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Autore: M o o n    24/06/2014    7 recensioni
Octavian è visto da tutti come l'antipatico di turno, una feccia umana. Nessuno si sofferma a pensare al motivo di tale carattere, nessuno vuole essere suo amico.
La sua vita è composta da solitudine ed insulti, da delusioni e sofferenze, da maschere su maschere. Perchè, sì, Octavian vive di maschere. Octavian è una maschera.
Però, forse qualcuno riuscirà a bruciarle, queste dannate maschere. Le brucerà con sorrisi gentili e chiacchiere fantascientifiche. Le brucerà con un abbraccio, con una carezza.
Genere: Fluff, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Octavian
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Una luce esiste per tutti
 
1: Come tutto ebbe inizio
 
Non amo la scuola, come la maggior parte delle persone, ma io non la detesto per lo studio, mi piace sapere le cose, la detesto per le persone.
Ora, datemi pure dell’asociale, ma proprio non sopporto la stupidità degli altri studenti! Non fanno che ridermi alle spalle perché sono strano e non ho amici. Mi complimento per la maturità.
I tre mesi estivi di vacanze che ci sono concessi per riposarci erano ormai giunti al termine, e così l’indomani avrei ricominciato la scuola. Quale allegra prospettiva.
Mi consolavo ripetendomi che, contando anche questo, mi rimanevano solo due anni di liceo, poi le cose sarebbero cambiate. Troppo ottimistico.
Con un sospiro sconsolato, chiusi gli occhi ed entrai in quel mondo privato, a cui solo io avevo accesso.
 
♠♠♠
 
Alle sei e mezza in punto la mia sveglia suonò, ed io la buttai per terra con un movimento scocciato. Sfortunatamente, era una sveglia resistente. Il beep-beep continuava, e fui costretto ad alzarmi e raccogliere la sveglia per spegnerla. Mi passai una mano sul viso e sbuffai, lanciando un’occhiata ai peluche sulla mensola – il perché li avessi lì non lo sapevo – e mi costrinsi ad apprestarmi a svolgere i “riti preparatori per la scuola”.
Finiti questi “riti”, guardai il mio orologio da polso: 7.36. Non mi restava altro che andare a scuola. Presi lo zaino vicino alla porta e lo misi in spalla, uscendo di casa e girando la chiave nella serratura.
Infilai le mani nelle tasche dei jeans, e feci la strada che percorrevo per nove mesi all’anno. Il venticello mattutino mi scompigliava i capelli biondi, ma era piacevole. Mentre camminavo, vedevo bambini attaccati alla mano delle madri, che sorridevano dolcemente. Tristezza, rabbia, invidia… queste sensazioni pervasero il mio corpo, e mi costrinsi ad accelerare il passo per non vedere quelle scene. Prima arrivavo a scuola, meglio era. Abitavo a circa un quarto d’ora dalla mia maledetta scuola, per cui avrei sopportato quelle visuali per un po’. Mi concentrai sull’andatura ritmica del mio passo, per evitare di pensare ad altro. Pensando alla mia andatura, arrivai davanti all’edificio della mia scuola, la Abraham Lincoln High School di San Francisco. Appena misi piede sulla scalinata che conduceva all’ingresso la campanella suonò, emettendo quello stupido suono stridulo e metallico.
Un serie di voci mi annunciò ridendo, etichettandomi come “spaventapasseri”. Feci finta di ignorare quelle parole, ma dentro mi ferivano. Ma potevo davvero darlo a vedere? Assolutamente no. Entrai nella mia classe, che negli anni precedenti mi aveva accolto insieme ad un branco di babbuini. Mi scuso se ho recato offesa ai babbuini con questo paragone. I primi ragazzi erano entrati. Seduto dietro, all’ultimo banco sulla destra c’era Jason Grace, uno dei ragazzi più rispettati dell’istituto. Accanto a lui non poteva mancare Piper McLean, la sua ragazza, e davanti il suo migliore amico, Leo Valdez, perfetto idiota. Di recente a quel trio insopportabile si era aggiunto un quarto membro: Reyna Avila Ramirez-Arellano, una ragazza temuta da tutti.
Mentre scandagliavo la classe alla ricerca di un posto strategico dove sedermi, dietro di me comparve la ragazza sopracitata: Reyna. Ignorandomi completamente, andò a sedersi accanto a Leo,baciandolo sulle labbra. Ebbene sì, stava con Clown Valdez. La scena mi fece venire il voltastomaco, e, poco prima che andassi a sedermi, Reyna mi guardò con il suo sguardo trapanatore di anime pieno di disgusto.
Con la rabbia che mi annebbiava il cervello, andai a sedermi al secondo banco sulla sinistra, vicino alla finestra, con un posto accanto destinato a rimanere vuoto perché:
  1. Eravamo un numero dispari, in classe.
  2. Nessuno voleva starmi vicino.
A me andava benissimo, per carità­.
Mentre gli altri babbuini dei miei compagni entravano in classe, mi salutavano dolcemente con qualche insulto. Quando il professore entrò – il professor Downey, di latino – tutti si zittirono sistemandosi per bene al loro posto. Notai che al suo fianco camminava una ragazza. Aveva una folta chioma di capelli rosso fuoco che le scendeva fin sotto al seno, sul naso e le guancem candide come il resto della pelle, aveva una costellazione di lentiggini e due iridi azzurre scintillavano negli occhi.
«Ragazzi, vi presento Katrina Lutair. Si è trasferita qui dalla Scozia. Mi auguro che la trattiate bene.» Downey diede delle pacche sulle spalle alla ragazza, che sorrise dolcemente a tutti noi.
Katrina, pensai, “pura”.
Downey la invitò – il che significa forzò – a parlare di lei, il che secondo me era una cosa abbastanza stupida.
A me non importava conoscere la vita delle persone, inoltre le guance candide della ragazza avevano acquistato un po’ di colore rosso, per l’imbarazzo, poverina. Senza contare che perdevamo tempo che potevamo usare per, chessò io, fare lezione? Purtroppo, non avevo voce in capitolo.
A quanto pare, viveva qui a San Francisco dalla fine del precedente anno scolastico.
Mentre Katrina parlava, mi venne da sorridere. Aveva un accento dolcissimo e il modo in cui si toccava i capelli imbarazzata la faceva sembrare un bambina.
Oh, ma cosa andavo a pensare? Bah,dovevo aver respirato il gas di scarico di qualche auto.
Finito il “discorso” di Katrina, il professore la invitò a sedersi, e lei si diresse verso di me, in quanto unico banco libero.
«Posso…?» chiese, sorridendo imbarazzata. Feci cenno di sì, e lei prese posto accanto a te.
«Sono Katrina, piacere» si presentò. La sua voce era dolce, esattamente come il suo accento.
«Sì, ho sentito, prima»risposi, un po’ troppo acido. Poi aggiunsi «Octavian» lei mi sorrise e poi iniziò a prestare attenzione al professore. Non ci parlammo più, e ok, mi andava bene.
 
♠♠♠
 
Il primo giorno era andato. Non era stato poi così male. Almeno una cosa positiva c’era stata: la mia compagna di banco era una ragazza tranquilla e non un’oca irritante. Grazie al cielo!
«Octavian!» una voce mi fece voltare, e vidi una piccola fiammella venirmi in contro sorridendo. Parlando della mia compagna di banco…
«Hei, Katrina» la salutai, freddamente.
«A quanto pare facciamo la stessa strada» mi sorrise affiancandomi.
«Quale gioia» commentai, roteando gli occhi. Lei rise.
Riprendemmo a camminare, senza spiccicare parola. Il silenzio fra noi due non era carico di tensione o imbarazzo, era rilassante e ben apprezzato da entrambe le parti. Era come quel silenzio che si crea fra due persone che guardano un film, insomma. Girai un po’ la testa per guardarla, di soppiatto, e vidi che le sue labbra erano incurvate in un sorriso.
«Allora... andato bene, come primo giorno?» mi ritrovai a porle quella domanda.
«Oh, una meraviglia! Sono tutti così cari!» mi rispose unendo le mani e mettendo quel doppio pugno sulla guancia.
«Sarcasmo?» chiesi, mentre rilasciava le braccia lungo i fianchi.
«Sapessi, metà a ridermi dietro, l’altra metà a cercare di rimorchiare in un modo... osceno» arricciò il naso disgustata.
“Conosco la sensazione.” Avrei voluto dirle, ma invece mi limitai a risponderle con un alzata di spalle ed un sospiro, scuotendo il capo rassegnato.
«Già, direi che le uniche persone simpatiche con cui ho avuto a che fare oggi sono state Piper, Leo... e te»
Dico, ma stava scherzando? Ci eravamo parlati solo per presentarci, ed io ero stato scorbutico con lei. Quindi, da dove aveva tratto quella simpatia di cui parlava? Ah,ragazze. Va a capirle.
«Sì, io, come no» risposi, con un accenno di risata amara. Lei si voltò e si accigliò alla mia affermazione.
«Perché...?» iniziò, ma la bloccai.
«Sì, sì, certo. Io sono arrivato. Ci si vede» la liquidai, avvicinandomi alla porta di casa.
«Ciao, Oct. A domani!» mi salutò lei, sorridendo, continuando poi a camminare verso casa sua.
Mi aveva chiamato Oct? Ok, bene, perché?
Ah, ragazze.

 

 
Luna’s Corner
Wo-oh, avete visto cosa ha partorito la mia mente? Una cosa totalmente senza senso!
Allour, io non amo particolarmente Octavian, ma poi ho pensato: “e se avesse un motivo per essere così stronzo? Magari ha una storia pesante sulle spalle..” e sbem, ecco un’AU con protagonista l’unico, il solo, il grandissimo squartatore di peluche OCTAVIAN!... con una nuova amica scozzese tanto carina :3
Ok, so che Oct (ma che carina Katrina che lo chiama Oct aw) ha tipo.. diciotto anni, e Leo, Jason, Piper e Reyna non hanno la sua stessa età (o almeno così mi è parso di capire) ma… diciassettenni all the way, woop!
Poi, non shippo neanche lontanamente Leyna, e non mi spiego la presenza di questo pairing nella storia… ma, come ho detto prima, una cosa totalmente senza senso (come me)!
Now, mi metto in ginocchio e vi prego di recensire. Ho bisogno di un parere. Vale la pena continuare questa… cosa, o la devo cancellare? Ho bisogno di voi :c
Ci conto nelle recensioni, eh ;)
Shiao!

Ps: Ok, potrebbero esserci lievi OOC nella storia… perdonatemeli!
  
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