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Autore: beencravinmore    30/05/2014    0 recensioni
Mi chiamavano Greace, ero un ragazza, forse, tormentata dal passato. Pensavo che bastasse un foglio di carta per risolvere tutti i problemi. Come ho fatto a non capire che ne avrebbe creati altri? Come uno dall'aspetto di un angelo biondo.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Niall Horan, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Worth.

Lì seduta in quel bar, su quella sedia, davanti a lui, sentivo come se il tempo passasse troppo più lento del solito. I minuti sembravano anni, le ore millenni. Non ne avevo più la concezione. Sembrava che tutto svanisse intorno solo io e la cioccolata e, dovevo ammetterlo, i suoi occhiali di fronte a me. Cercavo di cancellarli con una gomma immaginaria nella mia testa, ma non potevo, non era così che funzionava nella realtà. Non volevo finire la mia cioccolata, senza non avrei avuto nulla da fare, nulla da dire, nulla a cui pensare; volevo solo godermi quel caldo che mi offriva per un bel po' ancora. Lo vidi scuotere la testa. Non potevo scappare ancora molto. Dovevo lavorare; era il mio lavoro.
Era finita. La cioccolata si era esaurita e con lei anche la mia piccola sicurezza di poter far qualcosa.

-Posso chiederti perchè hai accettato, se non sai neanche come dovresti comportarti e non vuoi?

Appoggiò i gomiti sul tavolino; e si sporse in avanti. Non vedevo sotto i suoi occhiali. Non sapevo se mi stesse sfidando o se semplicemente mi stava dicendo di darmi una svegliata, perchè era arrivato il momento di mettersi a lavoro. Forse tutte e due. Posai la tazza e mi laccai le labbra.

-Per ora non ce n'è bisogno, non c'è nessuno. Tranquillo ne sarò all'altezza quando verrà il momento.

Non ne ero poi così sicura. Non ero sicura di niente. Avevo bisogno di tempo per abituarmici; come quando arrivi in un posto nuovo hai bisogno di ambientarti, così dovevo fare io. L'unica cosa che sapevo è che non dovevo essere licenziata o qualsiasi altra cosa; il contratto durava un anno per adesso e un anno dovevo lavorare. Senza ma. Lo dovevo a Darren per tutto quello che aveva fatto per noi, sempre.
Lui mugugnò, si passò una mano fra i capelli e mi guardò.

-Non hai risposto.

-A cosa?

Quando qualcuno non ti risponde ad una domanda significa che non vuole e non vorrà. Non richiedergliela.

-Perchè?

Ecco. Era quello che intendevo. Non volevo rispondergli; non mi piaceva la compassione degli altri; odiavo i loro sguardi così stupidamente tristi per qualcosa che forse non capiscono. Mi morsi un labbro. Entrarono quattro o cinque persone dalla porta del locale- Erano due gruppi entrati nello stesso momento. Quei piccoli gruppi di amici che escono il sabato, quello che io non ho mai avuto, perchè non ne ho avuto il tempo. Si, non ho molti amici, in realtà non ne ho. Il mio migliore amico, però, è sempre stato mio fratello e ho sempre pensato di non avere bisogno di altri. Lui, invece, credo ne abbia, a volte esce la sera, ma, per quanto siamo uniti, non mi racconta esattamente tutto ciò che fa durante la giornata.
Feci un cenno con il mento ad indicare la gente. Lui si girò e si portò la mano agli occhiali. Li sfilò.

-E' ora di essere all'altezza.

Adesso potevo vedere i suoi occhi celesti. Degli occhi chiari, tanto da sembrare puri, tanto da far credere a chiunque che quel ragazzo era un bravo ragazzo. Feci un gran respiro cercando di non farlo notare. Non erano i suoi occhi a farmi questo effetto, ma le persone che stavano entrando. Segnavano l'inizio di orario di lavoro. Erano un orologio umano in quel momento, tutti come tante piccole lancette che segnavano un'ora immaginaria che significava qualcosa solo nella mia e nella sua mente. Posai lo sguardo sul barista per un attimo. Era intento a servire tutti con quel grande sorriso.

Signore, ma qui non viene mai nessuno?”
Beh, tesoro” e mi fece l'occhiolino “abbiamo aperto da pochissimo, è normale, ma vedrai che quando ti vedranno uscire di qui, accorreranno tutti”
Sorrisi orgogliosa e lui allargò la bocca nel più bel sorriso che una bambina avesse mai potuto vedere.

-Che si fa?

La sua voce mi riportò alla realtà.

-Dovremmo andarcene perchè sta arrivando gente.

Mi guardò con aria mista fra una finta preoccupazione e bugia. Capito, diamo il via alle danze. Nessuna frase compromettente, nessun passo falso, nessuna esitazione. Pensai a quanto fosse facile capire quando uno non è un bravo attore; pensai a mia madre sul palco scenico; mi dissi che potevo farcela, potevo, dovevo aver preso da lei. La sua naturalezza nei panni di altri era perfetta; doveva esserlo anche la mia. Magari era anche più facile visto che odiavo i miei di panni.

-Dobbiamo pagare. Vuoi che vada io?

Lui mi guardò un attimo. Poi si alzò; non rispose, sorrise e basta. Alzatosi dalla sedia era a poca distanza da me. Si sistemò un attimo. Poi fece per dirigersi alla cassa. In quel momento sentii la mia mano diventare calda, un calore umano. Abbassai gli occhi e vidi le sue dita intrecciare le mie. Era un calore strano, innaturale, per niente vero. Non c'era niente fra quelle dita intrecciate. Non c'era niente fra quelle due mani unite. Un contratto; era quello la ragione del freddo che, nonostante quella presa, si dilagava nel resto dei nostri corpi. Non un freddo come quello dell'inverno, un freddo che non fa venire la pelle d'oca, c'è e si sente e basta.

***

Lo seguii fino alla cassa. Mi lasciò andare la mano, per portarla dentro la tasca e estrarne un partafoglio, che sembrava costoso. Infondo era una star, anche se non sapevo chi fosse personalmente. La mia conoscenza di musica si fermava a quell'anno in cui dovemmo vendere il negozio di dischi. Senza più quello per me la musica aveva smesso di nascere. Forse mio padre non ne sarebbe stato fiero.

Ah, la musica amore mio, fonte di ogni grande amore, guarda me e la mamma, nessuno si amava più di noi”
E perchè se ti amava è andata via?”
Mamma non l'ha scelto, è successo e nessuno ne ha colpa. Nemmeno tu.”
Perchè io?”
Niente piccola, niente.”
La bambina che ero si era già accorta che qualcosa non andava, ma non poteva capire che sua madre se ne era andata per dare alla luce lei.

Chissà che cosa era ora quel negozio di dischi. Preferivo non saperlo. Fissai Niall che aspettava di pagare. I guardò e sorrise. I suoi occhi dicevano “menomale dovevi esserne all'altezza”. Dovevo svegliarmi. Ma lui come faceva? Che segreto aveva? Forse era abituato a mentire alle telecamere. Era un cantante infondo. Mentre pensavo sentii un gridolino alla mia sinistra. Era una ragazzina sui quattordici anni che guardava dalla nostra parte incantata. Era mora, bassina e il sorriso metallino la precedeva nella corsa verso di noi. Posai la mano sul braccio del ragazzo quasi involontariamente, per avvertirlo. Lo strinsi due volte come ero solita fare per chiamare qualcuna. Lui si girò prima di poter pagare completamente il barista. Sorrise guardando la fan che gli veniva incontro. Mentre aspettava si avvicinò a me e mi sussurrò qualcosa all'orecchio.

-La tua prima esperienza con le fan.

Sorrisi, naturalmente per la prima volta. In realtà ero solo affascinata da come quella ragazza avesse gli occhi pieni di gioia ma allo stesso tempo piccole e dolci lacrime le illuminavano le iridi. Era così felice. Lui faceva questo effetto a tutte le sue fan? Era davvero così importante? Come faceva? Perchè erano così felici? Proprio non lo capivo. Lo guardai mentre abbracciava la sua fan e le faceva un autografo e scattava una foto con lei. La ragazza lanciò un'occhiata anche a me. Provai a sorridere, ma portroppo me ne accorsi troppo tardi. Mi fissai le scarpe. Sperai di passare per la non abituata alla fama. Arrivarono altre ragazze. Tantissime. Sentii una voce che mi chiamava dietro di me. Mi voltai; il barista mi chiedeva qualcosa.

-Mi scusi quanto le dobbaimo?

Immaginai volesse questo; lui mi guardò un attimo e sorrise.

-Non si preoccupi per questo, vorrei solo sapere chi è la nostra star.

No, non doveva chiederlo. Ero nei guai. Implorai la mia memoria di funzionare. Le stavo chiedendo uno sforzo.

-Beh si, è Niall Horan- il cognome era quello, almeno quello me lo ricordavo -fa parte... beh... si... dei One direction, dovrebbero essere, cioè sono molto famosi, dischi, concerti, queste cose- ok, era andata. Meglio di quanto immaginassi.

C'era confusione tante grida e molte ragazzine, probabilmente era girata la notizia; qualcuna aveva mandato un messaggio alle amiche, qualcun'altra alle nemiche per vantarsi magari. E adesso erano tutte lì.
Il barista mi guardò stranito, non capiva perchè esitassi sul nome, sulla band; era un punto a mio sfavore, dovevo rimediare.

-Mi scusi, non sono abituata, è la prima volta che vedo così tante fan, sono un po' nel pallone.

Rise.

-Non ti preoccupare, figurati io pensavo di essere un normale barista di un normale bar, e adesso è entrata una celebrità, devo approfittarne.

Gli sorrisi, lui fece lo stesso ma rivolto verso il bancone. Io puntai il mio sguardo sul Niall, ancora ammirata dal fascino che aveva con le sue fans. Lui alzò la testa dall'abbraccio di una ragazza e mi fece segno di avvicinarmi con una mano. Non volevo avvicinarmi, non volevo intromettermi fra lui e loro. Lo fece di nuovo. Vedevo ragazzine con il telefono e capii che le loro fato sarebbero finite online. Capii che dovevo avvicinarmi.
Un passo da lui. Solo un passo, ma cosa si fa mentre il tuo finto ragazzo è circondato da fan? Non c'era una guida e non ci sarà mai. Inghiottii. Erano quasi esauriti gli abbracci. Fu lui che annullò la distanza fra noi. Mi pose un braccio intorno alla vita. E sentii il suo “andiamo” sussurrato all'orecchio. La falsità scivolava nel mezzo, fra le sue costole e le mie. Qualche fan rimasta scattava foto, altre guardavano stupite. Io annuii e ci avviammo verso la porta. Era solo passata un'ora. Usciti di lì il tempo ritornò ad essere normale, scorreva come in tutte le altre giornate della mia vita. Sospirai. Sentii il suo braccio spostarsi sulle spalle. Anche lui sospirò. Io misi il mio intorno alla sua schiena. Era un contatto estraneo, non avevo avuto il tempo di adattarmi. Non era però così male, non te ne accorgevi, non sentivi dolore, non sentivi un vuoto allo stomaco, era solo strano. In testa avevo mille pensieri ed ero come frastornata e fuori dal mondo, ma continuavo a camminare, guardando in basso e lasciando che guidasse lui. Dovunque andassimo andava bene.

*writer's corner*
Si è passato un anno da quando ho pubblicato il capitolo prima di questo.
Non ho avuto tempo e voglia di continuare, ma poi una mia amica mi ha chiesto 
di continuare e  mi sono detta ma si, tanto non la legge nessuno
come al solito. Ahahahah apparte ciò spero sia scritto bene e possa piacervi,
grazie se lo leggete e se lo recensite.

  
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