Anime & Manga > Kuroko no Basket
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Autore: Ortensia_    15/07/2014    4 recensioni
"Kuroko Tetsuya, giovane promessa del basket conosciuto come: "Il sesto uomo fantasma della Generazione dei Miracoli", trovato impiccato nel suo piccolo appartamento di periferia.”: questo è ciò che i giornali riportano in una fredda mattina di febbraio.
Tuttavia basta una più attenta osservazione per capire che non si tratta di suicidio e, fin da subito, il cerchio dei presunti colpevoli si restringe attorno ai grandi talenti del basket, a coloro che più sono stati vicini a Kuroko. Adesso che il nodo di congiunzione si è sciolto, gli ingranaggi si romperanno di nuovo.
«Il nodo di congiunzione che li aveva tenuti uniti si era sciolto, distrutto in una piovosa giornata di febbraio: le anime che si erano ritrovate grazie a Kuroko sarebbero ricadute molto presto nella malattia, si sarebbero allontanate e non avrebbero più avuto occasione di riavvicinarsi.
Da quel giorno in avanti, la spaccatura che Kuroko era riuscito a riparare si sarebbe tramutata in una voragine nera che li avrebbe risucchiati tutti, li avrebbe consumati e distrutti, dal primo all'ultimo.»

Accenni: KagaKuro; KuroMomo (altri, leggeri leggeri)
Coppie: AoKise
Genere: Dark, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kiseki No Sedai, Satsuki Momoi, Taiga Kagami
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo II


Aomine brontolò nervosamente e si rigirò fra le coperte, dando la schiena al cellulare che improvvisamente aveva cominciato a vibrare contro la superficie del comodino, disturbando il suo sonno.
Il lato negativo del lavoro di poliziotto era che, bene o male, doveva essere sempre reperibile, per cui il cellulare non poteva assolutamente trovarsi in modalità silenziosa e quando dormiva era in vibrazione. Quella notte, ad esempio, aveva vibrato almeno cinque o sei volte, lui si era svegliato, aveva dato un'occhiata allo screensaver e poi, assicuratosi che non si trattasse della centrale, era tornato a dormire; in quel momento, nonostante avesse voltato le spalle al comodino, gli occhi di Aomine vennero feriti dalla luce fioca del sole che aveva cominciato ad insinuarsi tra le fessure delle tapparelle, così, capendo che non sarebbe riuscito a riaddormentarsi, si sistemò sulla schiena con un rantolio nervoso e afferrò il cellulare con ben poca delicatezza.
«Ma che vuoi?» Daiki brontolò, con la voce ancora impastata dal sonno.
«Aominecchi!» l'altro sembrò quasi sorprendersi del fatto che avesse risposto: era sicuro che il suo sarebbe stato l'ennesimo tentativo a vuoto.
«Ma non eri in servizio, ieri sera? Perché non hai risposto alle chiamate?»
Aomine alzò gli occhi al cielo e sbuffò esasperato.
«Perché ero in servizio. E poi sono andato a dormire.» in verità avrebbe potuto rispondere benissimo alle chiamate di Kise anche quando era in servizio - come era già successo, dopotutto -, ma quella notte aveva deciso di non farlo: era scontato che Ryouta volesse parlare di Kuroko, e lui non ne aveva la minima intenzione, era già abbastanza averlo visto in quello stato, essere uno dei poliziotti con il compito di far luce sul delitto e, allo stesso tempo, uno dei sospettati per il quale la polizia o gli altri potenziali assassini avrebbero fatto di tutto pur di sbattere in galera.
«Comunque ...» Kise riprese un po' titubante «hai sentito dell'incendio di stanotte?»
«Incendio?» Aomine si mise a fatica a sedere, aiutandosi con una mano e reggendo il cellulare con l'altra.
«Sì, la zona in cui è scoppiato non è tanto distante da casa mia. Al telegiornale hanno detto che era di natura dolosa, anche perché è scoppiato in un garage completamente abbandonato.»
Aomine lo lasciò parlare e si mise in cerca del telecomando, tentando di scacciare via gli ultimi residui di sonno per mettere in moto il cervello.
«Dovevo essere già a dormire quando è successo.» fece una piccola pausa e non appena ebbe recuperato il telecomando e acceso la televisione riprese «o c'è un piromane in città, o qualcuno ha tentato di nascondere qualcosa.»
Il notiziario locale del mattino parlava proprio di quell'accadimento.
Un incendio di tipo doloso in un vecchio garage abbandonato, durante la notte; un avvenimento isolato in mesi e mesi di tranquillità, avvenuto poche ore dopo la morte di Kuroko: anche un bambino avrebbe capito che non era casuale, era logico pensare che i due avvenimenti fossero collegati.
«Devo andare.» Aomine tagliò corto: voleva chiudere la chiamata e ascoltare ciò che aveva da dire il notiziario, non Kise, che si era preso la briga di chiamarlo per dirgli dell'incendio.
«Stai attento.»
Quelle parole sortirono un immediato effetto confusionale su Aomine, che cercò di rispondere qualcosa ma si ritrovò semplicemente a sputare aria, con la fronte aggrottata in un cruccio.
Kise non aveva detto altro e aveva chiuso la chiamata, ma non in modo frettoloso: gli aveva dato l'impressione che fosse rimasto con l'orecchio incollato al cellulare in attesa di qualcosa, e che poi lo avesse scostato lentamente e avesse preso una grande boccata d'aria prima di troncare il contatto.
Aomine non diede peso alla chiamata interrotta senza un vero e proprio saluto - che in sostanza non era affatto "cosa da Kise" -, ma piuttosto volle concentrarsi sul notiziario e alzò il volume, venendo a scoprire che l'incendio si era generato poco dopo l'una di notte ed era stato spento poco dopo le due.
Avrebbe voluto recarsi immediatamente in centrale e poi raggiungere la zona incriminata con alcuni colleghi, ma quello era il suo giorno libero e non avrebbe potuto fare nulla per scoprire qualche particolare in più sull'incendio, visto che, a giudicare dalle immagini proposte dalla televisione, la zona era accessibile soltanto ai giornalisti, alle troupe televisive e ai vigili del fuoco.
Quando l'immagini dei vigili del fuoco passò per l'anticamera del cervello di Daiki, questo sussultò e si mise subito in piedi, con le dita strette attorno al cellulare, in cerca del contatto di Kagami. Era buffo pensare che fosse stato proprio Kuroko ad insistere perché salvasse nella propria rubrica anche il numero di Kagami; diceva sempre: "Per qualsiasi evenienza, dovesse succedere qualcosa.", e aveva ragione, maledettamente ragione, visto che Aomine si era appena immerso nella straziante attesa di una risposta dall'altra parte dell'apparecchio telefonico.
«Cosa vuoi?» la risposta non tardò ad arrivare.
Kagami aveva la voce arrochita, il respiro pesante: Aomine non sapeva dire se avesse pianto e se, più semplicemente, fosse stanco a causa di una lotta notturna contro le fiamme.
«Sei al garage abbandonato? Dove c'è stato l'incendio?»
«Sì, perché?»
Prima ancora di cominciare ad articolare una risposta a quella domanda, Daiki aggrottò la fronte confuso e vagamente infastidito.
«Un momento, come facevi a sapere che ero io?» perché sì, era ovvio che lo sapesse: non si rispondeva in quel modo al cellulare, con voce annoiata, soprattutto se non si conosceva il numero, ma a quanto pareva Kagami aveva il suo contatto salvato in rubrica.
«Kuroko mi ha costretto a salvarlo.» Kagami si morse il labbro, quasi a volersi punire per aver parlato ancora una volta in presente «credimi, non fa piacere neppure a me avere il tuo numero in rubrica, ma Kuroko insisteva, diceva che era meglio, per qualsiasi evenienza.»
Per qualsiasi evenienza.
Aomine si sentì gelare il sangue: Kuroko si era comportato nello stesso modo sia con lui che con Kagami e aveva voluto a tutti i costi che fossero entrambi in possesso del recapito dell'altro.
«Credo che le due cose siano collegate.» Aomine decise di non dare più peso al fatto di essere venuto a conoscenza solo in quel momento del fatto che Kagami avesse il suo contatto e si decise a rispondere alla sua domanda.
«La polizia è già lì? Hanno trovato qualcosa?»
«Sì, sono qui, ma io che diavolo ne so se hanno trovato qualcosa? E poi cosa dovrebbero aver trovato?»
Era ovvio che Kagami non avesse voglia di parlarne e la pensasse diversamente da Aomine - oppure stava semplicemente cercando di sviare il discorso? -
«Chiama uno dei tuoi colleghi e chiediglielo: io sono un vigile del fuoco, non un poliziotto.»
Aomine sbuffò spazientito.
«Fra mezz'ora sono lì.» rispose piccato, chiudendo la chiamata senza concedergli neppure il tempo di ribattere.


La faccenda si sarebbe svolta in un modo ben diverso, se Aomine non fosse stato un poliziotto: nonostante fosse scontata la presenza di un assassino fra loro, il clima della centrale non era poi così rigido e freddo come era apparso ai più durante i primi interrogatori, anzi in quel momento si trovavano tutti nella stessa stanza, in attesa di aggiornamenti.
Quando entrò nella stanza, Aomine studiò con lo sguardo i volti dei vari sospettati, poi guardò oltre le proprie spalle e sbuffò sommessamente non appena registrò la presenza di altri due agenti: dopotutto anche lui era un faceva parte della cerchia dei presunti assassini e, anche se come tale si trovava in fondo alla lista, il capo della centrale aveva ordinato ad altri due poliziotti di scortarlo.
«Ho un po' di cose da dirvi.» Aomine non sapeva neppure da dove cominciare, l'unica cosa di cui era consapevole era che avrebbe dovuto cercare di rendere il più comprensibile possibile ogni informazione, perché se fra loro c'era un assassino, gli altri rimanevano comunque amici di Kuroko e volevano conoscere ogni minimo dettaglio come lui, volevano giustizia come lui.
Nessuno fiatò, il loro tacito accordo incitò Daiki a procedere.
«Tetsu è morto il due febbraio, in un orario compreso fra le quattro e le cinque del pomeriggio.» fino a quel momento si trattava di un'informazione che aveva sentito pronunciare dai suoi colleghi e che non aveva mai avuto il coraggio di ripetere, così fu molto lento ad articolare le parole, cauto verso gli altri e se stesso: la maggior parte di loro non riusciva ancora a credere all'accaduto, elaborare una perdita così prematura e inaspettata risultava difficile anche ai più forti.
«Abbiamo esaminato il corpo e potrebbe trattarsi davvero di suicidio.»
L'unico a non tradire alcuna emozione fu Akashi, che rimase a fissare Aomine in silenzio, mentre gli altri sobbalzarono e si scambiarono sguardi increduli.
«Kuroko non aveva motivo di ...»
«Ho detto: "Potrebbe", Kagami.»
Gli occhi di tutti tornarono improvvisamente puntati su Daiki.
«Il segno lasciato dalla corda sul collo di Kuroko tendeva verso l'alto, proprio come nell'impiccagione, in più non sono state rilevate abrasioni né le piccole emorragie che di solito si manifestano sul volto in caso di soffocamento, o particolari sostanze all'interno del suo organismo.» Daiki si schiarì la voce e continuò «l'unica cosa che ci ha fatto impensierire è stata la quantità di solanina, ma è una sostanza tossica che si introduce nel corpo mangiando alimenti particolari come patate e pomodori e non era presente in dose letale.»
Aomine fece una piccola pausa: a dire il vero c'era anche qualcos'altro, qualcosa di cui aveva discusso con Midorima nel suo primo interrogatorio e che l'autopsia aveva confermato.
Kuroko aveva il segno di una puntura sul braccio sinistro ed era stato Midorima stesso, ancor prima che gliene parlasse lui, a dirgli che due giorni prima aveva incontrato la vittima nel suo studio per vaccinarla: la scientifica aveva indagato e non aveva reperito alcuna anomalia, ma prima di escludere definitivamente Shintarou dalla cerchia dei sospettati voleva ascoltare e verificare il suo alibi.
«Quindi cosa vi fa escludere l'idea dell'impiccagione?» Akashi proferì le prime parole in quel momento, perché nonostante fosse da circa un quarto d'ora chiuso in una stanza con gli altri non aveva ancora aperto bocca: era lì per i risultati, aspettava solo quelli.
«Non la escludiamo: la accantoniamo.» volle precisare Aomine, braccato dagli occhi curiosi di Akashi.
«Rimane la questione del cellulare, del telefono e del computer: è evidente che l'assassino abbia paura di essere trovato, probabilmente si teneva in contatto con Tetsu e ha voluto nascondere alcune prove. Oltre a voler nascondere gli sms, vuole nasconderci le e-mail, e questo ci fa pensare che Tetsu avesse salvato la propria password proprio nel computer, oppure l'ha semplicemente preso per depistarci: anche questa è un'ipotesi.»
«Non credo proprio che Kuroko avesse scritto la propria password da qualche parte: diceva sempre di ricordarsela.» borbottò Kagami.
«Lo diceva sempre anche a me.» e anche Momoi si unì al coro, spingendolo sull'orlo di un burrone colmo di disagio, nel quale precipitò non appena Aomine gli rivolse uno sguardo eloquente: presto Satsuki sarebbe dovuta venire a conoscenza della relazione che Taiga e Tetsuya avevano consumato alle sue spalle.
«In più c'è la faccenda delle chiavi.»
«Delle chiavi?»
«È stato Kagami a trovare il corpo, e ha specificato che la porta era chiusa.»
«Quindi Kurokocchi si è ...»
«No, questo è ciò che l'assassino ci vuole far credere, o è semplicemente uno stratagemma per confonderci e farci perdere tempo. Tetsu non si è suicidato, sono sparite delle cose in casa sua.» Aomine fece una piccola pausa ed inspirò appena «escludiamo l'idea che l'assassino avesse chiuso l'appartamento dall'interno e fosse ancora nascosto lì dentro, piuttosto riteniamo che qualcuno di voi sia in possesso di una copia delle chiavi di Tetsu, qualcuno di cui lui si fidava e con cui ha mantenuto il segreto delle chiavi.»
Daiki fece vagare il proprio sguardo finché non trovò quello di Kagami «a meno che, cosa ancora più semplice, non sia stato Kagami ad inscenare il tutto.»
«Anche Momoi aveva le chiavi dell'appartamento di Kuroko!» Kagami ringhiò e si mise sulle difensive: non gli piaceva, Aomine continuava a dargli addosso come se fosse stato sicuro al cento per cento che fosse lui l'assassino.
«Un attimo, perché Kagamin aveva le chiavi di Tetsu-kun?»
Kagami sobbalzò appena e rivolse una rapida occhiata a Momoi, sentendosi sprofondare nella vergogna.
«Di questo parliamo dopo.»
Poi, quando Daiki le rispose, Taiga tornò a rivolgergli uno sguardo per niente rassicurante: voleva raccontarle della sua relazione con Kuroko nonostante non avesse ricevuto il permesso? Kagami lo avrebbe strozzato volentieri e, in effetti, ci volle davvero poco perché il suo impulso non prendesse il controllo del suo corpo.
«Inoltre abbiamo analizzato l'appartamento e abbiamo trovato alcune tracce, soprattutto capelli.» fu proprio Aomine che, raccontando degli altri particolari, scosse Kagami da quello stato di rabbia silenziosa.
«Di tutti?»
«Di tutti, ad esclusione di Akashi.»
Akashi fu soddisfatto di sentirgli pronunciare quelle parole: era ovvio che non si trovassero sue tracce nell'appartamento di Kuroko, visto che, essendosi trasferito nella prefettura di Kyoto ancor prima che lo acquistasse, non vi aveva mai messo piede: il fatto che si trovasse nella capitale giapponese proprio durante la morte di Tetsuya era solo una coincidenza fortuita.
«Io però non andavo a trovare Kuro-chin da un bel po' di tempo ...» anche Murasakibara decise di parlare.
«Sì, anche io.» Midorima intervenne e azzardò un'ipotesi: «i capelli non potrebbero rimanere attaccati ai vestiti?»
«Sicuramente-! A me è capitato più volte di trovarmi addosso qualche vostro capello!» fu Momoi a rispondere per Aomine.
«Infatti stiamo agendo con molta cautela e avevamo già preso in considerazione questo particolare.» Daiki si voltò e si incamminò verso l'uscita «comunque sia, fra poco verrete interrogati di nuovo.»
Le orecchie di Aomine furono subito sfiorate da un vociare sommesso che si occupò di troncare alzando la voce.
«Kagami, tu sei il primo.»
Taiga si zittì immediatamente e si voltò verso Aomine, dedicandogli un'occhiata aggressiva e rabbiosa che Daiki, girato di spalle, non poté vedere.
Aomine era ancora sicuro del suo obbiettivo, determinato a strappare la maschera all'assassino di Kuroko: Kagami Taiga.


Dal momento in cui Kagami lasciò la stanza, Akashi cominciò a scrutare ogni volto, soffermandosi su qualsiasi particolare che potesse suscitargli quel tanto di curiosità da arrestare la sua rapida analisi anche per un solo secondo in più.
Si soffermò innanzitutto su chi, per un puro parere personale, reputava innocente: Momoi attendeva silenziosamente il proprio turno - come tutti gli altri, d'altronde -, aveva i capelli legati in una coda bassa e disordinata ed era evidente che non avesse avuto neppure il tempo di fare una doccia, oppure, più semplicemente, non ci era riuscita perché aveva riempito il suo tempo con le lacrime, visto che gli occhi erano troppo arrossati e quindi lasciavano presupporre un pianto prolungato o per lo meno recente.
Gli occhi di Akashi balzarono via da quel volto con disinteresse e si soffermarono su chi gli sedeva accanto: Midorima era imperturbabile e silenzioso come sempre, forse vagamente infastidito da quell'attesa e ovviamente messo sotto pressione dalla situazione: glielo leggeva sulle labbra, strette, contratte, tanto da rendere impossibile l'accesso alla sua bocca anche a del comunissimo pulviscolo.
Akashi guardò oltre Midorima e si soffermò su Kise, che gli rivolse un sorriso nervoso, forse colto alla sprovvista in un momento di meditazione. Sul viso di Ryouta sembrava non esserci alcun segno di pianto, e ciò lo sorprese; in più era molto nervoso: si capiva dalla postura rigida, dalla schiena leggermente inarcata, dalle gambe tese, pronte a farlo scattare in piedi.
Seijuurou inspirò e continuò a fissarlo per qualche istante, poi si voltò alla sua destra, negandosi di fatto sia la vista di Kise che quella di Midorima e Momoi.
«Atsushi.»
Murasakibara non rispose immediatamente, ma sobbalzò poco dopo, voltandosi verso di lui con sguardo trasognato: doveva essere talmente immerso nei suoi pensieri da aver recepito dopo quel richiamo o, più semplicemente, non era riuscito a lasciarli immediatamente da parte e aveva preferito dedicare ancora qualche secondo alle sue congetture, prima di rispondergli.
«Sì, Aka-chin?»
«Hai dormito, ultimamente?»
Murasakibara rimase imbambolato per qualche attimo, quasi come se non avesse capito la domanda; gli altri, intanto, si voltarono verso coloro che avevano osato rompere quel sacrosanto silenzio.
Avendolo vicino, ad Akashi era bastata una breve occhiata per rendersi conto dei pesanti segni che aveva sotto gli occhi, della stanchezza che aveva stampata in volto.
«Non molto.»
Murasakibara fece una piccola pausa, disturbato dallo sguardo di Midorima che, nonostante lo stesse fissando nello stesso identico modo di Akashi, lo urtava profondamente.
«Penso a Kuro-chin.» si giustificò poi, tornando a guardare davanti a sé con un piccolo sbuffo.
Akashi, dal canto suo, non volle esercitare pressione ulteriore e si voltò nuovamente verso Midorima; il loro rapido scambio di sguardi fu eloquente: a nessuno dei due piacevano le occhiaie di Atsushi, ad entrambi avevano fatto sospettare qualcosa.
«Come fate?»
Questa volta fu proprio Murasakibara ad andare all'attacco, attirando nuovamente su di sé gli sguardi di Midorima e Akashi.
«A fare cosa?» lo rimbeccò Shintarou.
«Ad essere così calmi.» Murasakibara borbottò, ritrovandosi nuovamente scocciato di avere lo sguardo di Midorima addosso.
«Io e Shintarou stiamo cercando risposte.» Akashi tagliò corto e tornò a rivolgere la propria attenzione alla porta chiusa, intrecciando le mani in grembo e siglando di fatto un nuovo silenzio che si protese per diversi minuti, finché non venne il suo turno.


«Dove ti trovavi il due febbraio fra le sedici e le diciassette?»
«In albergo. Mi trovo qui solo per il torneo di shogi che inizierà domani, ma ci è stato richiesto di venire a Tokyo una settimana prima.» Akashi fece una piccola pausa e riprese non appena vide Aomine aprir bocca per dire qualcosa «ero in camera, quindi non credo che qualcuno mi abbia visto, ma puoi chiamare l'albergo, dovrebbero poter confermare quanto ti ho detto.»
Akashi gli porse un biglietto cartonato contenente il logo, l'indirizzo, il numero telefonico e il fax dell'albergo.
«Non mi piace, sembra quasi che tu ti sia preparato il discorso.»
«Mentalmente ce lo siamo preparati tutti, Daiki. Poco prima sei stato tu stesso a dirci quando è morto Tetsuya, era ovvio che ci chiedessi dove ci trovassimo quel giorno e che cosa stessimo facendo in quell'arco di tempo.»
Aomine rimase in silenzio solo per qualche attimo, lasciandosi scappare un flebile sospiro per cercare di tenere a bada il nervoso: Akashi era sempre così calmo e preciso da mettergli paura, aveva sempre l'impressione che più domande gli faceva meno gli era chiara la faccenda e più Seijuurou riusciva a leggergli nella mente.
«Come mai Kagami aveva le chiavi di Tetsuya?»
Eccolo che cominciava a fare domande. Detestava i sospettati che facevano domande durante l'interrogatorio e cercavano di invertire i ruoli.
«Questo non posso dirtelo.»
«Daiki, quante volte devo ripetertelo che il colpevole non è fra noi due?»
Akashi ci teneva a precisare di essere innocente ogni volta e, in effetti, considerando che era l'unico di cui non erano state trovate tracce nell'appartamento di Kuroko, poteva benissimo essere così, ma ad Aomine non piaceva ugualmente.
«Riguarda Satsuki, non te.»
Akashi rimase in silenzio solo per qualche attimo, poi accennò un piccolo sorriso soddisfatto
«Ho capito.»
Aomine arricciò il naso e non riuscì a trattenere l'ennesimo sospiro spazientito: cosa aveva capito, Akashi? Che Kuroko tradiva Momoi con Kagami? Certo, Tetsuya e Taiga erano molto vicini, ma Kuroko non si poteva dire quel tipo di persona, nessuno avrebbe mai potuto immaginarlo come un "adultero", probabilmente neppure Akashi che era molto più sveglio di tutti loro messi insieme.
«Avete preso in considerazione l'incendio della scorsa notte?»
«Certo.» avrebbe preferito rispondergli con qualcosa di più simile a: "Fatti gli affari tuoi, che non siamo stupidi e sappiamo fare il nostro lavoro.", ma riuscì a trattenersi: Daiki non era il tipo di persona pronta a farsi comandare a bacchetta e a farsi mettere i piedi in testa da chiunque, ma nonostante tutto aveva un grande rispetto per Akashi e non sottovalutava mai la sensazione di soggezione che gli metteva in corpo ogni volta che lo guardava negli occhi o gli parlava.
Akashi si alzò senza permesso e Daiki, dal canto suo, non fiatò finché non fu interpellato: alla fine i ruoli si erano invertiti davvero.
«Abbiamo finito, vero?»
«Sì.»
«Chiama l'albergo, Daiki.»
Le ultime parole di Akashi risuonarono come un monito, una raccomandazione costrittiva e vincolante.


«Siete sicuri?»
«Di cosa?»
«Che sia stato ucciso da qualcuno.»
«Sì.»
C'era qualcuno di peggiore da interrogare, dopo Akashi, e questo perché il tutto assumeva una piega troppo confidenziale e si trasformava in una normalissima conversazione fra amici.
«Quindi qualcuno oltre Kagamicchi e Momoicchi-chan ha le chiavi ...» Kise borbottò sovrappensiero, con gli occhi fissi sulle mani di Aomine che si apprestavano a sistemare una piccola pila di fogli.
«Personalmente non credo.»
Kise protese leggermente il viso e gli rivolse un'occhiata piena di interesse.
«Cosa vuoi dire?»
«Voglio dire che ...» Aomine esitò: ma perché ne stava parlando con Kise? Aveva continuato a respingere Akashi e poi si era gettato immediatamente a capofitto nella conversazione con Ryouta.
«Beh, credo che il colpevole sia fra loro due.» e sapeva che Kise avrebbe cominciato a tartassarlo di domande, avrebbe detto che Momoi e Kagami volevano troppo bene a Kuroko per fargli del male e tante cazzate del genere, ma forse aveva espresso il suo pensiero proprio perché voleva che gli venissero fatte quelle domande, voleva sfogare almeno in minima parte il dolore che stava racchiudendo e che si stava ostinatamente rifiutando di lasciar uscire.
«E immagino che con: "Fra loro due", tu intenda Kagamicchi.» Kise assottigliò leggermente lo sguardo, ma Aomine non riuscì a capire se si trovasse d'accordo o meno.
«Già.»
Kise gli diede la risposta non appena gonfiò le guance e sbuffò rumorosamente.
«Aominecchi, sei sempre il solito! Kagamicchi e Kurokocchi sono amici dalle superiori!»
Aomine inarcò appena il sopracciglio, ritrovandosi a pensare quanto fosse buffo che solo lui, almeno fino a quel momento, fosse a conoscenza della relazione fra Kagami e Kuroko, ma Kise sembrò non farci caso e continuò.
«Insomma, come puoi dire ch–»
«Se ragioni così, ti ricordo che noi siamo amici di Tetsu dalle medie.» fu proprio Aomine ad interromperlo: si era già stufato di sentirlo parlare e, prima che iniziasse ad intavolare cazzate irrimediabili e scatenasse le sue ire, preferì fermarlo.
«Senti, vediamo di sbrigarci.»
Kise non disse nulla e si strinse nelle spalle, con le labbra strette in una piccola smorfia, quasi si fosse offeso per essere stato zittito tanto bruscamente.
«Dove ti trovavi il due febbraio, fra le sedici e le diciassette?»
Il solo pensare che avrebbe dovuto fare quella domanda ancora tre volte, quella mattina, gli mise la nausea.
«Se vuoi l'alibi, non ce l'ho.»
Kise sembrò ancor più offeso e rimase a fissarlo con quella smorfia, le braccia conserte, il busto rigido contro lo schienale della sedia.
«Come non ce l'hai?»
«Non ce l'ho.»
«Dai Kise, non fare il coglione.»
«Non credo che le pareti di casa mia possano testimoniare in mio favore, Aominecchi.»
Aomine sospirò e si sistemò un po' meglio sulla sedia, preparandosi a scrivere.
«Quindi eri a casa?»
«Sì, avevo il pomeriggio libero.»
«Ed eri da solo?»
«Sì.»
«Sei stato in casa tutto il giorno? Nel senso, magari hai fatto qualcosa prima, o dopo ...»
«Sono stato allo studio fotografico dalle nove alle undici e poi sono tornato a casa. Sono uscito, ma alle otto di sera.»
Aomine appuntò tutto e arricciò il naso: sicuramente quella era una testimonianza da non sottovalutare, non avere un alibi in un caso come quello era grave, un punto a sfavore per Kise.
«Ricordi se ti sono arrivate delle telefonate sul fisso?»
«No, ormai uso solo il cellulare, il telefono fisso lo tengo per le chiamate dei miei genitori.»
Aomine rimase in silenzio solo per qualche attimo, poi lo congedò senza neppure staccare gli occhi dal foglio.
Kise, dal canto suo, si comportò in modo completamente inverso ad Akashi.
«È grave, vero?»
Era rimasto seduto e aveva borbottato con un fremito nella voce.
Aomine sollevò lo sguardo dalle parole di inchiostro appena tracciate sulla carta e lo guardò negli occhi per qualche istante.
«Di certo ... lo terranno in considerazione.»
Era piuttosto frustrante che le situazioni di Kise e di Momoi fossero così compromesse mentre l'alibi di Kagami, che il due febbraio aveva coperto il turno dalle quattordici alle diciotto, fosse già stato confermato.
Kise annuì appena, rassegnato all'idea.
«Puoi andare.»
Aomine lo seguì con lo sguardo e non disse altro, al contrario di Kise che, fermatosi sulla porta, tornò a parlare.

«Sta attento, Aominecchi.»

Aomine si sentì esplodere il cuore nel petto: perché continuava a dirgli di stare attento? Kise sapeva qualcosa? Kise era in qualche modo coinvolto e voleva soltanto metterlo in guardia?
Aomine fu incapace di parlare, perché in quel momento gli fu evidente il fatto che non volesse assolutamente sapere di un eventuale coinvolgimento di Kise in quella brutta storia: se era Ryouta l'assassino, o semplicemente un complice, Daiki si sarebbe spezzato e non sarebbe mai più tornato in piedi.





Angolo invisibile dell'autrice:

Saaaaalve!
Finalmente sono riuscita ad aggiornare! Fra sami e altre fanfiction sono un po' lenta e, oltretutto, cerco di stare molto attenta alla storia, perché la modalità con cui si è svolto l'omicidio è abbastanza complicata e devo tener conto di molte cose ... insomma, impazzirò!
Comunque non credo che questa fanfiction durerà molto, ho l'impressione che altrimenti finirei per scavarmi la fossa da sola, facendovi capire chi è l'assassino! D:
Ok, come potete notare Akashi si diverte a giocare alla bella investigatrice (?) e a rompere le scatole ad Aomine (penso che inserirò l'AoAka negli accenni, come avvertimento, perché ci saranno molte scene con questi due), Kise è ultra apprensivo (e sì, confermo: ci sarà dell'AoKise *3*) e Daiki ce l'ha a morte con Kagami.
Non credo che questo capitolo sia molto interessante, ma se l'ho scritto così significa che era necessario ;u;'' (?)
Ah, un piccolo appunto su Akashi: sono rimasta indietro col manga, diciamo ... capitolo 264, mi pare, e lo riprenderò non appena avrò finito gli esami (fra tre giorni, sì =w=), ma da quanto mi pare di capire Seijuurou non è più così inquietante ... ebbene, qui sto cercando una via di mezzo, inquietante perché è funzionale al tipo di storia, ma non così ossessionato dalla vittoria (anche se si impegnerà nella sua investigazione) come lo abbiamo conosciuto.
Vi ricordo che Akashi potrebbe darsi così tanto da fare perché, semplicemente, è lui l'assassino e cerca di nascondere le sue tracce. O forse è Murasakibara, che non ha dormito. O Midorima. O Kise. O Kagami come dice Aomine ... oppure lo stesso Aomine? Magari Momoi, che avrebbe molte più motivazioni degli altri!
Non si fosse capito, io, malefica autrice che non sono altro, cerco di mettervi i bastoni fra le ruote anche nell'angolo invisibile dell'autrice ... potrei darvi qualche dritta, o buttarvi completamente fuori strada (non è necessario dirvelo, ormai lo sapete che sono sadica, ma ... sì, mi sto divertendo~)
Per il prossimo capitolo dovrete aspettare un po', spero di fare un buon lavoro e rendere la storia abbastanza intrigante.
Scusate se n ho risposto alle recensioni, ho finito per dimenticarmele ... però vi ringrazio, non pensavo che avrei ricevuto così tanta attenzione! Prometto che risponderò alle prossime recensioni! ;*;
Chu!

   
 
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