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Autore: Iaiasdream    12/07/2014    7 recensioni
Seguito di: A QUEL PUNTO... MI SAREI FERMATO
Rea, ormai venticinquenne, dirige il liceo Dolce Amoris, conducendo una vita lontanissima dal suo passato, infatti ha qualcosa che gliel'ha letteralmente cambiata... ma... come si soleva immaginare, qualcuno risorgerà dagli abissi in un giorno molto importante... cosa succederà?
Genere: Erotico, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Armin, Castiel, Dolcetta, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A quel punto... mi sarei fermato '
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3° capitolo: OCCHI GRIGIO-NERI
 
Il pavimento è davanti ai miei occhi, ma mi rendo conto di stare ancora in piedi. Sento qualcosa stringermi l’addome, abbasso lo sguardo e noto due braccia intrecciate intente a sostenermi.
<< Ti ho presa in tempo, menomale >> mormora la voce dietro di me. Sorrido, lo riconosco, mi giro con la testa e incrocio i suoi sorridenti occhi ametisti. << Ciao, Rea >>
<< Ciao Alexie >> rispondo con un sussurro. Molla la presa lentamente. << Che ci fai qui? >> chiedo.
<< Sto cercando Lysandro, sai per caso dov’è? >>
<< Dovrebbe essere al club di musica. Devi dirgli qualcosa? >>
<< Dovrei avvisarlo che stasera arriva… >> si blocca di scatto non terminando la frase. Lo guardo incuriosita.
<< Arriva? >> chiedo spronandolo a parlare. Lui istintivamente porta la mano alla nuca, massaggiandosela, balbetta e poi con un sorriso dice: << A-arriva sua madre >>
Ha detto quella frase così esitante che non ho creduto neanche a una sola lettera. Sfortunatamente per me, l’ora non mi da il tempo di indagare, lo saluto velocemente e mi precipito fuori. Entro nell’auto, metto in moto, e sfreccio per raggiungere Rosalya.
Per fortuna non ho fatto ritardo. Ho passato ben tre ore con la bambola argentata, e non c’è bisogno di dirlo, alla fine ha scelto un abito che andrebbe bene per uno spettacolo burlesque.
All’uscita ho dovuto congedarmi in fretta guardando l’ora. “è tardissimo!”
<< Grazie ancora Rea, se non fosse stato per i tuoi consigli… >>
“Consigli? Ma quali consigli? Non mi hai dato neanche il tempo di parlare…” << Di nulla Rosa, ci vediamo domani, ok? >> la saluto in fretta e furia e finalmente entrata in macchina, posso sospirare di sollievo. E anche questa è fatta.
Trono a casa più stanca del solito. Non abito più con zia Michelle. Due anni fa conobbe un produttore che collabora insieme a mio padre nel produrre Drama e senza fregarsene di niente e di nessuno, se ne andò lasciando il negozio nelle mani di Leigh, e casa sua nelle mie.
Fortunatamente non vivo sola, con me c’è la persona che mi ha cambiato letteralmente la vita.
<< Etienne, amore, sono tornata! >> esclamo entrando nel soggiorno e poggiando la borsa sulla sedia e salendo velocemente le scale per raggiungere la camera, sapendo che lo troverò sul letto ad aspettarmi.
 
 
ALL' OSCURO DI TUTTO…
Rosalya esce dalla doccia, aggiustandosi il piccolo asciugamano sul corpo, entra in stanza, dove Lysandro si sta svestendo, guardandolo con occhi sgranati.
<< Stai dicendo sul serio? >> chiede, ad un tratto, allibita. Il ragazzo si gira lentamente sbottonandosi le maniche della camicia,
<< Sì >> risponde secco << Me l’ha detto Alexie >>
<< Ma è ancora presto! Il matrimonio è fra due settimane! A che pro venire adesso? >>
<< Non ne ho la minima idea Rosa. Quando l’ho sentito stamattina, per la prima volta, in quattro anni, mi è sembrato alquanto strano >> continua Lysandro, sfilandosi la camicia di dosso, appoggiandola sulla poltrona.
<< In che senso, strano? >> chiede la bambola argentata sedendosi sul letto.
<< Non so… la sua voce, il suo modo di rispondere. Ho sempre creduto di conoscerlo, ma oggi, quando mi ha parlato, mi è sembrato… diverso, non so spiegarti come. Questo lo dovremo vedere non appena si farà vivo >>
Rosalya sbuffa infastidita, sdraiandosi sul letto. Lysandro le si stende accanto e tutt’e due guardano inespressivi il soffitto, avendo lo stesso pensiero.
<< Cosa ha detto in particolare? >> chiede dopo un po’ la ragazza, con voce titubante, immaginandosi già la risposta.
Lysandro chiude gli occhi, sentendo che le parole che sta per dire, lo renderanno davvero molto preoccupato proprio come quando gli sono state riferite.
<< Ha detto che vuole vederla >> dice tutto d’un fiato. Rosalya, ha un sussulto, si mette a sedere sul letto e guarda il suo ragazzo con occhi sgranati.
<< Q-questo, significa che… >> balbetta smarrita. Lysandro apre gli occhi, volgendole lo sguardo, e alzatosi anche lui, annuisce preoccupato. << Non l’ha dimenticata >>. “In fondo, come avrebbe potuto farlo?” pensa Lysandro, volgendo lo sguardo verso il vuoto. In quattro anni, l’unica cosa che il suo migliore amico gli ha sempre chiesto ogni volta che lo chiamava è stata: Rea.
No, non l’aveva dimenticata. Anche il giorno del suo matrimonio aveva chiamato Lysandro per sapere se la ragazza stava bene, dopo aver sentito la notizia, e Lysandro gli aveva per la prima volta mentito, dicendo che Rea era andata a trovare suo padre in Corea, e che sicuramente si era dimenticata del matrimonio. E invece, la giovane, se ne stette chiusa in camera sua per ben dieci giorni senza voler vedere nessuno. Quando uscì da quella gabbia di dolore, la prima cosa che fece fu sorridere, per cancellare quelle mostruose occhiaie che le stavano distruggendo il viso. Cosa voleva significare quell’espressione? Che si era rassegnata? E infatti, anche se impossibile da credere, fu così. Dopo un mese e dieci giorni di sofferenza, Rea si era ripresa, aveva ricominciato a lavorare; mentre Castiel, telefonava, per sapere le novità. Non parlava mai di se, e Lysandro non provava neanche a chiedergli come stava, perché sapeva che l’amico non avrebbe risposto: l’unica cosa che esisteva per lui era la sua Rea.
Purtroppo Lysandro, dovette continuare a mentire, non raccontando al suo migliore amico che Rea, non lo pensava più come una volta, e che alla fine si era rifatta una nuova vita. Non gli parlò mai di Etienne. Non poteva e non doveva farlo. Non voleva assolutamente sentire il suo migliore amico soffrire. Ma quando quella mattina, Castiel lo aveva chiamato per dirgli che sarebbe giunto la sera stessa. Come aveva detto a Rosalya, Lysandro, aveva sentito nel tono di voce di Castiel qualcosa di diverso, qualcosa che avrebbe portato cambiamenti. “Che intenzioni hai Castiel?” si chiede. Coprendo con un lenzuolo, il corpo della sua addormentata ragazza.
Si stende anche lui, incrociando le braccia dietro la nuca, e guardando il soffitto, sospira silenziosamente sibilando << Speriamo in bene >>.
 
RITORNANDO A REA…
È la terza volta che sbadiglio nel giro di dieci minuti. Stanotte Etienne non mi ha fatto dormire per niente. Dovrà pur togliersi questo vizio, o mi farà veramente impazzire. Posso lamentarmi quanto voglio, ma alla fine, so che le notti passate in bianco con lui, appagano tutta la mia stanchezza accumulata durante il giorno. Etienne mi fa sentire davvero bene. Ha riempito tutto il vuoto che regnava in me.
Ad un tratto blocco le mie faccende. Perché sto girando in torno a questi pensieri? Mi chiedo titubante. Ci sono cose che in questi giorni mi hanno davvero dato a pensare. I comportamenti dei miei amici, e non solo, anche la mia mente, mi ha giocato brutti scherzi e so che quando fa così, al 100% dovrà succedere qualcosa.
Mentre sto pensando a queste cose, mi sono accorta che con la penna rossa ho scritto inconsapevolmente, un nome su un foglio. Lo guardo non facendoci troppo caso, ma quando rileggo le prime tre lettere, ho come uno scatto di nervi, accartoccio il foglio e lo butto nel cestino. "No, Rea" mi dico alzandomi dalla sedia e allontanandomi dalla scrivania. Cammino avanti e indietro nervosa "Non permettere ai ricordi di sopraffatti. Fa lunghi respiri profondi e pensa a qualcos'altro, pensa ad Etienne". Mi avvicino lentamente alla finestra e vedo nel cortile che qualcosa non va. Due ragazzi si stanno picchiando e fra quei due scorgo Alain.
<< Maledetto moccioso, sempre lui! >> apro la finestra affacciandomi e urlando il suo nome per farli smettere ma quelli non sentono. Velocemente mi dirigo verso l'uscita dello studio, per raggiungere il cortile.
<< Alain, smettila, lascialo! >> urlo avvicinandomi ai due per dividerli. Nel farlo ho una strana sensazione di déjà-vu.
<< Ma guarda che cosa diavolo devono sopportare i miei nervi. ALAIN, SMETTILA!!! >> strillo. Finalmente si sono decisi a fermarsi. Mi guardano tutti e due incuriositi. Li fulmino con gli occhi.
<< Tu va subito in infermeria >> ordino alla vittima, poi volgendomi al moccioso pervertito << E tu nel mio studio, adesso! >>
Alain sbuffa un sorriso malizioso io continuo a fulminarlo con gli occhi, poi cammino avanti seguita da lui che ha infilato le mani nelle tasche dei pantaloni come fosse niente.
"Veramente se non lo faccio fuori adesso, sono convinta che in futuro me ne pentirò amaramente!" Entriamo nel mio ufficio e gli ordino di chiudere la porta.
<< A chiave? >> chiede lui tanto strafottente quanto malizioso.
<< Alain, ti avviso che mi stai facendo saltare i nervi! >> esclamo scocciata e irritata sedendomi sul bordo della scrivania.
<< Per quale ragione malata, stavi pestando a sangue un tuo compagno? >>
<< Perché non vai a chiederlo a lui? >>
<< Rispondimi! >>
<< Quando una persona offende i tuoi genitori, secondo te, quale reazione si dovrebbe avere? >>
Trasalisco, sentendo ancora quella sensazione impossessarsi del mio corpo. Mi riprendo subito cercando di essere impassibile a quelle parole.
<< Questo non giustifica il fatto che per l’ennesima volta sei in ritardo >> esclamo mantenendo vivida la mia irritazione.
<< Se non fosse stato per la tua voglia di portarmi in questo ufficio, sarei arrivato in tempo >> ribatte strafottente.
“Perché diavolo esiste una legge che vieta a un docente di picchiare l’alunno?”
<< Se non ti avrei richiamato, avresti mandato all’ospedale quel ragazzo! O forse ci saresti andato tu >> urlo tenendogli testa.
Lui non parla, il suo sorriso è scomparso dalle sue labbra, mi guarda, serio; poi si avvicina lentamente, sciolgo la mia posizione, pronta per allontanarmi, ma la scrivania me lo impedisce. Me lo ritrovo a pochi centimetri da me. Riesco a sentire il suo respiro. Avvicina il suo viso al mio.
<< Allontanati Alain! >> dico duramente. Lui mi sorride, ma non si accenna a volersi togliere, anzi, con le dita della sua mano, mi sta sollevando in mento all’altezza del suo viso.
<< Ti saresti preoccupata, se sarei finito all’ospedale? >> mi chiede con un sibilo malizioso.
Scanso la sua presa bruscamente, spingendolo all’indietro. << Non dire scemenze >>
Lo vedo digrignare i denti e afferrarsi la mano, capisco che ha dolore. Osservo la sua mano, è gonfia e livida. Sospiro rumorosamente avvicinandomi a lui e afferrandogli la mano.
<< Ah! Alain, tu mi farai andare davvero al manicomio!... fa vedere >>
La sua mano è calda, e mi accorgo che dopo averlo toccato ha iniziato a tremare, di poco. Lo faccio sedere sulla sedia difronte alla scrivania, e vado a prendere da un mobile la cassetta del pronto-soccorso. Prendo ovatta, disinfettante, pomata e fasciature, poi mi siedo di fronte a lui, e inizio a curargli la mano.
Appoggio l’ovatta imbevuta sulle ferite, ed è in questo preciso istante che vengo folgorata da un ricordo lontano, liberatosi dall’oscurità della mia mente. Mi fermo, osservo la mano. Il pavimento scuro, si schiarisce, la sedia dov’è seduto Alain diventa lettino, e man mano che alzo gli occhi su di lui, Alain stesso diventa Ca…
<< Cos’hai? >> chiede ad un tratto il ritornato Alain, facendomi allontanare repentinamente dal passato. Lo guardo negli occhi, smarrita. Lui sorride, e da quell'espressione deduco che presto sputerà una delle sue perversioni, e infatti...
<< Perché stai fremendo?... Sei davvero una preside pervertita. Lo sai che non puoi sedurre un allievo? >>  dice beffardo.
In quel momento inizio ad immaginare come si sentiva Sweeney Todd, ogni volta che tagliava la gola a una sua vittima. Dovrebbe essere davvero una sensazione bellissima. Sfortunatamente non ho il coraggio e la pazzia di quel barbiere,  quindi mi limito solo a prendere lo spirito e versarglielo sulle ferite, rivolgendogli un ghigno.
Alain ritrae la mano di scatto guardandomi con le sopracciglia aggrottate e con le labbra distorte dal dolore.
<< Ma tu sei una sadica! >> esclama a fatica.
<< E tu un pervertito! >> rispondo a tono fasciandogli velocemente la mano non curante dei suoi gemiti di dolore. Quando ho finito, lo spingo fuori dallo studio chiudendomi la porta alle spalle. Sospiro. Raggiungo la scrivania e appoggio le mani sul piano dando peso sulle braccia. << No, non posso ricominciare >> sibilo chiudendo gli occhi e sentendo qualcosa al cuore intento a prendere vita. Tiro un profondo respiro, e riapro gli occhi guardando la scrivania, è piena di scartoffie, le ammucchio, velocemente, guardandone prima il contenuto.
Sento bussare alla porta, invito ad entrare con un flebile "avanti". Non mi giro, rimango davanti alla scrivania.
<< Rea >> è Melody.
<< Cosa c'è? >> chiedo, senza voltarmi, dando un'occhiata al foglio appena preso.
<< Alain mi ha riferito che hai fatto chiamare suo cugino >>
<< E con ciò >> chiedo senza dare importanza.
<< È, è arrivato >> risponde lei insicura.
<< Bene, fallo entrare >> dico raccogliendo la pila di fogli. Mi sposto dalla scrivania, volgendo lo sguardo verso Melody che è rimasta imbambolata a fissarmi davanti alla porta. Mi fermo guardandola sottocchio.
<< Melody, che cosa aspetti? >>
Lei trasalisce fissandomi smarrita. << S-sì, subito >> esce dallo studio.
Faccio spallucce, e mi avvicino a un mobiletto con le ante scorrevoli aperte. Mi accingo a mettere le carte in uno spazio vuoto, facendo attenzione a non farle cadere.  Bussano ancora alla porta << Avanti! >> esclamo. Sento aprire e poi richiudere. << Prego, si accomodi >> dico gentilmente senza voltarmi. Alle volte so essere davvero maleducata, purtroppo ho ancora le carte in mano e le sto poggiando in alto << Mi scusi le spalle >> rimedio.
<< Non preoccuparti >> dice la voce alle mie spalle, facendomi fermare << quel lato di te mi è sempre piaciuto >>.
Trasalisco. Tremo. Respiro a fatica, sentendo i battiti del cuore volersi contrapporre ad esso, quella voce invade inesorabile le mie orecchie ritornando famigliare nella mia mente, che si apre ai ricordi lontani. Lascio la presa dei fogli in alto, e dallo scaffale scivolano cadendo su di me. Nel mentre mi sono girata, e tra quei rettangoli bianchi che scendono come grossi e squadrati chicchi di neve, davanti i miei occhi ho incrociato lo sguardo grigio-nero di lui. Castiel.
   
 
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