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Autore: Tomi Dark angel    15/07/2014    5 recensioni
Mi chiamo John Watson e vivo a Londra. È dodici giorni a nord di disperazione e pochi gradi a sud di piogge torrenziali. Si trova esattamente sul meridiano della miseria. La mia città, in una parola è… solida. (...) L’unico problema sono le infestazioni: in alcuni posti hanno topi o zanzare. Noi invece abbiamo… i draghi.
Johnlock
Genere: Generale, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Jim Moriarty. Parole così semplici, espresse con canzonante fermezza. Sono solo lettere, figlie di nome troppo ordinario, troppo normale per appartenere a un soggetto simile.
Se il Diavolo assumesse sembianze umanoidi, di certo avrebbe lo stesso aspetto di quella creatura. Elegante, impeccabile nella leggera andatura di fascino magistrale. Ondeggia appena il capo, guardandosi intorno con bizzarra sorpresa. Sembra capitato lì per caso, vittima di indicazioni sbagliate o distrazione involontaria. Vittima.
Jim Moriarty. Drago, umano? Demone? Forse, l’ultima parola vale più delle precedenti. Glielo si legge negli occhi scuri senz’anima, ove pupilla verticale è appena visibile. Avanza impettito, le labbra distese di perfido sorriso. Non parla più, non adesso. Due parole sono bastate, poche lettere per annientare perfino lo scorrere del tempo. Piega i rumori ad ogni passo, annienta respiri ad ogni soffio vitale. Semplicemente, Jim Moriarty uccide vivendo.
Poco a poco che la sua figura emerge dalle ombre, i presenti cominciano a scorgerne i dettagli. Corna appena ricurve da stambecco color bronzo lucente, scaglie di purissimo acciaio argentato, brillante, indistruttibile. Percorrono di protezione la pelle chiara di fantasma, affondando nel completo classico di camicia, giacca e cravatta. Oltre i bordi dei pantaloni, sbucano le zampe posteriori artigliate, ricoperte di scaglie tanto preziose quanto aggressivamente metalliche. Moriarty ha capelli neri pettinati all’indietro, coda scudisciante che emerge da un grosso buco sul retro dei pantaloni e ali tanto grandi da tappare quasi totalmente l’entrata della grotta semplicemente stando ripiegate. Morbide di vele argentate e ossa grigio scuro, possenti, vibranti di potenza. Brillano quasi di luce propria mentre rigettano riflessi sinistri sulle punte assassine che ricoprono il dorso della coda abbastanza lunga e massiccia da poter abbattere una nave con un colpo solo.
Moriarty avanza ancora, quasi raggiunge le persone più vicine che, paralizzate, lanciano occhiate intimorite alle corna micidiali e alla coda che minacciosa, sguscia come serpe in caccia alle spalle del drago. Si ferma. Moriarty non avanza più.
-Ma che bella accoglienza. Oh, che sbadato! Devo aver dimenticato che oggi è il mio compleanno! Tanti auguri a me! E grazie per questi splendidi doni!-
Moriarty allarga le braccia e sorride spavaldo, inchinandosi elegantemente ai presenti.   
-Specie per quel regalo laggiù. È un bellissimo giocattolo.- asserisce, indicando Sherlock con un cenno.
La Furia Buia non reagisce, non solleva lo sguardo. Non ne ha la forza. Ha perso troppo sangue e, di certo, la droga che gli iniettano in pesanti dosi attraverso l’ago infilato nel braccio, non aiuta.
-Oh, non ditemi che l’avete già rotto… -
Silenzio. Nessuno fiata, nessuno s’azzarda a rispondere. Moriarty rotea gli occhi, poi li sbarra all’inverosimile.
-Dovrete riparare i danni, sapete? O questo, o vi scuoio uno dopo l’altro.- Sorride amabilmente, oscillando velocemente la testa a destra e sinistra. –Ma sono generoso, quindi a voi la scelta. Scegliete? Io proporrei lo scuoiamento, ma stranamente nessuno sceglie mai questa opzione. Chi prima di voi l’ha provata tuttavia, non si è mai lamentato.-
Ancora una volta, nessuna risposta. Moriarty avanza di un passo e i più vicini stringono forte le armi, tremanti di sudori freddi e denti appena digrignati.
Il corpo avverte automaticamente il pericolo, si dice. È vero, è naturale. L’uomo dopotutto, è per metà bestia, e mai come in quel momento, i presenti si vedono costretti a lottare per combattere l’istinto di fuggire, di mettersi in salvo.
Moriarty trasuda pacifica furia omicida. Pericolo. Rabbia covata. Morte.
La gente indietreggia.
-Ve ne andate?- esclama Moriarty, trasalendo in maniera teatrale e assolutamente fasulla. Si porta le mani al petto, sbatta la bocca e gli occhi in un’espressione di assurda sorpresa. –Alla mia festa? Oh, non se ne parla proprio. Devo ancora scartare i regali.-
Piega la testa da un lato, flette gli angoli delle labbra verso il basso. Poi, improvvisamente, la sua falsissima espressione di tristezza si distende, muta. E poco a poco, assume il suo vero volto.
Sulle labbra di Moriarty sboccia un sorriso, gli occhi si spalancano, le ali lentamente si spiegano in metri e metri di terrificante cappa argentata.
-Comincerò a scartare voi.-
La gente ha appena il tempo di carpire il pericolo imminente, di voltarsi per fuggire, quando Moriarty spalanca la bocca ed esplode dalle umane fauci un inferno di fiamme. Lingue vermiglie s’allargano tutto intorno, distendendosi per metri e metri in un’esplosione di calore e grida sofferenti d’umani morenti. I diretti esposti alla fiammata, si consumano velocemente in carne rarefatta, ossa, convulsioni di nervi sciolti dal calore. In brevi istanti, di loro non restano nemmeno le armi, ormai fuse in mucchi ancora liquidi di metallo inutilizzabile.
La fiammata si estende in tutta la sua violenza e colpisce col fragore di un uragano la fiancata della nave più vicina. Quella esplode in un oceano di metallo e legno che inarrestabile si riversa nell’aria in un ventaglio di schegge.
Alcune trafiggono persone innocenti, altre ancora si riversano in mare, abbandonate di ricordi che le ricordano come parte d’una nave integra e perfettamente funzionante.
La gente urla, scappa, si getta in acqua. Non tutti riescono a fuggire.
Improvvisamente, Moriarty sbatte le ali gigantesche, scatenando un vento possente, intriso di violenti mulinelli e raffiche graffianti di artigli invisibili. Altre due navi si capovolgono, un’altra viene spazzata via e quasi si solleva dall’acqua, trascinata dall’uragano come piuma trasportata dal vento.
Un’altra vampa di fuoco, un altro inferno di fiamme brucianti, violente. Un’altra nave esplode, fragile come carta velina. Nessuna pietà, nessuna resistenza. La gente urla, brucia, implora pietà. Da quella nave, nessuna vittima riesce a scendere. Muoiono lì, mosche insignificanti al cospetto di una ben più grande minaccia assassina e senz’anima.
Moriarty avanza lentamente, le labbra socchiuse dalle quali fuoriescono volute di fumo nerastro, sporco come l’anima che lo produce. Cammina tra le fiamme, calpesta la terra bruciata senza scottarsi. Finanche i suoi abiti paiono assorbire il fuoco.
Intorno a lui, l’inferno. Corpi anneriti e ancora scossi dalle convulsioni, uomini e donne che impotenti si rotolano al suolo, ai suoi piedi, come schiavi insignificanti. Alcuni invocano aiuto, altri muoiono ancor prima di riuscire a farlo. Nell’aria si spande il puzzo di sangue e carne bruciata mentre poco a poco, l’erba che ricopre il terreno s’infiamma, da verde pare convertirsi al rosso cremisi e all’oro della devastazione.
Lentamente, Moriarty spalanca le ali, catturando metri e metri di larghezza. Le solleva sulle loro teste, inghiottendo il cielo, i colori, la luce. Improvvisamente, sui sopravvissuti cala un’ombra mortifera, giudiziosa, che implacabile calerà su di loro come scure di ghigliottina.
Moriarty solleva la coda, la fa ondeggiare allo stesso ritmo della testa che lentamente, oscilla come pendolo d’un orologio. Unisce le labbra e comincia a fischiettare, spensierato come un bambino. È un motivetto allegro, simile a orchestrale filastrocca d’infanzia. Accompagnata dalle grida sofferenti dei moribondi tuttavia, essa si tinge di mortifero avvertimento, venato d’orrore nauseante.
La coda s’abbatte, tranciando in due sette uomini che invano tentavano la fuga. Sherlock li sente gridare, li guarda dimenarsi e coprirsi d’ustioni mentre il fuoco divora anche loro. Soltanto tre muoiono sul colpo. Gli altri sopravvivono e poco a poco, con schiene spezzate e ossa frantumate, si coprono di spasmi e vesciche di carne viva, consumata di cadaveri.
Moriarty abbassa le ali, piantandone le punte ossee nel terreno fiammeggiante. Impala due cadaveri già consumati, ma ancora vittime di convulsioni nervose. Premendo su di esse, il drago si solleva e con grazia felina atterra sulla nave ancora integra dove giace Sherlock, affiancato da una Donovan tremante, indebolita, con occhi sbarrati d’orrore e consapevolezza d’aver condannato a morte inutili innocenti.
Moriarty la guarda col capo assurdamente inclinato. Sorride di un’allegria malata, figlia del dolore che tutto intorno si consuma in spirali di fumo annerite e corpi contratti di nervi bruciati. La luce rossa e oro che balugina sul suo viso, tinge di ombre demoniache i suoi zigomi e gli occhi, neri d’anima oscura.
-Cosa abbiaaaamo qui?- ride, strascicando la lettera “A” con fare teatrale. Donovan indietreggia scoraggiata, cade in ginocchio, trema dinanzi all’essenza stessa della devastazione.
Sono morti tutti.
I suoi uomini, i suoi soldati. Coloro che per brevi istanti hanno creduto in lei, affidandosi alle sue superbe decisioni. Adesso giacciono inermi su terra bruciata, senza più lacrime da versare, senza più grida da spendere. I pochi sfortunati ancora in vita, aprono e chiudono la bocca in cerca d’aria e con le ultime forze, rivolgono al loro capitano occhiate di sincera e disperata domanda: perché?
-Non dovevano morire… non dovevano morire così…-
Moriarty ride, una risata di gola, felice, che assorbe grata il puzzo di sangue e carne bruciata che infame si spande nell’aria.
-Oh, e come avresti preferito che morissero? Scegli, donna: come vuoi morire tu?-
La risposta, Donovan la conosce bene: non vuole morire. Ama la vita, il respiro che ansioso le riempie il petto d’aria malsana, la consapevolezza d’avere un corpo pulsante e ancora pienamente in funzione.
Indietreggia, incespicando impacciata nei suoi stessi piedi. Striscia come verme ai piedi del suo implacabile boia che annoiato distoglie gli occhi da lei per posarli su Sherlock.
-Oh, dolcezza.- mormora, afferrando delicato la siringa che sporge dal collo di Sherlock. –Che brutta bestia è la prigionia, vero? Così… soffocante. Però sai una cosa? Devo ammetterlo: vederti così, mi eccita terribilmente. Avrei voluto domarti personalmente, ma a quanto pare, le tue stesse manie di eroismo ti hanno tradito prima del mio arrivo. Peccato, cucciolo mio. Avrei voluto che Johnny-boy guardasse mentre ti uccido. E invece non lo farà. Dovrò improvvisare.-
 Lentamente, Moriarty fa scivolare una mano sul collo di Sherlock. Appoggia le dita con delicatezza di farfalla, solletica i suoi capelli con fare giocoso, morbido, quasi seducente.
Sherlock sa bene che quel gioco, potrà concludersi in un unico modo. Moriarty ama i giocattoli nuovi, li ha sempre amati. Ma lui è già vecchio, nel suo essere novità interessante agli occhi dell’altro drago.
Sherlock alza gli occhi al cielo. Lo vede scurirsi, tingersi di nuvole cariche di pioggia.
Piangerà il cielo, quando perderà uno dei suoi figli? Piangerà come quella notte, quando Sherlock perse sua madre, quando ogni cosa ebbe inizio? Sherlock non è abbastanza cosciente da dedurlo. È insensibile, stordito, pensa appena. Il suo Mind Palace è racchiuso in un bozzolo silenzioso, assopito, fragile di vulnerabilità.
Quando Moriarty solleva una mano artigliata, sorridendo amabilmente, Sherlock già non pensa più: abbandona il capo sul petto, respira lentamente. Non è il suo posto, quello. La terra, la prigionia. Lui morirà così. Misero, debole, spezzato. Forse, ha sempre meritato questo.
Qualcosa gli scivola intorno al collo, stringe d’implacabile morsa d’acciaio sulla giugulare. Sherlock socchiude gli occhi, incontra quelli rossi di fiamme di Moriarty.
-Affonda con la tua nave, capitano!- esclama, esibendosi in un grottesco saluto militare, che con l’inferno stesso che si scatena ardente alle sue spalle, appare minaccioso più di qualsiasi altro incubo mai partorito da mente umana e non.
Improvvisamente, Moriarty si solleva di nuovo. Affonda le punte delle ali nel terreno, innalzandosi come mefitico angelo della morte su Sherlock, sul mondo intero. Inspira a pieni polmoni, inalando l’aria putrefatta di cadaveri e carne ustionata dalle fiamme.
“Sherlock?”
Sherlock sorride di quel miraggio, s’abbraccia sereno di quella voce lontana, calda, profonda. Una voce umana, che dopotutto, gli appartiene. John.
La fiammata parte improvvisa, violenta come lama di falce assassina. Esplode dalle labbra di Moriarty, rovesciando altri riflessi demoniaci sui cadaveri contorti alle sue spalle, nei loro occhi vitrei, nelle orbite vuote ormai ospiti di sole ustioni laceranti.
Le lingue roventi si schiantano come macigno tangibile, massiccio, contro la nave.
Sherlock non sa cosa lo sbalza in acqua con violenza, non sa perché il suo udito ben più che sensibile sia improvvisamente ridotto a un fischio acuto e continuo, che annienta qualsiasi altro rumore. Non sa, non capisce. Non si accorge nemmeno dell’ancora che, arpionata alla catena che Moriarty gli ha stretto intorno al collo, lo trascina giù, verso il fondale.
Sherlock non ha la forza di annaspare, di analizzare la situazione. La stanchezza è troppa, e stringe la sua morsa ad ogni istante. Semplicemente, Sherlock Holmes non ce la fa più.
Inspira a fondo, inalando grato l’ultima boccata d’acqua coi suoi polmoni da Furia Buia. Una volta, sua madre gli disse che nuotare è un po’ come volare liberi nel cielo. Sherlock ci provò, e sentì che era vero.
Guarda in alto, verso la superficie arrossata di sangue e fuoco. Si rivede bambino, intento a danzare nell’acqua allora pulita, limpida come cristallo liquido. La fendeva con le ali, sgusciava la lunga coda serpentina per cambiare direzione. Sherlock amava nuotare, e lo ama tutt’ora. Tuttavia, adesso che la catena d’ancora si stringe poco a poco intorno al collo, soffocandolo, Sherlock sa di dover morire così, ingabbiato e misero nello stesso elemento che un tempo lo rendeva libero e glorioso come tsunami inarrestabile.
Le ali s’appesantiscono, la coda lo trascina giù. Improvvisamente, Sherlock appare pesante, abbandonato come corpo già defunto.
John.
Un ultimo sguardo alla luce, un’ultima preghiera all’unica persona che Sherlock abbia mai amato.
John.
Quella voce, quegli occhi cangianti, quelle mani di ruvido soldato. Quell’anima intrisa d’umana pietà.
John.
Era il suo John, il suo guardiano. Sarebbe rimasto con lui fino alla fine, disse, ma Sherlock è contento che non sia così: John vivrà, andrà avanti. Ma senza di lui.
Sherlock chiude gli occhi, lascia che gli ultimi rimasugli d’aria spariscano dai polmoni soffocati. S’abbraccia dei pochi ricordi felici mai vissuti, ricorda quegli istanti di pura libertà assaporata insieme a lui, insieme alla sua anima gemella. Sherlock avrebbe voluto dirglielo, avrebbe voluto confessargli tutto. Ma per lui, c’è sempre stato tempo. Adesso però, il tempo non c’è più.
Sherlock si abbandona, abbracciato dal silenzio e dalla pace. Quasi sorride quando una voce lontana, così simile a quella di John, lo chiama dall’alto, invitandolo verso un paradiso così vicino, così prossimo.
Uno schianto, rumori violenti, grida. No, forse quello è l’inferno. Se solo l’inferno esistesse.
Qualcosa lo tocca, gli prende il viso tra le mani. Sherlock non reagisce, non ne ha la forza, ma lui… lui quel tocco, lo conosce bene. Se solo ricordasse il volto o il nome del suo proprietario.
“Sherlock?” chiama Nevora da molto lontano. Sherlock la sente camminare nella sua testa, sostituire le sue mani morbide di donna a quelle dell’uomo che gli solleva la testa. Sherlock resta immobile.
Devi aprire gli occhi, figlio mio.” dice lei, scuotendolo leggermente. Le sue mani, così come quelle dell’uomo, lo lasciano andare. Qualcosa intanto, tocca il collo martoriato di Sherlock.
“Devi concentrarti, Sherlock. Riattiva il Mind Palace, adesso!”
SHERLOCK!!!
“Concentrati!!!”
Con forza innaturale, Nevora lo schiaffeggia. Quattro profondi graffi gli si aprono sulla guancia, facendolo trasalire.
Qualcosa gli sfiora ancora il collo e improvvisamente, i polmoni di Sherlock bruciano, si gonfiano di respiri profondi. C’è aria!
“Concentrati!”
Un altro schiaffo, un’altra scossa di dolore.
Improvvisamente, la luce. Il Mind Palace trasale, vibra di pensieri e idee traboccanti. Dati, immagini, indizi. Colori, odori, sensazioni. Le porte si aprono una dopo l’altra, in rapida successione.
Suoni e ricordi visivi si riversano nei corridoi. Persone conosciute o solo minimamente studiate, piante, animali, ambienti. Tutta una vita di studio, di osservazione, rovesciata nella sua testa adesso che Sherlock ne ha bisogno, adesso che necessita di aiuto per rialzarsi, per risalire in superficie.
Sbarra gli occhi all’improvviso, tossendo e ansimando come fragile umano. Si guarda intorno, studia l’ambiente e la situazione.
L’ancora giace ai suoi piedi, abbandonata sul fondale dove due umani piedi poggiano precariamente, combattendo contro l’acqua che spinge in alto un corpo gonfio d’aria.
Sherlock solleva lo sguardo ancora annebbiato e incrocia gli occhi blu brillante di John Watson. Riscopre allora le profondità dell’oceano, in quello sguardo colmo di preoccupazione. Rivede lo stesso oceano che l’ha reso libero e leggero, fragile e potente come onda implacabile. Rivede la sua forza in quell’uomo che ancora gli stringe il volto tra le mani, fissandolo terrorizzato. È vita, quella che Sherlock sta guardando. È vita colui che gli tocca il viso, restituendogli il respiro, le emozioni, la speranza.
-John.- chiama Sherlock, espellendo dalle labbra centinaia di bollicine argentate. Sorride, lo abbraccia con forza e finalmente può baciarlo davvero, così come è accaduto nel suo Mind Palace.
Con dolcezza, affonda una mano nei suoi capelli, avvolge la coda intorno ai loro fianchi e chiude le ali in un bozzolo di stelle e aurora boreale. Schiude le labbra di John e gentile, soffia aria pulita di vaniglia e sapore speziato in quei polmoni così umani, ma anche così resistenti.
John inspira la sua aria, rivive, e finalmente, non ha più paura. Tocca il calore di Sherlock, abbraccia quel corpo così vivo, così amato. E alla fine, sa che Sherlock ricorda bene, sa che quell’incontro nel suo Mind Palace è presente nei suoi occhi, nella sua testa.
Con calma, Sherlock si allontana.
-Trattieni il respiro.- dice soltanto, e automaticamente, John si fida. Abbraccia forte il suo drago e stacca i piedi dal fondale mentre Sherlock batte le ali una sola volta, fendendo l’acqua con forza inaudita. Le loro teste infrangono la superficie del mare con violenza e in un istante, i loro corpi cono fuori, avvinti, intrecciati come pezzi d’unico puzzle.
Nel Mind Palace, Nevora sorride ferina, stringendo forte la spalla del figlio.
“Vinciamo questa guerra, figlio mio. Riprendiamoci il mondo!”
Dalle stanze, emergono d’improvviso persone, volti studiati almeno una volta e mai realmente conosciuti. Persone, dati, idee. Ognuno raggiunge Sherlock, ognuno si schiera alle sue spalle. Sono pronti, tutti loro.
Sherlock abbraccia forte John e spalanca le ali con tanta violenza da scatenare un’onda anomala che possente si riversa sulla terraferma, spegnendo gli incendi, spazzando via corpi ustionati e sangue. L’acqua pulisce, purifica, spazza via la crudeltà dell’omicidio per rimpiazzarla con la limpidezza dell’implacabile giustizia.
Sherlock si leva in volo, oscura il cielo con ali di oscura aurora boreale. D’improvviso, il grigiore di Moriarty retrocede ferito, con fatica si lascia rimpiazzare da un arcobaleno variopinto di colori e luce intensa, brillante come gocce di diamante che piovono dal cielo.
Alle spalle di Sherlock, giungono gli altri draghi. Noah, Irene, Mycroft, Anthea, Edarion. Ognuno abbigliato in tenuta da battaglia, ognuno fiero della sua scelta che forse condurrà alla morte. Tutti consapevoli, tutti così dannatamente giusti. Il mondo li osserva, giudica la loro grandezza. E alla fine, qualcosa cambia.
Edarion sbatte con forza le ali verso il cielo, spazzando via le nuvole cariche di pioggia. Improvvisamente, torna il sole.
Irene, Noah, Mycroft e Anthea oltrepassano Moriarty con battiti d’ali possenti e, artigliata la sommità della montagna, rifugio del male stesso, la spaccano in due, lacerandola, rivelandone il mefitico contenuto di lava bollente che tuttavia, dinanzi alle gelide raffiche di vento dettate da ali gigantesche, si raffredda e non cola lungo le crepe.
La storia può essere riscritta. La storia può cambiare.
-No!- ringhia Moriarty mentre gli umani ancora in vita applaudono, esplodendo in grida esaltate, vive, che rimpiazzano di respiri puliti l’aria intrisa di malefica morte.
Sherlock atterra sulla nave più vicina e lascia andare John. L’ex soldato lo guarda preoccupato, stringendo gli occhi per studiare profondamente quel volto intriso di gelida determinazione.
-Guidali, John. Guida il tuo popolo così come deve essere.- mormora Sherlock. Gli afferra il viso tra le mani e, piegato leggermente il busto, gli bacia la fronte in un gesto regale, fidato, che sa di ere passate e storia antica ma adesso viva grazie a quel contatto.
John sbatte le palpebre stordito, inebriato dal profumo di spezie e vaniglia che gli ricopre le narici. Guarda Sherlock negli occhi, poi lentamente si volta.
-John Watson.- chiama una voce dal nulla, e dalla folla, abilmente travestito con mantello e cappuccio, emerge Philip Anderson. Trascina Donovan per i capelli, e lei non ha neanche la forza di ribellarsi. Balbetta incontrollata, prossima alla pazzia, preda degli incubi più neri. –Cosa dobbiamo fare, capitano?-
 
Angolo dell’autrice:
Ok, il personaggio di Moriarty è più difficile di quanto avessi immaginato. Porco gatto.
Moriarty: lascia stare i gatti. Adoro i gatti.
E anche i pesciolini rossi. Sparisci, sto cercando di essere seria!
Mor: tu? Da quando?
JIM!!!
Mor: ho capito, ho capito. Sherlyyy!!! Giochiamo?!
E tanti saluti a Sherlock Holmes. Dunque, dove eravamo? Ok, sono in ritardo. Ho avuto qualche problemino più che serio, quindi… be’, ho fatto del mio meglio, abbiate pazienza. Ora, spazio ai ringraziamenti!
Wibbly Wobbly Timey Wimey: non mi sono ripresa del tutto, ma ti ringrazio per l’interessamento, mi fa piacere. Tantissimo! Comunque sì, Jim è arrivato. Ed è il solito figlio di… cagna. Allora, i capitoli non so a quanto ammonteranno, ma siamo vicini alla fine! Resisti!!! A presto, e grazie!
Kimi o Aishiteiru: mannaggia a te! Mi hai fatto riscrivere una parte del discorso di Moriarty per inserirci Johnnyboy! Ehi, Sherlock è tutto fuorché grasso. E credimi, nel prossimo capitolo si saprà com’è veramente. Tanti auguri a me. E no, ti hackererei l’account solo per avere il tuo indirizzo, prendere treno, nave, aereo o qualsiasi altra cosa, farmi trovare sotto casa tua e farti un regalo gigante per ringraziarti di tutti gli incitamenti che mi rivolgi! Detto questo, ti ringrazio ancora! A presto!
Sonia_0911: spero che la futura battaglia ti soddisfi come spero. Eheh, maestosità reverenziale? Devi ancora leggere di Sherlock e Moriarty versione draghi. Anche qui, spero di non deluderti. Le dimensioni saranno spropositate, ma spero di riuscire a muoverli a dovere. Be’, che dire? Grazie per il bellissimo commento e ti saluto! A presto!

Tomi Dark Angel
  
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