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Autore: SorelleDiSpirito    16/07/2014    2 recensioni
Due sorelline conducono la loro tranquilla vita a Villar San Costanzo, un piccolo paesino piemontese, fino a quando non trovano un libro che parla di mostri.
Il loro modo di vedere il mondo cambia, diventa grottesco e spaventoso non appena cala l'oscurità.
I mostri esistono, checché ne dica qualunque adulto. Luna ed Altea li vedono. Li sentono, nel bosco dietro casa loro, nella riserva naturale.
E non saranno le uniche.
*
"Quella sera nessuno aveva guardato sotto il letto. Nessuno aveva scacciato il mostro."
*
Prima fanfiction pubblicata.
Genere: Dark, Sovrannaturale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La bambola di porcellana
– Noi crediamo nei mostri –

 





Quella sera dormii un sonno inquieto, pieno di incubi e sensazioni sgradevoli.
Mi venne d’istinto aprire gli occhi quando sentii un fruscio vicino alla mia testa.
Quanto vorrei non averlo mai fatto. Subito pensai che Luna volesse farmi uno scherzo, mi sbagliai.
Una bambola di porcellana a grandezza d’uomo mi osservava con un occhio penzolante ed un sorriso cucito. La testa era leggermente inclinata di lato, i boccoli biondi e sudici che cadevano seguendone il movimento traballante.
Rimasi immobile, il buonsenso che mi diceva di gridare, il corpo che non obbediva.
Mi morsi la lingua quando la bambola portò un dito sporco di terra alla bocca sigillata, intimandomi di non fare rumore. Poi indicò mia sorella, ancora dormiente ed all’oscuro di tutto.
Annuii, paurosa. Gli zigomi alti e rossi della bambola che rilucevano alla luce sinistra della luna.
« Piccola bimba, sai chi sono? » aveva una voce squillante, un po’ androgina.
Scossi la testa, mi morsi di nuovo la lingua per non gridare. All’improvviso mi ricordai delle parole di mia madre: ‘Quando hai paura, stringi il tuo pupazzo preferito. Gli ho detto di proteggerti’ poi mi lasciava un buffetto sul naso e scompariva chiudendo la porta.
« Lo sai cosa farò? » continuò con lo stesso tono. Le labbra non si muovevano, ma la voce fuoriusciva chiara.
Scossi di nuovo la testa, cercando disperatamente il piccolo tasso con il papillon rosso regalatomi per il mio terzo compleanno.
« Prenderò i tuoi bellissimi occhi... » sussurrò lei, teneramente.
Portò una mano color madreperla alla veste vittoriana logora e se la sistemò.
« Li metterò in un barattolo e li osserverò tutto il giorno... » ridacchio staccandosi l’occhio penzolante.
Finalmente afferrai la zampetta del tasso, Fosco l’avevo chiamato. Me lo portai al petto in un repentino movimento e la bambola sembrò stupita.
« Tu... piccola peste. Dieci anni ed ancora dormi con i pupazzi... » mi schernì, cercando di avvicinarsi inutilmente.
Tremai chiudendo gli occhi. La sentivo muoversi, il fruscio delle vesti continuo, il gracchiare di una radio che trasmetteva programmi insensati.
Tutto quel turbinio di emozioni provocato da una risata stonata della bambola.
“Se non lo osservi lui sparisce, i mostri non esistono Tea, non esistono!”
« Certo che esistiamo, Tea, sono qui davanti a te. » ridacchiò ancora sedendosi meccanicamente sul letto di mia sorella.
« Non... non farle male... » sussurrai intimorita, la mia voce tremava e fuoriusciva ad intermittenza a causa dei denti battenti per la paura.
« Tea, non posso farle del male... lei ha un mostro tutto suo... io sono il tuo personale. Una bambola carina per una bimba carina. » rise, dondolando il collo.
Mi sentii in qualche modo sollevata, ma strinsi ancora di più Fosco a me. Intanto la bambola aveva iniziato a cantare una ninna nanna alquanto sinistra, mentre il vento faceva gemere i rami al di fuori della cameretta.
« Tu non esisti. E non sei carina! » gridai cercando di autoconvincermi.
La bambola ringhiò. Sembrava veramente arrabbiata, il suo unico occhio che mi guardava lanciando fiamme. La bocca ancora immobile ma che sembrava aver assunto un ghigno furioso.
« Bene! Ma uscirai di qua, e quando succederà io ti troverò. Io trovo sempre le bambine cattive! » gridò dissolvendosi in ombra.
Aspettai qualche secondo e poi mi fiondai da Luna, cercando di svegliarla scuotendola agitatamente.
« Luna, per favore, svegliati! Avanti! » singhiozzai.
Poco dopo aprì gli occhi chiari, ereditati dalla mamma, e mi guardò stranita.
« Cosa c’è, Tea? » mi chiese con la voce impastata.
Si strofinò un occhietto, ancora assonnata.
« Dobbiamo andarcene di qua, presto! » dissi concitata, infilandomi le calze più pesanti che avevo e i miei stivali di gomma gialli preferiti.
Aprii l’armadio di betulla, prendendo lo zainetto a forma di orsacchiotto di Luna. Glielo lanciai afferrando poi la felpa a quadri di lana.
« Perché ci stiamo vestendo? Papà sarà in camera sua, no? Andiamo a chiamarlo » domandò Luna che aveva iniziato anche lei a mettersi le galosce.
Quando la vidi togliersi la maglia del pigiama la fermai.
« Non abbiamo abbastanza tempo, prendi il cappotto e andiamo! » quasi gridai.
Vidi Luna trattenere le lacrime spaventata.
Presi anche il mio di zaino e dentro ci ficcai Fosco.
« Prendi Shadow, ti aiuterà. » le consigliai prendendo dal letto sfatto il suo serpente di pezza. Ancora non capivo perché avesse voluto chiamarla ombra. Aveva imparato quella parola dalla maestra di inglese in seconda elementare ed era diventata la sua preferita.
« Cosa ce ne facciamo degli zainetti? » chiese infilando il serpente verde nello zaino.
Presi una coperta di plaid e, non so come, riuscii ad infilarcela dentro.
« Ci mettiamo le provviste. » dissi pratica.
Aprii la porta e, guardando a destra e poi a sinistra, uscii dalla cameretta. In quel momento mi sentivo veramente una grande avventuriera, come quelle che erano nei libri di avventura.
Casa nostra non era grandissima, ma era piena di ombre paurose.
Insieme scendemmo le scale ed io mi infilai in cucina. Riempii i nostri zainetti di merendine preconfezionate e due bottigliette d’acqua.
« Papà dov’è? » chiese Luna singhiozzando impaurita.
« Non c’è papà, siamo solo io e te, Luna. Dobbiamo stare sempre insieme. » la presi per le spalle.
« Andiamo dalla mamma. » le dissi.
« Dov’è la mamma? »
« Nel bosco, l’ho sentita che andava al rifugio. » quella sera aveva gridato che sarebbe andata a lavorare.
Nostra mamma era una guardia parchi, il parco dei Ciciu del Villar era esattamente dietro casa nostra.
« E ci dobbiamo andare di notte? Non possiamo aspettare domani? » mi domandò.
Effettivamente non aveva tutti i torti, ma la mamma domani sarebbe già andata via dal rifugio.
« No. Sbrigati. » dissi gelida. Era pieno inverno per questo presi le sciarpe.
Io e mia sorella sentimmo dei passetti veloci e ci girammo spaventate.
« Cosa... cosa... è stato? » chiese Luna stringendosi a me.
Spalancai gli occhi e mi decisi a prendere le chiave ed infilarle nella toppa della porta. Non mi premurai nemmeno di chiuderla dietro, semplicemente presi mia sorella per mano e corsi fino all’entrata del parco.
Era ovviamente chiusa, ma sapevo che c’era una vecchia tana di volpe che avevo allargato anni fa.
« Forza, entra qua. » dissi a mia sorella, che stranamente ubbidì.
Mi infilai subito dopo di lei, sporcandomi tutto il pigiama di flanella.
Il bosco di notte era più spaventoso di quanto mi ricordassi, le torri di terra che producevano ombre inquietanti.
Il rifugio era sulla collina più alta, in modo che gli escursionisti potessero riposarsi una volta raggiunta la cima.
« Cosa facciamo adesso? È scivoloso, se troviamo del ghiaccio? Insomma ha appena nevicato! » Luna si fermò appena prima del ponticciolo che superava un piccolo torrente ghiacciato.
« Con calma cerchiamo di raggiungerla, ho preso la torcia elettrica... » mugugnai cercando l’oggetto nello zaino.
Il rumore di un ramo rotto mi fece immobilizzare.
“La foresta è piena di rumori, non ricordi? Altea, non farti strane idee.”
Un altro ramo, il richiamo di un gufo. Erano passi quelli, lo sapevo. Speravo solamente che fossero i passi di qualche strano animale notturno non in letargo.
« Altea, ho paura... » ammise Luna, guardandomi negli occhi.
« Anche io. » le dissi accendendo la torcia elettrica. Feci luce nella direzione in cui avevo sentito il fruscio e quello che vidi mi fece impallidire.
« Luna, non gridare... » le dissi.
Era ancora girata verso di me, non aveva potuto vedere quello che avevo puntato.
Mia sorella spalancò gli occhi e si girò lentamente verso il fascio di luce.
Un ragazzo ci guardava spaesato, anche lui aveva una torcia in mano. Ad una prima occhiata sembrava molto più grande di noi, forse aveva sedici anni.
Era magro, con uno zaino in spalla ed il pigiama addosso. Sembrava nella nostra stessa situazione.
Guardai mia sorella, ed in una delle nostre mute conversazioni, capimmo che a vedere i mostri non eravamo le uniche.



















 


   
 
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