimento contro di lui, lui contro cui aveva già perso una volta. E per conseguenza il suo avversario l’aveva voluta umiliare. Le aveva voluto far sentire che era più debole, mostrando una dose di sadismo, cattiveria, che nessuno avrebbe mai attribuito a quel viso da bravo ragazzo, con quel sorriso disponibile che esibiva sempre.
Con lei non aveva dissimulato. Dopo averla vinta in duello di jutsu, aveva desiderato vincerla anche sull’orgoglio.
Vedendo i suoi occhi abbassarsi a guardarsi i piedi e la sua vergogna palesarsi, Tsunade aveva deviato su un tono meno aggressivo ma pur sempre duro, realistico. «Non ti devi sentire in colpa. Ma io non ritengo sia la cosa giusta. Te ne sei innamorata, per caso?».
Lei sapeva di non poter reggere lo sguardo indagatore degli occhi nocciola della Godaime. «Ti ha stuprato, Shizune». Che tono impietoso che aveva usato. Forse per cercare di farla ragionare. «Se pensi di esserti innamorata, ti sbagli. Cerchi solo di giustificarti, di cancellare l’onta o di motivare a te stessa perché non hai reagito».
Non aveva ribattuto; ostinata, non aveva fatto altro che guardare il pavimento.
Non aveva avuto il coraggio di far uccidere quel bambino, forse a causa di un vibrante istinto materno che l’aveva assalita, forse per un’ingenua speranza che c’era stato qualcosa di buono. Aveva rifiutato, sempre e comunque, anche quando Tsunade le aveva detto che non avrebbe rivelato niente a nessuno ed avrebbe eseguito lei stessa l’intervento, con il solo supporto di Sakura e nessun altro che potesse intromettersi in quei fatti privati.
Shizune aveva detto di no.
E così eccola, distesa su un lettino e portata nella sala parto del nosocomio, col cuore in gola, con fitte, doglie, ansia, dolore, insicurezza. Sarebbe stata un’infermiera a tenerle la mano; il suo bambino lo avrebbe preso in braccio un’infermiera, non il padre che non aveva.
La Godaime le aveva detto anche questo, come ultimo, rabbioso tentativo di dissuaderla. «Questo bambino non ha passato e non avrà futuro. Non ti aiuterà, Shizune, sarà solo la tua sofferenza, il ricordo di quello che è avvenuto! La sua presenza qui, a Konoha… credi davvero che potrà aiutare te, o il villaggio?».
L’aveva ammonita anche con queste ultime frasi, ma anche a queste lei non aveva voluto pensare. Era sul lettino dell’ospedale adesso… ed iniziava ad avvertire un dolore tremendo.

Sentiva la testa pulsare. Era confusa, era spaventata, ed i sensi non l’aiutavano. La vista era offuscata, e il dolore era stato tanto…
Era convinta di aver pianto; continuava a sentire le palpebre appiccicarsi, incollate da lacrime secche e dalla stanchezza. Le voci erano confuse; alle volte parlottavano, altre volte si chiamavano ad alta voce fra di loro. L’intuito le diceva che la guardavano, le lanciavano occhiate fugaci.
Mentre, da qualche parte nell’altra stanza, c’era suo figlio.
Suo figlio.
A quell’unico pensiero la paura e la confusione mutarono lentamente in una sorda tranquillità.
Suo figlio, quel bambino che nessuno voleva ma che lei, si rese conto, aveva desiderato con tutta se stessa, fino al punto di mettersi contro i consigli di Tsunade; lo aveva desiderato nonostante tutto il dolore che sapeva le avrebbe arrecato.
La bocca screpolata si tese lentamente in un sorriso, dapprima incerto, poi impossibile da trattenere, tanto l’aveva anelato; gli occhi chiusi sul buio si inumidirono di nuove lacrime felici.
Konoha non voleva suo figlio. Ma lei sarebbe stata comunque una buona madre.
Le palpebre pesanti si aprirono sul soffitto bianco e accecante della stanza del nosocomio e le pupille nere ruotarono di lato. Muovere il collo le faceva male.
Due ninja medici e un’infermiera che lei stessa aveva addestrato parlottavano fra loro, figure sfocate nel suo campo visivo. Avevano sul viso quell’espressione accigliata che molte volte anche lei aveva assunto osservando i pazienti distesi pacificamente nei letti dopo un’operazione.
Non voleva sapere di cosa stavano parlando.
Forse perché già lo poteva immaginare.
Tornò a fissare l’abbacinante lampada al neon appesa sopra di lei e, sotto il suo sguardo, accompagnata dal calore che provava nel petto, si mutò lentamente nel sole di un settembre ancora caldo.
Settembre. Nel nono mese dell’anno suo figlio sarebbe entrato nell’Accademia ninja. Forse per lui sarebbe stato difficile, all’inizio, farsi qualche amico… ma se un po’ aveva preso da lei sarebbe riuscito anche in questo.
Shizune chiuse gli occhi. Sentiva il tepore irradiarsi dentro di lei, forse il desiderio di una madre di vivere quei momenti unici.
Il suo bambino forse avrebbe pianto. E non per una caduta sull’erba, un capriccio per farsi compare qualche dango. Avrebbe pianto perché avrebbe sentito che gli mancava qualcosa rispetto agli altri, perché non avrebbe avuto una figura da poter chiamare “padre”. Ma lei sarebbe stata lì, ed il tepore nel petto le scaldava il cuore con una luminosa determinazione.
Un giorno avrebbe dovuto dirgli che lui non era nato per amore, ma per disprezzo.
Il disprezzo di un ninja verso la sua avversaria.
Non avrebbe potuto parlargli di lui come di un eroe morto in missione, come di un grande medico che salvava vite. Ne avrebbe potuto parlare solo come di un traditore e di una spia quale era.
Ma, se non altro, il suo bambino sarebbe cresciuto in modo diverso.
L’avrebbe cresciuto lei. E gli avrebbe insegnato tutto quello che un vero ninja doveva sapere.
Immaginava che il suo chakra medico sarebbe stato di gran lunga prevalente rispetto a quello normale: aveva sicuramente ereditato sia il suo che quello del padre che, beffardo il caso, era un medico a sua volta. Con una sorta di sorda amarezza Shizune fu costretta a riconoscere che era anche uno dei migliori che avesse mai conosciuto.
Sbatté le palpebre, scrostando le ciglia appiccicate. Stava ricominciando solo ora a riprendere piena coscienza del suo corpo. Mosse le dita delle mani e si sfiorò i polpastrelli.
Avvertiva in sé quel pulsare tenace che la rincuorava. Seppe con una nuova ondata di commozione che lei avrebbe cresciuto quel bambino.
Il suo bambino.
Suo figlio.
Forse le avrebbe portato sofferenza, ma era sicura che ne avrebbe ricavato anche gioia. La gioia di insegnargli, di imparare dalle sconfitte e dalle sofferenze, come aveva fatto la principessa Tsunade, suo maestra, la gioia di sapere che qualcosa di buono poteva comunque nascere e svilupparsi.
Quel bambino era la sua verità: dimostrava che, si, non era stata capace di vincere o di reagire, forse perché un po’ aveva amato sul serio il suo avversario, ma dimostrava anche che era abbastanza forte dal sapersi rialzare dalla polvere.
La sua verità, la sincerità sei suoi sentimenti.
Shizune sorrise un’altra volta, l’ennesima in pochi minuti di fantasie e promesse dopo settimane che non riusciva più a farlo.
Sorrideva perché aveva trovato un nome per suo figlio.
L’avrebbe chiamato così: sincerità. L’avrebbe chiamato Makoto.












--------------------------



Nell’attesa che io posti il diciassettesimo capitolo di Konoha- Eredi del Sangue vi potete divertire a leggere questa piccola long-fic (appena due capitoli) che ha partecipato al contest “Maternità” di SweetAudy. ^^
Terza classificata, peraltro! *ç*

Spero che il primo capitolo sia piaciuto! Fra due giorni aggiornerò con il secondo ed ultimo. ^^
   
 
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: SkyEventide