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Autore: CieloNotturno    21/07/2014    4 recensioni
“Scusa, dovrei ordinare”
Dissi con un tono decisamente elevato di acidità nella mia voce. I suoi occhi si alzarono dal recipiente che stava pulendo e si incontrarono con i miei. Erano verdi come era verde il prato dei parchi di Buenos Aires, verde come l’acqua cristallina del mare, verde come il colore della speranza.
“Mi scusi signorina, cosa desidera?” la sua voce era un insieme di note gravi che miscelate insieme creavano un’armonia mai sentita. Deglutii ritrovandomi per la prima volta con la gola secca e con le parole attaccate al palato.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Mamma! Mamma!”

Goccioline di sangue scendevano lentamente lungo il suo braccio lasciando una scia calda e liquida, per poi schiantarsi contro il parquet in legno lucido, creando un suono appena udibile ma frastornante al tempo spesso.

“Mam-Papà!”

Il fiato mi si bloccò in gola senza riuscire ad arrivare ai miei polmoni. Tremavo, tremavo come una foglia tremava d’autunno a causa del vento, poco prima di cadere e lasciar per sempre il posto dove era nata e cresciuta.

I suoi occhi spalancati  erano scuri come il petrolio e mi guardavano come non avevano mai fatto, erano pieni di pazzia.

Avevo paura di muovermi.

Il tintinnio delle goccioline risuonava ancora nelle mie orecchie mentre il mio sguardo si era posato su un coltello.

Un coltello sporco di sangue e peccato.

Un coltello che teneva stretto nella mano mi..

 

Urlai come facevo ormai ogni notte. Tastai con le mani le mie guancie e le scoprii bagnate di un liquido salato che, in parte, aveva toccato anche le mie labbra. Tirai su col naso per poi accendere la piccola abatjour che l’hotel aveva messo a disposizione.

Notai che i miei due cuscini erano finiti in terra e le coperte che mi avevano protetto dal freddo fino a quel momento erano appallottolate e raggomitolate sul bordo del letto.

Mi alzai e poggiai una mano sulla fronte cercando di bloccare il martellare forte e continuo presente nella mia testa. Il freddo mi trafiggeva la pianta dei piedi mentre camminavo avanti e indietro per la stanza che ormai era diventata asfissiante.

Erano tredici lunghi anni che faceva lo stesso incubo ogni notte.

Adesso mi farò una camomilla e poi tornerò a letto

Pensai mentre le lacrime avevano finito di scendere a cascata sulle mie guance. Respirai, per poi accorgermi di non essere a casa mia ma in una stupida camera d’albergo con solo una dannata stanza e un dannato bagno. I miei piani di farmi una camomilla saltarono.

In quel momento maledii tutto. Maledii il mio lavoro per tutto lo stress e per tutti i viaggi che mi costringeva a fare, maledii la mia insulsa vita, maledii lo stupido bisogno di dormire e di non riuscire a sopravvivere senza.

In un atto di rabbia e follia diedi un calcio alla valigia poggiata accuratamente contro il muro, cadde provocando un tonfo che mi fece innervosire ancora di più.

Mi avvicinai al mini frigo accanto alla porta del bagno e l’aprii prendendo l’unica bottiglina di acqua frizzante presente all’interno. Tornai a sedermi sul letto, leggermente più calma e iniziai a berla a sorsi.

Sospirai e dopo essermi assicurata della mia lucidità nuovamente raggiunta, poggiai la schiena contro al materasso. Gli occhi presi a fissare un punto indefinibile nel vuoto e la mente che viaggiava, in prima classe nell’aereo dei ricordi.

Mi girai su un fianco poggiando la tempia accaldata e dolorante sulla coperta, i demoni non mi facevano paura di giorno. Ma la notte, quando venivano a bussare alla mia porta non ci vedevo più dal terrore ma il mio istinto masochistico gli apriva la porta dandogli libero accesso alla mia mente, portandola fuori dai limiti e facendomi perdere la sanità mentale.

“Mamma” sussurrai a me stessa mentre gli occhi iniziavano a pizzicarmi brucianti di nuovo. “Mamma” ripetei affondando la testa nel materasso che avevo tanto desiderato provare quel pomeriggio ma che in quel momento stavo disprezzando come non mai.

 

La mattina mi svegliai acciaccata e con ancora il mal di testa.

Mi strofinai gli occhi e mi alzai lentamente dal letto, solo per non peggiorare il dolore alla schiena. Aprii le tende facendo così filtrare la luce del sole nella mia suite.

Erano solo le nove del mattino e New York era già in completo movimento. Le macchine sfrecciavano veloci sulla strada quasi da non vederle, le persone indaffarate camminavano senza neanche accorgersi di quel che accadeva in torno a loro e i studenti che marinavano la scuola girovagano nelle vie con cautela per la paura di essere riconosciuti da qualche loro familiare.

Sbadigliai prendendo il cellulare da sopra al comodino. Un samsung galaxy express due, il mio bellissimo e amatissimo telefono regalatomi dall’azienda.

Sbloccai lo schermo per leggere la scritta “Un nuovo messaggio da Marotti.”

Sbuffai pesantemente. Di prima mattina, nel mio giorno libero, già doveva infastidirmi con i suoi messaggi?

 

Buongiorno Zuccherino, alle 11 passa al Vicius, dobbiamo organizzarci della tua sistemazione. Kiss.

 

Roteai gli occhi per la sua falsa dolcezza da diabete e poggiai di nuovo il cellulare sul comodino. Iniziai ad incamminarmi verso il bagno mentre la mia mente si ritrovava di nuovo a vagare tra i ricordi tatuati nel mio cervello.

Marotti. Un uomo in apparenza ricco e generoso, che dava speranze ai giovani donandogli posti di lavoro sicuri e importanti. Un uomo che accoglieva in casa chi usciva da una tragedia e veniva etichettato come sfortunato. L’uomo perfetto.

Ma nessuno sa chi è davvero lui, o quasi nessuno.

“Questa è Violetta, trattatela bene è una matricola.. ha solo quattordici anni”

Tutte mi squadravano da capo a piede, come se fossi io la strana con qualcosa di sbagliato addosso. Erano loro ad essere vestite e truccate come delle prostitute.

Abbassai lo sguardo intimorita un attimo da tutti quegli occhi puntati su di me. Cosa volevano? Io ero qui solo per una visita con il signor Marotti.

“Non si preoccupi Marotti” una ragazza alta dalla pelle scura si avvicinò all’uomo che mi aveva accolta in casa sei anni prima. Camminava in modo elegante e la sua voce seducente avrebbe potuto persuadere tutti. “Ci prenderemo noi cura di lei” gli scoccò un bacio sulla guancia accarezzandogli una spalla con le dita lunghe che si ritrovava, coperte totalmente da anelli argentati.

Diciamo che la mia vita non era tra le più comuni e facili.

Uscii dall’albergo lavata e vestita. Quel giorno avevo pensato di vestire più elegantemente. Dovevamo pur sempre parlare della mia sistemazione e non di una cosa qualunque, chissà chi mi avrebbe presentato questa volta, quale casa mi sarebbe spettata e in che via, soprattutto.

Il tailleur blu che mi fasciava a pennello le forme si intonava con l’eyeliner colorato che avevo passato finemente sui miei due occhi. La mia solita, adorata borsa di Luis Vuitton oscillava ad ogni passo fatto dal mio vertiginoso tacco.

Cosa dovevo fare precisamente?

Mi avevano chiuso in quella stanza e se ne erano andate lasciandomi sole con quest’uomo. Aveva all’incirca il doppio dei miei anni ed era il mio triplo. Mi incuteva paura e i miei piedi erano piantati nel terreno.

“Fallo divertire”

Mi aveva detto Ambar, la donna che aveva fatto poco prima gli occhi dolci al signor Marotti. Come avrei fatto a farlo divertire?

“Sei pronta ragazzina? Guarda che hai sprecato già un quarto d’ora dei quaranta minuti” la sua voce era stizzita e si stava abbassando il jeans che fece cadere all’altezza delle sue caviglie

“Avanti spogliati!” continuò

Scossi la testa cercando di levarmi le immagini della mia distrutta adolescenza davanti agli occhi. Mentre la mia mente vagava in cerca di un argomento più interessante e meno doloroso da elaborare, mi ritrovai già davanti al Vicius.

Tanto meglio

Ridacchiai entrando nell’edificio dalle porte raffinate ed eleganti in vetro. Era impressionante come il mio corpo si muoveva meccanicamente e automaticamente mentre i miei pensieri erano da tutt’altra parte. Credevo di averlo imparato negli anni, la routine dei miei giorni era quasi sempre la stessa, cambiavano solo, di tanto in tanto, i luoghi in cui mi trovavo.

“Buongiorno signorina Castillo”

Un ragazzo che non avevo mai visto prima d’allora, vestito in divisa nera mi guardava sorridendo. Come sapeva il mio nome? Aveva i tratti del viso dolci e il nasino all’insù. Mi faceva quasi ridere quanta dolcezza esprimevano i suoi occhi, nonostante il posto dove si trovasse.

“Buongiorno” risposi per poi avanzare verso l’ufficio di Marotti.

Entrai senza bussare e lo trovai seduto su una poltrona in pelle, di fronte ad un uomo abbastanza anziano, con i capelli lunghi e grigi fino alle spalle.

“Violetta mia cara, vieni qui che ti presento Fernando”

Sospirai e mi avvicinai a loro. Sarebbe  stata un’altra mattinata molto lunga.

 

Ero seduta sulla panchina di un parco di NY. Faceva più freddo del giorno prima o, almeno, l’aria sembrava più rude del solito. Le gambe accavallate l’una sull’altra e la mia adorata borsa prendeva posto proprio al mio fianco. Il braccio attorno al manico di essa per evitare sgradevoli furti da parte di qualche ragazzino che voleva avere le attenzioni su di lui facendo il bullo con una ventunenne.

Mi rigirai attorno al dito le chiavi della mia nuova e splendente Mercedes. Avevo la patente da un anno, era ora che quel riccone  di merda me ne concedesse una.

Il venticello freddo sbatteva contro la mia faccia facendo appassire il colorante rosso sulle mie labbra. Un Yves saint laurent della modica cifra di quaranta dollari e ottantatre centesimi. Girai il polso notando che erano già le 7 e 45 e che il mio stomaco iniziava a brontolare dalla fame. Era arrivato il momento di tornare a casa.

Si, perché finalmente avevo ricevuto le chiavi della mia nuova casa. Era nel centro della Grande Mela e distava pochi isolati dalla metrò, non che mi servisse più, adesso potevo raggiungere il Vicius con la mia macchina.

Sorrisi tra me e me una volta seduta sui sediolini in pelle che odoravano ancora di nuovo, pensando che, in quel giorno, qualcosa  era andato bene.

 

Girai la chiave nella serratura.Ero arrivata all’indirizzo che mi aveva dato Fernando, il proprietario del palazzo dove ero in quel momento, mi aveva detto che la mia casa era la numero 162 del settimo piano. Ovviamente con scarpe di quella altezza non avrei mai salito sette piani di scale, così andai nell’ascensore.

Quello che mi ritrovai davanti pareva più un attico affittato dai famosi attori di Hollywood, che un appartamento per una persona.

La mia  bocca si spalancò guardando l’immenso ambiente circostante a me.

Un grande salone si estendeva alla mia vista. Un divano in pelle a isola bianco era posizionato su un tappeto color cioccolato. Il camino era già acceso rendendo la casa calda e accogliente. Il fuoco giocherellava avanti e indietro facendo scoppiettare il legno sotto di esso.

Come finale una grande vetrata prendeva tutta la parete infondo dandomi un ottima vista di almeno metà New York.

Il tavolino in vetro posizionato di fronte  al divano teneva in piedi un piccolo vaso pieno di violette fresche e profumate con nel mezzo un bigliettino rosa.

Mi avvicinai e lo portai all’altezza del naso. Profumava di lavanda. Era il suo marchio. Lo aprii delicatamente per non stracciare la carta quasi velata e lessi a bassa voce il suo contenuto.

Ti piace la tua casetta?

L’ho consigliata io a Marotti. Solo per te. Xx

 

Look at me

 

Un altro piccolo capitolo lo so ma è un miracolo che sia riuscita ad anticipare l’aggiornamento ad oggi.

Per la mia felicità oggi è venuto un tecnico a controllare il pc di casa mia e per mercoledì la connessione wifii dovrebbe essere a posto. In questo capitolo non succede nulla di che, si viene solo a sapere un pizzico della vita della nostra cara protagonista.

Ringrazio TUTTI quelli che hanno recensito la mia storia e messa nelle seguite o preferite. Tutti quelli che l’hanno letta e un grazie a tutti quelli che l’hanno anche odiata.

Se vedrò ancora tutto questo interesse per la storia (che mi rende felicissima. Non mi aspettavo più di una recensione) cercherò di continuare ancora presto.

Per quando il computer sarà pronto credo di stabilire dei giorni a settimana (2 o 3) dove aggiornerò ad un determinato orario.

Un grazie a tutti ancora e un bacio.

 

Cielo <3

 

[Account di Ask se avete qualche domanda da farmi: http://ask.fm/CieloNotturno   ]

   
 
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