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Autore: Blood Candy    14/06/2014    1 recensioni
Cosa succederebbe se Frank andasse in guerra? Se Gerard entrasse nuovamente in depressione, e se il suo unico appoggio in questo momento fossero le lettere scritte ad Helena e..
Genere: Generale, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
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Give me a kiss to remember

Capitolo 5


Si svegliò presto, Mikey: non voleva rischiare di incontrare Gerard.
Era ancora buio, e la casa era più silenziosa di un cimitero.
Una flebile luce entrava dalle sfese nelle persiane, l'argentea luce della luna illuminava le penne messe disordinate sul tavolino e i fogli sparsi.
I vestiti erano accasciati malamente sulla sedia che gli era stata data, e anche quelli ernao a tratti illuminati da quella luce che molte persone considerano romantica. Chissà perché..
E c'era pace, in quel momento, eppure lui non era in pace.
Dentro di lui si stava combattendo una guerra tra il buon senso e la giustizia, e stranamente vinse la giustizia, quasi contro la volontà del ragazzo.
Sarebbe rimasto là per sempre, in quella luce fredda di luna piena, seduto sul letto sfatto e in silenzio.
Quanto tempo era che non sentiva un silenzio così cupo e solitario, così pacifico? Tanto, forse anche troppo.
Sarebbe rimasto là per sempre, ma purtroppo non poteva.
Quindi meccanicamente si alzò dal letto scostando le coperte dal suo grembo e sistemandole come meglio poteva, e accese cautamente la luce.
Cercando di non svegliare l'inquilino che l'ospitava tanto gentilmente, si diresse quindi verso la sedia dove erano poggiati i vestiti.
Una t-shirt dei The Smiths in cotone, una felpa e dei Jeans: era un abbigliamento troppo misero per uscire in una nottata invernale, sopratutto con quel tempo che stranamente si era presentato quell'anno.
Guardò se si era portato dietro una giacca o un maglione, ebbe fortuna.
Dentro alla valigia disastrata c'era una giacca, leggera, ma pur sempre una giacca.
Era una giacca in cotone nero in stile militare, era lunga, e lui l'adorava.
Neanche a farlo apposta, era la stessa giacca che aveva indossato in quell'altra alba trascorsa passeggiando per le strade della città, dopo...quello.
Non sapeva se per il freddo o per la paura, o forse solo per un ricordo ancora troppo fresco, il sangue gli si gelò nelle vene.
Uscì dalla sua stanza quanto più silenziosamente poté; non accese alcuna luce e di certo compiere quell'azione nel buio non migliorava il tutto.
Con passo felpato si diresse alla porta d'ingresso, tenendo strette le chiavi nelle tasche così che non tintinnassero.
Scese le scale quanto più lentamente riuscì e mantenne quel fare finché non si trovò tra i rumori molesti delle auto.
Odiava quella strada trafficata, era così rumorosa, così confusa, confusa quasi quanto lui.
Decise di optare per il gran viale, quello dove le macchine non potevano passare, forse avrebbe ritrovato quella calma dalla luce argentea che prima aveva preso possesso della sua stanza, o almeno così sperava.
Le strade erano deserte, era tutto uguale, tanto che gli parve di avere un deja-vu.
Il giornale martoriato al bordo della strada, gli alberi spogli, il cielo nero...
Tutto uguale, meno che i suoi pensieri.
La certezza che per un attimo quel giorno era svanita, persa all'interno di un mare di paura e coraggio inesistente.
Eppure era questo ciò che voleva, voleva portare quella lettere a casa, e lo avrebbe fatto, perché ora sapeva di essere capace di ottenere ciò che voleva.
“Fatti un po' di coraggio, idiota. Sei andato a letto con tuo fratello e or anon hai il coraggio di portare una stupida lettera? Non si piange sul latte versato, Mikey”
Lungo tutto il tragitto si era ripetuto ciò, in silenzio, nelle strade illuminate fioccamente dai lampioni sfarfallanti.
Ma il coraggio non lo trovava comunque.
C'era quella paura che qualcosa andasse storto anche sta volta, quella paura che non voleva lasciarlo solo.
E poi c'erano i ricordi, così tanti che neppure il tempo avrebbe potuto cancellare.
Doveva solo riuscire a rinchiuderli in un cassetto, solo per quella mezz'ora di cammino, perché non poteva tirarsi indietro.
Si strinse goffamente nel cappotto e aumentò la velocità.
Non guardava avanti, non poteva rivivere quel momento, quindi osservava i suoi piedi muoversi velocemente, scrutava attentamente il cemento sporco di quel marciapiede, contava le foglie che trovava sul suo cammino.
Ancora una volta solo, ancora una volta di notte, ancora una volta spaventato.
Avrebbe voluto avere suo fratello, accanto in quel momento.
Ma non il Gerard che era ora, lui rivoleva suo fratello, quello che un tempo era stato il suo migliore amico, quello che gli mancava tanto.
E quando un' avvizzita lacrima si fece spazio a bordo del suo occhio sinistro, notò di essere arrivato.
Non si sarebbe tirato indietro, non a quel punto.
Camminò velocemente stringendo la busta nella mano, sotto al cappotto.
La carta era tiepida, e si stava bagnando a cause delle mani sudaticce di Mikey.
A ogni passo cresceva l'adrenalina che gli era entrata in circolo quando, nel tentativo di ricacciare indietro quella lacrima ribelle, aveva alzato al cielo lo sguardo e notato il palazzo accanto a lui.
Cresceva e cresceva, si sentiva esplodere il cuore in petto.
E preso da un momento di coraggio o forse mediata follia, buttò la lettera sotto la porta del fratello e suonò al suo campanello.
Non pensò neppure un istante, però, di restare.
Corse alla terrazza del palazzo, si nascose dietro alla pianta che divideva la casa Way dal luogo in cui in quel momento era.
Non avrebbe retto la vista del fratello, non ce l'avrebbe mai fatta.
Così si sedette comodo, con la schiena poggiata sul muro e le gambe distese, e gli occhi persi nei mille ricordi che stavano riempiendo i suoi occhi di nuvole pronte a piovere lacrime salate.

Il ragazzo dai capelli neri si svegliò bruscamente.
Aveva suonato il campanello o era stata solo una sua illusione?
Si alzò svogliato dal letto del fratello, che era così caldo e accogliente, ma sopratutto privo di ricordi i Frank.
Dormiva lì da quando Michael se n'era andato, e nella sua stanza ci andava solo per prendere il materiale da disegno.
Muovendosi lentamente e in modo sbilenco, si diresse alla porta.
Dovette sbattere contro lo stipite della porta per svegliarsi e decidersi ad accendere le luci.
Nel breve tragitto pensò che sarebbe potuto essere Frank che tornava a casa, che tornava finalmente da lui.
Oh, quanto era emozionato!
Come un bambino che attende il natale, Gerard si agitò oltremodo.
Correva per le stanze confondendole, e cercava di destreggiarsi tra quella meravigliosa realtà che sarebbe andata persa se fosse stato un altro sogno, l'ennesimo..
Ma quando arrivò all'ingresso e aprì la porta non c'era nessuno: se l'era immaginato, allora.
E questo però era reale, perché i sogni raramente si tramutano in incubi così. 
Non era Frank che tornava a casa, allora.
Chinò la testa lungo il petto, e si mise ad osservare le sue pantofole che desolate tornavano alla stanza.
E fu solo allora che notò la lettera.
Non veniva dalla base militare, non gli avrebbe dato alcuna informazione riguardo a Frank.
Allora cosa valeva leggerla? 
La lasciò a terra, e se ne tornò da dove era arrivato.
Cercò di dormire, non ci riusciva.
“Tanto vale leggerla quella stupida lettera” e con questo pensiero tornò all'entrata per raccoglierla e leggerla.

Rimase stupito quando riconobbe la calligrafia del fratello; era convinto di aver perso ogni possibile contatto con lui.
Eppure nel sapere che sarebbe tornato, non provava né gioia né sollievo, solo un'enorme ansia e angoscia.
Cosa gli avrebbe detto? 
Nulla sarebbe stato come prima, questo era certo.
E questo per colpa di chi? Ma per colpa sua, ovviamente.
Era sempre colpa sua, lui era il fratello fallito, quello grande e che non era mai stato d'esempio.
La rabbia stava crescendo il lui, come uno di quegli assoli di batteria che crescono, crescono sempre di più, ed ad un certo punto pare che esplodano in un silenzio placido.
Cosa doveva fare ora? Rispondergli? Doveva pensarci, o scrivere semplicemente ciò che pensava? Ma lui ci aveva mai pensato a Mikey? 
Fu sincerò con se stesso: no, di Mikey non gli era mai importato più di tanto, in quell'ultimo periodo.
Però ora che tutti i nodi erano venuti al pettine, avrebbe dovuto affrontare anche questo problema.
Sarebbe dovuto essere sincero come gli era sempre stato detto oppure, questa volta, avrebbe dovuto mentire?
Forse avrebbe fatto meglio a scegliere la seconda opzione, perché tutto ciò che gli veniva in mente in quel momento erano tanti insulti, i più disparati.
Quello stronzo, lui sapeva quanto stava male Gerard, perché si era messo in mezzo? 
Un altro problema, un altro motivo per piangere non era ciò che gli serviva.
Lui voleva solo un abbraccio materno, un bacio del suo amato.. solo quello, e quell'incubo in cui viveva sarebbe stato nuovamente calmo.
Un bacio per sorridere di nuovo, un bacio per ricordare com'era la realtà, quella che ormai lui aveva dimenticato.
Aveva perso ogni confine tra sogno e veglia, non vi era più alcuna differenza per lui, oramai.
A volte non si rendevà conto di star dormendo, a volte non si rendeva conto di esser sveglio, e non era difficile che confondesse le cose.
Tanto, sogno o realtà, quel luogo rimaneva il solito inferno, colmo di ricordi e privo di un futuro. Inutile era cercare di capire, a quel punto.
Lui però non aveva perso la speranza, no.
Lui continuava a sperare, e costantemente rimaneva deluso.
E nel frattempo, finché la speranza non si fosse esaurita, lui avrebbe atteso invano una qualunque buona notizia che a quanto pare voleva solo farsi attendere, e ci stava riuscendo.
La speranza diminuiva minuto per minuto, lentamente, come un clessidra.
Granello per granello.
Ora non era però il momento di perdere la speranza e con essa sé stesso, però.
Ora, era il momento di reagire, e cercare di cancellare almeno uno, uno solo dei suoi problemi, e con questo pretesto Gerard strinse saldamente la matita rovinata ed estremamente usurata tra le mani sudate.
Era una matita nera, o almeno lo era stata: era divorata dal nervosismo di una tavola riuscita male e di alcune parole che non volevano uscire, martoriata dai piccoli denti del ragazzo, e distrutta dal tempo.
Eppure scriveva ancora, e questa volta le parole uscivano da sé.
“Allora Michael, chiariamo le cose”
   
 
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