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Autore: Hermione Weasley    15/06/2014    7 recensioni
Mi hanno sparato, pensò incredula, portandosi una mano alla spalla. Il dolore la investì nel momento esatto in cui si accorgeva di avere una freccia conficcata nella carne. Dischiuse le labbra in un'espressione di muto orrore, facendo saettare lo sguardo verso l'alto, ai tetti che incombevano sulla strada.
Un lampo improvviso disegnò nel cielo nero la sagoma di un uomo.
[Clint x Natasha] [Slow Building] [Completa]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nick Fury
Note: Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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4
 

Regrets collect like old friends
Here to relive your darkest moments
I can see no way, I can see no way
And all of the ghouls come out to play

(Florence + the Machine – Shake it Out)

 

 

Natasha si liberò del giaccone requisito ad una delle guardie, nel momento esatto in cui mise piede oltre la soglia della casa sicura (un capanno da caccia mimetizzato tra neve e abeti). L'agente Barton le fu subito dietro, chiudendo la porta alle spalle di entrambi.

“Abbiamo ben tre ore prima che Phil torni a prenderci,” la informò, dando una rapida occhiata all'orologio appeso alla parete di sinistra. “Nonostante il contrattempo, siamo in netto anticipo.”

Sarebbe stato impossibile non cogliere la soddisfazione nel suo tono. Non poté impedirsi di trovarlo solo un tantino irritante, date le circostanze: dimenticarsi di un maledetto uomo delle pulizie durante una missione di quella portata, lasciare che un inserviente mettesse in allarme l'intero complesso e quindi a repentaglio il conseguimento dell'obbiettivo... no, non lo trovava affatto divertente. Soprattutto perché la colpa ricadeva su di lei.

“Controllo se c'è qualcosa da bere. Qualche preferenza?” L'agente Barton, dal canto suo, sembrava essere pronto ad archiviare l'operazione come un discreto successo.

“Non ho sete,” stroncò l'offerta sul nascere mentre valutava l'entità della ferita che aveva riportato alla spalla e cercava di capire da che parte fosse il bagno (non che ci fosse molta scelta: la cabina era minuscola).

“Immaginavo l'avresti detto,” lo sentì commentare a voce bassissima, avendo l'impressione che si stesse rivolgendo più a se stesso che a lei.

Liquidò il principio di senso di colpa che minacciava di prendere forma e si sforzò di tenersi occupata. Si rintanò nel bagno, piccolo ma funzionale, la porta semi-nascosta da un vecchio frigorifero che pareva reggere l'anima coi denti. Non perse tempo: si piazzò davanti al piccolo specchio appeso sopra il lavandino e abbassò la cerniera della tuta, liberandosi della parte superiore della divisa almeno fin sotto il bordo inferiore del reggiseno sportivo che indossava. Un brutto taglio faceva bella mostra di sé proprio all'altezza della spalla sinistra: un proiettile l'aveva presa di striscio. Era comunque degno di nota che, nonostante le guardie li avessero circondati in pochissimi secondi, fossero comunque riusciti ad avere la meglio senza particolari problemi. C'era stato un momento, durante la sparatoria, in cui aveva avuto la netta sensazione che l'agente Barton potesse intuire alla perfezione le sue intenzioni, le sue mosse, i suoi spostamenti, e viceversa lei con lui. Non le era mai capitato di non pestarsi i piedi con i partner di turno che lo SHIELD aveva insistito ad affibbiarle, in alcune delle sue missioni precedenti (le prime soprattutto). Al fianco di Occhio di Falco, invece, c'era voluto meno di un minuto per sedare quell'improvviso contrattacco.

Rimaneva comunque il fatto che non era ancora riuscita a portare a termine una missione senza portarsi dietro un qualche souvenir di quel genere: ferite e affini. Sapeva di dover stare più attenta, ma il più delle volte finiva per dimenticarsi di essere fatta di carne ed ossa, di poter essere colpita: una lezione che aveva imparato a sue spese il giorno in cui quella freccia le aveva trapassato la carne.

Scostò con attenzione la spallina del top, reprimendo a fatica una smorfia di dolore. Era talmente presa dalle proprie manovre, da non accorgersi dell'agente Barton che incombeva sulla soglia dello stanzino. Mise a fuoco il suo riflesso nello specchio un attimo dopo, riconoscendo immediatamente la muta domanda che aleggiava sulla sua espressione, curiosa e perplessa insieme: molto probabilmente si aspettava che gli chiedesse aiuto. Una parte di lei giurò a se stessa che non l'avrebbe fatto, l'altra si domandò perché diavolo facesse così tanta fatica ad estendergli le elementari cortesie che aveva imparato a rivolgere più o meno a tutti (salvo le conoscenze fatte sul campo e particolari antipatie che neppure il più affinato degli auto-controlli avrebbe potuto nascondere).

“Hai intenzione di chiedere una mano o...” alluse, mandandola (anche se solo internamente) su tutte le furie.

“Sono a posto, è solo uno stupido graffio,” ribatté più astiosamente di quanto avrebbe voluto. Era una debolezza, lo sapeva benissimo: l'unico motivo per cui non riusciva a trattarlo come chiunque altro, era perché lui non era come chiunque altro.

Natasha non aveva mai dovuto niente a nessuno: persino il suo rapporto con Fury non prevedeva quello sbilanciamento di potere. Era vero, le aveva dato una possibilità e aveva mantenuto (contro ogni suo più oscuro pronostico) la parola data, ma anche lei aveva avuto un ruolo in quello scambio: aveva ricambiato con preziose informazioni riguardo le operazioni in cui era stata coinvolta per volere della Red Room e poi, più tardi, sui suoi stessi ex-datori di lavoro. Barton, invece, le aveva salvato la vita – in circostanze, per altro, piuttosto rocambolesche, rischiando di perdere la sua nel tentativo – senza chiedere o ottenere niente in cambio. Nel suo mondo nessuno faceva niente per niente, nessuno ti salvava la vita in modo del tutto disinteressato: c'era un debito che andava pagato, che le pendeva sulla testa come una spada di Damocle e quel che era peggio era che non poteva controllare il quando, il come e il cosa l'uomo le avrebbe chiesto, un giorno, per pareggiare i conti. La possibilità che quell'eventualità non fosse affatto contemplata, non l'aveva neppure presa in considerazione.

“Non è solo uno stupido graffio, Nat -”

Gli chiuse la porta in faccia, irritata dalla sua insistenza e soprattutto dai propri pensieri, prima che potesse muovere un passo o completare il suo nome.

“D'ora in avanti ti chiamerò solo Nat,” la informò, apparentemente tutt'altro che sorpreso della reazione. “Tanto non è che mi dai mai il tempo di dirlo tutto,” aggiunse a voce più bassa.

Non rispose, controllando piuttosto che il bagno non fosse provvisto di un kit per il pronto soccorso (ovviamente ne avevano portato uno, ma era rimasto insieme al resto della loro attrezzatura nell'altra stanza, quella in cui aveva tanto educatamente relegato il suo partner). Cercò senza successo per qualche minuto prima di arrendersi ad uscire. Il kit giaceva sul piccolo tavolo che fronteggiava il cucinotto, pronto all'uso. Scoccò un'occhiata all'uomo, attualmente impegnato a prepararsi quello che sembrava essere del caffè istantaneo. Arricciò il naso all'odore, disgustata.

Era del tutto decisa ad impossessarsi dell'occorrente ad un rapido rimedio e a rintanarsi nel bagno, ma l'uomo le porse la tazza di liquido nero fumante e la sospinse a sedere su l'unica sedia del capanno prima che potesse fare una qualsiasi mossa.

“Ti ho detto che non ho sete.”

“Tu dici un sacco di cose, mi pare,” commentò, senza avere l'aria di essersela presa. “Sei mancina, mi spieghi come fai a cucirti un taglio sulla spalla sinistra?”

“Sono ambidestra,” lo corresse con un'urgenza che, in seguito, le sarebbe risultata comica.

“Ma favorisci la sinistra.”

Voleva contraddirlo ad ogni costo, e l'avrebbe anche fatto, se la parte più sensata di lei non si fosse intromessa per informarla che l'agente Barton aveva, in effetti, ragione.

“Sei insopportabile.”

“La parola che stai cercando è: attento ai dettagli.”

“No, la parola che stavo cercando era rompicazzo, ma mi sono trattenuta.”

“Stavi facendo la carina?” Usò del cotone imbevuto di disinfettante per pulirle la ferita. Sussultò al fastidio che le provocò il contatto. “Non devi provarci per forza.”

“Non sei divertente.” Si era accorto di quanto le fosse necessario fingere per ostentare una naturalezza che, in sua presenza, non le apparteneva affatto?

“Di sicuro non ci hanno messo insieme nella speranza di creare un nuovo duo comico.”

“Oh, dio,” imprecò a mezza voce, socchiudendo gli occhi in preda all'esasperazione. “No, non avevo nessun duo comico in mente,” smozzicò a mezza voce, bevendo un sorso di caffè giusto per tenersi occupata. Faceva più schifo del previsto, ma almeno era caldo.

“Avevi?”

Natasha rialzò lo sguardo su di lui, accorgendosi solo in quell'istante di averlo detto ad alta voce.

“Ho insistito perché mi assegnassero alla missione,” ammise dopo una breve pausa, guardando molto convenientemente altrove.

In quel corridoio dell'helicarrier, se lui – impegnato com'era con il suo telefono cellulare – si era voltato verso di lei solo all'ultimo secondo, Natasha non si era persa neppure un istante di quel breve incontro-scontro. Le era bastato riconoscerlo per farsi venire in mente la malsana idea di informarsi sul perché si trovasse lì e successivamente di chiedere a Fury di mandarla sul campo insieme a lui. Doveva ammettere di non aver del tutto riflettuto sulla questione: era appena tornata da un'operazione sotto copertura che era durata una settimana, era ripartita dopo neanche ventiquattr'ore di riposo e aveva scoperto che essere in presenza di Occhio di Falco (e del suo plastificato supervisore) non era esattamente la cosa che le risultasse più semplice nell'universo. Anzi.

Barton, dal canto suo, non aiutava. Non era compito suo metterla a suo agio (o a disagio, dipendeva dai punti di vista), eppure si sforzava di farlo. Le dava ancora più fastidio se pensava a quella luce strana, malinconica forse, che gli leggeva in fondo agli occhi ogni volta che si azzardava ad incrociarli. Non solo la spingeva a lanciarsi in inutili elucubrazioni intimistiche, ma le ricordava anche che non era l'unica ad aver sofferto in passato, che esistevano persone che avevano superato prove altrettanto terribili e che ne erano uscite senza che la loro umanità ne pagasse il prezzo più alto. Sapeva poco o niente dei trascorsi dell'agente Barton, eppure le sembrava di potergli leggere sul viso tutta la sua storia. Nessun dettaglio, certo, ma era come se ne potesse comunque comprendere la portata. Solo guardandolo. Una tristezza segretamente mantenuta, nascosta nei suoi occhi.

Barton si era improvvisamente bloccato. Natasha si preparò a ricevere un interrogatorio sul come e perché avesse chiesto di partecipare ad una missione con un partner di cui, era ovvio, non le importava proprio niente... ma non fu necessario. Quando tornò a guardarlo si accorse che l'uomo era preso da altro.

Era stata una cicatrice leggermente in rilievo che le campeggiava sulla spalla sinistra, ad attirare la sua attenzione.

“Quella è...” tentò di formulare una domanda, il tono completamente cambiato. Ricordava ancora benissimo il modo in cui, sul tetto di Saint Paul, le aveva parlato prima e dopo aver scoperto che aveva solo tredici anni.

“Sì,” gli rispose senza dargli il tempo di finire. Tenne lo sguardo fisso su di lui nonostante una non trascurabile parte di lei volesse solo fingere indifferenza. Le apparì stranamente turbato, un'espressione che non gli aveva ancora visto addosso, ma che per qualche assurdo motivo, gli si addiceva di più.

“E' solo una delle tante,” si ritrovò ad aggiungere, senza neppure accorgersene e senza neanche sapere perché lo stesse facendo.

“Se avessi saput -”

“Non ha importanza, Barton,” lo interruppe di nuovo. “Non ripeterlo, o comincerò seriamente ad odiarti.”

L'uomo rimase in silenzio per un paio di secondi, finché la sua confusione non si sciolse in un sorriso che la prese in contropiede.

“Se mi minacci significa che fino ad ora non mi hai odiato?” Dal niente, era ritornato nella sua zona di conforto.

“Se ti minaccio è perché sono stufa di sentirmi dire che non avresti mai voluto ferire, o tantomeno uccidere una tredicenne,” stroncò la sua vena amichevole sul nascere senza pensarci, pentendosene un secondo dopo: ottenne di farlo tornare mortalmente serio.

“Non sarebbe più preoccupante il contrario?”

“Quante persone che avevano meno di tredici anni pensi che abbia ucciso?” Lo sfidò, fissando prepotentemente lo sguardo nel suo. Lo vide dischiudere le labbra, sul punto di parlare, e poi richiuderle senza proferir parola... o quasi.

“Quante persone che avevano meno di tredici anni hai ucciso da quando sei arrivata allo SHIELD?” Rilanciò, beccandosi un'altra occhiataccia.

“Nessuna.”

“Questo è quello che con -”

“Perché mi hai salvata?” Si ritrovò a chiedergli con una certa urgenza, adesso, interrompendolo per l'ennesima volta e senza troppi complimenti.

“Lo sai, non sono esattamente uno stinco di santo, ma non sono uno che ammazza i bambini.”

“Non ero una bambina e non ero indifesa.” Non sono mai stata una bambina e non sono mai stata indifesa. Non se potevo evitarlo.

“Eri una bambina ed eri indifesa,” ribatté, accalorandosi, “lo eri in quel momento. I bambini si meritano ben altro! Affetto, amore, che cazzo ne so, sicuramente non un assassino alle costole.”

Seriamente? La tua spiegazione è l'amore? L'amore è per i bambini?

“Quel salto era la prima decisione autonoma che abbia mai preso... tu mi hai tolto anche quella,” si ritrovò a formulare, senza nascondere l'astio nella propria voce.

“Che cosa preferivi? Che ti lasciassi morire?”

“Sì. Lo preferivo.” Le parole le uscirono di bocca prima che potesse pensarci sopra, secche e decise. Barton si era zittito, le labbra serrate per impedirsi di rispondere, una luce strana negli occhi. Fu costretta a guardare altrove, incapace di sostenere il suo sguardo, il senso di colpa ad annodarle dolorosamente lo stomaco.

“Lo preferivo...” esalò a voce bassissima, “ma sono contenta che tu non l'abbia fatto.”

Era vero, le ci erano voluti anni per maturare fino in fondo la consapevolezza della portata degli eventi di quella notte. Non solo aveva ricevuto una seconda occasione, ma avrebbe potuto sfruttarla per rimediare agli errori del passato. La Red Room l'aveva plasmata ad immagine e somiglianza di un'assassina priva di scrupoli, le avevano portato via ogni possibilità di scelta, ma Natasha non poteva fare a meno di sentirsi comunque loro complice. Aveva raccontato le loro bugie, ucciso i loro nemici, portato a termine le loro missioni. Non era innocente. Il suo fascicolo, allo SHIELD, straripava ancora di rosso. Forse niente sarebbe stato sufficiente a cancellare tutto quel sangue, ma aveva deciso di provarci comunque. Adesso sapeva per chi manteneva quei segreti, sapeva per chi li raccontava, sapeva per chi agiva e sapeva perché.

Trattenne il respiro e strinse con forza i pugni, quasi fino a farsi male, obbligandosi a guardarlo dritto negli occhi, per assicurarsi che la sua sincerità non andasse inutilmente perduta insieme alle proprie parole.

“Grazie,” le uscì in un flebile sussurro.

Le maglie del tempo sembrarono allargarsi innaturalmente: i secondi in cui aveva ricambiato il suo sguardo, le parvero anni, secoli, un'eternità. L'uomo, dopo un primo momento di sorpresa, annuì, prendendo atto di quel ringraziamento che aveva meditato per quasi una vita intera. Abbozzò un sorriso nella sua direzione e riprese a muoversi come se niente fosse: le cose riacquistarono, insieme a lui, la loro consueta velocità.

“Avevi ragione, è solo superficiale,” confermò, riferendosi alla ferita. “Niente punto croce per te, stanotte.”

Evitò di mostrargli esattamente quanto fosse sollevata di poter rimandare il momento verità la Vedova Nera ha paura degli aghi?! ad un altro giorno.

 

*

 

“Ehi!”

Clint fece una mezza corsa per raggiungere Natasha all'uscita dello SHIELD Center di New York, dove un elicottero li aveva trasportati di ritorno, prima dalla missione in Alaska, e poi dalla base operativa volante. Era ormai pomeriggio inoltrato.

La donna si voltò verso di lui, il cappuccio della felpa a coprirle i capelli e parte del viso. Vestita in abiti civili aveva un'aria molto meno minacciosa: gli parve che, per la prima volta da che l'aveva rivista sull'helicarrier, dimostrasse i suoi anni, non uno di più, non uno di meno.

Natasha non rispose, si limitò ad aspettarlo mentre la raggiungeva, il fantasma di un dubbio sul viso.

“Vai a casa?” Le chiese, senza avere la più pallida idea di dove casa fosse, per lei. La vide annuire, nascondere le mani nelle tasche, tentare un microscopico sorriso non troppo convinto.

All'inizio aveva creduto che non lo sopportasse, ma poi si era rapidamente accorto che la ragazza faceva una certa fatica a comportarsi spontaneamente in sua presenza. O forse in presenza di chiunque, non poteva esserne certo. Di sicuro non gli erano sfuggiti i suoi goffi tentativi di cortesia, che risultavano più passivi-aggressivi che altro. Sospettava che il disagio avesse a che fare con la natura del loro primo incontro, a Londra, ed era più che deciso a porvi rimedio, in qualche modo (cosa di cui si sarebbe molto probabilmente pentito, come al solito).

“Ascolta, io e un paio di amici dello SHIELD andiamo a prenderci una birra ad un bar qua vicino,” formulò con attenzione quasi ossessiva. Sembra che tu stia cercando di avvicinare un cane inferocito. “Mi chiedevo se volessi... venire con noi,” aggiustò il tiro, sperando ardentemente di non essere suonato come un maniaco adescatore. Fu quasi del tutto certo di aver fallito, all'occhiata allarmata che ricevette in risposta. Oh, cazzo! Valutò se fosse il caso di rimediare, ma aveva la netta sensazione che se avesse riaperto bocca non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione in modo, molto probabilmente, irreparabile.

Natasha si guardò attorno, come alla ricerca di ispirazione, o – anche meglio – di una via di fuga.

“Mi dispiace, ma sono stanchissima,” si scusò con un'alzata di spalle. “Ho intenzione di dormire per le prossime ventiquattr'ore, almeno,” aggiunse, tentando un sorriso che non le riuscì granché bene.

“Va bene,” Clint si arrese senza opporre resistenza, indietreggiando di qualche passo, “sarà per la prossima volta, mh?”

Neppure quella proposta sembrò convincerla più di tanto.

“La prossima volta,” gli concesse, nonostante si capisse lontano un miglio che era solo una risposta di circostanza, niente di più.

Si passò una mano sul polso fasciato e poi sulla vecchia t-shirt scolorita che indossava, sovrappensiero, rivolgendole un muto cenno di saluto prima che la ragazza riprendesse ad allontanarsi. Wow, sei stato un vero... maestro del subdolo. Restò immobile a guardarla, indeciso sul da farsi... più o meno.

“Ehi!” La richiamò prima ancora di sapere perché lo stesse facendo: l'unica cosa che sapeva per certo era che non aveva alcuna intenzione di sentirsi addosso quell'insopportabile sensazione di irresolutezza che lo opprimeva. La ragazza si fermò, permettendogli di raggiungerla svariati metri più avanti sul marciapiede, non meno confusa di prima.

“Na -”, una serie infinita di clacson risuonò per tutta la strada, portandosi via la sua voce (oh, quanto adorava l'ora di punta).

“- tasha,” concluse solo quando il baccano fu cessato. “Non ti preoccupare, va bene? Anche per me i primi tempi allo SHIELD sono stati,” gesticolò per qualche istante, alla ricerca della parola giusta, “strani.”

Natasha si stava limitando a guardarlo, le mani – intuiva – chiuse a pugno nelle tasche della felpa.

“Non c'è bisogno che tu finga di essere un'altra persona quando sei con me,” le sorrise un po' mestamente, “ho la pellaccia dura, posso sopportare le antipatie di una recluta.”

“Non sono una recluta,” ribatté lei, una punta di rosso sulle guance e, se tanto gli dava tanto, non per l'appellativo. Ecco, l'aveva fatto di nuovo: l'aveva messa in imbarazzo.

“Qualsiasi cosa tu sia, hai del talento,” ammise spassionatamente. “Una persona che riesce a fare quelle cose, può permettersi di non blandire l'ego dei suoi colleghi. Specialmente il mio, che è già abbastanza spropositato.”

“Mi stai dando il permesso di trattarti male?” Più che perplessa, adesso, gli appariva scettica.

“No, dico solo che preferisco essere trattato male da te, che ricevere la sfegatata ammirazione di un coglione qualunque. Mi è piaciuto lavorare con te,” confessò sinceramente.

“Anche a me.”

La sua risposta, stavolta, lo sorprese sul serio. “Davvero?”

“Davvero,” confermò, il tentativo evidentissimo (ma un po' più spontaneo) di addolcire i toni. “Non credo che sarà la nostra ultima missione, comunque.”

“Com'è che sembri sempre sapere qualcosa che io non so?”

“Protetta del direttore, ricordi?” Lo apostrofò con aria vagamente divertita, avendo – Clint ne ebbe l'impressione – trovato un campo che aveva l'aria di risultarle decisamente più congeniale.

“Oh,” si mise a ridere, “adesso capisco molte cose.”

“Sta' zitto, Barton.”

“Vedi? Così è molto meglio.”

Natasha scuoteva il capo, evidentemente esasperata (e segretamente anche un po' divertita).

“Perché non chiami la tua ragazza, piuttosto? Sono sicura che si starà chiedendo dove diavolo sei andato a cacciarti.”

“La mia ragazza?” Un'espressione indecifrabile gli si dipinse sul volto e un principio di panico gli serpeggiò nello stomaco non appena il concetto prese forma nella sua testa.

“Quella che non ha smesso di scriverti per tutto il tempo,” precisò lei.

Lillian? Lillian non è la mia ragazza! L'avrebbe voluto gridare a pieni polmoni, più per consolare se stesso della propria cronica irresolutezza in fatto di donne, che per convincere Natasha di essere single. E comunque come diavolo hai fatto a capirlo?

“Non so se essere ammirato o solo... decisamente inquietato.”

“Non sei il solo a conoscere i trucchetti del mestiere.”

“Chiedo umilmente perdono,” dichiarò solennemente, portandosi entrambe le mani al petto.

Cadde il silenzio per una manciata di secondi, ma se non altro Natasha non aveva più l'aria di chi avrebbe preferito morire piuttosto che restare un attimo di più invischiata in quella conversazione.

“Ci vediamo in giro, Barton,” finì per dire, assumendosi il compito di portare a conclusione quello scambio.

“In giro,” accompagnò le parole con un saluto militare accennato a mo' di congedo.

Solo mentre la guardava allontanarsi, comprese la portata di ciò che aveva fatto, anni e anni prima. Pensò che, nonostante tutto, gli dispiaceva ardentemente per Phil: se avesse mai avuto bisogno di una giustificazione per l'ennesimo ordine disobbedito, gli avrebbe ricordato di quella volta che era stato mandato ad uccidere la Vedova Nera, e aveva deciso piuttosto di buttarsi giù da un tetto per salvare Natasha Romanoff.

La suoneria del suo stupidissimo telefono cellulare interruppe le sue profondissime elucubrazioni.

Oh, ma che palle!

 

*

 

“Opinioni?”

Maria Hill, le mani ben piantate sui fianchi, stava visionando i filmati che le telecamere di sicurezza del laboratorio nascosto in Alaska erano riuscite a registrare. La definizione non era delle migliori, ma sufficiente a capire quale macchia sgranata fosse chi e cosa stesse facendo più o meno di preciso.

“Non comunicano a sufficienza,” si decise a dire. “E' come se fossero impegnati in due missioni indipendenti ed autonome.”

“Con tutto il rispetto, agente Hill, ma data la natura dell'incarico non mi sembra poi così sbagliato.”

“Non tenere conto del proprio partner sul campo non porta mai ad alcun vantaggio, agente Coulson,” ribatté la donna. “Barton?”

“Ha rispettato gli ordini.”

“Era solo una missione di prova. Non c'era alcun margine per la creatività, non stavolta.”

“Quindi cosa consiglia di fare?”

“Ne parlerò con il direttore non appena sarà di ritorno,” sentenziò. “Per adesso, eviterei di dare giudizi affrettati. Farò in modo che vengano assegnati a qualche altra missione di limitata entità e poi...”

“... staremo a vedere.”

“Staremo a vedere.”

 
****************


Prima di tutto mi perdonerete se ho tagliato l'azione sul più bello :P le scene d'azione mi risultano sempre le più difficili da scrivere e comunque non volevo che fossero il "focus" del capitolo. Che in realtà è tutto dedicato al primo vero scambio tra Clint e Natasha dopo il loro primo incontro a Londra. Visto che Natasha era tanto piccola (sui 13 anni su per giù) ho *tentato* di rimaneggiare il "love is for children" per adattarlo a questa specifica situazione :)
E con la conclusione si apre un altro mini-arco all'interno della storia... ce la faranno ad avvicinarsi un po'? We'll see!
Ringrazio ancora la mia beta/socia/amica Eli, lei sa perché <3
Grazie infinite anche a chi si è fermato a leggere, commentare, sbirciare, in particolare a Blackmoody, DalamarF16 e missgenius :')
Alla prossima!
S.
  
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